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Tribunale di Milano: il mancato deposito delle “copie di cortesia” potrebbe comportare la condanna al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata dal giudice

Il Tribunale di Milano, con Decreto 15 gennaio 2015 n. 535, nel rigettare una opposizione allo stato passivo, ha «osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie “cortesia” di cui al Protocollo d’Intesa tra il Tribunale di Milano e l’Ordine degli Avvocati di Milano del 26.06.2014, rendendo più gravoso per il Collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l’applicazione dell’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile».

Per espressa previsione legislativa, come noto, «a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al Tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche» (articolo 16 bis Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221).

La ratio di tale norma è, evidentemente, quella di digitalizzare il processo civile, evitando la formazione di fascicoli cartacei. Tant’è che il personale di cancelleria non può provvedere alla stampa su carta degli atti depositati telematicamente dagli avvocati, potendo altrimenti essere chiamato a rispondere di danno erariale.

Diversi “protocolli d’intesa” - sottoscritti tra i Tribunali e i vari Consigli dell’Ordine degli Avvocati - prevedono tuttavia che i difensori depositino comunque presso le cancellerie una copia cartacea degli atti di parte già trasmessi telematicamente.

In particolare, il Protocollo sottoscritto dal Tribunale di Milano e dal Consiglio l’Ordine degli Avvocati di Milano il 26 giugno 2014 richiede «ai difensori di consegnare in cancelleria (…) copia cartacea di dette memorie ad uso esclusivo del giudice (…); le copie verranno depositate su tavolo/scaffale all’uopo predisposto dalla cancelleria, in sezione distinta per ogni giudice, senza attendere intervento di operatore».

Il deposito della cosiddetta “copia di cortesia” non dovrebbe, però, essere considerato un “obbligo” per il difensore, in quanto una tale interpretazione contrasterebbe con la lettera e lo spirito della legge. Gli stessi “protocolli d’intesa” non prevedono, infatti, alcuna conseguenza in caso di omesso deposito della copia cartacea, ma ribadiscono, affermandolo chiaramente, che «il deposito formale delle memorie ha luogo esclusivamente con modalità telematica».

Con la decisione in commento, invece, il Tribunale di Milano ha ritenuto di dover e poter sanzionare il mancato deposito della “copia di cortesia” applicando l’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile, a mente del quale «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».

È appena il caso di evidenziare come detto comma, introdotto nel 2009, nasca quale strumento di deflazione del contenzioso e presupponga che la parte soccombente abbia «agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave» (Cassazione, Ordinanza 11 febbraio 2014, n. 3003). Tale disposizione sanziona inoltre il comportamento “scorretto” posto in essere nei confronti della controparte processuale e non nei confronti dell’organo giudicante. Il pagamento dalla «somma equitativamente determinata» deve essere, infatti, posto in essere «a favore della controparte».

Il Tribunale di Milano ciononostante ha applicato detta norma al caso de quo per aver reso «più gravoso per il Collegio esaminarne le difese», condannando d’ufficio la parte soccombente al pagamento di 5.000 euro in favore della controparte.

Per quanto detto - ad opinione dello scrivente - tale decisione non può essere condivisa sia nella parte in cui prevede un “obbligo” di deposito delle “copie di cortesia” in capo ai difensori sia laddove ritiene di poterne ravvisare la sanzione nell’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile.

Si segnala come la questione sia stata “di fatto” risolta con la sottoposizione da parte del curatore al comitato dei creditori (come detto si trattava di una opposizione allo stato passivo) della rinuncia del fallimento ad avvalersi di detto capo della decisione «subordinatamente al pagamento integrale delle spese liquidate in decreto» da parte dell’opponente.

Lo stesso giudice delegato del fallimento, nell’approvare la rinuncia, ha rilevato come «la pronuncia ex articolo 96, III comma, del codice di procedura civile appare fondata su un principio opinabile ritenendo obbligo dell’avvocato quello che potrebbe configurarsi come atto di cortesia; (…) dunque è opportuno prevenire la proposizione di un ricorso per cassazione» (7 febbraio 2015).

Stante la «accentuata risonanza mediatica» della vicenda, è intervenuta in argomento anche il Presidente del Tribunale di Milano - dott.ssa Livia Pomodoro - che in una comunicazione indirizzata al Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia, al Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, nonché al Presidente della Seconda Sezione del Tribunale di Milano (sezione che ha emesso il decreto de quo) ha evidenziato come «la determinazione assunta “non costituisce una prassi di sezione”», come sia «incompatibile il ricorso a sanzioni processuali pecuniarie, a fronte di difficoltà e incertezze applicative connaturate alla realizzazione di un intervento così ampio e innovativo quale il PCT», come non si possa che «rifiutare il tentativo di attribuire un significato di portata generale all’adozione di quell’unico decreto 15 gennaio 2015»e come si debba, invece, riaffermare «la piena operatività collaborativa sancita nel richiamato Protocollo, al di fuori di qualsiasi inammissibile impostazione sanzionatoria, in caso di difficoltà applicative» (19 febbraio 2015).

L’auspicio è, pertanto, quello che la pronuncia in commento resti davvero isolata, nonostante sia destinata a passare in giudicato in ragione della segnalata rinuncia.

(Tribunale di Milano, Seconda Sezione, Decreto 15 gennaio 2015 n. 534)

Avv. Italo Cerno

 

Il Tribunale di Milano, con Decreto 15 gennaio 2015 n. 535, nel rigettare una opposizione allo stato passivo, ha «osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie “cortesia” di cui al Protocollo d’Intesa tra il Tribunale di Milano e l’Ordine degli Avvocati di Milano del 26.06.2014, rendendo più gravoso per il Collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l’applicazione dell’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile».

Per espressa previsione legislativa, come noto, «a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al Tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche» (articolo 16 bis Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221).

La ratio di tale norma è, evidentemente, quella di digitalizzare il processo civile, evitando la formazione di fascicoli cartacei. Tant’è che il personale di cancelleria non può provvedere alla stampa su carta degli atti depositati telematicamente dagli avvocati, potendo altrimenti essere chiamato a rispondere di danno erariale.

Diversi “protocolli d’intesa” - sottoscritti tra i Tribunali e i vari Consigli dell’Ordine degli Avvocati - prevedono tuttavia che i difensori depositino comunque presso le cancellerie una copia cartacea degli atti di parte già trasmessi telematicamente.

In particolare, il Protocollo sottoscritto dal Tribunale di Milano e dal Consiglio l’Ordine degli Avvocati di Milano il 26 giugno 2014 richiede «ai difensori di consegnare in cancelleria (…) copia cartacea di dette memorie ad uso esclusivo del giudice (…); le copie verranno depositate su tavolo/scaffale all’uopo predisposto dalla cancelleria, in sezione distinta per ogni giudice, senza attendere intervento di operatore».

Il deposito della cosiddetta “copia di cortesia” non dovrebbe, però, essere considerato un “obbligo” per il difensore, in quanto una tale interpretazione contrasterebbe con la lettera e lo spirito della legge. Gli stessi “protocolli d’intesa” non prevedono, infatti, alcuna conseguenza in caso di omesso deposito della copia cartacea, ma ribadiscono, affermandolo chiaramente, che «il deposito formale delle memorie ha luogo esclusivamente con modalità telematica».

Con la decisione in commento, invece, il Tribunale di Milano ha ritenuto di dover e poter sanzionare il mancato deposito della “copia di cortesia” applicando l’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile, a mente del quale «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».

È appena il caso di evidenziare come detto comma, introdotto nel 2009, nasca quale strumento di deflazione del contenzioso e presupponga che la parte soccombente abbia «agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave» (Cassazione, Ordinanza 11 febbraio 2014, n. 3003). Tale disposizione sanziona inoltre il comportamento “scorretto” posto in essere nei confronti della controparte processuale e non nei confronti dell’organo giudicante. Il pagamento dalla «somma equitativamente determinata» deve essere, infatti, posto in essere «a favore della controparte».

Il Tribunale di Milano ciononostante ha applicato detta norma al caso de quo per aver reso «più gravoso per il Collegio esaminarne le difese», condannando d’ufficio la parte soccombente al pagamento di 5.000 euro in favore della controparte.

Per quanto detto - ad opinione dello scrivente - tale decisione non può essere condivisa sia nella parte in cui prevede un “obbligo” di deposito delle “copie di cortesia” in capo ai difensori sia laddove ritiene di poterne ravvisare la sanzione nell’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile.

Si segnala come la questione sia stata “di fatto” risolta con la sottoposizione da parte del curatore al comitato dei creditori (come detto si trattava di una opposizione allo stato passivo) della rinuncia del fallimento ad avvalersi di detto capo della decisione «subordinatamente al pagamento integrale delle spese liquidate in decreto» da parte dell’opponente.

Lo stesso giudice delegato del fallimento, nell’approvare la rinuncia, ha rilevato come «la pronuncia ex articolo 96, III comma, del codice di procedura civile appare fondata su un principio opinabile ritenendo obbligo dell’avvocato quello che potrebbe configurarsi come atto di cortesia; (…) dunque è opportuno prevenire la proposizione di un ricorso per cassazione» (7 febbraio 2015).

Stante la «accentuata risonanza mediatica» della vicenda, è intervenuta in argomento anche il Presidente del Tribunale di Milano - dott.ssa Livia Pomodoro - che in una comunicazione indirizzata al Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia, al Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, nonché al Presidente della Seconda Sezione del Tribunale di Milano (sezione che ha emesso il decreto de quo) ha evidenziato come «la determinazione assunta “non costituisce una prassi di sezione”», come sia «incompatibile il ricorso a sanzioni processuali pecuniarie, a fronte di difficoltà e incertezze applicative connaturate alla realizzazione di un intervento così ampio e innovativo quale il PCT», come non si possa che «rifiutare il tentativo di attribuire un significato di portata generale all’adozione di quell’unico decreto 15 gennaio 2015»e come si debba, invece, riaffermare «la piena operatività collaborativa sancita nel richiamato Protocollo, al di fuori di qualsiasi inammissibile impostazione sanzionatoria, in caso di difficoltà applicative» (19 febbraio 2015).

L’auspicio è, pertanto, quello che la pronuncia in commento resti davvero isolata, nonostante sia destinata a passare in giudicato in ragione della segnalata rinuncia.

(Tribunale di Milano, Seconda Sezione, Decreto 15 gennaio 2015 n. 534)

Avv. Italo Cerno