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Riassegnazione nomi a dominio: i partner commerciali esteri perdono il pelo ma non il vizio!

Lungomare di Reggio Calabria
Ph. Giuseppe Vigliarolo / Lungomare di Reggio Calabria

Indice:

1. Introduzione su nomi a dominio e marchi in rete

2. Le procedure di riassegnazione dei nomi a dominio

3. Analisi di alcune decisioni del centro di arbitrato e mediazione della WIPO

4. Considerazioni conclusive sulla procedura di riassegnazione dei nomi a dominio

 

1. Introduzione su nomi a dominio e marchi in rete

Già con la Convenzione dell’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale era emersa - a seguito degli accordi intervenuti con Conferenza di Lisbona del 1958, in esito ai quali era stato inserito l’articolo 6 septies - la necessità di regolamentare i rapporti tra il titolare del marchio e gli agenti/rappresentanti incaricati della vendita dei relativi prodotti, evitando che questi ultimi potessero appropriarsi indebitamente del marchio, chiedendone la registrazione nel territorio assegnato.

L’intento era chiaramente quello di evitare comportamenti scorretti da parte dei soggetti importatori, volti a trarre vantaggio dal proprio ruolo e acquisendo diritti sui segni del proprio “dante causa”, senza avere avuto da questi alcuna autorizzazione.

Nell’era di internet e ancor più a seguito del continuo e crescente sviluppo dei processi di digitalizzazione dell’economia, le condotte che avevano giustificato quell’intervento normativo nell’ambito della Convenzione d’Unione di Parigi hanno subito un progressivo ampliamento, estendendosi alla registrazione e utilizzo di nomi a dominio, a cui spesso sono associati siti internet, che incorporano, al loro interno, i segni distintivi e/o ulteriori diritti di proprietà intellettuale appartenenti ad altri soggetti e che si avvalgono di ogni mezzo al fine di trarre indebito vantaggio dal relativo avviamento.

 

2. Le procedure di riassegnazione dei nomi a dominio

Uno degli strumenti per contrastare efficacemente tali pratiche di registrazione abusiva dei nomi a dominio è rappresentato dalla possibilità di avvalersi delle procedure di riassegnazione, caratterizzate da un insieme di regole, ricomprese, in particolare, nella Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (“UDRP”), adottate da ICANN e affidate ad organismi arbitrali internazionali per la risoluzione delle controversie (tra cui, il centro di arbitrato e mediazione della WIPO), grazie alle quali è data la possibilità ai titolari dei marchi di ottenere la cancellazione o il trasferimento dei nomi a dominio contestati. Lievi variazioni possono essere contenute nelle regole delle procedure di riassegnazione per i nomi a dominio con estensione territoriale (i cc.dd. Country Code Top Level Domain).

Ai fini del trasferimento o cancellazione del nome a dominio contestato, è richiesta la prova cumulativa di tre presupposti:

  1. l’identità o confondibilità del nome a dominio con il marchio;
  2. l’assenza di diritti o interessi legittimi da parte del resistente con riguardo al nome a dominio;
  3. la registrazione e l’utilizzo del nome a dominio in mala fede.

In particolare, si fa presente che, con riferimento ai suddetti requisiti, nella Dispute Resolution Policy for Internet Domain Names per i nomi a dominio con il country code “.ir” (applicata in uno dei procedimenti di seguito illustrati) non è richiesta la prova congiunta della registrazione “e” dell’utilizzo in mala fede del nome a dominio, ma per il ricorrente è consentita la prova alternativa della registrazione “o” dell’utilizzo del nome a dominio in mala fede.

Dal punto di vista strutturale, si tratta di procedure amministrative abbastanza snelle, che permettono al titolare del marchio - in tempi ragionevolmente brevi e a costi non eccessivi, la cui entità è proporzionale al numero di arbitri coinvolti - di riappropriarsi (o, diversamente, di ottenere la cancellazione) del nome a dominio registrato abusivamente. Di norma, nella maggior parte dei procedimenti, il rimedio richiesto è rappresentato dal trasferimento, proprio per evitare il rischio, derivante dalla cancellazione, che soggetti terzi – eventualmente anche complici del resistente – possano richiedere la registrazione del medesimo nome a dominio oggetto della decisione.

In estrema sintesi, la procedura in questione si articola nelle seguenti fasi:

  1. attivazione da parte del ricorrente tramite il deposito di un “Complaint” presso l’organismo arbitrale prescelto, che notifica l’atto ricevuto all’ente di registrazione del nome a dominio e al resistente;
  2. intervento e difesa del resistente, al quale è data facoltà di replicare all’atto del ricorrente, entro venti giorni; in caso di mancata replica, la procedura prosegue comunque, in contumacia del resistente e produce effetti nei suoi confronti;
  3. nomina dell’arbitro (o di un Panel di più arbitri, a seconda delle scelte del ricorrente), che entro breve (le regole prevedono, salvo circostanze eccezionali, un termine di quattordici giorni) deve emanare la propria decisione, contro la quale le parti hanno dieci giorni di tempo per adire l’autorità giudiziaria; in mancanza di eventuali azioni, l’ente di registrazione è tenuto a dare esecuzione alla decisione arbitrale.

 

3. Analisi di alcune decisioni emanate dal centro di arbitrato e mediazione della WIPO

Recentemente, ho avuto l’occasione di depositare tre distinti Complaints, volti a contestare l’indebito utilizzo di nomi a dominio identici o comunque confondibili con i marchi di una società, ai quali erano associati siti internet, che:

  1. replicavano, all’interno delle relative pagine, i marchi del ricorrente;
  2. rinviavano a pagine social che suggerivano collegamenti con il ricorrente; e
  3. identificavano il soggetto “gestore” del sito come rappresentante ufficiale del ricorrente per un determinato territorio (nel caso di specie, l’Iran), senza che vi fosse stata alcuna autorizzazione da parte del titolare dei diritti ad operare in tal senso. Va rilevato che in nessuno dei tre Complaints in questione i singoli resistenti hanno preso parte ai procedimenti, rimanendo, quindi, contumaci.

All’esito del deposito di tali Complaints, gli arbitri incaricati hanno disposto il trasferimento dei nomi a dominio contestati, a favore del titolare del marchio.

Nello specifico, uno dei Complaints ha riguardato un nome a dominio identico al marchio del ricorrente e caratterizzato dal Country Code Top Level Domain (ccTLD) “.ir”.

In questo procedimento, è stata rilevata:

  1. l’identità tra il nome a dominio cointestato e il marchio (stante l’assenza di alcuna valenza distintiva del ccTLD “.ir”);
  2. l’assenza di diritti o interessi legittimi in capo al resistente, avendo l’arbitro ritenuto che, in forza della documentazione prodotta, non si potesse in alcun modo desumere che il resistente fosse un “agente autorizzato” del ricorrente; e
  3. l’utilizzo in mala fede del nome a dominio (come sopra indicato, secondo la Policy applicabile ai ccTLD “.ir”, l’ulteriore requisito della registrazione in mala fede è alternativo). Con riguardo a quest’ultimo punto, l’arbitro ha ritenuto che l’utilizzo del nome a dominio contestato, attraverso il relativo sito, fosse palesemente inteso a sfruttare la reputazione del ricorrente per attrarre gli utenti internet, creando confusione con il relativo marchio: ciò ha indotto l’arbitro, attraverso un ragionamento a contrariis, a non ritenere che tale condotta potesse costituire un utilizzo in buona fede del nome a dominio contestato.

In relazione ad un altro Complaint concernente un nome a dominio, riconosciuto confondibile con il marchio del ricorrente e caratterizzato dal Generic Top Level Domain “.com”, relativamente al requisito della registrazione e uso in mala fede del nome a dominio contestato, l’arbitro incaricato è giunto a riscontrare la mala fede del resistente in virtù di una serie di elementi, tra cui il fatto che:

  1. nel caso in questione il nome a dominio contestato incorporava integralmente il marchio del ricorrente;
  2. il sito riproduceva nella parte superiore della pagina il marchio del ricorrente, ciò evidenziando l’intento di renderlo facilmente visibile e individuabile; e
  3. nelle pagine del sito vi erano espliciti riferimenti al ricorrente, dando, in tal modo, l’impressione di una relazione “ufficiale” esistente con il ricorrente stesso, senza che vi fosse alcuna autorizzazione da parte di quest’ultimo.

Di rilievo, infine, alcune osservazioni svolte nel terzo procedimento, in cui l’arbitro ha valutato il secondo requisito previsto dalla UDRP (consistente nella verifica di diritti o legittimi interessi da parte del resistente), relativamente al nome a dominio contestato, valutando, in particolare se l’attività svolta dal resistente tramite il sito associato al nome a dominio potesse qualificarsi come “fair use” da parte di un distributore/riveditore, applicando il c.d. “Oki Data Test”.

A questo riguardo, va, infatti, rilevato che l’utilizzo di un nome a dominio che incorpori il marchio del titolare laddove sia utilizzato nell’ambito di attività di rivendita di prodotti o servizi relativi ai prodotti del titolare del marchio può costituire un utilizzo legittimo da parte del resistente. Nello specifico, devono ricorrere cumulativamente i seguenti elementi: (i) la vendita effettiva di beni e servizi; (ii) l’utilizzo del sito unicamente per la commercializzazione dei beni/servizi contraddistinti dal marchio; (iii) la precisa e chiara indicazione del rapporto intercorrente tra il titolare del nome a dominio e il titolare del marchio; (iv) l’assenza di circostanze che possano comportare il fatto che il resistente  possa cercare di monopolizzare il mercato, attraverso nomi a dominio che replicano/incorporano il marchio.

Tuttavia, anche analizzando la condotta del resistente da tale punto di vista, l’arbitro è giunto a non ritenere dimostrato l’utilizzo in buona fede del nome a dominio, facendo presente che – nel caso oggetto della controversia – l’Oki Data Test non sarebbe comunque stato superato, non potendo essere provata l’esistenza del requisito che prevede che il rivenditore/distributore, per dimostrare il c.d. “fair use”, debba indicare in maniera chiara e precisa il proprio rapporto con il titolare del marchio. Circostanza assolutamente non presente nella vicenda oggetto del procedimento in questione.

 

4. Considerazioni conclusive sulla procedura di riassegnazione dei nomi a dominio

I casi sopra illustrati indicano che le procedure di riassegnazione dei nomi a dominio costituiscono un utile strumento, che consente ai titolari dei marchi di intervenire efficacemente e in tempi ragionevolmente brevi a tutela dei propri diritti.

L’importanza di questi strumenti si rivela tale ancor più tenendo conto dell’aumento crescente dei dati che emergono da recenti studi sui valori della contraffazione in ambito internazionale, che mostrano consistenti incrementi, soprattutto in virtù di attività svolte negli ambienti digitali.

Da ultimo, si veda il Working Document della Commissione Europea “Counterfeit and Piracy Watch List”, del 14 Dicembre 2020, che, a sua volta, fa riferimento a rapporti o studi realizzati da organismi internazionali a tutela della proprietà industriale, dai quali, tra l’altro, risulta che la contraffazione e la pirateria a livello mondiale nel 2016 ammontava a 460 miliardi di Euro nel 2016, pari a circa il 3,3% del commercio mondiale, con un aumento del 2,5% rispetto al triennio precedente.

A ciò vanno aggiunti i dati che riguardano il numero di registrazioni dei nomi a dominio, cresciute esponenzialmente nel 2020, soprattutto a causa dell’inevitabile impatto dovuto agli effetti della pandemia; solo a titolo di esempio, nel “Domain Insight & Trends Report” realizzato dall’ente di registrazione Namecheap Inc., alla data del 10 Dicembre 2020, vengono riportate 3.084.688 registrazioni di nomi a dominio con estensione “.com”, un valore considerevole, se rapportato allo stesso periodo dell’anno precedente, in cui, invece, risultavano  1.928.145 registrazioni per il medesimo gTLD.

Sempre più, quindi, i titolari dei marchi dovranno fare fronte ad attività usurpative, variamente realizzate, e potranno tenere conto, nella difesa dei propri diritti, anche delle procedure di riassegnazione dei nomi a dominio, quale strumento efficace nella repressione di condotte abusive e nel recupero di nomi a dominio confliggenti con i propri marchi.