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Art. 422 - Strage

1. Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con la morte.

2. Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l’ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni.

Rassegna di giurisprudenza

Secondo la risalente e consolidata giurisprudenza di legittimità il reato di strage si configura quando gli atti compiuti siano tali da porre in pericolo la pubblica incolumità e non siano limitati ad offendere soltanto la vita di una singola persona (Sez. 1, 33459/2001). Il reato di cui all’art. 422, quindi, è da ritenersi consumato allorché la condotta posta in essere abbia la “capacità” di porre in pericolo la vita di più persone e determinare una strage, a prescindere che si verifichino o meno uno o più eventi letali (Sez. 1, 43681/2015). In questo senso il reato di strage ha la natura di reato a consumazione anticipata che determina l’inapplicabilità della disciplina del tentativo.

La previsione secondo la quale per la consumazione del delitto è sufficiente che il colpevole compia atti che abbiano l’idoneità a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato, infatti, comporta che si considera come delitto consumato un comportamento, che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe configurare una ipotesi di tentativo. In altre parole, la fattispecie consumata del delitto di strage presenta la stessa struttura del delitto tentato, ma è punita come delitto consumato, in considerazione dell’importanza degli interessi che essa tende a tutelare (Sez. 1, 11394/1991).

In tale contesto normativo, pertanto, la desistenza ed il recesso attivo non appaiono in astratto applicabili al delitto di strage: quando la condotta ha già posto in pericolo l’incolumità pubblica il reato si è perfezionato, prima che ciò accada gli atti non possono essere considerati idonei e pertanto non è configurabile il tentativo, presupposto logico e giuridico sia della desistenza volontaria che del recesso attivo (Sez. 2, 16054/2018, nella quale si evidenzia che presupposto della desistenza volontaria è il tentativo c.d. incompiuto e quello del recesso attivo il tentativo c.d. compiuto, cui segue la condotta dell’imputato che si attiva per scongiurare l’evento) (Sez. 2, 7835/2019).

Con riferimento al delitto di strage di cui all’art. 422, si è affermato che esso  in quanto reato a consumazione anticipata  non ammette il tentativo, con la rilevante specificazione, però, che per la consumazione del delitto è sufficiente che l’agente compia atti che abbiano l’idoneità a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato e, quindi, si considera come delitto consumato un comportamento, che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe configurare un’ipotesi di tentativo, di guisa che la fattispecie consumata del delitto di strage presenta la stessa struttura del delitto tentato, ma è punita come delitto consumato, in considerazione dell’importanza degli interessi, che essa tende a tutelare (Sez. 1, 11394/1991, richiamata da Sez. 2, 7835/2019).

Nel reato di strage il dolo consiste nella coscienza e volontà di porre in essere atti idonei a determinare pericolo per la vita e l’integrità fisica della collettività mediante violenza, con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone, al fine di cagionare la morte di un numero indeterminato di persone, e va desunto dalla natura del mezzo usato e da tutte le modalità dell’azione (Sez. 1, 43681/2015).

Il delitto di strage previsto dall’art. 422 non è punibile a titolo di colpa, non essendo ricompresa nel richiamo operato dall’art. 449, sia per la formulazione della norma che per l’incompatibilità della fattispecie colposa con il dolo specifico (il «fine di uccidere») che caratterizza la fattispecie dolosa (Sez. 4, 4675/2007).

In tema di delitti contro l’incolumità pubblica, poiché l’eventualità della morte di uno o più soggetti si configura come un’aggravante del delitto di strage, il delitto di omicidio resta in esso assorbito (Sez. 1, 16801/2004).

Si configura il delitto di strage allorché gli atti compiuti siano tali da porre in pericolo la pubblica incolumità e non siano limitati ad offendere soltanto la vita di una singola persona (Sez. 1, 33459/2001).

Correttamente il giudice di merito ritiene la sussistenza del delitto di strage e non di quello di omicidio volontario plurimo nel comportamento di appartenenti a un’associazione criminosa che, dopo avere fatto irruzione in un luogo aperto al pubblico, situato nel centro cittadino e frequentato da molte persone, abbia aperto il fuoco in maniera indiscriminata sia contro avversari non preventivamente designati sia contro persone estranee alla cosca avversaria, non rilevando che non si sia fatto ricorso a mezzi di natura tale (bombe o esplosivi) da cagionare la morte di un numero indeterminato di persone (Sez. 6, 3333/1999).

L’elemento materiale caratterizzante il delitto di strage è rappresentato dal compimento di atti aventi, obiettivamente, l’idoneità a determinare pericolo per la vita e l’integrità fisica della collettività mediante violenza (evento di pericolo), con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone (evento di danno); l’elemento psicologico consiste nella coscienza e volontà di tali atti, con la finalità (dolo specifico) di cagionare la morte di un numero indeterminato di persone, e va desunto dalla natura del mezzo usato e da tutte le modalità dell’azione.

Pertanto, al fine di stabilire se l’uccisione di più soggetti integri il delitto di strage ovvero quello di omicidio volontario plurimo, l’indagine di fatto deve essere globale, con speciale riguardo ai mezzi usati, alle modalità esecutive del reato ed alle circostanze ambientali che lo caratterizzano (Sez. 1, 1695/1994).

Ai fini della configurabilità del delitto di strage, il fine di uccidere  proprio perché integra il dolo specifico del reato  non può mai essere surrogato da forme degradate con quella del dolo eventuale. Ne consegue che la morte di una o più persone deve sempre rappresentare lo scopo specificamente perseguito dell’agente e non un evento che il soggetto, nel volerne un altro meno grave, si sia rappresentato come probabile o possibile conseguenza della propria determinazione, agendo anche a costo di provocarlo (Sez. 1, 5914/1990).

Il delitto di cui all’art. 285 si differenzia da quello di cui all’art. 422 unicamente per la presenza, nel primo, del dolo specifico costituito dalla intenzione che l’evento si ripercuota sulle istituzioni statuali come lesione anche alla personalità giuridica dello Stato. Il dolo specifico costituito dalla intenzione di uccidere, richiesto dall’art. 422, non può essere surrogato dal dolo eventuale che riguarda il dolo generico e che, essendo indiretto, è ontologicamente incompatibile con quello specifico (Sez. 1, 10233/1989).

L’elemento soggettivo del reato deve essere desunto, sul piano della concretezza processuale, cioè della prova, principalmente (quando manchino le ammissioni) dalle azioni che, estrinsecando le intenzioni, sono sintomatiche della volontà in tal modo esteriorizzata. Pertanto, in relazione al delitto di strage, caratterizzato dal dolo specifico costituito dal fine di uccidere, tale fine può essere desunto dagli elementi probatori, concreti e non meramente ipotetici, i quali diano sicura certezza della presenza di siffatto tipo di dolo (Sez. 1, 4851/1989).