Verso un diritto polare globale? Alcune osservazioni sparse
Verso un diritto polare globale? Alcune osservazioni sparse
Non vi sono dubbi che le regioni polari sono interconnesse con il resto del pianeta, sulla base di stretti legami biogeofisici.
Ciononostante, l’attitudine degli otto Stati artici verso le questioni che riguardano l’Oceano (Mar glaciale) artico e, più in generale, le tematiche artiche appare tuttora rigidamente orientata alla tutela della propria sovranità e dei propri diritti sovrani, eventualmente in competizione con gli altri Arctic States. Lo stesso Consiglio artico (il principale forum internazionale della regione, creato nel 1996) è dominato dagli Stati artici e dagli altri partecipanti permanenti, mentre un rilievo ancora tutto sommato marginale viene riservato a organizzazioni intergovernative e ONG. I lavori del Consiglio artico, peraltro, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, sono in una situazione di stallo, poiché sette Stati artici si rifiutano di collaborare ad attività a cui prende parte la Russia (cfr. T. Koivurova, A. Shibata, After Russia’s invasion of Ukraine in 2022: Can we still cooperate with Russia in the Arctic?, in Polar Record. A Journal of Arctic and Antarctic Research, 2023, e12).
Con riguardo all’Antartide, il relativo trattato sottoscritto a Washington nel 1959 (ed entrato in vigore nel 1961) stabilisce, sia nel preambolo che nell’art. X, che l’Antartide costituisce un patrimonio dell’umanità, da utilizzare soltanto per scopi pacifici, senza che diventi dunque oggetto di controversie internazionali. Gli Stati contraenti, inoltre, si impegnano espressamente a tutelare questo peculiare status della regione polare antartica. In verità, però, i contrasti non mancano, come evidenzia in particolare la vicenda concernente la proposta cinese (avanzata originariamente nel 2013; cfr. A.-M. Brady, China’s Expanding Antarctic Interests: Implications for Australia, Canberra, Australian Strategic Policy Institute, 2017; S. Hataya, Legal Implications of China’s Proposal for an Antarctic Specially Managed Area (ASMA) at Kunlun Station at Dome A, in Yearbook of Polar Law, 2020, 75 ss.) di istituire una Antarctic Specially Managed Area (ASMA), che ha visto l’immediata e ferma opposizione degli altri Stati contraenti, sospettosi di mire “espansionistiche” (ovvero, di c.d. land grab) nella regione polare antartica da parte della Repubblica Popolare Cinese. Vi sono, altresì, carenze evidenti nel novero degli Stati che hanno funzioni consultive e poteri decisionali nell’àmbito del Trattato antartico. In particolare, tra i Paesi africani soltanto il Sudafrica possiede tale status, che non sembra di facile acquisizione da parte dei Paesi in via di sviluppo (PVS), poiché sono richieste condizioni nazionali della ricerca di livello elevato.
Una nuova, interessante, direttrice di ricerca del diritto polare riguarda, attualmente, il c.d. Terzo Polo, vale a dire la regione himalayana. Si è iniziato a ragionare, infatti, sulla possibile applicazione dei meccanismi/modelli di collaborazione interstatali già da tempo sperimentati nel Polo Nord e nel Polo Sud anche nell’area del Terzo Polo. In definitiva, pare fondato ritenere che regione polare artica, regione polare antartica e regione polare himalayana abbiano almeno alcuni problemi comuni, legati soprattutto al cambiamento climatico e allo scioglimento dei ghiacciai (a Kathmanu, in Nepal, si è svolta dal 6 al 9 settembre 2023 la prima Conferenza interpolare dal titolo Connecting the Arctic with the Third Pole; in dottrina, v. M. Fernandes et alii, Comparing recent changes in the Arctic and the Third Pole: linking science and policy, in Polar Geography, 2022, n. 3, 197 ss.). Per il Terzo Polo, si discute altresì della opportunità (o meno) di adottate un trattato internazionale ad hoc (v. S. Marsden, Protecting the Third Pole. Transplanting International Law, Cheltenham, Elgar, 2019).
La ricerca accademica sulle varie tematiche polari, d’altro canto, richiede ingenti investimenti in risorse sia umane che economiche e tecnologiche, la qual cosa pone in situazione di difficoltà i (potenziali) ricercatori dei Paesi in via di sviluppo. Gli studenti africani che intendono specializzarsi sulle questioni artiche devono spostarsi in altri Paesi, specialmente negli Stati artici. Ciò vale, in larga misura, anche per coloro che sono interessati allo studio del diritto polare e che provengono dall’India. Tra l’altro, questi studenti possono essere portatori di una visione post-coloniale, molto utile per integrare le nostre acquisizioni tradizionali sulle regioni polari (artiche e antartiche). In particolare, l’abituale approccio positivistico dei giuristi occidentali, anche in relazione alle vicende che riguardano le regioni polari, può essere utilmente integrato da altre prospettive del c.d. Sud Globale, dal momento che i trattati e gli strumenti internazionali concernenti i poli sono stati finora dominati dalla concezione occidentale del diritto e della sovranità.
Vi è, poi, la questione centrale dei popoli indigeni artici. Molti studi, infatti, sono dedicati al diritto che si applica alle popolazioni dell’Artico, ma poche riguardano invece il diritto “interno” delle comunità aborigene. In altri termini, e sia pure con eccezioni (v., se vuoi, M. Mazza, La protezione dei popoli indigeni nei Paesi di common law, Padova, Cedam, 2004, relativamente alla condizione giuridica di Inuit/Esquimesi, Indiani d’America, Aborigeni dell’Australia e Māori della Nuova Zelanda, e poi M. Mazza, Aurora borealis. Diritto polare e comparazione giuridica, Bologna, Filodiritto, 2014, con riguardo alle etnocomunità Inuit/Esquimesi e dei Saami/Lapponi), viene correntemente esaminato il sistema giuridico statale relativo alle comunità etniche indigene, trascurandosi il sistema giuridico-consuetudinario dei popoli autoctoni. Inoltre, gli autori delle ricerche anzidette non sono quasi mai indigeni, e dunque hanno uno sguardo per così dire dall’esterno. Sarebbe, però, venuto ormai il momento di invertire la rotta, in considerazione del fatto che il diritto polare, se certamente comprende il diritto statale concernente i popoli indigeni, non meno sicuramente include lo studio dei diritti etnici delle popolazioni medesime. Per esempio, vi sono rivendicazioni attuali sull’Antartico da parte di Cile e Argentina, che muovono dalla constatazione della prossimità dei loro territori con la regione polare antartica e, quindi, dal principio della c.d. continuità continentale. Se, però, si prende in esame il punto di vista delle popolazioni aborigene, allora si potrebbe discorrere di eventuali future rivendicazioni sul Polo Sud degli indigeni della Patagonia, oppure della Terra del Fuoco. Il cambiamento climatico, d’altro canto, mette a repentaglio se non l’esistenza, quanto meno il diritto a una vita dignitosa di popolazioni vulnerabili quali sono i popoli indigeni dell’Artico (v. Y. Negishi, Jus Pro Homine, Natura et Animalis: Dignifying the Right to Life of Arctic Indigenous Peoples, in Yearbook of Polar Law, 2023, 25 ss.).
In definitiva, è auspicabile che il diritto polare diventi non soltanto un diritto bi-polare (Polo Nord e Polo Sud) ma un diritto tri-polare (che ai due precedenti aggiunga il Terzo Polo/Himalaya). Inoltre, il diritto polare – così concepito – deve aprirsi a prospettive che non siano soltanto quelle dell’Occidente, tenendo conto delle “lenti” critiche del Sud Globale, nonché delle popolazioni indigene.
Tutto ciò nella consapevolezza che quanto accade nell’Artico non rimane nell’Artico, ma ha ripercussioni globali.