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Lo scambio di emissione di gas serra

Abstract

Il meccanismo dello scambio dei diritti di emissione di gas serra, introdotto dal Protocollo di Kyoto del 1997 tra le azioni di contrasto al riscaldamento globale, è stato recepito dall'Unione europea solo nel 2003. Il meccanismo, che faceva parte di un pacchetto di misure innovative, stenta ancora a decollare. Infatti gli Stati membri hanno nella quasi generalità accolto il principio della riduzione delle emissioni di gas serra, e in particolare di anidride carbonica, ma mostrano una certa resistenza ad utilizzare lo strumento dello scambio nel mercato finanziario. Studi recenti evidenziano però i pro e i contro del meccanismo che, aggravato dalla incertezza sulla qualificazione giuridica delle quote di scambio, amplifica i dubbi sull'utilizzo spregiudicato di un dispositivo che incide sulle scelte strategiche del mercato energetico.

 Il Libro Verde sullo scambio dei diritti di emissione

Il mercato delle emissioni di gas serra è stato di fatto istituzionalizzato dalla direttiva sull'emission trading del 2003 che ha recepito, a livello comunitario, i principi del Protocollo di Kyoto. Ma prodromica alla direttiva è stata la presentazione, da parte della Commissione, del c.d. Libro Verde [Libro Verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra all'interno dell'Unione Europea, 8 marzo 2000] con il quale, prendendo atto che l’Unione Europea è una dei firmatari del Protocollo di Kyoto e una delle 39 Parti che hanno accettato l'imposizione di limiti quantitativi, è stata elaborata la nozione di scambio dei diritti di emissione.

"Lo scambio dei diritti di emissione è un meccanismo in base al quale alle imprese vengono assegnate delle quote per le emissioni di gas ad effetto serra in base ad obiettivi ambientali generali fissati dai rispettivi governi. Tali quote possono essere successivamente scambiate (comprate e vendute) tra le varie imprese”. Il totale delle quote assegnate rappresenta, quindi, il limite massimo consentito alle emissioni.

In base agli accordi di Kyoto ciascuno Stato risponde delle azioni compiute dalle imprese coinvolte nello scambio. L'Unione ha scelto la gradualità, ritenendo di concentrarsi prioritariamente sull'emissione di biossido di carbonio (CO2), che rappresenta da sola circa l'80% delle emissioni di gas a effetto serra. [Le altre emissioni comprendono: metano (CH2), protossido di azoto (N2O), idro-fluorocarburi (HFCs), perfluorocarburi (PFCs), esafluoruro di zolfo (SF6)]

Il meccanismo dello scambio di emissioni tra imprese (cedente e cessionaria) presenta, almeno a livello teorico, una serie di vantaggi:

  • certezza dell'effetto positivo sull'ambiente, considerata la presenza di un limite massimo di emissioni autorizzate;
  • trasparenza del meccanismo di determinazione dei prezzi;
  • stimolo alla competitività tra le imprese.

In particolari la quantità complessiva consentita di emissioni è funzionale al numero di permessi stabiliti dall'autorità pubblica sulla base del livello massimo di inquinamento previsto per ciascuno Stato. I permessi concessi dall'autorità e distribuiti tra le imprese autorizzate determinano, dunque, il livello di inquinamento consentito alle medesime. L'impresa che inquina in misura inferiore rispetto al numero di permessi in suo possesso riceve una quantità di crediti che può conservare o vendere sul mercato. Ovviamente conviene vendere i permessi se i costi marginali di abbattimento dell'inquinamento sono inferiori al prezzo di mercato dei permessi. “La commercializzazione dei permessi è uno dei meccanismi che concorre ad ottimizzare il rapporto costi/benefici derivanti dalla riduzione di gas serra.” Le imprese che hanno bassi costi di abbattimento preferiranno interventi diretti, altrimenti (cioè se hanno costi di abbattimento elevati) troveranno conveniente ricorrere all'acquisto di permessi.

I permessi possono essere venduti solo tra Stati sulla base di accordi internazionali. Quanto all'attuazione del meccanismo, lo scambio di emissioni può svilupparsi secondo due soluzioni alternative:

  1. ciascuno Stato gestisce il sistema e l'Unione si limita al ruolo di supervisore del piano nazionale al fine di controllare il rispetto degli impegni comunitari;
  2. si costruisce un piano comunitario che adotta misure armonizzate sia per l'elaborazione che per la regolamentazione dello scambio.

Il Libro Verde prende però in esame anche una terza opzione, di compromesso, che, pur aderendo ad un programma comunitario, lascia i singoli Stati liberi di definire le modalità di attuazione.

Più in generale il rapporto esamina le criticità del meccanismo di scambio.

Un primo problema riguarda l'individuazione dei settori presi in considerazione che sono limitati a quello della siderurgia, della raffinazione, della chimica inorganica e della pasta da carte che, da soli, coprono circa il 45% delle emissioni.

Altra zona d'ombra, nel caso di assegnazione dei diritti di emissione alle imprese, è rappresentata dal fatto che gli Stati potrebbero adottare decisioni strategiche ammettendo alcuni settori allo scambio e dispensandone altri. In sostanza la disciplina dello scambio potrebbe tradursi in una forma surrettizia di aiuti di stato con finalità potenzialmente distorsive per il mercato.

Ovviamente tale rischio sarebbe ridotto nel caso di un accordo a livello comunitario che garantisca l'equa ripartizione delle quote di emissione tra i diversi settori.

Ulteriori criticità dipendono dai metodi di assegnazione delle quote che oltre alla vendita all'asta prevedono l'assegnazione gratuita ovvero l'assegnazione sulla base dei diritti acquisiti o grandfathering.

Il criterio delle aste, ripercorso dal Libro Verde e che pure non è stato adottato a livello europeo, si basa sul principio comunitario “chi inquina paga” e presenta il vantaggio che i proventi delle vendite possono essere utilizzati direttamente per abbattere le emissioni di gas serra. Questa soluzione avrebbe anche consentito di superare le criticità legate alla scelta di particolari imprese o settori cui assegnare le quote di emissione. Nell'occasione la Commissione ha messo in guardia sulla necessità di armonizzare i metodi di assegnazione delle quote per evitare che le imprese di uno Stato membro che hanno acquistato i diritti tramite l'asta siano discriminate rispetto alle imprese che hanno ricevuto l'assegnazione gratuita.

Nel documento la Commissione ha sottolineato le conseguenze dell'adozione, ai fini dello scambio, del parametro dei dati storici (es. le emissioni al 1990 come previsto dagli accordi di Kyoto) che “premierebbe le imprese che nel periodo di riferimento producevano la maggiore quantità di emissioni, penalizzando, invece, quelle che, già prima del 1990, avevano adottato tempestive misure di abbassamento delle stesse.”

 La direttiva

La direttiva n. 83/2003/CE ha recepito l'accordo di Kyoto con il quale è stata approvata una serie di interventi per la mitigazione del clima, cioè una serie di meccanismi flessibili - tra i quali, come sopra indicato, spicca lo scambio di emissioni (Emission Trading Scheme ETS) - che consentono a ciascun Paese di scambiare su un mercato internazionale creato ad hoc i permessi ad emettere GHG (greenhouse gas emissions - gas a effetto serra).

Gli altri due meccanismi flessibili contemplati dalla direttiva sono il c.d. meccanismo dello sviluppo pulito (Clean development mechanism CDM), che finanzia progetti eco-sostenibili nei Paesi in via di sviluppo, e l'attuazione congiunta (Joint implementation GJ) ovvero progetti eco-sostenibili di cofinanziamento e cosviluppo verso paesi con economia in transizione.

Il primo sistema consente agli Stati industrializzati indicati nell'Annesso I di realizzare, senza vincoli di emissione, progetti che riducono l'emissione di gas serra nei Paesi in via di sviluppo.

Il secondo, invece, è uno strumento di cooperazione tra gli stessi Stati dell'Annesso I che sono obbligati a ridurre i gas serra e ha trovato terreno privilegiato nelle economie di transizione, prioritariamente dell'est europeo, caratterizzati da bassi costi marginali di abbattimento.

Con l'accordo di Kyoto i 15 Stati [Gran Bretagna, Germania, Svezia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Finlandia, Grecia, Danimarca, Italia, Irlanda, Austria, Portogallo, Spagna], che all'epoca costituivano l'Unione hanno stabilito, tra l'altro, di ridurre le emissioni di gas serra dell'8% rispetto ai livelli degli anni '90 [Pari a una riduzione di 336 milioni di tonnellate di CO2] nel periodo dal 2008 al 2012, [Analysis of GHG emissions trends and projections in Europe 2004, B. Gugele, M. Cames e C. Handley EEA European Environmental Agency, 2005] seppure in percentuale diversa. Successivamente tale obiettivo è stato condiviso anche dagli altri Stati entrati nell'Unione.

In particolare, per quota di emissione si intende il “diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato, valido unicamente per rispettare le disposizioni della presente direttiva e cedibile conformemente alla medesima”.

La direttiva disciplina sia il metodo che le modalità di assegnazione e di rilascio dei permessi:

  • quanto al primo aspetto, per il triennio che decorre dal 2005 e per il quinquennio decorrente dal 2008, gli Stati assegnano a titolo gratuito rispettivamente almeno il 95% e il 90% delle quote di emissione;
  • quanto al secondo, gli Stati procedono all'assegnazione sulla base del piano nazionale precedentemente approvato. In proposito, il predetto piano (NAP) deve indicare sia la quantità totale di permessi assegnati alle imprese di ciascun Paese (in base ai criteri stabiliti nel protocollo di Kyoto e nel “burden sharing agreement”), sia le modalità di distribuzione tra i soggetti che operano nel mercato (distinti per settori industriali e per impianti presenti in ciascun settore).

La Direttiva si preoccupa di definire una serie di variabili: le categorie di attività interessate (che rispettano le indicazioni del Libro Verde); la tipologia dei gas serra; i criteri per i piani nazionali di assegnazione delle quote e i principi in materia di controllo delle emissioni di biossido di carbonio.

In pratica dal 1° gennaio 2005, data di avvio del sistema, i gestori delle attività che emettono gas serra devono essere appositamente autorizzati a tale esercizio e l'autorizzazione subisce una revisione al massimo quinquennale.   La quantità di quote annuali rilasciate dovrà diminuire in misura lineare a partire dal 2013. Gli operatori autorizzati saranno liberi di acquistare o vendere permessi.

Il sistema prevede che vengano messe all'asta solo le quote che non sono state assegnate gratuitamente e la metà del relativo introito deve essere utilizzato per perseguire i seguenti scopi:

  • ridurre le emissioni dei gas a effetto serra;
  • sviluppare le energie rinnovabili e altre tecnologie che contribuiscono alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio;
  • favorire misure atte ad evitare la deforestazione e ad accrescere la forestazione e la riforestazione;
  • favorire il sequestro mediante silvicoltura;
  • incentivare la cattura e lo stoccaggio geologico;
  • incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni; finanziare la ricerca e lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle tecnologie pulite;
  • favorire misure intese ad aumentare l’efficienza energetica e l’isolamento delle abitazioni;
  • coprire le spese amministrative connesse alla gestione del sistema europeo.

I permessi negoziabili, insieme alle tasse ambientali e agli incentivi fiscali, rappresentano uno strumento di mercato che influenza dunque i costi e i benefici in modo da incentivare un comportamento virtuoso nelle imprese che tendono ad investire nell'innovazione per ridurre gli effetti negativi sull'ambiente. Inoltre presentano il vantaggio della flessibilità e della capacità di includere nel prezzo finale alcuni costi di cui non si era tenuto conto, procedendo alla c.d. integrazione dei costi esterni.

Il sistema adottato con la direttiva è quello “cap and trade” ovvero viene fissato un limite massimo alle emisioni per ciascun partecipante, in relazione al quale vengono emesse le quote di emissione che saranno oggetto di scambio. L'unico vincolo è che le imprese possono detenere un numero di quote pari alle emissioni autorizzate. Gli stessi permessi, in ambito comunitario, sono assegnati gratuitamente sulla base dei livelli storici di emissione secondo il principio “grandfathering”.

Soltanto alcuni Stati europei hanno preferito allocare parte limitata dei loro permessi attraverso procedure d'asta: per esempio, Danimarca (5%), Ungheria (2,4%), Lituania (1,5%) e Irlanda (0,75%).

Tuttavia proprio la gratuità presenta dei limiti, in quanto, da un lato, tende a favorire le imprese che già operano sul mercato (c.d. incumbent) rispetto ai nuovi entranti e, dall'altro, anche l'approccio storico può ridurre i livelli di concorrenza del settore. Tale ultimo aspetto pone ulteriori criticità dal momento che, pur presentandosi come un sistema meno arbitrario, rischia di avvantaggiare le imprese più inquinanti e spingere all'adozione di comportamenti strategici perversi e contraddittori.

La necessità di verificare il rispetto sull'osservanza delle quote e attuare un monitoraggio si è tradotta nell'emanazione del regolamento n. 920/2010, relativo ad un sistema standardizzato e sicuro di registri, adottato in applicazione della direttiva del 2003.

 Sviluppi recenti

La Direttiva ripropone le quattro fasi della calendarizzazione degli interventi: della prima, dal 2005 al 2007, si è già detto.

Nel secondo periodo del Protocollo di Kyoto (2008-2012), 25 Paesi UE (tutti, quindi, ad eccezione di Cipro e Malta), oltre a Croazia, Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtestein, hanno ridotto la quota di emissioni.

Dal 2013 al 2020 si apre il terzo periodo di transizione dell'Unione europea per la riduzione di emissioni che entro il 2050 dovranno scendere dall'80 al 95% rispetto al 1990 che imporranno un grande sforzo agli Stati membri. Per esempio, le proiezioni aggregate per il 2030 indicano una riduzione approssimativa del 30% rispetto al 1990, mentre il costo effettivo delle riduzioni dovrebbe ammontare al 40%.

Da quest’anno è iniziata la terza fase degli accordi previsti da Kyoto che consisterà nella revisione del sistema di scambio.

L’Unione si è impegnata infatti a ridurre le emissioni totali del 20% entro il 2020 e contestualmente ad incrementare del 20% l’energia prodotta da fonti rinnovabili, riducendo nella stessa percentuale i consumi di energia. (il c.d. pacchetto 20-20-20).

I cambiamenti proposti riguardano in particolare:

  • un modesto ampliamento del sistema con l’aggiunta di alcuni settori che emettono gas a effetto serra (dal 2012 è stato incluso anche il settore aereo);
  • l’armonizzazione del sistema con l’introduzione di un unico tetto di quote di emissione fissato su base europea piuttosto che limiti diversi per ciascuno Stato membro;
  • una riduzione dell’1,74% del tetto su base annuale entro il 2020. Per tale data il numero complessivo delle quote di emissione dovrà essere inferiore del 21% rispetto ai livelli del 2005;
  • la progressiva eliminazione dell’assegnazione gratuita delle quote. Infatti dal 2013 almeno il 50% delle quote dovrà essere messo all’asta fino a raggiungere la totalità entro il 2027, con deroghe eccezionali solo per alcuni settori ad alta intensità tecnologica;
  • armonizzazione delle modalità di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni;
  • integrazione del sistema con altri obbligatori nei Paesi terzi, non solo a livello statale, ma anche regionale e locale;
  • armonizzazione delle regole che riguardano anche gli altri sistemi flessibili; possibilità di esclusione dal sistema di piccoli impianti responsabili dell’emissione di quantità ridotte di CO2, purché adottino misure con effetto equivalente sulle loro emissioni.

Molti Stati UE hanno stimato che nel 2020 il sistema di scambio di emissioni sarà inferiore [Greenhouse Gas Emission trends and Projections in Europe 2012. Tracking Progress  Towards Kyoto and 2020 Targets, EEA Report, n. 6/2012] all'obiettivo assegnato dal Pacchetto Clima ed Energia nel 2009 e saranno perciò necessari ulteriori sforzi per raggiungere il traguardo. Il sistema di scambio di emissioni (ETS Emission trading System), che rappresenta approssimativamente il 40% delle emissioni di gas serra nell'UE, è stato introdotto proprio per aiutare i singoli Stati ad assolvere l'impegno di Kyoto. Ma nel periodo 2008/2011, a causa della crisi economica, le emissioni sono state al di sotto della soglia del 5%.

Va precisato che non tutti i 27 Stati hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto, ratificato prima del 2004, e che comunque l’applicazione della riduzione non è stata né sarà uniforme. Per esempio, nel 2007 l'UE ha deciso per una contrazione del 20% delle emissioni di gas serra che corrisponde ad una riduzione del 14% nel periodo 2005-2020, sebbene la decisione n. 406/2009/EC consenta ai 27 Paesi membri di stabilire target diversi. In particolare le proiezioni mostrano che 13 Paesi (Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Lituania,  Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Gran Bretagna) potrebbero raggiungere l'obiettivo 2020 solo con le politiche nazionali. Altri 8 Paesi (Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Italia, Lituania e Slovenia) centreranno l'obiettivo solo con implementazione di misure ad hoc. I restanti 6 Paesi (Belgio, Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo e Malta) non rispetteranno l'impegno né con le politiche nazionali né con ulteriori strumenti di sostegno, sebbene per la Spagna il divario è minimo.

I registri nazionali

Ogni Stato per annotare l'entità delle quote complessive adotta i registri nazionali “istituiti sotto forma di banche dati elettroniche standardizzate contenenti elementi di dati.”  Il sistema di registri normalizzati, disciplinato con il regolamento n. 920/2010  consente di controllare il rilascio, la detenzione, il trasferimento e la cancellazione delle quote. Tali registri, la cui tenuta deve rispettare le regole del Regolamento europeo n. 2216/2004, garantiscono inoltre l'accesso dei cittadini all'informazione, la riservatezza e il rispetto delle disposizioni del protocollo di Kyoto.

 “In Europa operano tre tipi di registri:

  1. il primo, messo a punto in Francia dalla Caisse des Depots et Consignations, è utilizzato da Francia, Belgio, Germania e altri Paesi dell'Europa del sud e dell'Est;
  2. il secondo, messo a punto in Gran Bretagna, dal DEFRA (Department for Environment, Food and Rural Affairs; secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purché venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units”(ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;
  3. il terzo, messo a punto e utilizzato in Austria. i clean development mechanisms (meccanismi per lo sviluppo pulito), il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.

L'Italia e la Gran Bretagna hanno firmato un accordo di licenza in seguito al quale il nostro Paese ha potuto avvalersi del software per il Registro prodotto dal DEFRA, noto con il nome di GRETA (Greenhouse gas Registry for Emissions Trading Arrangments)”. [Mercato delle emissioni ad effetto serra, P. Fabbri e E. Cicigoi, Il Mulino, 2007]

La posizione dell'Italia rispetto agli impegno comunitari è stata fortemente influenzata dalla complessa situazione del mercato energetico. Non a caso, “l'integrazione al Piano Nazionale italiano e il successivo Schema di decisione, che costituivano completamento fondamentale al Piano, sono arrivati con notevole ritardo sul tavolo della Commissione europea. Era infatti previsto che i Piani di assegnazione per il periodo 2005-7, che rappresentano una tappa fondamentale nel recepimento della direttiva in quanto determinano il numero delle quote che ogni Stato membro assegna non solo ai settori ma anche ai singoli impianti, fossero pubblicati e notificati alla Commissione europea per la valutazione entro il 31 marzo 2004. Invece solo 5 Paesi hanno adempiuto agli obblighi previsti (Germania, Finlandia, Danimarca, Austria e Irlanda).” [I meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto. Opportunità e prospettive per le imprese italiane, a cura di Michele Villa, Hoepli, 2006]

Le difficoltà che hanno originato il ritardo del Piano italiano sono legate soprattutto all’assegnazione export nel settore elettrico, conseguenza sia della forte dipendenza dell’Italia dall’importazione di energia elettrica dall’estero che degli elevati costi della stessa. A ciò si aggiunge l’effetto della rinuncia al nucleare che, secondo alcuni autori, è penalizzante per la produzione di energia elettrica generata prevalentemente da fonti fossili considerate “carbon intensive”.

Conclusioni

L'Italia ha ratificato il protocollo di Kyoto con legge n. 120/2002 riconoscendo gli obblighi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Già prima sulla materia erano intervenute la delibera CIPE n. 137/1998 (poi emendata da quella n. 123/2002) e la delibera n. 218/1998: la prima indica gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni e le linee guida per contrastare il cambiamento climatico; la seconda ha introdotto il Piano Nazionale per informare su tale cambiamento.

Infine con D.Lgs. n. 216/2006 è stata recepita la direttiva sulle emissioni, in base alla quale le imprese vincolate possono utilizzare le seguenti modalità di scambio (trading) delle quote di CO2 (EUAs) e dei crediti (CERs e ERUs):

  1. operazioni bilaterali che avvengano tra due imprese nel caso in cui entrambe hanno raggiunto un accordo di compravendita;
  2. operazioni di interscambio che sono, invece, mediate dalla presenza di un broker o di una banca.

Attualmente le transazioni avvengono tramite le piattaforme di scambio delle quote di emissione di gas serra (la prima è stata predisposta dal Gestore del mercato elettrico – GME) che però non sono ancora collegate al registro nazionale.

 Il rapporto tra l’Italia e la Commissione in tema di determinazione delle quote di emissione non è stato semplice e il Paese ha cercato, in relazione alla peculiarità della struttura produttiva energetica, soprattutto nel terzo periodo 2013-2020, di ottenere modifiche alle misure stabilite con il regolamento di attuazione della direttiva 2003/87/EC. [Italian contribution to the debate on the Review of the European Union Emission Trading System, documento tratto da European Commission’s “Climate Action” web site, 2012]

Il governo italiano ha fatto presente, per esempio, che lo squilibrio tra domanda ed offerta di quote ha effetto sul prezzo dei prodotti carboniferi solo come misura eccezionale da applicarsi una tantum. Conservare la flessibilità nella vendita all’asta delle quote consente infatti di gestire l’eccessiva fluttuazione dei prezzi.

Un’altra difficoltà evidenziata dall’Italia riguarda l’immediato adeguamento sia alle procedure che alle misure predisposte dalla Commissione in tema di mercato del carbone.

Per quanto riguarda le procedure, l’Organo comunitario ha risposto che tale richiesta dovrebbe essere affrontata nell'ambito delle procedure legislative ordinarie predisposte dall’Unione, senza necessità di deroghe. Inoltre il mancato rispetto degli obiettivi programmati rischia di introdurre nel mercato del carbone troppi elementi di incertezza ed imprevedibilità, con riferimento soprattutto alle entrate previste. Il risultato potrebbe perciò compromettere l’esito delle politiche pubbliche nazionali di contrasto al cambiamento climatico.

Per quanto concerne, invece, le misure strutturali, la Commissione ritiene che siano necessarie per mantenere la stabilità del prezzo del carbone a lungo termine. Tale stabilità serve inoltre ad assicurare la certezza delle entrate che garantiscono a ciascun Governo di rispettare le previsioni dei Piani nazionali.

Le perplessità manifestate dall’Italia sono certamente legate alle caratteristiche del mercato energetico nazionale e alle note difficoltà finanziarie, ma raccolgono pure le perplessità avanzate da alcuni settori produttivi e da gruppi ambientalisti [ A Dangerous Obsession. The evidence against carbon trading and for real solutions to avoid  a climate crunch, Sarah-Jayne Clifton, Report, Friends of the Earth]. I limiti del sistema di scambio di emissioni influenzano certamente il raggiungimento degli obiettivi di politica economica e la velocità di transizione verso tecnologie a minore impatto ambientale.

Ridurre le emissioni puntando esclusivamente sul sistema degli scambi potrebbe infatti rivelarsi addirittura controproducente. Il sistema degli scambi, così come concepito, potrebbe - secondo alcuni autori - produrre bolle finanziarie del tipo di quelle che hanno condotto alla crisi del 2008. Intorno al meccanismo girano ormai molti interessi (nel 2008 sono stati impegnati nella compravendita di quote di emissioni di CO2 ben 126 miliardi di euro che sembrano destinati a crescere considerevolmente), ma paradossalmente gli scambi non riguardano il mercato reale quanto quello finanziario e rischiano di trasformarsi in complessi prodotti finanziari in mano a speculatori.

Gli scarsi risultati raggiunti giustificherebbero le perplessità, tanto più che il meccanismo della compensazione (ovvero della possibilità di compensare le proprie emissioni investendo in progetti delocalizzati a basso contenuto di carbonio) non promuove l’efficienza a differenza di altri strumenti come la tassazione ambientale o gli investimenti pubblici diretti.

Resta poi l’incognita dei permessi gratuiti nei confronti di determinati settori definiti a carbon leakage, che altrimenti delocalizzerebbero per evitare costi eccessivi di produzione. Si tratta peraltro di settori trainanti (siderurgia, estrazione del carbone e raffinazione del petrolio) che possono influenzare le strategie nazionali di impiego delle risorse energetiche.

Abstract

Il meccanismo dello scambio dei diritti di emissione di gas serra, introdotto dal Protocollo di Kyoto del 1997 tra le azioni di contrasto al riscaldamento globale, è stato recepito dall'Unione europea solo nel 2003. Il meccanismo, che faceva parte di un pacchetto di misure innovative, stenta ancora a decollare. Infatti gli Stati membri hanno nella quasi generalità accolto il principio della riduzione delle emissioni di gas serra, e in particolare di anidride carbonica, ma mostrano una certa resistenza ad utilizzare lo strumento dello scambio nel mercato finanziario. Studi recenti evidenziano però i pro e i contro del meccanismo che, aggravato dalla incertezza sulla qualificazione giuridica delle quote di scambio, amplifica i dubbi sull'utilizzo spregiudicato di un dispositivo che incide sulle scelte strategiche del mercato energetico.

 Il Libro Verde sullo scambio dei diritti di emissione

Il mercato delle emissioni di gas serra è stato di fatto istituzionalizzato dalla direttiva sull'emission trading del 2003 che ha recepito, a livello comunitario, i principi del Protocollo di Kyoto. Ma prodromica alla direttiva è stata la presentazione, da parte della Commissione, del c.d. Libro Verde [Libro Verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra all'interno dell'Unione Europea, 8 marzo 2000] con il quale, prendendo atto che l’Unione Europea è una dei firmatari del Protocollo di Kyoto e una delle 39 Parti che hanno accettato l'imposizione di limiti quantitativi, è stata elaborata la nozione di scambio dei diritti di emissione.

"Lo scambio dei diritti di emissione è un meccanismo in base al quale alle imprese vengono assegnate delle quote per le emissioni di gas ad effetto serra in base ad obiettivi ambientali generali fissati dai rispettivi governi. Tali quote possono essere successivamente scambiate (comprate e vendute) tra le varie imprese”. Il totale delle quote assegnate rappresenta, quindi, il limite massimo consentito alle emissioni.

In base agli accordi di Kyoto ciascuno Stato risponde delle azioni compiute dalle imprese coinvolte nello scambio. L'Unione ha scelto la gradualità, ritenendo di concentrarsi prioritariamente sull'emissione di biossido di carbonio (CO2), che rappresenta da sola circa l'80% delle emissioni di gas a effetto serra. [Le altre emissioni comprendono: metano (CH2), protossido di azoto (N2O), idro-fluorocarburi (HFCs), perfluorocarburi (PFCs), esafluoruro di zolfo (SF6)]

Il meccanismo dello scambio di emissioni tra imprese (cedente e cessionaria) presenta, almeno a livello teorico, una serie di vantaggi:

  • certezza dell'effetto positivo sull'ambiente, considerata la presenza di un limite massimo di emissioni autorizzate;
  • trasparenza del meccanismo di determinazione dei prezzi;
  • stimolo alla competitività tra le imprese.

In particolari la quantità complessiva consentita di emissioni è funzionale al numero di permessi stabiliti dall'autorità pubblica sulla base del livello massimo di inquinamento previsto per ciascuno Stato. I permessi concessi dall'autorità e distribuiti tra le imprese autorizzate determinano, dunque, il livello di inquinamento consentito alle medesime. L'impresa che inquina in misura inferiore rispetto al numero di permessi in suo possesso riceve una quantità di crediti che può conservare o vendere sul mercato. Ovviamente conviene vendere i permessi se i costi marginali di abbattimento dell'inquinamento sono inferiori al prezzo di mercato dei permessi. “La commercializzazione dei permessi è uno dei meccanismi che concorre ad ottimizzare il rapporto costi/benefici derivanti dalla riduzione di gas serra.” Le imprese che hanno bassi costi di abbattimento preferiranno interventi diretti, altrimenti (cioè se hanno costi di abbattimento elevati) troveranno conveniente ricorrere all'acquisto di permessi.

I permessi possono essere venduti solo tra Stati sulla base di accordi internazionali. Quanto all'attuazione del meccanismo, lo scambio di emissioni può svilupparsi secondo due soluzioni alternative:

  1. ciascuno Stato gestisce il sistema e l'Unione si limita al ruolo di supervisore del piano nazionale al fine di controllare il rispetto degli impegni comunitari;
  2. si costruisce un piano comunitario che adotta misure armonizzate sia per l'elaborazione che per la regolamentazione dello scambio.

Il Libro Verde prende però in esame anche una terza opzione, di compromesso, che, pur aderendo ad un programma comunitario, lascia i singoli Stati liberi di definire le modalità di attuazione.

Più in generale il rapporto esamina le criticità del meccanismo di scambio.

Un primo problema riguarda l'individuazione dei settori presi in considerazione che sono limitati a quello della siderurgia, della raffinazione, della chimica inorganica e della pasta da carte che, da soli, coprono circa il 45% delle emissioni.

Altra zona d'ombra, nel caso di assegnazione dei diritti di emissione alle imprese, è rappresentata dal fatto che gli Stati potrebbero adottare decisioni strategiche ammettendo alcuni settori allo scambio e dispensandone altri. In sostanza la disciplina dello scambio potrebbe tradursi in una forma surrettizia di aiuti di stato con finalità potenzialmente distorsive per il mercato.

Ovviamente tale rischio sarebbe ridotto nel caso di un accordo a livello comunitario che garantisca l'equa ripartizione delle quote di emissione tra i diversi settori.

Ulteriori criticità dipendono dai metodi di assegnazione delle quote che oltre alla vendita all'asta prevedono l'assegnazione gratuita ovvero l'assegnazione sulla base dei diritti acquisiti o grandfathering.

Il criterio delle aste, ripercorso dal Libro Verde e che pure non è stato adottato a livello europeo, si basa sul principio comunitario “chi inquina paga” e presenta il vantaggio che i proventi delle vendite possono essere utilizzati direttamente per abbattere le emissioni di gas serra. Questa soluzione avrebbe anche consentito di superare le criticità legate alla scelta di particolari imprese o settori cui assegnare le quote di emissione. Nell'occasione la Commissione ha messo in guardia sulla necessità di armonizzare i metodi di assegnazione delle quote per evitare che le imprese di uno Stato membro che hanno acquistato i diritti tramite l'asta siano discriminate rispetto alle imprese che hanno ricevuto l'assegnazione gratuita.

Nel documento la Commissione ha sottolineato le conseguenze dell'adozione, ai fini dello scambio, del parametro dei dati storici (es. le emissioni al 1990 come previsto dagli accordi di Kyoto) che “premierebbe le imprese che nel periodo di riferimento producevano la maggiore quantità di emissioni, penalizzando, invece, quelle che, già prima del 1990, avevano adottato tempestive misure di abbassamento delle stesse.”

 La direttiva

La direttiva n. 83/2003/CE ha recepito l'accordo di Kyoto con il quale è stata approvata una serie di interventi per la mitigazione del clima, cioè una serie di meccanismi flessibili - tra i quali, come sopra indicato, spicca lo scambio di emissioni (Emission Trading Scheme ETS) - che consentono a ciascun Paese di scambiare su un mercato internazionale creato ad hoc i permessi ad emettere GHG (greenhouse gas emissions - gas a effetto serra).

Gli altri due meccanismi flessibili contemplati dalla direttiva sono il c.d. meccanismo dello sviluppo pulito (Clean development mechanism CDM), che finanzia progetti eco-sostenibili nei Paesi in via di sviluppo, e l'attuazione congiunta (Joint implementation GJ) ovvero progetti eco-sostenibili di cofinanziamento e cosviluppo verso paesi con economia in transizione.

Il primo sistema consente agli Stati industrializzati indicati nell'Annesso I di realizzare, senza vincoli di emissione, progetti che riducono l'emissione di gas serra nei Paesi in via di sviluppo.

Il secondo, invece, è uno strumento di cooperazione tra gli stessi Stati dell'Annesso I che sono obbligati a ridurre i gas serra e ha trovato terreno privilegiato nelle economie di transizione, prioritariamente dell'est europeo, caratterizzati da bassi costi marginali di abbattimento.

Con l'accordo di Kyoto i 15 Stati [Gran Bretagna, Germania, Svezia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Finlandia, Grecia, Danimarca, Italia, Irlanda, Austria, Portogallo, Spagna], che all'epoca costituivano l'Unione hanno stabilito, tra l'altro, di ridurre le emissioni di gas serra dell'8% rispetto ai livelli degli anni '90 [Pari a una riduzione di 336 milioni di tonnellate di CO2] nel periodo dal 2008 al 2012, [Analysis of GHG emissions trends and projections in Europe 2004, B. Gugele, M. Cames e C. Handley EEA European Environmental Agency, 2005] seppure in percentuale diversa. Successivamente tale obiettivo è stato condiviso anche dagli altri Stati entrati nell'Unione.

In particolare, per quota di emissione si intende il “diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato, valido unicamente per rispettare le disposizioni della presente direttiva e cedibile conformemente alla medesima”.

La direttiva disciplina sia il metodo che le modalità di assegnazione e di rilascio dei permessi:

  • quanto al primo aspetto, per il triennio che decorre dal 2005 e per il quinquennio decorrente dal 2008, gli Stati assegnano a titolo gratuito rispettivamente almeno il 95% e il 90% delle quote di emissione;
  • quanto al secondo, gli Stati procedono all'assegnazione sulla base del piano nazionale precedentemente approvato. In proposito, il predetto piano (NAP) deve indicare sia la quantità totale di permessi assegnati alle imprese di ciascun Paese (in base ai criteri stabiliti nel protocollo di Kyoto e nel “burden sharing agreement”), sia le modalità di distribuzione tra i soggetti che operano nel mercato (distinti per settori industriali e per impianti presenti in ciascun settore).

La Direttiva si preoccupa di definire una serie di variabili: le categorie di attività interessate (che rispettano le indicazioni del Libro Verde); la tipologia dei gas serra; i criteri per i piani nazionali di assegnazione delle quote e i principi in materia di controllo delle emissioni di biossido di carbonio.

In pratica dal 1° gennaio 2005, data di avvio del sistema, i gestori delle attività che emettono gas serra devono essere appositamente autorizzati a tale esercizio e l'autorizzazione subisce una revisione al massimo quinquennale.   La quantità di quote annuali rilasciate dovrà diminuire in misura lineare a partire dal 2013. Gli operatori autorizzati saranno liberi di acquistare o vendere permessi.

Il sistema prevede che vengano messe all'asta solo le quote che non sono state assegnate gratuitamente e la metà del relativo introito deve essere utilizzato per perseguire i seguenti scopi:

  • ridurre le emissioni dei gas a effetto serra;
  • sviluppare le energie rinnovabili e altre tecnologie che contribuiscono alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio;
  • favorire misure atte ad evitare la deforestazione e ad accrescere la forestazione e la riforestazione;
  • favorire il sequestro mediante silvicoltura;
  • incentivare la cattura e lo stoccaggio geologico;
  • incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni; finanziare la ricerca e lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle tecnologie pulite;
  • favorire misure intese ad aumentare l’efficienza energetica e l’isolamento delle abitazioni;
  • coprire le spese amministrative connesse alla gestione del sistema europeo.

I permessi negoziabili, insieme alle tasse ambientali e agli incentivi fiscali, rappresentano uno strumento di mercato che influenza dunque i costi e i benefici in modo da incentivare un comportamento virtuoso nelle imprese che tendono ad investire nell'innovazione per ridurre gli effetti negativi sull'ambiente. Inoltre presentano il vantaggio della flessibilità e della capacità di includere nel prezzo finale alcuni costi di cui non si era tenuto conto, procedendo alla c.d. integrazione dei costi esterni.

Il sistema adottato con la direttiva è quello “cap and trade” ovvero viene fissato un limite massimo alle emisioni per ciascun partecipante, in relazione al quale vengono emesse le quote di emissione che saranno oggetto di scambio. L'unico vincolo è che le imprese possono detenere un numero di quote pari alle emissioni autorizzate. Gli stessi permessi, in ambito comunitario, sono assegnati gratuitamente sulla base dei livelli storici di emissione secondo il principio “grandfathering”.

Soltanto alcuni Stati europei hanno preferito allocare parte limitata dei loro permessi attraverso procedure d'asta: per esempio, Danimarca (5%), Ungheria (2,4%), Lituania (1,5%) e Irlanda (0,75%).

Tuttavia proprio la gratuità presenta dei limiti, in quanto, da un lato, tende a favorire le imprese che già operano sul mercato (c.d. incumbent) rispetto ai nuovi entranti e, dall'altro, anche l'approccio storico può ridurre i livelli di concorrenza del settore. Tale ultimo aspetto pone ulteriori criticità dal momento che, pur presentandosi come un sistema meno arbitrario, rischia di avvantaggiare le imprese più inquinanti e spingere all'adozione di comportamenti strategici perversi e contraddittori.

La necessità di verificare il rispetto sull'osservanza delle quote e attuare un monitoraggio si è tradotta nell'emanazione del regolamento n. 920/2010, relativo ad un sistema standardizzato e sicuro di registri, adottato in applicazione della direttiva del 2003.

 Sviluppi recenti

La Direttiva ripropone le quattro fasi della calendarizzazione degli interventi: della prima, dal 2005 al 2007, si è già detto.

Nel secondo periodo del Protocollo di Kyoto (2008-2012), 25 Paesi UE (tutti, quindi, ad eccezione di Cipro e Malta), oltre a Croazia, Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtestein, hanno ridotto la quota di emissioni.

Dal 2013 al 2020 si apre il terzo periodo di transizione dell'Unione europea per la riduzione di emissioni che entro il 2050 dovranno scendere dall'80 al 95% rispetto al 1990 che imporranno un grande sforzo agli Stati membri. Per esempio, le proiezioni aggregate per il 2030 indicano una riduzione approssimativa del 30% rispetto al 1990, mentre il costo effettivo delle riduzioni dovrebbe ammontare al 40%.

Da quest’anno è iniziata la terza fase degli accordi previsti da Kyoto che consisterà nella revisione del sistema di scambio.

L’Unione si è impegnata infatti a ridurre le emissioni totali del 20% entro il 2020 e contestualmente ad incrementare del 20% l’energia prodotta da fonti rinnovabili, riducendo nella stessa percentuale i consumi di energia. (il c.d. pacchetto 20-20-20).

I cambiamenti proposti riguardano in particolare:

  • un modesto ampliamento del sistema con l’aggiunta di alcuni settori che emettono gas a effetto serra (dal 2012 è stato incluso anche il settore aereo);
  • l’armonizzazione del sistema con l’introduzione di un unico tetto di quote di emissione fissato su base europea piuttosto che limiti diversi per ciascuno Stato membro;
  • una riduzione dell’1,74% del tetto su base annuale entro il 2020. Per tale data il numero complessivo delle quote di emissione dovrà essere inferiore del 21% rispetto ai livelli del 2005;
  • la progressiva eliminazione dell’assegnazione gratuita delle quote. Infatti dal 2013 almeno il 50% delle quote dovrà essere messo all’asta fino a raggiungere la totalità entro il 2027, con deroghe eccezionali solo per alcuni settori ad alta intensità tecnologica;
  • armonizzazione delle modalità di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni;
  • integrazione del sistema con altri obbligatori nei Paesi terzi, non solo a livello statale, ma anche regionale e locale;
  • armonizzazione delle regole che riguardano anche gli altri sistemi flessibili; possibilità di esclusione dal sistema di piccoli impianti responsabili dell’emissione di quantità ridotte di CO2, purché adottino misure con effetto equivalente sulle loro emissioni.

Molti Stati UE hanno stimato che nel 2020 il sistema di scambio di emissioni sarà inferiore [Greenhouse Gas Emission trends and Projections in Europe 2012. Tracking Progress  Towards Kyoto and 2020 Targets, EEA Report, n. 6/2012] all'obiettivo assegnato dal Pacchetto Clima ed Energia nel 2009 e saranno perciò necessari ulteriori sforzi per raggiungere il traguardo. Il sistema di scambio di emissioni (ETS Emission trading System), che rappresenta approssimativamente il 40% delle emissioni di gas serra nell'UE, è stato introdotto proprio per aiutare i singoli Stati ad assolvere l'impegno di Kyoto. Ma nel periodo 2008/2011, a causa della crisi economica, le emissioni sono state al di sotto della soglia del 5%.

Va precisato che non tutti i 27 Stati hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto, ratificato prima del 2004, e che comunque l’applicazione della riduzione non è stata né sarà uniforme. Per esempio, nel 2007 l'UE ha deciso per una contrazione del 20% delle emissioni di gas serra che corrisponde ad una riduzione del 14% nel periodo 2005-2020, sebbene la decisione n. 406/2009/EC consenta ai 27 Paesi membri di stabilire target diversi. In particolare le proiezioni mostrano che 13 Paesi (Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Lituania,  Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Gran Bretagna) potrebbero raggiungere l'obiettivo 2020 solo con le politiche nazionali. Altri 8 Paesi (Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Italia, Lituania e Slovenia) centreranno l'obiettivo solo con implementazione di misure ad hoc. I restanti 6 Paesi (Belgio, Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo e Malta) non rispetteranno l'impegno né con le politiche nazionali né con ulteriori strumenti di sostegno, sebbene per la Spagna il divario è minimo.

I registri nazionali

Ogni Stato per annotare l'entità delle quote complessive adotta i registri nazionali “istituiti sotto forma di banche dati elettroniche standardizzate contenenti elementi di dati.”  Il sistema di registri normalizzati, disciplinato con il regolamento n. 920/2010  consente di controllare il rilascio, la detenzione, il trasferimento e la cancellazione delle quote. Tali registri, la cui tenuta deve rispettare le regole del Regolamento europeo n. 2216/2004, garantiscono inoltre l'accesso dei cittadini all'informazione, la riservatezza e il rispetto delle disposizioni del protocollo di Kyoto.

 “In Europa operano tre tipi di registri:

  1. il primo, messo a punto in Francia dalla Caisse des Depots et Consignations, è utilizzato da Francia, Belgio, Germania e altri Paesi dell'Europa del sud e dell'Est;
  2. il secondo, messo a punto in Gran Bretagna, dal DEFRA (Department for Environment, Food and Rural Affairs; secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purché venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units”(ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;
  3. il terzo, messo a punto e utilizzato in Austria. i clean development mechanisms (meccanismi per lo sviluppo pulito), il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.

L'Italia e la Gran Bretagna hanno firmato un accordo di licenza in seguito al quale il nostro Paese ha potuto avvalersi del software per il Registro prodotto dal DEFRA, noto con il nome di GRETA (Greenhouse gas Registry for Emissions Trading Arrangments)”. [Mercato delle emissioni ad effetto serra, P. Fabbri e E. Cicigoi, Il Mulino, 2007]

La posizione dell'Italia rispetto agli impegno comunitari è stata fortemente influenzata dalla complessa situazione del mercato energetico. Non a caso, “l'integrazione al Piano Nazionale italiano e il successivo Schema di decisione, che costituivano completamento fondamentale al Piano, sono arrivati con notevole ritardo sul tavolo della Commissione europea. Era infatti previsto che i Piani di assegnazione per il periodo 2005-7, che rappresentano una tappa fondamentale nel recepimento della direttiva in quanto determinano il numero delle quote che ogni Stato membro assegna non solo ai settori ma anche ai singoli impianti, fossero pubblicati e notificati alla Commissione europea per la valutazione entro il 31 marzo 2004. Invece solo 5 Paesi hanno adempiuto agli obblighi previsti (Germania, Finlandia, Danimarca, Austria e Irlanda).” [I meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto. Opportunità e prospettive per le imprese italiane, a cura di Michele Villa, Hoepli, 2006]

Le difficoltà che hanno originato il ritardo del Piano italiano sono legate soprattutto all’assegnazione export nel settore elettrico, conseguenza sia della forte dipendenza dell’Italia dall’importazione di energia elettrica dall’estero che degli elevati costi della stessa. A ciò si aggiunge l’effetto della rinuncia al nucleare che, secondo alcuni autori, è penalizzante per la produzione di energia elettrica generata prevalentemente da fonti fossili considerate “carbon intensive”.

Conclusioni

L'Italia ha ratificato il protocollo di Kyoto con legge n. 120/2002 riconoscendo gli obblighi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Già prima sulla materia erano intervenute la delibera CIPE n. 137/1998 (poi emendata da quella n. 123/2002) e la delibera n. 218/1998: la prima indica gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni e le linee guida per contrastare il cambiamento climatico; la seconda ha introdotto il Piano Nazionale per informare su tale cambiamento.

Infine con D.Lgs. n. 216/2006 è stata recepita la direttiva sulle emissioni, in base alla quale le imprese vincolate possono utilizzare le seguenti modalità di scambio (trading) delle quote di CO2 (EUAs) e dei crediti (CERs e ERUs):

  1. operazioni bilaterali che avvengano tra due imprese nel caso in cui entrambe hanno raggiunto un accordo di compravendita;
  2. operazioni di interscambio che sono, invece, mediate dalla presenza di un broker o di una banca.

Attualmente le transazioni avvengono tramite le piattaforme di scambio delle quote di emissione di gas serra (la prima è stata predisposta dal Gestore del mercato elettrico – GME) che però non sono ancora collegate al registro nazionale.

 Il rapporto tra l’Italia e la Commissione in tema di determinazione delle quote di emissione non è stato semplice e il Paese ha cercato, in relazione alla peculiarità della struttura produttiva energetica, soprattutto nel terzo periodo 2013-2020, di ottenere modifiche alle misure stabilite con il regolamento di attuazione della direttiva 2003/87/EC. [Italian contribution to the debate on the Review of the European Union Emission Trading System, documento tratto da European Commission’s “Climate Action” web site, 2012]

Il governo italiano ha fatto presente, per esempio, che lo squilibrio tra domanda ed offerta di quote ha effetto sul prezzo dei prodotti carboniferi solo come misura eccezionale da applicarsi una tantum. Conservare la flessibilità nella vendita all’asta delle quote consente infatti di gestire l’eccessiva fluttuazione dei prezzi.

Un’altra difficoltà evidenziata dall’Italia riguarda l’immediato adeguamento sia alle procedure che alle misure predisposte dalla Commissione in tema di mercato del carbone.

Per quanto riguarda le procedure, l’Organo comunitario ha risposto che tale richiesta dovrebbe essere affrontata nell'ambito delle procedure legislative ordinarie predisposte dall’Unione, senza necessità di deroghe. Inoltre il mancato rispetto degli obiettivi programmati rischia di introdurre nel mercato del carbone troppi elementi di incertezza ed imprevedibilità, con riferimento soprattutto alle entrate previste. Il risultato potrebbe perciò compromettere l’esito delle politiche pubbliche nazionali di contrasto al cambiamento climatico.

Per quanto concerne, invece, le misure strutturali, la Commissione ritiene che siano necessarie per mantenere la stabilità del prezzo del carbone a lungo termine. Tale stabilità serve inoltre ad assicurare la certezza delle entrate che garantiscono a ciascun Governo di rispettare le previsioni dei Piani nazionali.

Le perplessità manifestate dall’Italia sono certamente legate alle caratteristiche del mercato energetico nazionale e alle note difficoltà finanziarie, ma raccolgono pure le perplessità avanzate da alcuni settori produttivi e da gruppi ambientalisti [ A Dangerous Obsession. The evidence against carbon trading and for real solutions to avoid  a climate crunch, Sarah-Jayne Clifton, Report, Friends of the Earth]. I limiti del sistema di scambio di emissioni influenzano certamente il raggiungimento degli obiettivi di politica economica e la velocità di transizione verso tecnologie a minore impatto ambientale.

Ridurre le emissioni puntando esclusivamente sul sistema degli scambi potrebbe infatti rivelarsi addirittura controproducente. Il sistema degli scambi, così come concepito, potrebbe - secondo alcuni autori - produrre bolle finanziarie del tipo di quelle che hanno condotto alla crisi del 2008. Intorno al meccanismo girano ormai molti interessi (nel 2008 sono stati impegnati nella compravendita di quote di emissioni di CO2 ben 126 miliardi di euro che sembrano destinati a crescere considerevolmente), ma paradossalmente gli scambi non riguardano il mercato reale quanto quello finanziario e rischiano di trasformarsi in complessi prodotti finanziari in mano a speculatori.

Gli scarsi risultati raggiunti giustificherebbero le perplessità, tanto più che il meccanismo della compensazione (ovvero della possibilità di compensare le proprie emissioni investendo in progetti delocalizzati a basso contenuto di carbonio) non promuove l’efficienza a differenza di altri strumenti come la tassazione ambientale o gli investimenti pubblici diretti.

Resta poi l’incognita dei permessi gratuiti nei confronti di determinati settori definiti a carbon leakage, che altrimenti delocalizzerebbero per evitare costi eccessivi di produzione. Si tratta peraltro di settori trainanti (siderurgia, estrazione del carbone e raffinazione del petrolio) che possono influenzare le strategie nazionali di impiego delle risorse energetiche.