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Art. 648-ter - Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (1)

1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000 (2).

2. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l'arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi. (3)

3. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

4. La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al quarto (4) comma dell’articolo 648.

4. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 24, L. 55/1990 e poi così sostituito dall’art. 5, L. 328/1993.

(2) Comma così modificato dall’art. 3, comma 2, L. 186/2014.

(3) Comma introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera e), n. 1, D. Lgs. 295/2021.

(4) Il passato riferimento al secondo comma è stato sostituito dall'attuale dall'art. 1, comma 1, lettera e), n. 2, D. Lgs. 295/2021.

Rassegna di giurisprudenza

Non è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648bis o 648ter c.p. e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego nei confronti dell'associato abbia ad oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, operando in tal caso la clausola di riserva contenuta nelle predette disposizioni. Può, invece, configurarsi il concorso tra i reati sopra menzionati nel caso dell'associato che ricicli o reimpieghi proventi dei soli delitti-scopo alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun contributo causale (Sez. 6, 17014/2020).

L’art. 648-ter contiene una clausola di sussidiarietà, che prevede la non applicabilità della norma nei casi di concorso nel reato presupposto e nelle ipotesi in cui risultano realizzate fattispecie di ricettazione o di riciclaggio. Non vi è dubbio che la clausola di sussidiarietà rispetto alla ricettazione ed al riciclaggio finisce, in sostanza, con il privare la fattispecie, in buona parte, di significato pratico, riducendone lo spazio applicativo. Risulta, infatti, molto difficile trovare uno spazio di autonomia per l’art. 648-ter, sia rispetto all’art. 648-bis, che all’art. 648. E, invero, sembra alquanto difficile impiegare denaro di provenienza illecita senza ricettarlo, poiché in questi casi il reimpiego si atteggia come post factum non rilevante Si ritiene, in aderenza a quanto già affermato nelle sentenze 4800/2010 e 30429/2016 che la soluzione ermeneutica idonea a risolvere il problema del rapporto della fattispecie in questione con i delitti di ricettazione e/o di riciclaggio appare quella che si fonda sulla distinzione tra unicità o pluralità di comportamenti e determinazioni volitive. Sono esclusi dalla punibilità ex art. 648-ter coloro che abbiano già commesso il delitto di riciclaggio (o di ricettazione) e che, successivamente, con determinazione autonoma (al di fuori, cioè, della iniziale ricezione o sostituzione del denaro) abbiano poi impiegato ciò che era frutto già di delitti a loro addebitato; sono, invece, punibili coloro che, con unicità di determinazione teleologia originaria, hanno sostituito (o ricevuto) denaro per impiegarlo in attività economiche o finanziarie. Il discrimine passa, dunque, attraverso il criterio della pluralità ovvero della unicità di azioni (e delle determinazioni volitive ad esse sottese). Nel primo caso il soggetto risponde di riciclaggio con esclusione del 648-ter, nel secondo soltanto di quest’ultimo, risultando in esso “assorbita” la precedente attività di sostituzione o di ricezione. In altri termini, se taluno sostituisce denaro di provenienza illecita con altro denaro od altre unità e, poi, impieghi i proventi derivanti da tale opera di ripulitura in attività economiche o finanziarie, risponderà del solo reato di cui all’art. 648 bis proprio in forza della clausola “fuori dei casi previsti dagli artt. 648 e 648-bis”. Se, invece, il denaro di provenienza delittuosa venga direttamente impiegato in dette attività economiche o finanziarie ed esso venga, così, ripulito, il soggetto risponderà del reato di cui all’art. 648-ter. La ratio dell’art. 648-ter è quella di evitare l’inquinamento delle operazioni economico-finanziarie ed il conseguente turbamento del mercato, stroncando l’utilizzazione del denaro proveniente da reato, anche nell’ipotesi che non siano state compiute operazioni volte a mascherare l’origine delittuosa dei capitali (riciclaggio). L’assenza della locuzione «in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa» (presente, invece, nell’art. 648-bis) e l’abbandono di una prospettiva “accessoria” rispetto ai reati presupposto, fanno propendere per la natura plurioffensiva della fattispecie che, pur se collocata tra i delitti contro il patrimonio, appare maggiormente orientata alla tutela dalle aggressioni al mercato e all’ordine economico e ad evitare l’inquinamento delle operazioni economico-finanziarie (Sez. 2, 4800/2010). Scopo della norma è quello di tutelare l’inserimento nel tessuto economico lecito e sano di capitali sporchi. In sostanza la disposizione in esame si preoccupa di colpire tutte quelle operazioni insidiose in cui il denaro di provenienza illecita, immesso nel circuito lecito degli scambi commerciali, tende a far perdere le proprie tracce, camuffandosi nel tessuto economico-imprenditoriale. Solo tenendo presente tale criterio che attiene all’elemento della condotta del reato, può condividersi il principio, enunciato con riguardo all’elemento psicologico, secondo cui “le tre fattispecie di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter sarebbero accomunate dalla provenienza dei beni da delitto, e si distinguerebbero invece sotto il profilo soggettivo per il fatto che la ricettazione richiede solo il dolo di profitto, mentre la seconda e la terza richiedono la specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita, con l’ulteriore peculiarità, quanto alla terza, che detta finalità dev’essere perseguita mediante l’impiego delle risorse in attività economiche o finanziarie” (33076/2016).

L’assenza dell’idoneità dissimulatoria dell’azione criminosa non esclude l’inquadramento nella fattispecie prevista dall’art. 648-ter, della condotta di reimpiego, essendo, a tal fine, sufficiente la idoneità dell’azione all’inquinamento del mercato attraverso la consapevole immissione nel circuito economico di beni di provenienza illecita, a prescindere dalla concreta idoneità dissimulatoria dell’operazione. In tal senso SU, 25191/2014, che, dopo aver ribadito il carattere residuale che il legislatore ha inteso imprimere alla fattispecie in parola, rispetto ai delitti di ricettazione e riciclaggio, di cui si è già detto, rileva che il reato di cui all’art. 648-ter (che letteralmente non richiama la necessità della dissimulazione), pur avendo natura plurioffensiva, privilegia la tutela dell’ordine economico, che deve essere preservato da ogni attività di reimpiego di capitale illecito, idonea, anche quando non assuma carattere dissimulatorio, ad inquinare il mercato e il fisiologico sviluppo delle dinamiche economiche (Sez. 2, 35433/2018).

Il riciclaggio penalmente rilevante (art. 648-bis), ed il reimpiego di danaro, beni o altre utilità di provenienza illecita (art. 648-ter), quali ipotesi particolari di ricettazione (art. 648), avevano ed hanno, come presupposto, l’esclusione della configurabilità del concorso dell’agente nel reato da cui il denaro, i beni e le utilità ricettate, riciclate o reimpiegate derivano. Per tale ragione la giurisprudenza aveva, ad esempio, ritenuto che non configura l’attività delittuosa prevista dagli artt. 648-bis e 648-ter l’impiego nelle proprie attività economiche del danaro ricavato dal traffico di sostanze stupefacenti svolto dal medesimo soggetto, precisando (Sez. 2, 9226/2013) che non è punibile a titolo di riciclaggio il soggetto responsabile del reato presupposto che abbia in qualunque modo sostituito o trasferito il provento di esso, anche nel caso in cui abbia fatto ricorso ad un terzo inconsapevole, traendolo in inganno. Questa decisione (emessa in riferimento ad una fattispecie nella quale l’imputato era stato chiamato a rispondere del reato di riciclaggio per avere indotto una terza ignara, in età avanzata, a sottoscrivere una polizza grazie alla quale aveva riciclato denaro proveniente da una bancarotta) aveva, in particolare, osservato che, non essendo all’epoca previsto e punito dalla legge il delitto di autoriciclaggio, risultavano del tutto irrilevanti le modalità con le quali il soggetto agente avesse perseguito il fine di “autoriciclare” le utilità in qualunque modo tratte dalla commissione di un reato, ovvero che il predetto risultato fosse stato conseguito direttamente, oppure, ex art. 48, per interposta persona, traendo in inganno un terzo inconsapevolmente resosi autore materiale della condotta. I fatti di «autoriciclaggio» erano ritenuti punibili unicamente in quanto integranti il reato di cui all’art. 12-quinquies L. 356/1992, e quindi ricorrendo lo specifico fine di eludere la normativa in tema di misure di prevenzione: in particolare, secondo le Sezioni unite (SU, 25191/2014), è configurabile il reato di cui all’art. 12-quinquies in danno dell’autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, di cui rimanga effettivamente dominus, al fine di agevolare una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo, poiché la disposizione di cui all’art. 12-quinquies citato consente di perseguire anche i fatti di “auto” ricettazione, riciclaggio o reimpiego. Sollecitata in ambito internazionale a prevedere la rilevanza penale dell’autoriciclaggio (in particolare, come ricordato dalla dottrina, «il Fondo monetario internazionale, nel Rapporto sull’Italia del 2006, pur rilevando come la punibilità dell’autoriciclaggio non fosse prevista come necessaria nelle 40 Raccomandazioni del GAFI, ne raccomandava nondimeno l’introduzione, “anche alla luce delle esigenze investigative rappresentate dalle stesse autorità italiane”»; a sua volta, «l’OCSE, nel Rapporto sull’Italia del 2011, aveva rilevato cime una simile lacuna normativa rischiasse di indebolire la legislazione anticorruzione»), ed al dichiarato scopo di colmare la predetta lacuna, ovvero soltanto per incriminare le condotte lato sensu consistenti nel riciclaggio o reimpiego di beni di provenienza delittuosa, poste in essere dall’autore del (o dal concorrente nel) reato presupposto, la L. 186/2014 ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 648-ter.1 (autoriciclaggio), che sanziona «Chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa». Che questo, e soltanto questo, fosse lo scopo perseguito dal legislatore attraverso l’introduzione del reato di cui all’art. 648-ter.1 c.p. emerge on chiarezza inequivocabile dai lavori preparatori, estremamente scarni sul punto a riprova del fatto che l’assunto era considerato pacifico. Ad esempio, nella Scheda di lettura che accompagna la L. 186/2014 si legge che «Il comma 3 introduce  mediante l’inserimento di un nuovo articolo 648-ter.1 nel codice penale  il reato di autoriciclaggio. In precedenza, infatti, il codice penale prevedeva, all’art. 648-bis, solo il riciclaggio, che punisce chi ricicla denaro o altre utilità provenienti da un reato commesso da un altro soggetto. Il riciclaggio in prima persona, ovvero la condotta di sostituzione o di trasferimento di denaro, beni o altre utilità ricavate commettendo un altro delitto doloso, non era punito. La norma è volta quindi a sanare tale lacuna nell’ordinamento». Più o meno nei medesimi termini, nel Dossier n° 23 A.C. 2247, redatto dall’Ufficio studi della Camera dei deputati, esplicativo delle Disposizioni in oggetto, si legge che il “nuovo” reato di auto riciclaggio è «volto a punire chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo ovvero compie altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Attualmente, infatti, il codice penale prevede, all’art. 648-bis, solo il riciclaggio, che punisce chi ricicla denaro o altre utilità provenienti da un reato commesso da un altro soggetto. Chi invece ricicla in prima persona, cioè sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità che ha ricavato commettendo egli stesso un altro delitto doloso, non è punito. La norma è volta quindi a sanare tale lacuna nell’ordinamento». All’esito della predetta modifica normativa: - se il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto non colposo, vengano impiegati, sostituiti, trasferiti, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa, dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto, si applica l’art. 648-ter.1; - se la predetta condotta venga posta in essere da soggetto che non abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto, si applicano, a seconda dei casi, gli artt. 648, 648-bis, 648. Può, tuttavia, discutersi in ordine alla qualificazione giuridica della condotta posta in essere dal soggetto extraneus (ovvero che non abbia commesso, né concorso a commettere, il delitto non colposo presupposto), il quale abbia fornito un contributo concorsuale causalmente rilevante alla condotta di autoriciclaggio posta in essere dal soggetto intraneus (ovvero che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto). Parte della dottrina, pur senza esprimere in proposito certezze (ovvero considerando non risolto il dubbio interpretativo posto), ha ammonito che sarebbe paradossale ammettere che il riciclatore possa rispondere di concorso in autoriciclaggio. La parte assolutamente dominante della dottrina ha, invece, risolto il dubbio (pur se sulla base di giustificazioni dogmatiche disomogenee) nel senso che l’extraneus che concorre con l’autoriciclatore risponde (non di concorso in autoriciclaggio, bensì) di riciclaggio. La disamina che segue darà conto degli orientamenti emersi in seno alle dottrine più autorevoli. Un orientamento, premesso che «la limitazione del perimetro della nuova incriminazione corrisponde - sul piano sistematico - al venir meno del c.d. privilegio dell’autoriciclaggio, che trovava la sua fonte nelle clausole di riserva degli artt. 648-bis e 648- ter c.p. (disposizioni che tuttora permangono, inalterate, nell’ordinamento)», e che tale limitazione «segna i confini rispetto alle limitrofe figure degli artt. 648-bis e 648-ter e permette di risolvere le questioni connesse alle ipotesi di realizzazione in forma plurisoggettiva del reato di autoriciclaggio», ritiene che «colui che, non avendo concorso nel delitto-presupposto, contribuisca alla realizzazione delle condotte tipizzate dall’art. 648-ter, risponderà del reato di riciclaggio ovvero di quello contemplato dall’art. 648-ter». Si osserva, in proposito, che «l’insieme costituito dalle condotte tipizzate dall’art. 648- ter.1 si iscrive completamente in quello disegnato dal combinato disposto delle due disposizioni finitime (artt. 648-bis e 648-ter): l’elemento specializzante non attiene, infatti, alle condotte quanto invece alla qualificazione soggettiva dell’autore (qualificazione rispetto alla quale gli insiemi in discorso si trovano in una condizione di alternatività reciproca). Considerando per contro il solo fronte delle condotte ricomprese rispettivamente nell’insieme costituito dagli artt. 648-bis e 648-ter da un lato, e, dall’altro, quelle iscritte nell’insieme disegnato dall’art. 648-ter.1, è agevole avvedersi che quest’ultimo insieme è minore e completamente compreso nell’altro». Sulla base di queste considerazioni, ed in particolare tenuto conto del reciproco atteggiarsi delle tre disposizioni in oggetto, troverebbe conferma la conclusione che «la condotta di colui che, non avendo concorso alla commissione del delitto-presupposto, fornisce un contributo causale all’autoriciclatore non integrerà una fattispecie di concorso ex art. 117 dando bensì luogo  sussistendone i requisiti  a un’ipotesi di riciclaggio (ovvero di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita)». Altro orientamento ritiene che «l’autoriciclaggio può costituire un illecito penale a condizione che sia commesso dall’autore del reato-fonte, la cui qualifica “marca” il disvalore della fattispecie, tanto da richiedere una stretta connessione tra titolare della stessa ed esecutore del reato»; si sarebbe, pertanto, in presenza, di un c.d. “reato di mano propria”, in cui «l’individuazione del soggetto qualificato (...) si presenta (...) come vettore insostituibile di tipicità e componente decisiva del nucleo di disvalore del fatto». D’altro canto, come risaputo, «nei reati di mano propria, la distribuzione dei ruoli, in caso di esecuzione plurisoggettiva, non ammette deroghe: la personale esecuzione dell’intraneus è condizione essenziale perché possa consumarsi l’offesa al bene giuridico». Tre sarebbero, secondo la dottrina in esame, le ricadute in tema di concorso di persone dell’inquadramento dell’autoriciclaggio come reato di mano propria: - autore della condotta tipica dovrà essere l’autore (o il concorrente) del/nel reato-fonte. Il limite minimo della partecipazione è dato dalle ipotesi di coautoria (o di esecuzione frazionata), nel senso che la fattispecie concorsuale potrà ritenersi integrata anche quando l’autore del reato-fonte abbia posto in essere un frammento costitutivo della “complessa” azione tipica; - specularmente, il reato di riciclaggio potrà essere commesso da “chiunque” non rivesta la qualità di autore o coautore del reato-fonte; - il precipitato più rilevante di una simile ricostruzione è che la condotta di mera messa a disposizione del provento nelle mani del terzo, perché la reimpieghi, sarà destinata a restare penalmente irrilevante (come lo era prima della novella). In una tale evenienza, infatti, sarà il terzo  estraneo a realizzare compiutamente l’illecito, del quale risponderà a titolo di riciclaggio o di reimpiego, non anche l’autore (o il concorrente) del/nel reato-fonte, non punibile in forza della clausola di sussidiarietà. Può, al contrario, ritenersi minoritario l’orientamento per il quale, costituendo l’autoriciclaggio un “reato proprio”, ed ammettendo i reati propri la realizzazione anche da parte di un terzo sprovvisto della qualifica soggettiva tipica, sarebbe configurabile il concorso nel reato di autoriciclaggio, a norma degli artt. 110 o 117, a seconda che il terzo extraneus abbia, o meno, consapevolezza della qualifica posseduta dall’intraneus; in tal modo, peraltro, «colui che ieri era autore di riciclaggio diviene oggi un concorrente in auto riciclaggio, come tale destinatario di una sanzione penale più mite», con la conseguenza che quindi, pur come «conseguenza non voluta dal legislatore», «calerebbe il sipario sulle fattispecie comuni di riciclaggio e reimpiego, a tutto “vantaggio” della nuova e meno grave incriminazione», poiché «l’extraneus avrà buon gioco nel difendersi affermando che, per poter ripulire il provento illecito, decisivo è stato il contribuito dell’autore del delitto presupposto, suo immancabile concorrente». Una dottrina ha proposto di risolvere il problema in applicazione dei principi (non in tema di concorso di persone nel reato, bensì) in tema di concorso apparente di norme. Nei casi in cui la condotta del terzo extraneus risulti in astratto sussumibile nell’ambito della fattispecie di riciclaggio, ma integri, al tempo stesso, un contributo causale alla fattispecie di autoriciclaggio posta in essere dall’autore del delitto non colposo-presupposto, «il dilemma tra unicità e pluralità di reati, in capo al terzo extraneus, dovrà (e potrà) essere risolto in base agli ordinari criteri che consentono, se applicabili nel caso di specie, di risolvere nel senso dell’apparenza il concorso di norme»; pur in difetto di un rapporto di specialità strutturale tra le due fattispecie ed in assenza di clausole di sussidiarietà che regolino le reciproche interferenze, dovrebbe ritenersi che l’art. 648-bis, reato più grave che incorpora l’intero disvalore oggettivo e soggettivo del fatto, esaurendolo, assorba, nei confronti del terzo extraneus, il meno grave autoriciclaggio; diversamente, non essendo la condotta dell’autore del reato presupposto neppure astrattamente sussumibile (anche sub specie di concorso) nell’ambito dell’art. 648-bis (in ragione dell’operare della clausola di riserva “fuori dei casi di concorso nel reato”) egli risponderà di autoriciclaggio, sia che abbia posto in essere in prima persona la condotta tipica, sia che si sia limitato a fornire un contributo concorsuale atipico dotato di efficienza causale alla sua realizzazione da parte del terzo extraneus. Detto in sintesi: «la condotta del terzo ricade sotto due norme incriminatrici, integrando plurisoggettivamente il reato di autoriciclaggio e monosoggettivamente quello di riciclaggio; sarà però solo quest’ultima norma a prevalere, in applicazione del principio di sussidiarietà. L’autore del reato presupposto resterà invece punibile per il solo reato di autoriciclaggio, non essendo la sua condotta rilevante ai sensi dell’art. 648-bis. La premessa dalla quale l’interprete deve ineludibilmente muovere, onde districarsi nel ginepraio delle possibili configurazioni del concorso di persone nel nuovo delitto di autoriciclaggio, è che la nuova incriminazione è stata concepita, in ossequio agli obblighi internazionali gravanti pattiziamente sull’Italia, essenzialmente, se non unicamente, al fine di colmare la lacuna riguardante l’irrilevanza penale delle condotte di c.d. “auto riciclaggio”, poste in essere dal soggetto autore di (o concorrente in) determinati reati-presupposto, che il legislatore ha ritenuto di individuare nei soli delitti non colposi (art. 648- ter.1, comma 1), come previsto anche in tema di riciclaggio (ma diversamente rispetto a quanto previsto in tema di ricettazione e reimpiego, che menzionano come reati-presupposto i delitti tout court, ciò a riprova del fatto che la normativa di settore è in più punti viziata da una frammentarietà sulla cui effettiva proficuità sarebbe opportuno avviare una seria riflessione). Da questa ineludibile premessa discende (a fronte di una possibile esegesi alternativa che non si pone in contrasto con la non controversa ratio della nuova incriminazione), l’impossibilità di interpretare la normativa allo stato vigente: - sia nel senso della attuale previsione di un trattamento sanzionatorio più favorevole di quello precedente, per il soggetto che non abbia preso parte al reato-presupposto, ed abbia successivamente posto in essere una condotta lato sensu riciclatoria (tipica, ex art. 648-ter.1, od anche atipica), agendo in concorso con l’intraneus chiamato a rispondere di auto riciclaggio: ciò accadrebbe nel caso in cui si ritenesse che la predetta condotta dell’extraneus integra non più  come si riconosceva pacificamente prima dell’introduzione del reato di autoriciclaggio  il delitto di cui all’art. 648-bis, bensì quello di concorso (ex artt. 110 o 117) nel delitto di cui all’art. 648-ter.1, con la conseguenza, già evidenziata dalla dottrina, della sostanziale abrogazione dell’art. 648-bis; - sia nel senso della perdurante irrilevanza penale della condotta dell’intraneus (ovvero del soggetto che abbia preso parte al delitto presupposto non colposo) che si sia limitato a mettere a disposizione il provento del predetto delitto nelle mani del terzo, perché lo reimpieghi, senza compiere in prima persona la condotta tipica di autoriciclaggio (come risulterebbe necessario ritenere ove si configurasse l’autoriciclaggio come delitto “di mano propria”). D’altro canto, in assenza di clausole di sussidiarietà che regolino le reciproche interferenze tra le due fattispecie, ed in difetto di un rapporto di specialità strutturale tra gli artt. 648-bis (e 648-ter) e l’art. 648-ter.1, valorizzabile ex art. 15, non è possibile risolvere la questione in esame argomentando come se essa ponesse unicamente un problema di concorso apparente tra norme. Ciò premesso, nel rispetto della ratio che ha ispirato l’inserimento nel codice penale dell’art. 648-ter.1, si ritiene che il soggetto il quale, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio, o comunque contribuisca alla realizzazione da parte dell’intraneus delle condotte tipizzate dall’art. 648-ter.1, continui a rispondere del reato di riciclaggio ex art. 648-bis (ovvero, ricorrendone i presupposti, di quello contemplato dall’art. 648-ter) e non di concorso (a seconda dei casi, ex artt. 110 o 117) nel (meno grave) delitto di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1. Nel predetto caso, soltanto l’intraneus risponderà del delitto di autoriciclaggio. La diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte lato sensu concorrenti non deve meravigliare, non costituendo una novità per il sistema penale vigente, che ricorre a questa soluzione in alcuni casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie definite dalla dottrina “a soggettività ristretta”. Anche la previsione di un trattamento sanzionatorio meno grave per il delitto di autoriciclaggio trova giustificazione unicamente con la considerazione del minor disvalore che anima la condotta incriminata, se posta in essere (non da un extraneus, bensì) dal responsabile del reato presupposto, il quale abbia conseguito disponibilità di beni, denaro ed altre utilità ed abbia inteso giovarsene, pur nei modi oggi vietati dalla predetta norma incriminatrice, risultando responsabile di almeno due delitti (quello non colposo presupposto e l’autoriciclaggio), non necessariamente in concorso ex art. 81; di qui, l’ulteriore esigenza di mitigare, almeno in parte, le possibili conseguenze del cumulo materiale tra delitto presupposto ed autoriciclaggio, attraverso la previsione, per quest’ultimo (necessariamente posto in essere per secondo), di limiti edittali meno severi rispetto a quelli previsti il riciclaggio (ascrivibile al soggetto extraneus rispetto alla commissione del delitto-presupposto, e che quindi di esso non sopporta  a livello sanzionatorio  conseguenze, e nei confronti del quale, pertanto, anche per tale ragione, l’estensione del trattamento sanzionatorio favorevole previsto in tema di autoriciclaggio risulterebbe del tutto priva di una valida giustificazione sistematica). D’altro canto, prima dell’introduzione dell’art. 648-ter.1  che, come premesso, non intendeva dettare una nuova disciplina per le condotte alle quali era già attribuito rilievo penale, bensì colmare l’anzidetta lacuna , nessun dubbio era mai stato nutrito con riferimento alla configurabilità del reato previsto e punito dall’art. 648-bis in casi nei quali l’autore del delitto-presupposto, pur non punibile, avesse fornito un contributo rilevante alla condotta tipica del riciclatore extraneus; ed, invero, il concorso nell’attività riciclatoria del soggetto responsabile del reato presupposto è, secondo l’id quod plerumque accidit, ordinario (essendo naturale che la predetta attività illecita venga generalmente ordita su impulso e nell’interesse di quest’ultimo). La novità consiste unicamente nel fatto che, prima dell’introduzione del reato di autoriciclaggio, egli era un concorrente non punibile, mentre oggi è punibile. Ciò premesso, e ribadito che, all’indomani della novella entrata in vigore il 10 gennaio 2015, la diversa condizione dell’intraneus rispetto al passato attiene esclusivamente al profilo della sua punibilità, non esiste alcuna ragione (per la verità, non soltanto non indicata, ma neppure ricercata dagli sparuti sostenitori dell’orientamento qui avversato, a ben vedere fondato su una lettura meramente formalistica delle disposizioni in discorso, che non tiene conto dei beni giuridici tutelati, della pacifica ratio dell’intervento novellatore de quo, oltre che delle implicazioni della dosimetria della pena, da valutare alla luce del parametro costituzionale della finalità rieducativa) per la quale la sopravvenuta incriminazione dell’autoriciclaggio dovrebbe incidere sulla rilevanza penale delle condotte di riciclaggio poste in essere dall’extraneus, sia quanto al titolo, sia quanto al conseguente trattamento sanzionatorio. Ciò conferma la correttezza dell’affermazione che la considerazione dell’ordinamento penalistico per le condotte poste in essere da chi non abbia preso parte alla commissione del reato presupposto “è invece rimasta immutata, constatata la medesimezza delle dinamiche di realizzazione delle attività riciclatorie”. Sulla base delle predette considerazioni, deve concludersi che l’art. 648-ter.1 prevede e punisce come reato unicamente le condotte poste in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo-presupposto, in precedenza non previste e punite come reato. Diversamente, per quanto in questa sede assume rilevanza, le condotte concorsuali poste in essere da terzi estranei per agevolare la condotta di autoriciclaggio posta in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto, titolare del bene di provenienza delittuosa “riciclato”, conservano rilevanza penale quale fatto di compartecipazione previsto e punito dall’art. 648-bis più gravemente di quanto non avverrebbe in applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato, ex artt. 110/117 e 648-ter.1Questa conclusione non trova decisivo ostacolo nella previsione di cui all’art. 648-ter.1, comma 7, il quale, attraverso il rinvio all’ultimo comma dell’art. 648, prevede che le disposizioni in tema di autoriciclaggio, come quelle in tema di ricettazione, si applichino “anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”. Ferma essendo l’applicabilità dell’art. 648-ter.1 soltanto al soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto, e non anche a terzi non coinvolti nella commissione del delitto non colposo presupposto, la disciplina dettata dal settimo comma della predetta disposizione comporta unicamente, come già lucidamente posto in evidenza dalla dottrina, che «l’autoriciclaggio sussiste anche se l’autore non sia imputabile per il delitto-presupposto (purché lo sia per l’autoriciclaggio) oppure non sia punibile per il delitto presupposto (si pensi all’impunità ex art. 649 del figlio per il furto in danno del padre, allorquando l’autoriciclaggio riguardi i beni sottratti) o, infine, quando manchi una condizione di procedibilità in relazione al delitto-presupposto (in altre parole, l’autoriciclaggio sussiste anche se ha ad oggetto beni provenienti da un delitto per il quale non può procedersi per mancanza di querela) (Sez. 2, 17235/2018).

Tra il reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e quello di riciclaggio, nonché tra quest’ultimo e quello di ricettazione vi è rapporto di specialità, che discende dal diverso elemento soggettivo richiesto dalle tre fattispecie incriminatrici - essendo comune l’elemento materiale della disponibilità di denaro o altra utilità di provenienza illecita: il delitto di cui all’art. 648 richiede una generica finalità di profitto, quello di cui all’art. 648-bis lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell’origine illecita, quello, infine, di cui all’art. 648-ter che tale scopo sia perseguito mediante l’impiego delle risorse in attività economiche o finanziarie (Sez. 2, 33076/2016). II delitto di cui all’art. 12-quinquies del DL 306/1992 (convertito, con modificazioni, in L. 356/1992), la cui condotta tipica investe l’attribuzione fittizia a terzi della titolarità o disponibilità di denaro, beni od altra utilità “aliunde” illecitamente acquisiti al fine di eludere le misure ablative ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter, non è in rapporto di presupposizione necessaria con la più grave ipotesi di cui all’art. 648-ter, idonea ad escludere la punibilità delle condotte di reimpiego, atteso che queste richiedono una derivazione causale materiale da delitto dei beni reinvestiti e non un mero collegamento con ipotesi delittuose, quale quella della interposizione, che tale provenienza postulano (in motivazione la Corte ha precisato che, per il carattere strumentale della fattispecie di trasferimento di valori, la natura derivata dei profitti oggetto di interposizione e la dichiarata caratterizzazione finalistica rispetto all’agevolazione delle condotte di riciclaggio e di reimpiego non è possibile individuare un rapporto di presupposizione giuridica in senso stretto tra il trasferimento fraudolento di valori e le condotte di cui all’art. 648-ter) (Sez. 2, 20684/2017).

In tema di delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante relativa alla professionalità dell’attività svolta, prevista dall’art. 648-ter, comma secondo, non rilevano esclusivamente le attività per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione ad un particolare albo o una speciale abilitazione, ma qualunque attività economica o finanziaria diretta a creare nuovi beni e servizi o allo scambio e distribuzione di beni nel mercato del consumo (Sez. 2, 3026/2017).

Ai fini della configurabilità del delitto di impiego di denaro, beni ed altre utilità di provenienza illecita, di cui all’art. 648-ter, la nozione di attività economica o finanziaria è desumibile dagli artt. 2082, 2135 e 2195 CC e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile (Sez. 2, 33076/2016).

Per la configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter, non occorre che il reimpiego del danaro o degli altri beni provenienti da delitto avvenga in attività lecite, né che tali attività siano svolte professionalmente; non è altresì necessario che la condotta di reimpiego presenti connotazioni dissimulatorie, volte ad ostacolare l’individuazione o l’accertamento della provenienza illecita dei beni (Sez. 2, 9026/2014).

Il delitto di cui all’art. 648-ter è configurabile anche se per il reato presupposto, commesso all’estero, sia stata disposta dall’autorità giudiziaria straniera l’archiviazione per ragioni esclusivamente processuali che non escludono la sussistenza del reato (fattispecie relativa a procedimento per i reati di malversazione e spoliazione fraudolenta, commessi in Germania, per i quali il PM, ai sensi del codice di procedura penale tedesco, aveva ritenuto di non esercitare temporaneamente l’azione penale per la mancanza di un interesse pubblico) (Sez. 2, 47218/2013).

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato di cui all’art. 648-ter può riguardare una intera società e il relativo compendio aziendale quando sia riscontrabile un inquinamento dell’intera attività della stessa, così da rendere impossibile distinguere tra la parte lecita dei capitali e quella illecita (nella fattispecie si trattava di una società che aveva utilizzato capitali di provenienza illecita, riconducibili al gestore del patrimonio di un sodalizio di stampo mafioso, per coprire crisi di liquidità, onorare gli impegni assunti con le banche e i fornitori, ed incrementare l’attività aziendale) (Sez. 1, 2737/2011).

 

Voluntary disclosure

La collaborazione volontaria (cosiddetta voluntary disclosure), introdotta con la L. 186/2014, è una procedura con cui il contribuente, autodenunciandosi, dichiara al fisco “attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato” non indicate nella dichiarazione (art. 5 quater/1 lett. a): cosiddetto nero transfrontaliero), ovvero redditi occultati in Italia (art. 1/2-3-4: cosiddetto nero domestico). Gli effetti della corretta presentazione dell’autodenuncia sono molteplici, ma, i più importanti possono essere così riassunti: a) regolarizzazione della propria situazione patrimoniale e reddituale; b) corresponsione integrale delle imposte e degli interessi relativi ai redditi non dichiarati; c) riduzione delle sanzioni amministrative applicabili; d) non punibilità dei reati: d1) di omessa o infedele dichiarazione, di dichiarazione fraudolenta con fatture false o altri artifici, di omesso versamento di ritenute certificate, di omesso versamento IVA; d2) di cui agli artt. 648-bis, 648-ter, 648-ter.1. Ove la dichiarazione sia infedele, l’Agenzia delle Entrate esercita nuovamente il suo autonomo potere di accertamento con la revoca ex tunc dei suddetti benefici (art. 5 quinquies/10). La procedura di collaborazione volontaria, quindi, ha, come effetto principale, quello di fare emergere “il nero”, su cui il contribuente, deve pagare le imposte e gli interessi che avrebbe dovuto pagare oltre le sanzioni in misura ridotta. È ovvio, poi, che di quei beni occultati – che facevano parte del patrimonio del contribuente  una volta che siano stati dichiarati, il contribuente/proprietario ne possa liberamente disporre (come lo poteva anche prima) in quanto la procedura di collaborazione volontaria non produce alcun effetto di “cristallizzazione” o “incommerciabilità” dei medesimi: l’unico effetto previsto dalla legge è che il contribuente deve pagare le imposte evase, gli interessi e, in misura ridotta, le sanzioni in cui sarebbe incorso ove l’Amministrazione Finanziaria avesse effettuato nei suoi confronti un autonomo accertamento. La collaborazione volontaria, tuttavia, a norma dell’art. 5 quater/2 «non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito’ oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria indicato al comma 1 del presente articolo. La preclusione opera anche nelle ipotesi in cui la formale conoscenza delle circostanze di cui al primo periodo è stata acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da soggetti concorrenti nel reato» (Sez. 2, 14101/2019).