Alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art.35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241

Riserva ai professionisti iscritti agli ordini professionali il rilascio del visto di conformità e dell’attestazione tributaria
alba ghiacciata
Ph. Giorgia Pavani / alba ghiacciata

Alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art.35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241 che riserva ai professionisti iscritti agli ordini professionali il rilascio del visto di conformità e dell’attestazione tributaria

 

Con l’ordinanza n.995, depositata il 31 gennaio 2024, la settima sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 per contrasto con gli artt. 3, 41 e 117, primo comma, Cost.,[1] nell'ambito del giudizio di appello n.1804/2023 di r.g. promosso dall’Associazione Nazionale Tributaristi Lapet.

Il Collegio giudicante ha ritenuto la questione rilevante per la definizione del giudizio e non manifestamente infondata (art. 23 della legge n. 87/53) ed ha pertanto sospeso il giudizio di appello e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per la decisione della questione di legittimità della norma.

Il giudizio di appello è stato proposto da una associazione di professionisti esercenti le c.d. “attività non organizzate”[2] per impugnare la sentenza n.1192/2022 del Tribunale amministrativo per la Puglia che aveva respinto il ricorso promosso dall’associazione allo scopo di ottenere l’annullamento di un provvedimento dell'Agenzia delle Entrate che negava ad una tributarista la facoltà di rilasciare il visto di conformità sulla dichiarazioni dei redditi e Iva dalla stessa inviate all'amministrazione finanziaria ( c.d. "visto leggero"), perchè non iscritta all'albo dei commercialisti, dei ragionieri e dei consulenti del lavoro.

L’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241/97, per individuare i professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità e la certificazione tributaria ( cd “visto pesante”) richiama il testo del Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998 n.322[3] che riserva l’attività certificatoria ai soli professionisti iscritti agli Ordini territoriali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ( i “ragionieri”) ed agli iscritti nell’albo dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro, con esclusione degli iscritti negli elenchi delle professioni non regolamentate ( di cui alla richiamata legge 4 del 2013).

Nella sostanza, per effetto dell’articolato reticolo normativo, a legislazione vivente ed alla stregua del diritto vivente, i tributaristi e più in generale i consulenti fiscali e tributari (tutti professionisti non iscritti agli albi ed appartenenti al novero delle professioni di cui all’art.1 della legge 4/2013) non possono rilasciare né il visto pesante né quello leggero, nonostante siano autorizzati per legge al trattamento dei dati contabili ed alla loro trasmissione telematica.[4][5]

Accade così che i tributaristi non possono assicurare ai loro clienti una completa assistenza professionale e sono costretti a subire passivamente lo sviamento della clientela verso i professionisti ordinistici, autorizzati al rilascio del visto, requisito necessario per operare la compensazione dei crediti, relativi a IVA, imposte dirette, IRAP e le ritenute di importo superiore a 5.000 euro annui, per la presentazione delle istanze di rimborsi dei crediti IVA, annuale e trimestrale, superiori a 30.000 euro e per la presentazione delle dichiarazioni modello 730.       

 La ricorrente aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art.35, terzo comma, del d.lgs. n.241/97 per violazione del principio di ragionevolezza e non discriminazione (art. 3 Cost) e del diritto di libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost) ed aveva chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 del Trattato FUE perché fossero accertate le rilevanti violazioni del diritto dell’Unione europea.

Il Consiglio di Stato ha condiviso tutti i rilievi formulati.

Nell’ordinanza sono dettagliatamente esposti i profili di contrasto dell’art. 35 del decreto n. 241 con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, nonché con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla rilevante violazione del diritto primario Eurounitario (art. 56 del trattato FUE) e del diritto derivato (art. 16 della Direttiva 123/2006 – la famigerata “ Bolkestein”)[6] e più in generale la violazione dei principi di massima concorrenza, non discriminazione e proporzionalità che costituiscono i capisaldi del diritto dell’Unione ed orientano la laboriosa opera di interpretazione e nomopoietica della Corte di Giustizia dell’Unione.[7]

Il Consiglio di Stato sospetta di incostituzionalità non solo la riserva per il rilascio del visto leggero (visto di conformità) ma anche quella prevista per il visto pesante (i.e. l’attestato di conformità o attestazione tributaria), sicché la Consulta sarà chiamata a valutare la legittimità di entrambe le riserve.

Appaiono illuminati, tra i tanti, due segmenti della complessa motivazione dell’ordinanza n.995 che di seguito si riportano :” va sul punto ricordato come il sistema degli ordinamenti professionali di cui all’art. 33, comma 5, della Costituzione deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarità, avendo la funzione di tutelare non l’interesse corporativo di una categoria professionale a mantenere sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica, ma quello degli interessi di una società che si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità (cfr., Corte Cost. n. 345 del 1995 e n. 418 del 1996)”; e poi “ nella misura in cui per quanto finora esposto non appaiono apprezzabili effettive ragioni per impedire a professionisti abilitati all’invio delle dichiarazioni dei redditi all’amministrazione finanziaria l’ulteriore attività consistente nel rilasciare a favore di quest’ultima l’attestazione necessaria a semplificarne l’attività di controllo, si profila una discriminazione in danno della categoria professionale pregiudizievole per il loro diritto di matrice sovranazionale alla libera prestazione dei loro servizi, non necessaria perché sfornita di un sottostante motivo imperativo di interesse generale e sproporzionata perché eccedente gli obiettivi di tutela dell’interesse fiscale dello Stato".

Va detto, inoltre, che la normativa richiamata sembra violare il combinato disposto degli artt. 101, paragrafo uno del Trattato FUE ed art. 4, paragrafo 3 del Trattato sull’Unione Euroepa, considerato che nella costante giurisprudenza della Corte Europea, nonostante l’articolo 101 riguardi esclusivamente la condotta delle imprese e non disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, che instaura un dovere di collaborazione tra l’Unione europea e gli Stati membri, ed obbliga questi ultimi a non adottare o a non mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese.

Sotto questa prospettiva l’art.35, comma 3, del d.lgs. 241/97 appare ancor più in contrasto con la normativa sovraordinata e per questo rappresenta un ulteriore argomento a sostegno della violazione del precetto di cui al primo comma dell’art.117 della Costituzione della Repubblica Italiana.[8]

Ora si attende il giudizio della Corte Costituzionale che dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno.   

 

[1] “Per tutte le ragioni finora esposte, ai sensi del sopra citato art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio va dunque sospeso nelle more della definizione dell’incidente di costituzionalità in relazione alle questioni come sopra delibate e riferite all’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nella parte in cui individua i soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità nell’elenco di professionisti contenuto nelle sole lett. a) e b) del comma 3 dell’art.3, del DPR del 22 luglio 1998, n. 322, e non anche negli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e), tra cui rientrano gli odierni ricorrenti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione agli artt. 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nei sensi di cui in motivazione. Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e sia comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati: Roberto Chieppa, Presidente Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore Massimiliano Noccelli, Consigliere Raffaello Sestini, Consigliere Sergio Zeuli, Consigliere”

[2] Legge 14 gennaio 2013, n. 4 Disposizioni in materia di professioni non organizzate (Gazzetta Ufficiale n.22 del 26 gennaio 2013) “ Art. 1. […] La presente legge, in attuazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell'Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi. 2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e relative attività tipiche o riservate per legge e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.”

[3] Il terzo comma dell’art.3 del DPR 22 luglio 1998 n.322 prevede:“Ai soli fini della presentazione delle dichiarazioni in via telematica mediante il servizio telematico Entratel si considerano soggetti incaricati della trasmissione delle stesse: a) gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro; b) i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria […]”

[4] L’elenco delle categorie di professionisti abilitati “ [alla] trasmissione delle dichiarazioni in via telematica mediante il servizio telematico Entratel», contenuto nel medesimo comma terzo del Dpr 22 luglio 1998 n. 322, è più ampio del novero dei soggetti abilitati al rilascio del visto e comprende anche la categoria residuale, sub lettera e, degli «altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze». In attuazione della richiamata disposizione regolamentare, con decreto in data 19 aprile 2001 (Ampliamento delle categorie di soggetti da includere tra gli incaricati alla trasmissione telematica dei dati contenuti nelle dichiarazioni; pubblicato in Gazz. Uff., 26 aprile, n. 96), sono stati indicati nel novero degli autorizzati all’invio telematico «coloro che esercitano abitualmente l’attività di consulenza fiscale””

[5] Con la risposta n. 87 ad un interpello di una società di consulenza contabile e fiscale, pubblicata il 21 febbraio l’Agenzia dell’Entrate aveva chiarito che Tra gli «altri incaricati individuati con decreto» cui fa riferimento la lettera e) sopra citata, il legislatore ha incluso: 1. le associazioni e le società semplici costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni in cui almeno la metà degli associati o dei soci è costituita da soggetti indicati dall'articolo 3, comma 3, lettere a) e b), del succitato d.P.R. n. 322 del 1998 (cfr. DM 18 febbraio 1999); 2. le società commerciali di servizi contabili, a condizione che la maggioranza del capitale sociale sia posseduto dai soggetti indicati al predetto articolo 3, comma 3, lettere a) e b), del DPR n. 322 del 1998 (cfr. DM 18 febbraio 1999); 3. le società tra professionisti (s.t.p.) di cui all'articolo 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183; 4. le "associazioni tra avvocati" e le "società tra avvocati" di cui agli articoli 4 e 4-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (cfr. Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 9 marzo 2020, prot. n. 118737/2020); 5. coloro «che esercitano abitualmente l'attività di consulenza fiscale» (cfr. DM 19 aprile 2001). A parziale rettifica di quanto chiarito con la risposta all'interpello n. 956- 3591/2021, resa pubblica il 7 febbraio 2022, nell'apposita sezione del sito internet della scrivente con il n. 79, sono i soggetti di cui al punto 5 che precede, ovvero coloro "che esercitano abitualmente l'attività di consulenza", quelli per i quali è richiesto il possesso della partita IVA per essere abilitati al servizio telematico Entratel, come tipo utente E10 - E 20, unitamente al possesso di un codice ATECO che consenta di qualificare l'attività esercitata come "consulenza fiscale" ovvero come attività ad essa affine

 

[6] DIRETTIVA 2006/123/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno. Di seguito il testo dell’art.16 della Direttiva: “ Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti. Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato assicura il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio. Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi: a) non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede, b) necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente, c) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.”

[7] Nel diritto eurounitario, nel contesto del diritto della concorrenza, le attività professionali rientrano nel concetto di impresa, che comprende qualsiasi ente che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle modalità del suo finanziamento (v., in particolare punti 35, 36 , 37 e 38 della decisione del 28 febbraio 2013 nella causa C-1/132 - della Corte di Giustizia della Unione Europea - ECLI:EU:C:2013:127 - Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas contro Autoridade da Concorrência, che richiama la sentenza Wouters e a., cit., punto 46 e giurisprudenza ivi citata)

[8] Vedi punti 28 e 28 della sentenza della CGUE (Quinta Sezione) del 4 settembre 2014 - API – Anonima Petroli Italiana SpA e altri contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e altri - Cause riunite da C184/13 a C187/13, C194/13, C195/13 e C208/13 - ECLI:EU:C:2014:2147 “28. Si deve ricordare che, come risulta da costante giurisprudenza della Corte, se è pur vero che l’articolo 101 TFUE riguarda esclusivamente la condotta delle imprese e non disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, resta il fatto che tale articolo, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, che instaura un dovere di collaborazione tra l’Unione europea e gli Stati membri, obbliga questi ultimi a non adottare o a non mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese (v. sentenze Cipolla e a., C94/04 e C202/04, EU:C:2006:758, punto 46, nonché Sbarigia, C393/08, EU:C:2010:388, punto 31). 29 Si ha violazione dell’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, qualora uno Stato membro vuoi imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l’articolo 101 TFUE o rafforzi gli effetti di tali accordi, vuoi revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica (v. sentenze Centro Servizi Spediporto, C96/94, EU:C:1995:308, punto 21; Arduino, C35/99, EU:C:2002:97, punto 35, nonché Cipolla e a., EU:C:2006:758, punto 47)”.