Diritto all’indipendenza affettiva
Casi di violenze alle donne, conflitti di coppia, scelte sentimentali sbagliate, dinamiche sfasate di coppia, stili educativi inadeguati affondano le loro radici nelle dipendenze affettive originate dalle famiglie d’origine con padre violento e madre sottoposta, padre assente e madre oppressa e opprimente, padre anaffettivo e madre ossessiva e possessiva e altre situazioni simili.
Così i figli crescono sentendosi in colpa, ritenendosi la causa della disarmonia genitoriale e familiare e sviluppano un atteggiamento servile, succube nei confronti del genitore debole per colmare il vuoto che ha dentro sino ad un’inversione di ruoli.
I genitori dovrebbero attenersi alle indicazioni degli articoli 147 e 315 bis codice civile (in particolare l’obbligo di assistere moralmente i figli) e articolo 6 comma 2 legge 184/1983 sull’adozione, come modificata dalla legge 149/2001 (“I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare”, potendo ritenere tutti i figli una forma di adozione dalla vita), non solo come obblighi giuridici ma anche come orientamenti pedagogici per non nuocere alla sfera sentimentale e sessuale dei figli e allo sviluppo della loro personalità.
Prima di diventare genitori e nel diventare genitori bisognerebbe fare non un “percorso di consapevolezza” (concetto abusato), con o senza esperti, ma con coraggio e coerenza un esame a ritroso sui propri tasti dolenti e nodi irrisolti per capire se si è pronti a caricarsi della responsabilità del figlio e non a caricare o scaricare su di lui quello che non va o non si è avuto.
La genitorialità dovrebbe essere espressione di adultità dell’essere e maturità dell’amare.
“La dipendenza affettiva ha origini nella storia di vita personale […]". Generalmente si tratta di persone che hanno appreso fin da piccole che l’amore è possibile solo con il sacrificio di sé.
Un esempio tipico è un genitore alcolista con un bambino che si prende cura del genitore stesso sperando che, aiutandolo bene e mettendo da parte i suoi bisogni, il genitore un giorno ci sarà per lui.
Se prendiamo come punto di riferimento il modello degli stili di attaccamento di Bowlby, possiamo dire che le persone dipendenti affettive spesso hanno avuto un attaccamento insicuro-ambivalente: il caregiver era presente ma, a causa delle sue fragilità, poteva garantire una presenza emotiva intermittente. La persona, in una fase molto precoce del suo sviluppo, ha vissuto quindi il dramma del conflitto tra il bisogno di una considerazione positiva di sé da un lato e il bisogno di accettazione da parte del genitore dall’altro. In altre parole, ha imparato presto che, per poter essere amata, doveva mettere da parte aspetti di sé e attendere che il genitore, una volta “aggiustato”, fosse disponibile.
Raramente, però, la speranza si realizza e quello che nel lungo periodo viene sperimentato è la disperazione del non sentirsi visti e amati, associata a un misto di attesa e speranza. Si comprende, quindi, da dove nasca l’ambivalenza: da un genitore che non c’è ma che si spera possa diventare un giorno recettivo e attento” (la psicologa e psicoterapeuta Luisa Fossati). Un’indicazione basilare è quella contenuta nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ove si legge che il fanciullo deve crescere “in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”.
L’amore è il moto verso l’altro (etimologicamente “desiderio, passione”), la comprensione è prendere insieme, contenere in sé, quindi è un riconoscere l’esistenza di un altro, infine la felicità è fecondità, produzione, è una fuoriuscita. I figli sono vettore di vita e non l’asse della propria vita.