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Tian An Men

Piazza Tian an men, Pechino
Piazza Tian an men, Pechino

Ci sono anni che scorrono apparentemente senza importanti mutamenti. In altri l’energia accumulata sembra esplodere in un potente scossone che scuote l’equilibrio cristallizzato.

Il 1989, che tra l’altro vide la caduta del muro di Berlino ed importanti svolte nell’assetto esistente tra Ovest ed Est fu uno di questi.

In Cina si può associare a quella che è stata definita la strage di Tian An Men (anche se in realtà quei fatti e la repressione che ne seguì interessarono l’intera nazione).

La vita ha voluto che mi trovassi lì nei mesi precedenti quegli avvenimenti e lasciassi il Paese solo cinque giorni prima del massacro, quando ormai era netta la sensazione di una svolta drammatica.

Un anno dopo, tornando in quel Paese, mi trovai ad appuntare sul mio diario alcune considerazioni.

“Più di un anno è passato dal massacro ed è la prima volta che torno nei luoghi dove questo si è svolto. Lungo i viali alberati della capitale cinese i bambini, armati di retini, rincorrono libellule. La vita sembra scorrere in una calma irreale, come per effetto di una rimozione collettiva.

Tuttavia, nella sconfinata Piazza Tian An Men, i gradini del monumento dedicato agli eroi del popolo portano ancora i segni dei cingolati che li hanno travolti. La mia mente, pertanto, come davanti ad una moviola, torna a quei terribili avvenimenti. La corruzione e l’accresciuta inflazione avevano portato nel Maggio 1989 gli studenti a protestare numerosi nelle strade.

Richiamandosi a movimenti patriottici di 70 anni prima, avevano chiesto un cambiamento sostanziale nella gestione del Paese: l’introduzione della democrazia. Le proteste si erano velocemente diffuse a tutti i maggiori atenei della Cina. I cortei, inquadrati da un proprio servizio d’ordine, sfilavano scandendo slogan contro il Primo Ministro Li Peng, uno dei fautori della linea conservatrice nel partito.

Per avvisare di eventuali afflussi di truppe ed evitare un intervento dell’esercito, erano stati disposti intorno alla capitale posti di blocco di civili. Quando l’esercito era arrivato, i manifestanti avevano disarmato psicologicamente i soldati fraternizzando con loro.

Prima di prendere posizione o agire, i vertici militari sembravano voler attendere l’esito dello scontro politico all’interno del partito.

L’uomo forte del Paese, Deng Xiao-ping, aveva incoraggiato le riforme economiche, ma era intenzionato a non permettere quelle politiche. Alcuni ragazzi, pertanto, si erano esibiti nel prendere a calci delle bottigliette, parola che in cinese si pronuncia esattamente come il nome di quel leader politico.

Giovani di tutta la Cina si erano accampati nell’immensa piazza e gli studenti di medicina assicuravano un servizio di pronto soccorso a quanti si fossero sentiti male. Molti, infatti, per sostenere le richieste di apertura politica, avevano iniziato scioperi della fame. Il governo per due volte di seguito aveva perso la faccia davanti a tutto il Paese.

La prima era stata in occasione della visita di Stato di Gorbacev. Per evitare che accedesse al Parlamento, la Grande Sala del Popolo, passando dalla piazza, dove sarebbe stato acclamato come esempio da seguire dagli studenti che ammiravano le sue glasnost e perestroika, il partito lo aveva fatto passare da una entrata secondaria posta sul retro dell’edificio.

In Cina, però, l’espressione “zou hou menr”, “passare dalla porta di dietro”, aveva il significato di fare qualcosa di illecito.

La seconda figuraccia l’aveva fatta Li Peng in persona quando aveva accettato un dibattito in diretta televisiva con una delegazione di studenti in sciopero della fame. Questi si erano presentati negli studi in pigiama, alcuni con flebo attaccate per nutrirli. Il dialogo che ne era seguito era stato emblematico: “Cari amici, vi chiediamo di cessare lo sciopero della fame per salvaguardare la vostra salute” “Ci sono dei motivi politici per cui lo stiamo effettuando, dovreste prenderli in considerazione” “Voi siete il futuro del Paese e dovete porre termine alla protesta. Inoltre dovete convincere gli altri a porvi fine” “Se anche noi accettassimo di interromperlo, non ci sarebbe possibile far smettere tutti gli altri che stanno portando avanti tale forma di lotta”. In Cina tutti avevano assistito attoniti ad un tale dibattito, mai accaduto prima.

Ciò che aveva poi acuito la preoccupazione nel partito era stato vedere che alle dimostrazioni iniziavano a partecipare anche operai, giornalisti, soldati. Nel corso di una riunione segreta il Segretario Generale del partito, Zhao Zi-yang, che era favorevole ad una linea morbida, era stato messo in minoranza. Sapendo bene cosa questo avrebbe comportato, si era recato alla piazza e lì, incontrando i rappresentanti degli studenti, li aveva scongiurati di sgomberare il luogo. Le ultime immagini pubblicate sulla stampa lo avevano ritratto in lacrime. La sera stessa era stato messo agli arresti domiciliari, condizione nella quale avrebbe passato tutto il resto della sua vita. Forse gli studenti, vedendolo implorante, si erano ritenuti ormai vincitori.

Prima dell’alba del 4 giugno, tuttavia, l’esercito era intervenuto schiacciando la protesta.

Nel corso di quella giornata un giovane era passato alla storia tentando da solo e disarmato di arrestare una fila di carri armati lungo il viale Chang An Jie. Durante gli scontri gli studenti si erano difesi lanciando bottiglie molotov.

Alcuni soldati, che non avevano avuto il coraggio di sparare sulla folla, erano stati catturati e linciati dai rivoltosi. Le forze armate, tuttavia, avevano facilmente prevalso. Una persona vicina al movimento mi ha poi raccontato che gli studenti arrestati dalla polizia erano stati picchiati con calci e pugni, mentre quelli fermati dall’esercito erano stati colpiti con i calci dei fucili.

Forse non a caso era stata scelta quella data: nella numerologia cinese significa “lascia che muoiano”.

Adesso è stata restaurata la legge non scritta, ma a tutti nota, secondo cui è considerato lecito arricchirsi, ma non criticare il potere.

Quegli avvenimenti sono diventati tabù, qualcosa che tutti conoscono, ma che bisogna ufficialmente ignorare. Io, tuttavia, ho ancora nelle orecchie le note dell’Internazionale cantata da quei ragazzi.”

Trenta anni orsono.