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Antiriciclaggio: gli errori da non rifare

Gli obblighi per i liberi professionisti sono diventati tanti e complessi, spesso inutili e dannosi anche per i riflessi sulla relazione con il cliente. Su questo pochi dubbi.

Che quelli imposti dal d. lgs. N. 56 del 2004 in materia di prevenzione del riciclaggio siano altrettanto farraginosi è anche questo abbastanza chiaro, ma con motivazioni diverse.

In questo caso, vi sono evidenti errori di approccio, sia da parte dei normatori che, soprattutto, da parte dei soggetti destinatari.

Quando, infatti, nel Comunicato stampa diffuso dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti il 17 ottobre 2006 si legge, tra l’altro, che le proposte della categoria mirano a non attribuire ai propri iscritti “compiti analoghi agli organi di investigazione”; a “rivedere la norma penale ex art. 648-ter C. P.”; a “non accettare che si svuoti di contenuti il segreto professionale”; bene, le precisazioni dello studioso a questo punto urgono, perché il crinale sul quale ci si sta inerpicando rischia di essere assai impervio.

Solo qualche spunto di riflessione, senza (ovvie) pretese di esaustività:

a) La normativa antiriciclaggio – la chiamerò così per semplicità, non amo le trattazioni infarcite di articoli, commi e brocardi – ha contenuti penali eventuali, non precipui: le sue finalità sono più “privatistiche” che “pubblicistiche”. Essa nasce per preservare l’integrità dell’utilizzo del sistema finanziario, la libertà di impresa, la sana e prudente gestione delle realtà imprenditoriali, la libera circolazione dei capitali, l’accesso ai servizi, la concorrenza, e altro ancora.

b) Da quanto sopra, consegue che la repressione del “reato di riciclaggio” è affidata, naturaliter, alla polizia giudiziaria e alla magistratura, non potendo – è persino banale ripeterlo – essere affidata al privato cittadino, sia egli libero professionista, operaio, commerciante, bancario, ecc. ecc. L’interesse, anche pubblicistico, qui si realizza con la “collaborazione attiva” di taluni cittadini, e cioè solo di quelli che, in virtù della loro particolare attività di impresa o professionale, sono depositari di dati, notizie ed expertise da fornire alle Autorità.

c) Ne deriva ancora che, così come un alimentarista segnalerà ai Carabinieri dei N.A.S. la presenza, nel suo magazzino, di una partita avariata o contraffatta di merce, altrettanto dovrà fare chi assisterà al trattamento del denaro per scopi estranei alle sue funzioni intrinseche.

d) Le leggi oggi in vigore impongono, a tali fini, obblighi “amministrativi”, probabilmente eccessivi, a soggetti che, obbiettivamente, non ne erano immuni (penso ai liberi professionisti e alle banche); non figurano, in nessun caso, obblighi di denuncia o di delazione, anche perché non è richiesto di recarsi presso l’Autorità di Polizia, semmai quella unica (l’Ufficio Italiano dei Cambi) destinataria delle cosiddette “segnalazioni di operazioni sospette”.

e) Più efficacemente, per sbarrare la strada a quanti – riciclatori, usurai, mafiosi, camorristi, terroristi, evasori fiscali – utilizzano le transazioni finanziarie e commerciali quotidiane, soprattutto di altri, per alimentare i loro guadagni a costo zero, si sono strutturati obblighi di identificazione e registrazione, limiti all’utilizzo di contante e titoli al portatore, giammai telecamere a circuito chiuso o metal detector. Il riciclaggio è compiuto da “colletti bianchi”, non da uomini col passamontagna; il suo nemico non è una pistola, è il tracciamento dell’origine del denaro che movimenta.

f) Il riconoscimento delle banconote non si attua, peraltro, con limitazioni ingiustificate ( e anticostituzionali!) alla libertà del cittadino: i divieti all’utilizzo di contante tra privati per somme inferiori ai 12500 Euro sarebbero, senza modificare la legge 197/1991, evidentemente censurabili in sede di legittimità. La normativa in questione prevede che ognuno spenda contante come vuole sino a suddetta soglia; oltre questa, è obbligato ad utilizzare titoli nominativi, per il lapalissiano motivo che essi sarebbero più facilmente censibili e, ripeto, tracciabili

g) Nel momento in cui si costringe chi paga a tale strumentazione, si deve avere qualcuno che faccia da “contabile” di siffatti movimenti. Questo qualcuno è stato identificato, dal legislatore prima comunitario e poi nazionale, negli intermediari finanziari, negli immobiliaristi, nei liberi professionisti, nei commercianti di oro e preziosi, nelle case d’aste e da gioco, tutte attività mostratesi “sensibili” alla inconsapevole, ma facilissima ( stanti le evidenze investigative) infiltrazione dell’economia sommersa, non rileva se criminale o meno.

Tutto quanto sopra (disorganicamente) esposto porta a svariate considerazioni, che riduco (o tento di ridurre) all’osso:

1) Non v’è e non vi potrà mai essere attività di “agenti segreti” per i liberi professionisti, come erroneamente affermato in quasi tutti i documenti degli Organismi associativi di rappresentanza.

2) L’eventuale modifica della fattispecie penale non è assolutamente conferente rispetto all’attività “contabile” cui sopra mi riferivo; semmai, su questa bisogna ragionare per facilitare l’attività di indagine e repressiva delle Forze di Polizia e dei magistrati.

3) Bisogna rendere gli obblighi di identificazione e registrazione più “snelli”, perché ve ne sono già troppi (ad esempio, eliminando gli elenchi cervellotici di codici e causali).

4) Bisogna impedire ad ogni costo che la segnalazione di operazione sospette, atto eventuale, strumentale ad approfondimenti delle Autorità, si trasformi in quello “spauracchio” che è oggi diventato, a causa del peso eccessivo che gli hanno dato taluni interpreti. Su questa delicata materia, per evitare problemi, basta usare con più oculatezza gli strumenti accertativi e prognostici della capacità contributiva e patrimoniale già previsti dell’ordinamento.

Un messaggio per chi si appresta ad utilizzare l’anagrafe finanziaria, affinché lo faccia solo nei confronti di quegli indizi che, di certo, non emergeranno che dall’analisi di dati e mai (compiutamente) dalle segnalazioni degli operatori professionali.

Il tutto, ca va sans dire, nel pieno e totale rispetto del segreto professionale, di quello bancario, ma anche di quello investigativo ed istruttorio; semmai è su questo fronte che si può, e si deve, fare molto di più prima di approntare obblighi legislativi come quelli previsti in materia di “antiriciclaggio”.

Gli obblighi per i liberi professionisti sono diventati tanti e complessi, spesso inutili e dannosi anche per i riflessi sulla relazione con il cliente. Su questo pochi dubbi.

Che quelli imposti dal d. lgs. N. 56 del 2004 in materia di prevenzione del riciclaggio siano altrettanto farraginosi è anche questo abbastanza chiaro, ma con motivazioni diverse.

In questo caso, vi sono evidenti errori di approccio, sia da parte dei normatori che, soprattutto, da parte dei soggetti destinatari.

Quando, infatti, nel Comunicato stampa diffuso dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti il 17 ottobre 2006 si legge, tra l’altro, che le proposte della categoria mirano a non attribuire ai propri iscritti “compiti analoghi agli organi di investigazione”; a “rivedere la norma penale ex art. 648-ter C. P.”; a “non accettare che si svuoti di contenuti il segreto professionale”; bene, le precisazioni dello studioso a questo punto urgono, perché il crinale sul quale ci si sta inerpicando rischia di essere assai impervio.

Solo qualche spunto di riflessione, senza (ovvie) pretese di esaustività:

a) La normativa antiriciclaggio – la chiamerò così per semplicità, non amo le trattazioni infarcite di articoli, commi e brocardi – ha contenuti penali eventuali, non precipui: le sue finalità sono più “privatistiche” che “pubblicistiche”. Essa nasce per preservare l’integrità dell’utilizzo del sistema finanziario, la libertà di impresa, la sana e prudente gestione delle realtà imprenditoriali, la libera circolazione dei capitali, l’accesso ai servizi, la concorrenza, e altro ancora.

b) Da quanto sopra, consegue che la repressione del “reato di riciclaggio” è affidata, naturaliter, alla polizia giudiziaria e alla magistratura, non potendo – è persino banale ripeterlo – essere affidata al privato cittadino, sia egli libero professionista, operaio, commerciante, bancario, ecc. ecc. L’interesse, anche pubblicistico, qui si realizza con la “collaborazione attiva” di taluni cittadini, e cioè solo di quelli che, in virtù della loro particolare attività di impresa o professionale, sono depositari di dati, notizie ed expertise da fornire alle Autorità.

c) Ne deriva ancora che, così come un alimentarista segnalerà ai Carabinieri dei N.A.S. la presenza, nel suo magazzino, di una partita avariata o contraffatta di merce, altrettanto dovrà fare chi assisterà al trattamento del denaro per scopi estranei alle sue funzioni intrinseche.

d) Le leggi oggi in vigore impongono, a tali fini, obblighi “amministrativi”, probabilmente eccessivi, a soggetti che, obbiettivamente, non ne erano immuni (penso ai liberi professionisti e alle banche); non figurano, in nessun caso, obblighi di denuncia o di delazione, anche perché non è richiesto di recarsi presso l’Autorità di Polizia, semmai quella unica (l’Ufficio Italiano dei Cambi) destinataria delle cosiddette “segnalazioni di operazioni sospette”.

e) Più efficacemente, per sbarrare la strada a quanti – riciclatori, usurai, mafiosi, camorristi, terroristi, evasori fiscali – utilizzano le transazioni finanziarie e commerciali quotidiane, soprattutto di altri, per alimentare i loro guadagni a costo zero, si sono strutturati obblighi di identificazione e registrazione, limiti all’utilizzo di contante e titoli al portatore, giammai telecamere a circuito chiuso o metal detector. Il riciclaggio è compiuto da “colletti bianchi”, non da uomini col passamontagna; il suo nemico non è una pistola, è il tracciamento dell’origine del denaro che movimenta.

f) Il riconoscimento delle banconote non si attua, peraltro, con limitazioni ingiustificate ( e anticostituzionali!) alla libertà del cittadino: i divieti all’utilizzo di contante tra privati per somme inferiori ai 12500 Euro sarebbero, senza modificare la legge 197/1991, evidentemente censurabili in sede di legittimità. La normativa in questione prevede che ognuno spenda contante come vuole sino a suddetta soglia; oltre questa, è obbligato ad utilizzare titoli nominativi, per il lapalissiano motivo che essi sarebbero più facilmente censibili e, ripeto, tracciabili

g) Nel momento in cui si costringe chi paga a tale strumentazione, si deve avere qualcuno che faccia da “contabile” di siffatti movimenti. Questo qualcuno è stato identificato, dal legislatore prima comunitario e poi nazionale, negli intermediari finanziari, negli immobiliaristi, nei liberi professionisti, nei commercianti di oro e preziosi, nelle case d’aste e da gioco, tutte attività mostratesi “sensibili” alla inconsapevole, ma facilissima ( stanti le evidenze investigative) infiltrazione dell’economia sommersa, non rileva se criminale o meno.

Tutto quanto sopra (disorganicamente) esposto porta a svariate considerazioni, che riduco (o tento di ridurre) all’osso:

1) Non v’è e non vi potrà mai essere attività di “agenti segreti” per i liberi professionisti, come erroneamente affermato in quasi tutti i documenti degli Organismi associativi di rappresentanza.

2) L’eventuale modifica della fattispecie penale non è assolutamente conferente rispetto all’attività “contabile” cui sopra mi riferivo; semmai, su questa bisogna ragionare per facilitare l’attività di indagine e repressiva delle Forze di Polizia e dei magistrati.

3) Bisogna rendere gli obblighi di identificazione e registrazione più “snelli”, perché ve ne sono già troppi (ad esempio, eliminando gli elenchi cervellotici di codici e causali).

4) Bisogna impedire ad ogni costo che la segnalazione di operazione sospette, atto eventuale, strumentale ad approfondimenti delle Autorità, si trasformi in quello “spauracchio” che è oggi diventato, a causa del peso eccessivo che gli hanno dato taluni interpreti. Su questa delicata materia, per evitare problemi, basta usare con più oculatezza gli strumenti accertativi e prognostici della capacità contributiva e patrimoniale già previsti dell’ordinamento.

Un messaggio per chi si appresta ad utilizzare l’anagrafe finanziaria, affinché lo faccia solo nei confronti di quegli indizi che, di certo, non emergeranno che dall’analisi di dati e mai (compiutamente) dalle segnalazioni degli operatori professionali.

Il tutto, ca va sans dire, nel pieno e totale rispetto del segreto professionale, di quello bancario, ma anche di quello investigativo ed istruttorio; semmai è su questo fronte che si può, e si deve, fare molto di più prima di approntare obblighi legislativi come quelli previsti in materia di “antiriciclaggio”.