Un ricordo di Marco Weigmann
Il sedici ottobre scorso è mancato a Torino l’avvocato Marco Weigmann, maestro, amico e mentore di generazioni di giuristi; uno dei migliori avvocati che ho conosciuto nella mia vita professionale.
La riservatezza che lo ha sempre caratterizzato forse collide con questo mio ricordo di lui, ma sono certo che mi perdonerebbe.
Nato a Torino il 20 maggio 1940, ha svolto la professione nei settori del diritto civile e commerciale, in particolare diritto societario, delle procedure concorsuali, finanza straordinaria e arbitrato. È stato componente del consiglio di amministrazione di varie società, anche quotate, di banche e di compagnie di assicurazioni; è stato membro della Camera Arbitrale Nazionale e Internazionale di Milano e della Camera Arbitrale del Piemonte ed è stato componente del gruppo di studio sul diritto societario presso il Comitato Consultivo degli Ordini Forensi Europei.
La sua conoscenza del diritto era enciclopedica. La sua riservatezza leggendaria. La severità con cui trattava noi giovani avvocati altrettanto. Ma altrettanto lo erano la cultura, la signorilità, la finezza di carattere.
Quando, in una causa che aveva attratto l’interesse della stampa, mi presentò al cliente (la general counsel di un’importante casa editrice) mi mise una mano sulla spalla dicendo “questo è l’artefice delle vostre difese!”; quando, al mio ritorno da Londra, trovò una mezz’ora per chiedermi com’era andata l’esperienza (per poi tornare alla riunione in cui, appresi dopo, stava trattando la fusione tra le due maggiori banche italiane); quando correggeva i miei atti, rimandandomeli dicendo “mi sono preso la briga di peggiorarlo un poco”… in tutte quelle occasioni mi sentivo non solo gratificato, ma parte di una tradizione e, per così dire, di una “casa” che risaliva al 1877 e del cui retaggio facevo parte.
La tristezza per la sua perdita è grande: perdita soprattutto per il Foro, ma anche per me e per tutti coloro che gli sono stati colleghi e allievi.
Non so se Marco fosse credente, forse no. Probabilmente avrebbe però apprezzato questo verso di Borges: “Il dubbio avanza e la penombra cresce. Se sapessi che ne è stato di quel sogno che sognai, o sogno aver sognato, saprei tutte le cose”.