Art. 316-ter - Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di erogazioni pubbliche (1)

1. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, (1-bis) finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000. (2) (3)

2. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 300/2000. L'originaria rubrica è stata modificata dall'art. 2, comma 1, lett. c), n. 1, DL n. 13/2022.

(1-bis) La parola "sovvenzioni" è stata introdotta dall'art. 2, comma 1, lett. c), n. 2, DL n. 13/2022.

(2) Il penultimo periodo di questo comma è stato introdotto dalla L. 3/2019.

(3) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, lettera b) del D. Lgs. 75/2020.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

L’ambito applicativo del delitto di cui all’art. 316-ter è stato del resto approfondito sia dalle Sezioni unite che dalla Corte costituzionale. Le Sezioni Unite sono intervenute con due decisioni. Con la prima (SU, 16568/2007)  hanno tracciato i confini tra la fattispecie criminosa di cui all’art. 316-ter e quella di cui all’art. 640-bis, sottolineando  in linea con l’orientamento della Corte costituzionale  che l’introduzione nel codice penale dell’art. 316-ter ha risposto all’intento di estendere la punibilità a condotte “decettive” (in danno di enti pubblici o comunitari) non incluse nell’ambito operativo della fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; di modo che, fermi i limiti tradizionali della fattispecie di truffa, vanno inquadrate nella fattispecie di cui all’art. 316-ter le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente erogatore, con la conseguente compressione dell’art. 316-ter a situazioni del tutto marginali, “come quello del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale”. Le Sezioni unite, con la sentenza in esame, hanno perciò affermato il principio secondo cui “vanno ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 316-ter  e non a quella di truffa  le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore per l’ente erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto”. Con la seconda decisione (SU, 7537/2011), le Sezioni unite sono poi tornate sul tema e, proseguendo sulla strada tracciata dalla propria precedente sentenza, hanno affermato il principio secondo il quale l’art. 316-ter punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende dai una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente. Valorizzando la collocazione dell’art. 316-ter tra i delitti contro la pubblica amministrazione e considerando che gli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma evidenziano chiaramente la volontà del legislatore di perseguire la percezione sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le quali l’indebita percezione si è realizzata, le Sezioni unite hanno precisato il principio sopra enunciato nel senso che, ai fini dell’integrazione del delitto di cui 316-ter, nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità. Orbene, alla stregua di quanto detto, deve ritenersi che il delitto di cui all’art. 316-ter prescinde sia dall’esistenza di artifici o raggiri, sia dalla induzione in errore, sia dall’esistenza di un danno patrimoniale patito dalla persona offesa, elementi tutti che caratterizzano il delitto di truffa. Ciò che è richiesto dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 316-ter è l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere (ovvero l’omissione di informazioni dovute) da cui derivi il conseguimento indebito di erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, da cui derivi, cioè, il conseguimento di erogazioni cui non si ha diritto. Tali erogazioni, poi, possono consistere indifferentemente o nell’ottenimento di una somma di danaro oppure nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta (Sez. 2, 7594/2019).

L’art. 316-ter configura un reato di pericolo e non di danno (Sez. 6, 35220/2013).

Il reato di cui all’art. 316-ter è posto a tutela della libera formazione della volontà della P.A.  con riguardo ai flussi di erogazione e distribuzione delle risorse economiche,  al fine di impedirne l’indebito conseguimento (Sez. 2, 53639/2018).

Con riferimento al delitto ex art. 316-ter il superamento della soglia quantitativa, oltre la quale l’illecito amministrativo integra il reato, non configura una semplice condizione obiettiva di punibilità, ma un elemento costitutivo della fattispecie, e come tale, deve essere oggetto di rappresentazione e volontà (Sez. 6, 38292/2015) soprattutto perché la scelta di prevedere una “soglia” non risponde alla necessità di punire o meno il soggetto, bensì di diversamente punirlo con una “sanzione amministrativa” che potrebbe, in ipotesi, essere anche più afflittiva rispetto a quella penale per la maggiore “effettività” che spesso caratterizza la tempestività di detto intervento repressivo. Ciò posto deve ritenersi che, allorché la legge penale fissi una soglia al di sotto della quale la condotta perde la sua rilevanza penale per assumere la valenza di mera sanzione amministrativa, l’esclusione della possibilità che detta «soglia» configuri una condizione oggettiva di punibilità, costituendo invece un elemento costitutivo del reato, fa sì che la sua mancata integrazione comporti l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” (Sez. 6, 7203/2019).

Ai fini della configurabilità del reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato, per la valutazione del superamento o meno della soglia quantitativa (pari ad euro 3.999,96) al di sotto della quale, ai sensi dell’art. 316-ter, comma secondo, il fatto degrada a mero illecito amministrativo, occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario, e non di quella allo stesso mensilmente corrisposta (Sez. 6, 11145/2010).

In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, la produzione all'ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali integra il reato di cui all'art. 316-ter, anziché quello di truffa aggravata, qualora l'ente non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (Sez. 2, 37610/2019).

La configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter prescinde dal fatto che l’erogazione avvenga in unica soluzione ovvero in ratei periodici, ma richiede di accertare se l’agente abbia agito con gli artifici indicati dalla norma e si sia rappresentato e abbia voluto conseguire indebitamente erogazioni del tipo indicato dalla norma, in misura superiore a euro 3.999,96 (Sez. 6, 51962/2019).

Il reato di cui all’art. 316-ter si consuma quando l’agente consegue la disponibilità concreta dell’erogazione, sicché nel caso di erogazioni protratte nel tempo, il momento consumativo del reato e, quindi, il termine da prendere in esame ai fini della prescrizione coincide con la cessazione dei pagamenti (Sez. 2, 48820/2013).

 

Rapporti con altre fattispecie

Il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche differisce da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni per la mancanza, nel primo reato, dell'elemento dell'induzione in errore mediante artifici e raggiri. In particolare integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter, ma non quello ex art.640-bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), la condotta di mero mendacio - nella fattispecie mediante omissione di informazioni dovute - mentre l'accertamento dell'induzione in errore costituisce un giudizio sul fatto rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sez. 6, 20932/2022).

La differenza tra il reato di cui all’art. 640-bis e quello di cui all’art. 316-ter sta nella diversa attività cui è tenuto l’Ente pubblico sostanzialmente ingannato dalla presentazione di falsa documentazione, nel senso che se l’attività è meramente ricognitiva e consiste nel fatto che l’Ente erogatore si limita a prendere atto del contenuto della documentazione prodotta si versa nell’ipotesi di cui all’art. 316-ter mentre se è tenuto ad effettuare i controlli ed è tratto in inganno la condotta ricade nell’alveo di cui all’art. 640-bis (Sez. 2, 10257/2019).

Il tratto differenziale tra le fattispecie di cui all’art. 316-bis e quelle di cui agli artt. 316-ter e 640-bis è rinvenibile nella violazione del vincolo di destinazione che grava sulle erogazioni ottenute, e che pacificamente non grava sulle erogazioni a fini assistenziali, mentre le differenze tra la fattispecie di cui all’art. 316-ter e il delitto di truffa di cui all’art. 640-bis discendono dai connotati delle condotte nel senso che la condotta di cui all’art. 316-ter non implica la induzione in errore o un danno per l’ente erogatore sicché il reato è ravvisabile in quelle situazioni del tutto marginali, come quella del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale perché il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche, sicché, in questi casi, l’erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale dichiarazione del richiedente (Sez. 6, 51962/2018).

Integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter e non quelli di truffa o di appropriazione indebita o di indebita compensazione ex art. 10-quater DLGS 74/2000, la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni (in motivazione, la Corte ha precisato che queste ultime possono consistere anche nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, non essendo necessario l’ottenimento di una somma di denaro) (Sez. 2, 47064/2017).

 

Casistica

Non può ritenersi integrato il reato previsto dall’art. 316-ter nell’ipotesi in cui il soggetto interessato ad ottenere il contributo a fondo perduto di cui all’art. 1 d.l. 22 marzo 2021, convertito nella legge 21 maggio 2021, n. 69, ometta di allegare all’istanza trasmessa all’Agenzia delle Entrate dichiarazione attestante di essere stato destinatario di un’informazione interdittiva antimafia; ciò, in quanto condizione ostativa all’accesso al contributo previsto dal decreto legge indicato è unicamente quella di essere destinatario delle misure di prevenzione previste dal libro 1, titolo I, capo II e, quindi, non anche la interdittiva antimafia (Sez. 6, 14731/2022).

Il reato di indebita percezione di erogazioni è configurabile anche quando il datore di lavoro, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità varie, ottenga dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso Istituto le corrispondenti erogazioni. Il reato si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’INPS, sulla base dei dati indicati sui modelli DM10, i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così  tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto  a percepire indebitamente l’erogazione dell’ente pubblico (Sez. 2, 4171/2019).

Il rilascio di un voucher rilasciato per la frequentazione di un corso di formazione deve essere compreso, a norma dell’art. 316-ter, tra i «contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee»Di fatti, la disposizione incriminatrice adotta una formula linguistica non necessariamente circoscritta alla materiale dazione di somme di denaro, ma tale da poter riguardare anche la formale attribuzione del diritto ad ottenere una prestazione pecuniaria a carico dello Stato o di altro ente pubblico. Il legislatore, infatti, non solo, per indicare i benefici rilevanti, ricorre ad una pluralità di espressioni e, in particolare, al sintagma di chiusura «altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate», manifestando così chiaramente l’intenzione di ampliare l’area di applicabilità della sanzione penale, ma, soprattutto, precisa che detti benefici possono essere «concessi o erogati». In particolare, il riferimento alla “concessione” del beneficio deve essere inteso come concernente anche la formale attribuzione del diritto alla prestazione pecuniaria, pur se non ancora seguita dalla materiale erogazione dello stesso. Invero, da un lato, il testo della disposizione, allorché precisa che i benefici possono essere «concessi o erogati», dimostra, con il ricorso alla particella disgiuntiva «o», di voler conferire alle due parole un significato autonomo, e quindi al vocabolo «concessi» un significato non coincidente con quello costituito dalla “materiale erogazione”. Dall’altro, secondo la comune accezione linguistica rinvenibile nei più diffusi vocabolari, «concedere» significa anche, e primariamente, «accordare dando il proprio formale assenso», e quindi non solo materialmente consegnare (Sez. 6, 21317/2018).