Leggi pizzino e obiezione di coscienza
Bologna, 20 giugno 2016
Leggi pizzino e obiezione di coscienza
Con prevedibilità pari al ritorno sulle scene dei Pooh dopo il ventilato ritiro, la legge sulle unioni civili (Legge 76/2016) è considerata dai suoi sostenitori (entusiasti o tiepidi) un semplice primo passo, non certo un traguardo, come chi davanti ad un buffet si avventa sul primo piatto a disposizione, pronto in tempi record a passare a quelli successivi (chi organizza eventi sa di cosa parlo).
In realtà il secondo passo è già esplicitato nel testo della legge. Pronto a ricredermi di fronte alla prova contraria, non ricordo di aver mai letto in un testo legislativo un’espressione analoga a questa: “Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
Lo stesso comma 20 dell’unico articolo delle legge dapprima sancisce che: “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso” per poi escludere da questa applicazione le norme del Codice Civile non richiamate dalla legge sulle unioni civili nonché le disposizioni della legge sull’adozione. Sarebbe stato sufficiente, perché si è pensato di aggiungere l’ultimo inciso?
È quel consentito che mi suona strano. Evidentemente è espressione di natura politica che non risponde ad alcuna necessità di drafting legislativo né di chiarezza giuridica. È un messaggio agli iniziati (neanche troppo criptico), un assist alla magistratura chiamata a decidere per l’ammissibilità dell’adozione a favore delle coppie dello stesso sesso. La legge dice: per ora non si poteva fare di più ma tu hai già gli strumenti per dare il via libera. Quanto sarà libero e non condizionato il magistrato nella sua decisione?
Ho già parlato di leggi messaggio e di leggi marketing, ora nascono le leggi pizzino. Sono di sana e robusta costituzione e hanno senz’altro un futuro radioso davanti a loro.
Singolare che nel testo di legge non si sia invece trovato spazio per spendere due parole a tutela dell’obiezione di coscienza.
Su questo tema il Santo degli editorialisti imberbi (presto svelo chi è) mi ha ancora una volta ascoltato e mi ha sottoposto le riflessioni del Centro Studi Rosario Livatino che presentano anche il testo dell’emendamento proposto all’attenzione dei parlamentari.
Il miglior servizio che posso fare è consigliare la lettura, anticipandola con alcuni passaggi (grassetto mio, prima o poi ricorderò al Centro che oggi chi legge sul web caccia):
“l’obiezione di coscienza è possibile solo quando c’è un obbligo giuridico, non quando c’è una libertà; cosicché, replicare a chi invoca il proprio diritto all’obiezione di coscienza che esiste un obbligo di una determinata azione è un non senso: proprio perché c’è un obbligo, si può parlare di obiezione di coscienza”;
“Al contrario, non è affatto un caso che l’obiezione di coscienza si sia manifestata nel tempo e nel mondo solo in pochi ambiti: l’obbligo del servizio militare e l’obbligo di uccisione di esseri umani (aborto, fecondazione artificiale, eutanasia) – e, recentemente, in tutto il mondo, proprio sulla questione dell’equiparazione di unioni omosessuali al matrimonio naturale – a dimostrazione che la coscienza riconosciuta dalla retta ragione non impone di obiettare su tutti gli obblighi posti da uno Stato, ma di farlo solo rispetto a determinati obblighi, che hanno a che fare con i principi fondamentali della convivenza umana”;
“Alla stregua di questa impostazione, pur in mancanza di una espressa previsione del diritto di obiezione, il Sindaco non è obbligato a celebrare quelle unioni, e può invece delegare altri soggetti”.
Non è difficile pensare all’obiezione di coscienza come alla linea del Piave rispetto alla versione di laicità che si va affermando.
Bologna, 20 giugno 2016
Leggi pizzino e obiezione di coscienza
Con prevedibilità pari al ritorno sulle scene dei Pooh dopo il ventilato ritiro, la legge sulle unioni civili (Legge 76/2016) è considerata dai suoi sostenitori (entusiasti o tiepidi) un semplice primo passo, non certo un traguardo, come chi davanti ad un buffet si avventa sul primo piatto a disposizione, pronto in tempi record a passare a quelli successivi (chi organizza eventi sa di cosa parlo).
In realtà il secondo passo è già esplicitato nel testo della legge. Pronto a ricredermi di fronte alla prova contraria, non ricordo di aver mai letto in un testo legislativo un’espressione analoga a questa: “Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
Lo stesso comma 20 dell’unico articolo delle legge dapprima sancisce che: “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso” per poi escludere da questa applicazione le norme del Codice Civile non richiamate dalla legge sulle unioni civili nonché le disposizioni della legge sull’adozione. Sarebbe stato sufficiente, perché si è pensato di aggiungere l’ultimo inciso?
È quel consentito che mi suona strano. Evidentemente è espressione di natura politica che non risponde ad alcuna necessità di drafting legislativo né di chiarezza giuridica. È un messaggio agli iniziati (neanche troppo criptico), un assist alla magistratura chiamata a decidere per l’ammissibilità dell’adozione a favore delle coppie dello stesso sesso. La legge dice: per ora non si poteva fare di più ma tu hai già gli strumenti per dare il via libera. Quanto sarà libero e non condizionato il magistrato nella sua decisione?
Ho già parlato di leggi messaggio e di leggi marketing, ora nascono le leggi pizzino. Sono di sana e robusta costituzione e hanno senz’altro un futuro radioso davanti a loro.
Singolare che nel testo di legge non si sia invece trovato spazio per spendere due parole a tutela dell’obiezione di coscienza.
Su questo tema il Santo degli editorialisti imberbi (presto svelo chi è) mi ha ancora una volta ascoltato e mi ha sottoposto le riflessioni del Centro Studi Rosario Livatino che presentano anche il testo dell’emendamento proposto all’attenzione dei parlamentari.
Il miglior servizio che posso fare è consigliare la lettura, anticipandola con alcuni passaggi (grassetto mio, prima o poi ricorderò al Centro che oggi chi legge sul web caccia):
“l’obiezione di coscienza è possibile solo quando c’è un obbligo giuridico, non quando c’è una libertà; cosicché, replicare a chi invoca il proprio diritto all’obiezione di coscienza che esiste un obbligo di una determinata azione è un non senso: proprio perché c’è un obbligo, si può parlare di obiezione di coscienza”;
“Al contrario, non è affatto un caso che l’obiezione di coscienza si sia manifestata nel tempo e nel mondo solo in pochi ambiti: l’obbligo del servizio militare e l’obbligo di uccisione di esseri umani (aborto, fecondazione artificiale, eutanasia) – e, recentemente, in tutto il mondo, proprio sulla questione dell’equiparazione di unioni omosessuali al matrimonio naturale – a dimostrazione che la coscienza riconosciuta dalla retta ragione non impone di obiettare su tutti gli obblighi posti da uno Stato, ma di farlo solo rispetto a determinati obblighi, che hanno a che fare con i principi fondamentali della convivenza umana”;
“Alla stregua di questa impostazione, pur in mancanza di una espressa previsione del diritto di obiezione, il Sindaco non è obbligato a celebrare quelle unioni, e può invece delegare altri soggetti”.
Non è difficile pensare all’obiezione di coscienza come alla linea del Piave rispetto alla versione di laicità che si va affermando.