Art. 437 - Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro
1. Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
2. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Rassegna di giurisprudenza
Il delitto di cui all’art. 437 richiede il dolo generico, inteso come coscienza e volontà di omettere le cautele dovute e della destinazione di dette cautele, e dunque come rappresentazione della presenza di violazioni alla normativa suddetta e come accettazione dei rischi connessi, consentendo l’operatività dello stabilimento nelle condizioni date (Sez. 1, 17214/2008).
È presupposto per la configurabilità della ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 l’attitudine, almeno astratta, dei presidi antinfortunistici, la cui mancanza ovvero inefficienza dolosa sia in discussione, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività lavorativa, e la cui verifica costituisce oggetto di una indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità (Sez. 1, 18168/2016).
Con specifico riferimento agli elementi differenziali tra il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e le lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, si è anche in passato precisato che il contenuto costitutivo del reato descritto dall’art. 437 e quello del reato di lesioni colpose sono tra loro sostanzialmente diversi e l’uno non comprende l’altro; infatti, nel reato di lesioni colpose l’elemento soggettivo è costituito appunto dalla colpa, mentre nel reato ex art. 437 è richiesto il dolo, che consiste nella coscienza di non adempiere l’obbligo giuridico di collocare gli impianti; nello schema legale tipico del primo non è inclusa la condotta costitutiva descritta nella fattispecie legale del secondo; i due reati si differenziano anche per la diversità dell’evento che nel delitto di cui all’art. 437 è costituito dal comune pericolo di disastro o di un infortunio il cui effettivo verificarsi non è elemento costitutivo del reato medesimo perché costituisce ove si realizzi, circostanza aggravante; invece, nel delitto di cui all’art. 590, l’evento è costituito dalle lesioni subite dalla parte offesa (Sez. 4, 6156/2018).
Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza del posto di lavoro, sì che la condotta contraria, oltre che integrare gli estremi del delitto di cui all’art. 437, si atteggia anche ad elemento costitutivo della colpa per inosservanza di leggi che connota il delitto di lesioni di cui all’art. 590 (Sez. 1, 459/1994).
È incontrastato che, pur trattandosi di un delitto contro l’incolumità pubblica, e segnatamente di un reato di pericolo, il riferimento all’infortunio” legittimi l’integrazione della fattispecie anche laddove il pericolo si sia verificato solamente per un singolo lavoratore.
La norma di cui all’art. 437 è infatti diretta alla tutela della pubblica incolumità contro eventi lesivi che possono verificarsi nello specifico ambiente di lavoro, per effetto di omissioni, rimozioni o danneggiamenti di apparecchi antinfortunistici, e comprende tra gli anzidetti eventi lesivi non solo il disastro, ma anche il semplice infortunio individuale: poiché in materia di prevenzione degli infortuni il concetto della pubblica incolumità è caratterizzato dall’indeterminatezza delle persone e non dal numero rilevante di esse che si possono trovare in una situazione di pericolo, la tutela concerne anche gli operai di una piccola fabbrica ed il delitto deve considerarsi realizzato anche nel caso in cui la situazione di pericolo possa coinvolgere la sola persona che si trovi ad essere addetta alla macchina priva di dispositivi e congegni atti a prevenire gli infortuni (Sez 1, 12464/2007).
La questione da dibattere è se in relazione al rapporto tra l’art. 437 e l’art. 179 CDS operi il principio di specialità di cui all’art. 9 L. 689/1981. Principio, secondo cui, in caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte. Preliminare appare, quindi, la disamina della struttura del reato e della violazione amministrativa del cui concorso si discute.
Il problema del concorso apparente richiede infatti la previa verifica dell’esistenza di un’area, comune e sovrapponibile, tra le condotte descritte nelle norme concorrenti; diversamente, se le condotte tipiche fossero diverse, neppure si porrebbe il problema di cui ci stiamo occupando perché si tratterebbe di una mera “interferenza” che può verificarsi, per esempio, nei casi in cui non si è in presenza di un medesimo fatto ma soltanto di una comune condotta.
Passando, pertanto, all’esame delle due fattispecie, va osservato che diversi risultano i beni giuridici tutelati rispettivamente dalla norma di cui all’art. 437 e dal disposto di cui all’ art. 179 CDS, atteso che quest’ultimo considera i soli rischi derivanti dalla circolazione stradale e quindi tutela la sicurezza di detta circolazione, mentre l’art. 437 tutela in via principale la sicurezza dei lavoratori, essendo limitato il suo ambito di operatività alle manomissioni dei dispositivi diretti a prevenire gli infortuni, e, solo per estensione, l’incolumità pubblica; con la conseguenza che detta fattispecie non è configurabile laddove vi sia un pericolo effettivo per l’incolumità pubblica, senza profili di rischio per la sicurezza dei lavoratori.
Il delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro è un delitto, doloso, di pericolo, ove il pericolo consiste nella verificazione, in conseguenza della condotta di rimozione o di omissione, del disastro o dell’infortunio, che costituisce, secondo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 437, una circostanza aggravante.
A ciò si aggiunga che il reato del codice penale, come evidenziato anche nell’ultima massima riportata, è punito esclusivamente a titolo di dolo, mentre la fattispecie di cui al CDS, essendo sanzionata solo in via amministrativa, può essere punita sia a titolo di dolo che di colpa.
Anche i destinatari e le condotte delle due disposizioni sono diversi, in quanto l’art. 437 punisce chi “omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia”, mentre l’art. 179 CDS solo chi “circola” o “il titolare della licenza o dell’autorizzazione al trasporto.....che mette in circolazione” un veicolo sprovvisto di cronotachigrafo o con “cronotachigrafo manomesso oppure non funzionante”, punendoli anche se non sono autori della manomissione, a differenza della norma penale (rispetto alla quale non può, quindi, definirsi specializzante), o anche se non sono a conoscenza della stessa.
Tanto osservato, la violazione del CDS oggetto di esame non può considerarsi speciale, se non per il fatto che attiene in modo specifico al “cronotachigrafo” (mentre la norma del codice penale parla più genericamente di “impianti, apparecchi o segnali”), rispetto al delitto di cui all’art. 437, da escluderne l’applicazione al caso concreto in esame.
Se è vero, quindi, che in linea di massima la diversità dei beni giuridici coinvolti non esclude il ricorso al summenzionato principio di specialità, è anche vero che nel caso di specie le diversità strutturali tra le fattispecie astratte sono tali da escludere che possa parlarsi di concorso apparente tra le disposizioni e da far ritenere, invece, applicabili, ove sussistenti i rispettivi presupposti, entrambe le norme.
Le finalità di tutela dell’art. 437, invero, esprimono una specificità propria, non sovrapponibile a quelle del CDS, sì da non potersi ritenere la norma codicistica generale rispetto a quella di cui all’art. 179 CDS e da ravvisare al più una mera “interferenza” (Sez. 1, 34107/2017).
L’art. 437 non specifica le misure di prevenzione che sono obbligatorie ma implicitamente rinvia, mediante il richiamo a condotte di tipo omissivo, alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, sempre che quest’ultima riguardi «apparecchi, impianti e segnali».
Pertanto, diversamente dalla ipotesi commissiva, dove soggetto attivo del reato può essere chiunque, la forma omissiva riguarda esclusivamente i soggetti investiti dagli obblighi di collocare impianti, apparecchi e segnali diretti a prevenire infortuni sul lavoro. Tra questi ultimi, in caso di subappalto, non vi è dubbio che debba annoverarsi anche l’appaltatore - subcommittente (Sez. 4, 9324/2014).
Poiché la consapevolezza dell’omissione delle misure prescritte, e comunque indispensabili per prevenire disastri o infortuni sul lavoro, e l’accettazione del pericolo insito nell’operare senza le stesse sono sufficienti ad integrare il delitto di cui all’art. 437, qualora si verifichino, benché non voluti, il disastro e l’infortunio sul lavoro, ricorre l’ipotesi di reato prevista dal secondo comma dell’art. 437, senza che il più grave evento non voluto sia idoneo a trasformare nel delitto semplicemente colposo di cui all’art. 451 la consapevole e voluta omissione delle misure e il pericolo connesso (Sez. 4, 10048/1994).