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Vanishing: la polaroid come medium finito per soggetti eternizzati

Studio Cenacchi - Monastero di San Taddeo, Kara Kilise, Polaroid 669 type, 1998, cm 8x 10
Ph. Luigi Vigliotti / Studio Cenacchi - Monastero di San Taddeo, Kara Kilise, Polaroid 669 type, 1998, cm 8x 10

È in corso presso la galleria d’arte Studio Cenacchi a Bologna la mostra di polaroid di Luigi Vigliotti “Vanishing” (per info www.studiocenacchi.com). Sono esposte una sessantina di polaroid dedicate ai luoghi visitati dall’artista in alcuni suoi viaggi: L’Armenia, il Monte Athos, Lo Yemen, l’Himalaya, i paesi dei Berberi.

Incontro l’artista per approfondire il suo lavoro.

Studio Cenacchi - Luigi Vigliotti - Vecchia Berbera - Polaroid 669 type, 1998, cm 8x 10

Studio Cenacchi, Luigi Vigliotti, Vecchia Berbera, Polaroid 669 type, 1998, cm 8x10

1. Partiamo dal mezzo: perché la polaroid e che significato ha per te l’utilizzo di materiali non più in commercio?

La Polaroid mi ha sempre affascinato e quando ho scoperto che permetteva delle elaborazioni con grandi margini di personalizzazione ho deciso di cimentarmi.

Di professione sono un ricercatore e vivo di esperimenti, quindi ho una certa propensione ad esplorare aspetti anche inconsueti nell’ambito di processi utilizzati anche da altri. A oltre 10 anni dalla scomparsa della Polaroid è intrigante poter lavorare con materiale che, sebbene scaduto, offre ancora delle possibilità di esplorare processi come il transfer che non è mai stato scontato.

Il risultato è un’incognita, ma questa pellicola a volte riserva piacevoli sorprese. Bisogna essere preparati ad avere colori con tonalità un po’ diverse, un’elaborazione all’interno dell’elaborazione.

 

2. I processi con i quali elabori le polaroid sono eterogenei. Puoi illustrare brevemente le tecniche che utilizzi?

La Polaroid offre diverse possibilità di elaborazione. In genere utilizzo il transfer su carta da acquerello. In pratica il negativo della polaroid non viene fatto sviluppare e utilizzando un rullo manuale si cerca di imprimere la gelatina sulla carta.

La carta è molto importante. Si possono ottenere risultati diversissimi con carte di diversa grammatura e contenuto in cotone. A volte utilizzo anche carte che sarebbero sconsigliate a questo tipo di processi. Utilizzo anche il peeling (emulsion lift) cioè la "spellicolatura" della polaroid in acqua bollente. A volte combino i due metodi in un’unica immagine per sfruttare le diverse combinazioni offerte da queste tecniche.

 

3. Da dove origina la tua predilezione per il piccolo formato?

Sono sempre stato appassionato delle miniature, delle opere grafiche di piccolo formato specie a soggetto "orientalista". Sicuramente questo ha influenzato le immagini che ho cercato di riprodurre nelle mie elaborazioni Polaroid.

 

4. Vanishing è il titolo della mostra. Perché questa scelta?

Si tratta di una di quelle tipiche parole inglesi che si prestano ad un significato multiplo che in italiano non possiamo tradurre in modo semplice. Letteralmente indica qualcosa che svanisce, che scompare, ma ha delle implicazioni spazio-temporali più complesse.

Penso che il titolo sia molto adatto al mio lavoro perché racchiude tre livelli di vanishing: il primo è quello della pellicola. La Polaroid è scomparsa e presto tutte le scorte di pellicola in grado di essere elaborata con queste tecniche saranno esaurite. Di fatto parliamo di qualcosa che è destinato a scomparire, cioè "Vanishing".

Molte delle mie immagini fanno parte di un portfolio che si chiamava "Graffiti" in cui le fotografie venivano trattate come se fossero pitture scrostate/scalfite su un muro. Immagini che scomparivano, cioè "Vanishing".

La parte più importante del concetto di "Vanishing" racchiuso nella mostra riguarda i soggetti fotografati. Ritratti ed architetture catturate in giro per il mondo, ma che ritraggono popolazioni ed edifici in via di scomparsa. Effimere costruzioni in terra o pietra (Kasbe, Ksar, Monasteri) e genti (Berberi, Kafiri, Akka, monaci, eremiti) appartenenti a culture che difficilmente potranno non sparire, cioè "Vanishing".

 

5. Il connotato antropologico del tuo lavoro è evidente. Da cosa nasce il tuo interesse per i popoli che visiti e ritrai?

Avrei voluto fare l’etnografo e per questo ho sempre avuto una passione per le culture in via di scomparsa. Ho dedicato gran parte della mia indagine fotografica proprio a questi aspetti.

 

6. Sono esposte opere rappresentanti volti o architetture. I primi sono spesso particolarmente espressivi. Puoi descrivere come realizzi i tuoi ritratti?

Non è facile realizzare ritratti sul campo, specie a contatto di popolazioni che non sempre amano farsi ritrarre. A volte bisogna rubare lo scatto ed è una roulette, in molti casi è un’operazione quasi di seduzione. Richiede del tempo. Bisogna entrare in contatto con il soggetto in modo che diventi quasi naturale averne poi una foto.

Molti usano pagare i soggetti che ritraggono, ma io mi sono sempre rifiutato anche perché si finisce per fare una foto "in posa" e il risultato non è come lo si vorrebbe. 

 

7. Le opere del portfolio “Ricordi d’Armenia”, tra tutte le foto di architetture, paiono rappresentare con più evidenza di altre il concetto di Vanishing Image. Puoi raccontare qualcosa di quel viaggio e delle foto che hai realizzato?

Questo portfolio nasce dal mio primo reportage fatto per un concorso (Renault-4, Sulle strade del mondo) che avevo vinto per fare il viaggio dei miei sogni. Il luogo che avevo scelto era l’antica Armenia, che oggi è nella Turchia orientale. All’epoca nessuno visitava quei luoghi e la parola Armenia non si poteva usare. Anche i monumenti non erano riconosciuti come armeni. Ovviamente erano abbandonati e spesso crollati. Penso che fossero veramente "Vanishing".

 

8. Un aneddoto su uno dei tuoi ritratti.

Nel portfolio sui Berberi c’è il volto di una vecchia nomade che fotografai in un accampamento sull’Atlante in Marocco. Mi ero avvicinato ad una tenda isolata e due giovani donne mi avevano invitato a prendere il tè.

Avevo accettato proprio perché speravo di fare qualche foto. Mentre eravamo nella tenda e le donne preparavano il tè, all’improvviso entrò questa vecchia, forse la nonna, che non si aspettava di trovare un uomo e anche straniero seduto sul tappeto.

In un dialetto sconosciuto esclamò qualcosa di incomprensibile ma il cui significato era chiaro. Si stava complimentando con le nipoti per aver accalappiato uno straniero! Scoppiammo a ridere tutti e quattro. Dopo il tè scattai le mie uniche foto di una vecchia nomade berbera.

 

9. Una tua opera faceva parte della “Polaroid Collection” al Museo della Polaroid in Massachusetts. Cosa provi ad aver fatto parte di una raccolta così importante?

La “Polaroid Collection”, anche se ormai dispersa, appartiene alla storia della fotografia; averne fatto parte significa che le tue opere sfuggono alla normalità. Non sono un fotografo professionista ma molte mie foto sono pubblicate su libri e riviste. Niente di paragonabile ad aver avuto un’immagine in questa collezione! Dopo che il museo aveva acquistato la mia Polaroid ho avuto una sorta di crisi creativa. Per due o tre anni sono stato incapace di elaborare nuove immagini!