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Cambia la geopolitica delle fonti rinnovabili: il sorpasso dei Paesi emergenti

Il Rapporto Ren 21 (Renowable Global Status Report), pubblicato a luglio del 2011, fa il punto sulla situazione mondiale delle fonti rinnovabili.

Il documento, che è stato commissionato nel corso della precedente conferenza del 2005, è il prodotto della collaborazione di un network (Renewable Energy Policy Network for the 21st Century) che opera in seno al Worldwatch Institute, cui contribuiscono oltre un centinaio di ricercatori su base prevalentemente volontaria.

Il Rapporto analizza lo sviluppo e l’impatto che hanno avuto le fonti rinnovabili e che peraltro è stato influenzato da una serie di eventi.

Primo fra tutti la recessione economica mondiale del 2010 che è ora entrata in una nuova fase, caratterizzata da una crisi massiva della finanza pubblica che ha riguardato in particolare l’Europa. Tale fenomeno ha indotto parecchi governi ad annunciare un taglio agli incentivi per l’energia solare. Anche perché, allo stesso tempo, il prezzo del gas naturale è stato contenuto grazie alle nuove tecnologie che consentono di estrarre gas direttamente dalla roccia, riducendo così le emissioni di carbonio; ciò ha reso meno competitive le fonti rinnovabili.

Oltre alla crisi economica, ancora in atto, altri fatti hanno minato la sicurezza, la stabilità economica e l’ambiente. La perdita di petrolio nel golfo del Messico ed i conseguenti gravi danni ambientali ne sono un esempio. O ancora la c.d. primavera araba, tuttora in corso, che ha causato una maggiore volatilità del prezzo del petrolio e aggiunto instabilità al mercato energetico.

Inoltre la catastrofe di Fukushima in Giappone ha indotto altri Stati a rivedere il ruolo dell’energia nucleare nella produzione di energia elettrica.

Partendo dalle considerazioni esposte, il rapporto sottolinea come il ricorso alle energie rinnovabili stia crescendo in tutti i settori (in particolare quello dell’energia, del riscaldamento e dei trasporti) ed in gran parte dei Paesi, anche quelli con economie emergenti, e richieda quindi sempre maggiori investimenti. Mentre nel 2005 le scelte politiche pubbliche sulle fonti alternative riguardavano solo 55 Stati, nel 2011 il numero è salito a 118.

Nel 2009 le energie rinnovabili rappresentavano il 16% circa del consumo finale di energia (comprendendo le biomasse, l’energia idroelettrica, quella eolica, solare e geotermica ed i biocarburanti). Tali fonti energetiche hanno di fatto sostituito il carbon fossile e l’energia nucleare in quattro settori: produzione di energia, cottura e raffreddamento, trasporti e servizi agricoli fuori rete.

In particolare nel periodo 2005/2010 la capacità totale delle fonti rinnovabili ha raggiunto una media che si attesta tra il 15% e il 50% annuo.

Ma l’aspetto più interessante è la distribuzione geografica dei nuovi impianti.

Gli Stati Uniti, dove l’energia rinnovabile rappresenta il 10.9% della produzione energetica nazionale rispetto all’11.3% di quella nucleare, sono affiancati dalla Cina che vanta una capacità energetica nel settore fortemente in espansione (costituisce il 26% della produzione di energia elettrica, il 18% della produzione energetica e il 9% dei consumi energetici finali).

La Cina è infatti la maggiore installatrice mondiale di turbine eoliche e di sistemi solari termici ed ha il primato anche come produttrice di energia idroelettrica.

Sono presenti nel marcato della produzione di energie alternative anche la Germania, che ormai conta su un 11% di energie da fonti rinnovabili (l’energia eolica primeggia con un 36%, seguita da biomasse, energia idroelettrica e fotovoltaico) ed alcuni Stati europei che si sono riconvertiti all’energia eolica (Danimarca al 22%, Portogallo al 21%, Spagna al 15.4% e Irlanda al 10.1%).

Ma la geopolitica degli investimenti sulle fonti alternative sta cambiando rapidamente. Paesi come India e Brasile si affacciano su questi nuovi mercati: la prima è la quinta potenza mondiale nel settore eolico e sta sviluppando altre forme di energia rinnovabili come biomasse ed energia solare; il secondo detiene virtualmente la produzione mondiale di etanolo da canna da zucchero, oltre a quella di energia idroelettrica, biomasse ed energia eolica.

Inoltre sono entrati a sorpresa nel mercato delle energie rinnovabili anche 20 Paesi dell’Africa settentrionale, dell’Africa centrale e orientale, oltre all’area sub sahariana.

Nel complesso questo settore in espansione impiega direttamente più di 3.5 milioni di lavoratori, oltre la metà impiegati nell’industria dei biocombustibili, con un indotto elevatissimo.

Gli investimenti che girano intorno al settore hanno raggiunto i 211 bilioni di dollari nel 2010 rispetto ai 160 del 2009 e, per la prima volta, gli investimenti dei Paesi in via di sviluppo hanno superato quelli dei c.d. Paesi industrializzati.

La sola Cina, con 49 bilioni di dollari, ha effettuato un terzo degli investimenti mondiali mantenendo per il secondo anno consecutivo la leadership. La Cina è tallonata dagli Stati Uniti (con circa 58 bilioni di dollari cioè il 58% in più rispetto all’anno precedente) e dalla Germania. Quest’ultima ha fatto investimenti nel settore per 6,7 bilioni di dollari, senza contare però i 34.3 bilioni di dollari che sono serviti per finanziare progetti di piccole dimensioni, in particolare i pannelli voltaici sui tetti delle abitazioni.

Nel complesso i paesi c.d. Industrializzati hanno messo in campo una serie di interventi poderosi che, tuttavia, sono stati superati in termini assoluti da quelli avviati dai Paesi emergenti, sebbene il tasso di investimento risulta superiore nei Paesi con economie mature: Il Belgio ha incrementato gli investimenti del 40%, il Canada del 47%, l’Italia addirittura del 248% e gli Stati Uniti del 58%, mentre i tassi di crescita delle fonti rinnovabili per India e Brasile sono stati rispettivamente del 25% e del 5% (vale a dire di 3.8 e 7 bilioni di dollari).

L’Italia, in particolare, è balzata dal nono al terzo posto per investimenti sull’energia rinnovabile, grazie soprattutto agli incentivi feed in tariffs (incentivi da kWh prodotti da impianti fotovoltaici).

Tra i Paesi in via di sviluppo sono comunque gli Stati dell’America latina (escluso il Brasile) che hanno impresso una svolta significativa al settore delle energie rinnovabili. Per esempio il Messico ha incrementato gli investimenti nella percentuale del 348%. Ma non sono stati da meno neppure l’Argentina, con una media del 568% (ben 480 milioni di dollari), il Perù (480 milioni) ed il Cile (960 milioni).

Da ultimo, vale la pena di ricordare che i settori di intervento a sostegno delle energie rinnovabili hanno riguardato soprattutto le politiche di regolazione, l’introduzione di incentivi fiscali adeguati ed i finanziamenti pubblici. Il Rapporto Ren 21 (Renowable Global Status Report), pubblicato a luglio del 2011, fa il punto sulla situazione mondiale delle fonti rinnovabili.

Il documento, che è stato commissionato nel corso della precedente conferenza del 2005, è il prodotto della collaborazione di un network (Renewable Energy Policy Network for the 21st Century) che opera in seno al Worldwatch Institute, cui contribuiscono oltre un centinaio di ricercatori su base prevalentemente volontaria.

Il Rapporto analizza lo sviluppo e l’impatto che hanno avuto le fonti rinnovabili e che peraltro è stato influenzato da una serie di eventi.

Primo fra tutti la recessione economica mondiale del 2010 che è ora entrata in una nuova fase, caratterizzata da una crisi massiva della finanza pubblica che ha riguardato in particolare l’Europa. Tale fenomeno ha indotto parecchi governi ad annunciare un taglio agli incentivi per l’energia solare. Anche perché, allo stesso tempo, il prezzo del gas naturale è stato contenuto grazie alle nuove tecnologie che consentono di estrarre gas direttamente dalla roccia, riducendo così le emissioni di carbonio; ciò ha reso meno competitive le fonti rinnovabili.

Oltre alla crisi economica, ancora in atto, altri fatti hanno minato la sicurezza, la stabilità economica e l’ambiente. La perdita di petrolio nel golfo del Messico ed i conseguenti gravi danni ambientali ne sono un esempio. O ancora la c.d. primavera araba, tuttora in corso, che ha causato una maggiore volatilità del prezzo del petrolio e aggiunto instabilità al mercato energetico.

Inoltre la catastrofe di Fukushima in Giappone ha indotto altri Stati a rivedere il ruolo dell’energia nucleare nella produzione di energia elettrica.

Partendo dalle considerazioni esposte, il rapporto sottolinea come il ricorso alle energie rinnovabili stia crescendo in tutti i settori (in particolare quello dell’energia, del riscaldamento e dei trasporti) ed in gran parte dei Paesi, anche quelli con economie emergenti, e richieda quindi sempre maggiori investimenti. Mentre nel 2005 le scelte politiche pubbliche sulle fonti alternative riguardavano solo 55 Stati, nel 2011 il numero è salito a 118.

Nel 2009 le energie rinnovabili rappresentavano il 16% circa del consumo finale di energia (comprendendo le biomasse, l’energia idroelettrica, quella eolica, solare e geotermica ed i biocarburanti). Tali fonti energetiche hanno di fatto sostituito il carbon fossile e l’energia nucleare in quattro settori: produzione di energia, cottura e raffreddamento, trasporti e servizi agricoli fuori rete.

In particolare nel periodo 2005/2010 la capacità totale delle fonti rinnovabili ha raggiunto una media che si attesta tra il 15% e il 50% annuo.

Ma l’aspetto più interessante è la distribuzione geografica dei nuovi impianti.

Gli Stati Uniti, dove l’energia rinnovabile rappresenta il 10.9% della produzione energetica nazionale rispetto all’11.3% di quella nucleare, sono affiancati dalla Cina che vanta una capacità energetica nel settore fortemente in espansione (costituisce il 26% della produzione di energia elettrica, il 18% della produzione energetica e il 9% dei consumi energetici finali).

La Cina è infatti la maggiore installatrice mondiale di turbine eoliche e di sistemi solari termici ed ha il primato anche come produttrice di energia idroelettrica.

Sono presenti nel marcato della produzione di energie alternative anche la Germania, che ormai conta su un 11% di energie da fonti rinnovabili (l’energia eolica primeggia con un 36%, seguita da biomasse, energia idroelettrica e fotovoltaico) ed alcuni Stati europei che si sono riconvertiti all’energia eolica (Danimarca al 22%, Portogallo al 21%, Spagna al 15.4% e Irlanda al 10.1%).

Ma la geopolitica degli investimenti sulle fonti alternative sta cambiando rapidamente. Paesi come India e Brasile si affacciano su questi nuovi mercati: la prima è la quinta potenza mondiale nel settore eolico e sta sviluppando altre forme di energia rinnovabili come biomasse ed energia solare; il secondo detiene virtualmente la produzione mondiale di etanolo da canna da zucchero, oltre a quella di energia idroelettrica, biomasse ed energia eolica.

Inoltre sono entrati a sorpresa nel mercato delle energie rinnovabili anche 20 Paesi dell’Africa settentrionale, dell’Africa centrale e orientale, oltre all’area sub sahariana.

Nel complesso questo settore in espansione impiega direttamente più di 3.5 milioni di lavoratori, oltre la metà impiegati nell’industria dei biocombustibili, con un indotto elevatissimo.

Gli investimenti che girano intorno al settore hanno raggiunto i 211 bilioni di dollari nel 2010 rispetto ai 160 del 2009 e, per la prima volta, gli investimenti dei Paesi in via di sviluppo hanno superato quelli dei c.d. Paesi industrializzati.

La sola Cina, con 49 bilioni di dollari, ha effettuato un terzo degli investimenti mondiali mantenendo per il secondo anno consecutivo la leadership. La Cina è tallonata dagli Stati Uniti (con circa 58 bilioni di dollari cioè il 58% in più rispetto all’anno precedente) e dalla Germania. Quest’ultima ha fatto investimenti nel settore per 6,7 bilioni di dollari, senza contare però i 34.3 bilioni di dollari che sono serviti per finanziare progetti di piccole dimensioni, in particolare i pannelli voltaici sui tetti delle abitazioni.

Nel complesso i paesi c.d. Industrializzati hanno messo in campo una serie di interventi poderosi che, tuttavia, sono stati superati in termini assoluti da quelli avviati dai Paesi emergenti, sebbene il tasso di investimento risulta superiore nei Paesi con economie mature: Il Belgio ha incrementato gli investimenti del 40%, il Canada del 47%, l’Italia addirittura del 248% e gli Stati Uniti del 58%, mentre i tassi di crescita delle fonti rinnovabili per India e Brasile sono stati rispettivamente del 25% e del 5% (vale a dire di 3.8 e 7 bilioni di dollari).

L’Italia, in particolare, è balzata dal nono al terzo posto per investimenti sull’energia rinnovabile, grazie soprattutto agli incentivi feed in tariffs (incentivi da kWh prodotti da impianti fotovoltaici).

Tra i Paesi in via di sviluppo sono comunque gli Stati dell’America latina (escluso il Brasile) che hanno impresso una svolta significativa al settore delle energie rinnovabili. Per esempio il Messico ha incrementato gli investimenti nella percentuale del 348%. Ma non sono stati da meno neppure l’Argentina, con una media del 568% (ben 480 milioni di dollari), il Perù (480 milioni) ed il Cile (960 milioni).

Da ultimo, vale la pena di ricordare che i settori di intervento a sostegno delle energie rinnovabili hanno riguardato soprattutto le politiche di regolazione, l’introduzione di incentivi fiscali adeguati ed i finanziamenti pubblici.