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Ambush Marketing

più ambiguità che misure efficaci nel disegno di legge del Governo
ambush marketing
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Il 13 gennaio 2020 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge diretto, nelle intenzioni del Governo, a disciplinare il fenomeno del cosiddetto “ambush marketing”, ossia le attività parallele a quelle esercitate dall'organizzatore di un evento o di una manifestazione (fieristici, sportivi o culturali) e dai suoi licenziatari o dai soggetti da esso autorizzati, in modo da ricavarne visibilità o trarne un vantaggio concorrenziale.

La proposta di legge elenca in modo specifico le attività vietate (che definisce di “pubblicizzazione parassitaria”) e le punisce, in quanto effettuate durante l’evento o nei 90 giorni che lo precedono e nei 90 giorni che lo seguono, con una pesante sanzione amministrativa (da Euro 500.000 a 2.500.000), manifestamente sproporzionata (e anche socialmente inaccettabile), al modo delle “grida” di manzoniana memoria.

L’applicazione di queste sanzioni è affidata all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che nel nostro Paese non ha competenza solo in materia Antitrust, ma anche in materia di pratiche commerciali scorrette (ed in primis di pubblicità ingannevole), queste ultime peraltro punite con una sanzione molto più lieve (da Euro 5.000 a Euro 500.000, salvo che per alcune fattispecie per le quali la sanzione non è inferiore a 50.000 Euro), benché in molti casi le stesse siano più gravi di quelle individuate nel nuovo testo normativo. Per converso, non sono previste, per le condotte riconducibili all’Ambush Marketing e che non costituiscano anche pratiche commerciali scorrette, le altre misure che l’Autorità Garante può adottare per queste ultime, ed in particolare il divieto di continuazione o di diffusione dell’illecito, la pubblicazione della delibera sanzionatoria o di altro comunicato rettificativo diretto ad impedire che le pratiche scorrette continuino a produrre effetti: cosicché queste sanzioni potranno essere applicate solo alle fattispecie di Ambush Marketing che rientrino nelle pratiche scorrette.

Questo testo normativo sconta un equivoco di fondo: se infatti si va a vedere più da vicino le ipotesi che in questo progetto vengono ricondotte all’Ambush Marketing, si scopre che in realtà gran parte di esse sono fattispecie quasi tutte già sanzionate, civilmente e in molti casi anche penalmente, come atti di contraffazione (di marchi, segni distintivi e segni notori). Già oggi, infatti, sono in vigore nel nostro ordinamento norme precise che vietano la registrazione come marchio e l'utilizzo nell'attività economica di segni eguali o simili ai simboli di manifestazioni ed eventi: opera infatti al riguardo la norma generale di cui all'articolo 8, comma 3° Codice della Proprietà Industriale, a mente del quale "Se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi, o dei soggetti di cui al comma 1: i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi". Ed anche l’aggiunta che il disegno di legge del Governo vorrebbe fare a questa lista delle “immagini che riproducono trofei” è del tutto superflua, dato il carattere esemplificativo di tale elencazione, cosicché già oggi le immagini dei trofei univocamente riconducibili ad una specifica manifestazione (pensiamo a quello della Coppa del Mondo di calcio o all’insalatiera della Coppa Davis) sono certamente protette nel nostro Paese appunto come segni notori dell’ente organizzatore. La norma opera cioè a favore di tutti i simboli di queste manifestazioni, tanto che sulla base di essa venne ad esempio vietato l'uso non autorizzato dei segni distintivi e degli emblemi dei campionati mondiali di calcio del 1994 per una raccolta di figurine (Trib. Modena, 26 giugno 1994).

Dunque le norme di cui si propone l'adozione sono, più che inutili, controproducenti, perché non aggiungono nulla a quelle già esistenti ed anzi possono diventare un facile strumento di elusione, sia perché l’elencazione contenuta nella norma di cui si propone l’adozione non è esemplificativa e non contempla una clausola di chiusura (come quella di cui al n. 3 dell’articolo 2598 codice civile per la concorrenza sleale) e rischia quindi di lasciare fuori dal perimetro delle sanzioni le attività che non rientrino perfettamente nelle definizioni specifiche invocate, come si è detto essenzialmente relative ad ipotesi di contraffazione di segni distintivi già sanzionate da altre norme vigenti, sia per effetto della limitazione temporale di tutela che si prevede, che non ha alcun senso, perché è tutt’altro che infrequente che la notorietà di questi segni cominci ben prima del novantesimo giorno precedente alla manifestazione e duri anche ben oltre il novantesimo giorno successivo: anche se il disegno di legge non manca di precisare che restano ferme tutte le norme preesistenti, cui quindi questa limitazione non dovrebbe applicarsi.

Il vero Ambush Marketing non è però quello che questa disciplina si propone di normare, ma è un fenomeno in forza della quale un'impresa riesce a replicare, sotto il profilo della comunicazione d’impresa, l'abbinamento tra la propria attività e il richiamo mediatico e il valore evocativo di un evento o di una manifestazione, senza sopportare gli oneri economici richiesti: in sostanza, si tratta di una falsa associazione da parte di un’impresa non-sponsor con un evento, sportivo ma non solo, al fine di ottenere visibilità per sé, la propria attività e i propri prodotti, e cioè vantaggi analoghi a quelli legittimamente attesi dagli sponsor ufficiali.

Si è parlato a questo proposito di "exploitation of promotion possibilities at events that an official sponsor does not use (così Jueterbock, The Influence of Brand Personality in the Relationship of Ambush Marketing and Brand Attitude, Hamburg, 2009, p. 19, dove si richiama alla definizione di Jerry Welsh, il primo ad avere usato il termine “Ambush Marketing”, per indicare l’operazione pubblicitaria da lui realizzata come Direttore marketing dell’American Express in modo da associare questa carta ad un’edizione delle Olimpiadi in realtà sponsorizzata da Visa; in Italia sul tema cfr. già Foglia, Illecito di comunicazione, tutela del marchio e “ambush marketing”, commento a Trib. Milano, 30 luglio 2010, ne Il dir. ind., 2011). L'ambush marketing può così assumere le forme più diverse, difficilmente idonee a una precisa categorizzazione a fronte di un tipo di comunicazione commerciale che presenta profili sempre più imprevedibili, ma sono sempre inquadrabili nel fenomeno del free riding: un’elencazione non esaustiva comprende le figure note come il Predatory Ambushing, che costituisce il caso più eclatante, ossia quello di chi si presenta apertamente come sponsor ufficiale di una certa manifestazione, senza esserlo; il Coattail Ambushing, forse il più diffuso, consistente nell’adozione di tecniche pubblicitarie attraverso le quali si cerca di creare un’associazione indiretta tra il marchio dell’ambusher e l’evento, volta a creare ambiguità sull’identità degli sponsor ufficiali, in particolare sponsorizzando non l’evento, ma la città in cui si svolge o attività e personaggi connessi ad esso, come nel caso paradigmatico di Kodak, che nel 1984 sponsorizzò i programmi TV sulle Olimpiadi, le quali erano invece sponsorizzate da Fuji; l’Insurgent Ambushing, anche questo molto diffuso, costituito dalla promozione di un brand tramite azioni a sorpresa che si svolgano durante l’evento sportivo o in luoghi attigui; e il Saturation Ambushing, ossia l’acquisto massiccio di spazi sui media in un periodo temporale corrispondente all’evento, in modo da rendere inevitabile l’associazione ad esso nella mente del pubblico, pur in mancanza di riferimenti espliciti allo stesso (cfr. Bellezza-Morelli, Expo 2015 e ambush marketing: resta il problema ma manca il decreto, in Dir. Merc. Tecnol., 2014 e Galli, Ambush Marketing e EXPO, presentazione al Convegno AIPPI tenutosi a Milano, il 12 gennaio 2015, disponibile all’indirizzo web https://aippi.it/wp-content/uploads/2015/01/GALLI_AIPPI_2015_Ambush-Marketing.pdf).

La sentenza del Tribunale di Milano del 30 luglio 2010 rappresenta il landmark case italiano di questa fattispecie, che ha inquadrato l’Ambush Marketing tra gli illeciti concorrenziali di comunicazione, affermando che “Se una società è licenziataria ufficiale esclusiva del merchandising delle manifestazioni riconducibili al campionato mondiale […] ed è in possesso in via esclusiva dei diritti di sfruttamento dell’immagine delle divise ufficiali, dei colori sociali e degli stemmi delle squadre partecipanti al campionato acquisiti dalle relative federazioni o associazioni nazionali, sussiste nei suoi confronti un illecito di comunicazione per l’agganciamento all’evento del campionato mondiale lanciare sul mercato una raccolta di cards ed un gioco con modalità caratterizzate da una serie di riferimenti al campionato del mondo di calcio”; e in applicazione di questo principio ha inibito, a due soggetti che non erano sponsor del campionato, la diffusione del blister delle carte e del gioco «Match Attack», parallelo alle carte ed al gioco «Adrenalyn» della Panini, invece sponsor ufficiale.

Prima ancora, di Ambush Marketing aveva parlato, ma senza particolari approfondimenti, la pronuncia di Trib. Venezia, 23 gennaio 2006 (in Foro it., 2006, I, 1572 e in AIDA, 2007,761 e ss., commentata anche in Galli, Segni distintivi e industria culturale, in AIDA, 2006, 351-352), che aveva risolto la questione affrontata (l’uso abusivo di segni che richiamavano le Olimpiadi) sulla base del diritto dei segni distintivi, applicando anche le norme speciali introdotte dalla Legge 17 agosto 2005, n. 167 (“Misure per la tutela del simbolo olimpico in relazione allo svolgimento dei Giochi invernali «Torino 2006»”).

Anche sotto questi profili, dunque, già oggi il nostro ordinamento mette molti strumenti per difendersi a disposizione sia degli organizzatori, sia degli sponsor e dei licenziatari ufficiali: ciò non solo sul piano contrattuale (che è evidentemente fondamentale, per ridurre gli spazi per le attività parassitarie), ma anche sotto il profilo del divieto degli usi non autorizzati dei segni distintivi della manifestazione, sia quelli di parole, figure o segni in grado di richiamarla indirettamente, consentendo i riferimenti descrittivi all’evento solo quando non diano luogo a confusione/agganciamento, divieto che si ricava, come già si diceva, dalle norme in materia di segni distintivi e di concorrenza sleale e che dà la possibilità di bloccare e sanzionare queste condotte, anche in via di urgenza e quindi in tempi estremamente rapidi, anche attraverso il ricorso alla norma di chiusura, pure già ricordata, dell’articolo 2598, n. 3 codice civile, che sanziona ogni condotta parassitaria effettuata con mezzi contrari alla correttezza professionale.

Ciò che realmente sarebbe utile, è, semmai, una disposizione di carattere generale, che tipizzi l’Ambush Marketing, dandone una definizione di portata generale mediante una clausola "aperta" e includendolo espressamente nel perimetro della concorrenza sleale e, soprattutto, che legittimi espressamente a far valere l’illiceità di questi atti non solo i concorrenti dell’ambusher (che potrebbero anche non esserci, se nessuno degli sponsor o dei licenziatari dell’evento opera nel campo di quest’ultimo), ma anche l'ente promotore della manifestazione.

Riconducendo alla concorrenza sleale – e, sotto il profilo amministrativo, alle pratiche commerciali scorrette - il divieto di Ambush Marketing, si ha infatti l'enorme vantaggio di richiamare anche le relative sanzioni, estrememente efficaci e idonee ad essere disposte anche in via di urgenza, in base all'articolo 700 codice procedura civile.

Se poi si vogliono prevedere norme "speciali" per tutelare in via "anticipata" rispetto alla futura notorietà di essi i simboli di questi eventi, si può pensare di adottare una disciplina come quella proposta dal Consiglio Nazionale Anti-Contraffazione allora presieduto da Daniela Mainini per Expo 2015 e poi non adottata (se ne veda il testo sempre in Galli, Ambush Marketing e EXPO, cit.), che non solo concedeva a tali simboli una tutela anticipata, addirittura anteriore all’acquisto di notorietà da parte di essi, codificando una particolare forma di registrazione in malafede, ma prevedeva anche una sanzione amministrativa a carico di chi effettuava queste registrazioni abusive.

Non resta dunque che sperare che il Parlamento intervenga su questo testo estremamente infelice e cerchi di cogliere questa occasione per dettare disposizioni che sanciscano un reale divieto per le (vere) attività di Ambush Marketing, rafforzando così la protezione degli enti organizzatori e salvaguardando gli investimenti dei soggetti da essi effettivamente autorizzati.