x

x

Pubblico impiego: il T.A.R. del Lazio “boccia” le riqualificazioni del personale del ministero dell’interno

Ma a tutela dell’interesse legittimo di chi?
Dopo la volta del Ministero delle Finanze (Corte Costituzionale, 16 maggio 2002, n.194) e di altre pubbliche amministrazioni, la scure si abbatte sul Viminale.

Con la sentenza n.10434 del 6 luglio 2006, il T.A.R. del Lazio dà un colpo di spugna anche alle procedure di riqualificazione del personale civile del Ministero dell’Interno, annullando il decreto ministeriale col quale era stato bandito un concorso per la copertura di 517 posti nel profilo professionale di Collaboratore Amministrativo appartenente alla posizione economica C, livello C1 e riservato al personale dell’Amministrazione civile dell’Interno appartenente alle posizioni economiche B1,B2,B3 e B3S

La pronuncia in questione offre al lettore un’interessante rassegna dei principi che, nel tempo, la Corte Costituzionale ha enucleato dalla Legge fondamentale della Repubblica in materia di accesso al pubblico impiego, principi che debbono guidare il Legislatore nello stabilire le condizioni soggettive necessarie per l’assunzione di personale nelle pubbliche amministrazioni e per una successiva riqualificazione professionale dello stesso nell’ambito del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.

La decisione, peraltro, non ha mancato di suscitare reazioni critiche, soprattutto nelle organizzazioni sindacali del comparto impiegatizio coinvolto.

E, per la verità, la sentenza non pare scevra da aspetti che la rendono vulnerabile.

Dalla sua disamina – per soffermarsi su uno solo di tali aspetti – non traspare, ad esempio, quale lesione d’interesse legittimo il provvedimento annullato abbia prodotto ai danni del soggetto che, col proprio ricorso, ha sollecitato la decisione demolitoria con essa assunta.

E’ noto che il nostro sistema processual-amministrativo, fondandosi sul c.d. principio dispositivo, ammette il sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi nel solo caso in cui questi ultimi, ove dottati contra legem, abbiano ingiustamente leso gli interessi particolari di uno o più soggetti determinati, ai quali soltanto è riconosciuto il potere di adire il giudice amministrativo perché accerti l’illegittimità dell’atto lesivo e provveda al suo annullamento.

L’esistenza di un interesse subiettivo pregiudicato da un atto amministrativo non conforme a diritto – e che deve essere reintegrato proprio attraverso l’eliminazione dell’atto stesso – costituisce il substrato indefettibile di quella peculiare situazione giuridica soggettiva di vantaggio che, tipica del diritto amministrativo, è nota come “interesse legittimo”.

Colui che chiede l’annullamento di un atto amministrativo contra jus deve essere stato, da quest’ultimo, pregiudicato in un proprio interesse personale, concreto, attuale, differenziato e qualificato (tutti elementi costitutivi della situazione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo); diversamente, manca il presupposto essenziale di accoglimento della domanda di annullamento e l’organo giurisdizionale non può adottare la misura demolitoria quand’anche l’illegittimità dell’atto sia di marchiana evidenza.

Il bando di concorso annullato con la sentenza in esame era stato adottato in stretta attuazione di un contratto collettivo nazionale con cui le organizzazioni sindacali del personale civile del Ministero dell’Interno e quest’ultimo avevano fissato i criteri per la progressione professionale dei dipendenti ministeriali, prevedendo l’accessibilità alla posizione economica C1 non solo da parte del personale proveniente dalla posizione immediatamente sottostante (B3, B3S), ma anche di quello in posizione ulteriormente inferiore (B1 e B2).

Il T.A.R. del Lazio è stato provocato a giudicare della legittimità della procedura di riqualificazione a seguito del ricorso presentato da una dipendente del Ministero dell’Interno inquadrata nella posizione economica B2.

Detta impiegata, peraltro, non ha lamentato irregolarità di sorta nello svolgimento dell’iter procedurale né delle prove selettive, ma si è limitata a dedurre l’inosservanza, “a monte” della procedura, dei ricordati principi generali in tema di progressione professionale del personale pubblico da parte dell’amministrazione procedente.

Il T.A.R. adito, in accoglimento delle deduzioni della ricorrente, ha invalidato il concorso, stigmatizzando l’inosservanza dei suddetti principi da parte dell’Amministrazione dell’Interno ed evidenziando, fra le altre cose, che la riqualificazione in parola era stata concepita in violazione del c.d. divieto delle progressioni professionali per saltum, ossia della possibilità per i dipendenti pubblici di accedere ad una qualifica di due o più livelli superiore rispetto a quella rivestita.

Ebbene, la ricorrente, essendo inquadrata nella posizione economica B2, rivestiva una qualifica professionale di due livelli inferiore a quella che il bando di concorso intendeva attribuire; cosicché, l’annullamento disposto dal giudice amministrativo non trova giustificazione in alcuna esigenza di tutela giuridica della ricorrente, posto che non si è avuta lesione di alcun effettivo interesse personale, diretto, attuale e qualificato di quella persona, né si scorgono possibili benefici derivanti alla stessa dall’eventuale indizione di una nuova procedura di riqualificazione in conseguenza dell’annullamento ottenuto dal T.A.R.

Difatti, se l’Amministrazione avesse indetto la procedura selettiva nel debito rispetto del citato principio del divieto di progressione professionale per saltum, la dipendente non avrebbe potuto legittimamente parteciparvi, così come non potrebbe oggi legittimamente partecipare ad un eventuale procedimento selettivo che, indetto per l’accesso alla stessa posizione economica superiore, l’Amministrazione dell’Interno indicesse nel rispetto del giudicato del T.A.R.

Dopo la volta del Ministero delle Finanze (Corte Costituzionale, 16 maggio 2002, n.194) e di altre pubbliche amministrazioni, la scure si abbatte sul Viminale.

Con la sentenza n.10434 del 6 luglio 2006, il T.A.R. del Lazio dà un colpo di spugna anche alle procedure di riqualificazione del personale civile del Ministero dell’Interno, annullando il decreto ministeriale col quale era stato bandito un concorso per la copertura di 517 posti nel profilo professionale di Collaboratore Amministrativo appartenente alla posizione economica C, livello C1 e riservato al personale dell’Amministrazione civile dell’Interno appartenente alle posizioni economiche B1,B2,B3 e B3S

La pronuncia in questione offre al lettore un’interessante rassegna dei principi che, nel tempo, la Corte Costituzionale ha enucleato dalla Legge fondamentale della Repubblica in materia di accesso al pubblico impiego, principi che debbono guidare il Legislatore nello stabilire le condizioni soggettive necessarie per l’assunzione di personale nelle pubbliche amministrazioni e per una successiva riqualificazione professionale dello stesso nell’ambito del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.

La decisione, peraltro, non ha mancato di suscitare reazioni critiche, soprattutto nelle organizzazioni sindacali del comparto impiegatizio coinvolto.

E, per la verità, la sentenza non pare scevra da aspetti che la rendono vulnerabile.

Dalla sua disamina – per soffermarsi su uno solo di tali aspetti – non traspare, ad esempio, quale lesione d’interesse legittimo il provvedimento annullato abbia prodotto ai danni del soggetto che, col proprio ricorso, ha sollecitato la decisione demolitoria con essa assunta.

E’ noto che il nostro sistema processual-amministrativo, fondandosi sul c.d. principio dispositivo, ammette il sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi nel solo caso in cui questi ultimi, ove dottati contra legem, abbiano ingiustamente leso gli interessi particolari di uno o più soggetti determinati, ai quali soltanto è riconosciuto il potere di adire il giudice amministrativo perché accerti l’illegittimità dell’atto lesivo e provveda al suo annullamento.

L’esistenza di un interesse subiettivo pregiudicato da un atto amministrativo non conforme a diritto – e che deve essere reintegrato proprio attraverso l’eliminazione dell’atto stesso – costituisce il substrato indefettibile di quella peculiare situazione giuridica soggettiva di vantaggio che, tipica del diritto amministrativo, è nota come “interesse legittimo”.

Colui che chiede l’annullamento di un atto amministrativo contra jus deve essere stato, da quest’ultimo, pregiudicato in un proprio interesse personale, concreto, attuale, differenziato e qualificato (tutti elementi costitutivi della situazione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo); diversamente, manca il presupposto essenziale di accoglimento della domanda di annullamento e l’organo giurisdizionale non può adottare la misura demolitoria quand’anche l’illegittimità dell’atto sia di marchiana evidenza.

Il bando di concorso annullato con la sentenza in esame era stato adottato in stretta attuazione di un contratto collettivo nazionale con cui le organizzazioni sindacali del personale civile del Ministero dell’Interno e quest’ultimo avevano fissato i criteri per la progressione professionale dei dipendenti ministeriali, prevedendo l’accessibilità alla posizione economica C1 non solo da parte del personale proveniente dalla posizione immediatamente sottostante (B3, B3S), ma anche di quello in posizione ulteriormente inferiore (B1 e B2).

Il T.A.R. del Lazio è stato provocato a giudicare della legittimità della procedura di riqualificazione a seguito del ricorso presentato da una dipendente del Ministero dell’Interno inquadrata nella posizione economica B2.

Detta impiegata, peraltro, non ha lamentato irregolarità di sorta nello svolgimento dell’iter procedurale né delle prove selettive, ma si è limitata a dedurre l’inosservanza, “a monte” della procedura, dei ricordati principi generali in tema di progressione professionale del personale pubblico da parte dell’amministrazione procedente.

Il T.A.R. adito, in accoglimento delle deduzioni della ricorrente, ha invalidato il concorso, stigmatizzando l’inosservanza dei suddetti principi da parte dell’Amministrazione dell’Interno ed evidenziando, fra le altre cose, che la riqualificazione in parola era stata concepita in violazione del c.d. divieto delle progressioni professionali per saltum, ossia della possibilità per i dipendenti pubblici di accedere ad una qualifica di due o più livelli superiore rispetto a quella rivestita.

Ebbene, la ricorrente, essendo inquadrata nella posizione economica B2, rivestiva una qualifica professionale di due livelli inferiore a quella che il bando di concorso intendeva attribuire; cosicché, l’annullamento disposto dal giudice amministrativo non trova giustificazione in alcuna esigenza di tutela giuridica della ricorrente, posto che non si è avuta lesione di alcun effettivo interesse personale, diretto, attuale e qualificato di quella persona, né si scorgono possibili benefici derivanti alla stessa dall’eventuale indizione di una nuova procedura di riqualificazione in conseguenza dell’annullamento ottenuto dal T.A.R.

Difatti, se l’Amministrazione avesse indetto la procedura selettiva nel debito rispetto del citato principio del divieto di progressione professionale per saltum, la dipendente non avrebbe potuto legittimamente parteciparvi, così come non potrebbe oggi legittimamente partecipare ad un eventuale procedimento selettivo che, indetto per l’accesso alla stessa posizione economica superiore, l’Amministrazione dell’Interno indicesse nel rispetto del giudicato del T.A.R.