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Affectio maritalis versus delibazione della sentenza di nullità del matrimonio canonico

matrimonio
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Le cause di invalidità del matrimonio canonico sono state prerogativa esclusiva dei tribunali ecclesiastici fino al Concordato lateranense del 1929, intervenuto tra Repubblica Italiana e Santa Sede. Si è discusso sulla persistenza di tale riserva di giurisdizione anche a seguito della riforma del Concordato avvenuta con l’Accordo, reso esecutivo con legge n. 121 del 25 marzo 1985 (“Legge”). Quest’ultimo avrebbe, inoltre, derogato all’automatico riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio nel diritto interno, instaurando sul punto un acceso dibattito tra dottrina e giurisprudenza.

Come si evince dalla Legge, l’iter da seguire per giungere alla sentenza definitiva di nullità del matrimonio concordatario è piuttosto lungo e complesso. Esso consta di due conformi decisioni giudiziali, cui fa seguito il decreto di esecutività rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, c.d.“Exequatur”, di per sé solo insufficiente a produrre effetto negli ordinamenti civili. Sarà, infatti, necessario il riconoscimento da parte della Corte d’Appello competente, così detta “delibazione”, accompagnata dalla valutazione dei requisiti indicati all’articolo 8,2 della Legge. Tra questi, spicca ai fini dell’approfondimento in questione, la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge italiana affinché possano avere efficacia le sentenze straniere. In poche parole, ai fini del riconoscimento occorre che le pronunce in questione non contrastino con l’“ordine pubblico”, espressione di cui la Cassazione ha chiarito il significato.  

Si fa riferimento a “regole poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società, tenuto conto della specificità dell’ordinamento canonico la quale comporta che, al fine di escludere la dichiarazione di esecutività, la contrarietà all’ordine pubblico debba essere così marcata da superare il margine di disponibilità che lo Stato si è imposto rispetto all’ordinamento canonico.”

In sintesi in passato, la giurisprudenza ha riconosciuto la delibabilità di tutte le ipotesi di nullità matrimoniale canonica senza particolari problemi circa la conformità delle relative sentenze all’ordine pubblico, così come inteso dalla Cassazione. Sul punto, tuttavia, non sono mancate pronunce di segno contrario, in particolare si pensi alla nullità del matrimonio canonico, dichiarata dopo molti anni dalla sua celebrazione.

Solo recentemente, tali discordanze in dottrina e giurisprudenza sono state ricondotte ad unità, con sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 16379 del 2014. In questa occasione, la Corte, con un’inversione di rotta rispetto all’orientamento giurisprudenziale che si era consolidato fino a quel momento, giunge ad affermare che la convivenza coniugale protratta nel tempo crea una situazione giuridica che trova disciplina in “norme ordinarie, costituzionali, convenzionali di ordine pubblico italiano, fonti di diritti inviolabili e inderogabili, tali per cui la sentenza definitiva di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico, per qualsiasi vizio genetico accertato, non può essere dichiarata efficace nella Repubblica Italiana giacché contraria all’ordine pubblico.”

Sulla scia della suddetta pronuncia, la Cassazione da ultimo, con la Sentenza 1494/2015, ha rigettato il ricorso presentato dal ricorrente avverso la sentenza della Corte d’Appello, la quale ha respinto la domanda d’inefficacia della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario per immaturità psicologica e impotentia coeundi del marito. Nell’argomentare la sua decisione, la Suprema Corte ribadisce che la convivenza effettiva e stabile, intercorsa per ben dodici anni tra le parti (contro i tre della pronuncia del 2014), rappresenta una condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. Ritiene, inoltre, di non poter prescindere dalla considerazione di quest’ultimo nelle sue duplici declinazioni di rapporto e atto, poiché afferenti a diverse discipline e tutele. Se, infatti, la convivenza coniugale concerne il matrimonio come rapporto, l’incapacità psichica originaria incide sul matrimonio inteso come atto, non per questo precludendo il vaglio rispetto ai parametri di ordine pubblico che governano il matrimonio-rapporto.

Inoltre, i giudici rilevano come l’incapacità del ricorrente non avrebbe in alcun modo inficiato la sostanza e la qualità della convivenza, essendosi questa retta sul rispetto dei doveri di assistenza e solidarietà che ne costituiscono il fondamento e che pertanto tali elementi di fatto non possono non deporre a favore dell’effettività del consorzio familiare. 

Da ultimo la Corte rievoca la generale esigenza dell’ordinamento di contenere i casi di nullità e il conseguente favor per la conservazione del rapporto matrimoniale in caso di protratta convivenza.

Le cause di invalidità del matrimonio canonico sono state prerogativa esclusiva dei tribunali ecclesiastici fino al Concordato lateranense del 1929, intervenuto tra Repubblica Italiana e Santa Sede. Si è discusso sulla persistenza di tale riserva di giurisdizione anche a seguito della riforma del Concordato avvenuta con l’Accordo, reso esecutivo con legge n. 121 del 25 marzo 1985 (“Legge”). Quest’ultimo avrebbe, inoltre, derogato all’automatico riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio nel diritto interno, instaurando sul punto un acceso dibattito tra dottrina e giurisprudenza.

Come si evince dalla Legge, l’iter da seguire per giungere alla sentenza definitiva di nullità del matrimonio concordatario è piuttosto lungo e complesso. Esso consta di due conformi decisioni giudiziali, cui fa seguito il decreto di esecutività rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, c.d.“Exequatur”, di per sé solo insufficiente a produrre effetto negli ordinamenti civili. Sarà, infatti, necessario il riconoscimento da parte della Corte d’Appello competente, così detta “delibazione”, accompagnata dalla valutazione dei requisiti indicati all’articolo 8,2 della Legge. Tra questi, spicca ai fini dell’approfondimento in questione, la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge italiana affinché possano avere efficacia le sentenze straniere. In poche parole, ai fini del riconoscimento occorre che le pronunce in questione non contrastino con l’“ordine pubblico”, espressione di cui la Cassazione ha chiarito il significato.  

Si fa riferimento a “regole poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società, tenuto conto della specificità dell’ordinamento canonico la quale comporta che, al fine di escludere la dichiarazione di esecutività, la contrarietà all’ordine pubblico debba essere così marcata da superare il margine di disponibilità che lo Stato si è imposto rispetto all’ordinamento canonico.”

In sintesi in passato, la giurisprudenza ha riconosciuto la delibabilità di tutte le ipotesi di nullità matrimoniale canonica senza particolari problemi circa la conformità delle relative sentenze all’ordine pubblico, così come inteso dalla Cassazione. Sul punto, tuttavia, non sono mancate pronunce di segno contrario, in particolare si pensi alla nullità del matrimonio canonico, dichiarata dopo molti anni dalla sua celebrazione.

Solo recentemente, tali discordanze in dottrina e giurisprudenza sono state ricondotte ad unità, con sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 16379 del 2014. In questa occasione, la Corte, con un’inversione di rotta rispetto all’orientamento giurisprudenziale che si era consolidato fino a quel momento, giunge ad affermare che la convivenza coniugale protratta nel tempo crea una situazione giuridica che trova disciplina in “norme ordinarie, costituzionali, convenzionali di ordine pubblico italiano, fonti di diritti inviolabili e inderogabili, tali per cui la sentenza definitiva di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico, per qualsiasi vizio genetico accertato, non può essere dichiarata efficace nella Repubblica Italiana giacché contraria all’ordine pubblico.”

Sulla scia della suddetta pronuncia, la Cassazione da ultimo, con la Sentenza 1494/2015, ha rigettato il ricorso presentato dal ricorrente avverso la sentenza della Corte d’Appello, la quale ha respinto la domanda d’inefficacia della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario per immaturità psicologica e impotentia coeundi del marito. Nell’argomentare la sua decisione, la Suprema Corte ribadisce che la convivenza effettiva e stabile, intercorsa per ben dodici anni tra le parti (contro i tre della pronuncia del 2014), rappresenta una condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. Ritiene, inoltre, di non poter prescindere dalla considerazione di quest’ultimo nelle sue duplici declinazioni di rapporto e atto, poiché afferenti a diverse discipline e tutele. Se, infatti, la convivenza coniugale concerne il matrimonio come rapporto, l’incapacità psichica originaria incide sul matrimonio inteso come atto, non per questo precludendo il vaglio rispetto ai parametri di ordine pubblico che governano il matrimonio-rapporto.

Inoltre, i giudici rilevano come l’incapacità del ricorrente non avrebbe in alcun modo inficiato la sostanza e la qualità della convivenza, essendosi questa retta sul rispetto dei doveri di assistenza e solidarietà che ne costituiscono il fondamento e che pertanto tali elementi di fatto non possono non deporre a favore dell’effettività del consorzio familiare. 

Da ultimo la Corte rievoca la generale esigenza dell’ordinamento di contenere i casi di nullità e il conseguente favor per la conservazione del rapporto matrimoniale in caso di protratta convivenza.