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Art. 25-quinquies - Delitti contro la personalità individuale [38]

1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per i delitti di cui agli articoli 600, 601, 602 e 603-bis, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote; [38 bis]

b) per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, e 600-quinquies, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote; [39]

c) per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, terzo e quarto comma, e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, nonché per il delitto di cui all’articolo 609-undecies la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote. [40]

2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettere a) e b), si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.

3. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3.

[38] Articolo inserito dall’art. 5, comma 1, L. 11 agosto 2003, n. 228.

[38 bis] Lettera così modificata dall’art. 6 L. 29 ottobre 2016, n. 199.

[39] Lettera così modificata dall’art. 10, comma 1, lett. a), L. 6 febbraio 2006, n. 38.

[40] Lettera così modificata dall’art. 10, comma 1, lett. b), L. 6 febbraio 2006, n. 38 e, successivamente, dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 39.

Elenco dei reati richiamati dalla norma

Art. 600 CP (Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù)

Art. 600-bis CP (Prostituzione minorile)

Art. 600-ter CP (Pornografia minorile)

Art. 600-quater CP (Detenzione di materiale pornografico)

Art. 600-quater.1 CP (Pornografia virtuale)

Art. 600-quinquies CP (Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della pornografia minorile)

Art. 601 CP (Tratta di persone)

Art. 602 CP (Acquisto e alienazione di schiavi)

Art. 603-bis CP (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro)

Art. 609-undecies (Adescamento di minorenni)

 

Rassegna di giurisprudenza

Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù

Il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù è a fattispecie plurima, risultando integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, che, implicando la “reificazione” della vittima, ne comporta “ex se” lo sfruttamento, ovvero dalla condotta di riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, in relazione alla quale, invece, è richiesta la prova dell’ulteriore elemento costituito dalla imposizione di prestazioni integranti lo sfruttamento della vittima (Sez. 5, 10426/2015).

Il reato in questione, come delineato dall’art. 1, L. 228/2003, si pone in rapporto di continuità normativa con quello originariamente configurato dall’art. 600 CP, avendo la nuova disciplina soltanto definito la nozione di schiavitù, che in precedenza doveva trarsi dalle Convenzioni internazionali di Ginevra sulla abolizione della schiavitù, rispettivamente del 25 settembre 1926, resa esecutiva in Italia con il RD 1723/1928, e del 7 settembre 1956, ratificata ed resa esecutiva in Italia con la L. 1304/1957 (Sez. 3, 50561/2015).

Per la configurabilità del delitto di riduzione in schiavitù non è necessaria un’integrale negazione della libertà personale, ma è sufficiente una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, idonea a configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell’integrazione della norma incriminatrice.

Pertanto, lo stato di soggezione continuativa – richiesto dall’art. 600 CP – deve essere rapportato all’intensità del vulnus arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione, nel senso che esso non può essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata autonomia della vittima, tale da non intaccare il contenuto essenziale della posizione di supremazia del soggetto attivo del reato (Sez. 5, 25408/2014; Sez. 5. 49594/2014).

In particolare, l’evento di riduzione o mantenimento di persone in stato di soggezione consiste, nella privazione della libertà individuale cagionata con minaccia, violenza, inganno o profittando di una situazione di inferiorità psichica o fisica o di necessità e in tale fattispecie è previsto che l’agente debba ricorrere alternativamente a violenza o a inganno o ad approfittamento di uno stato di inferiorità o di una situazione di necessità o, infine, a promesse di vantaggi a chi eserciti autorità sulla persona (Sez. 5, 42751/2017).

 

Prostituzione minorile

Costituisce jus receptum il fatto che la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità attraverso la quale si convinca un soggetto minore degli anni diciotto che abbia però raggiunto i quattordici anni, ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo   e non primo   dell’art. 600-bis CP (SU, 1620/2013).

Muovendo da tale premessa, la formula “Salvo che il fatto costituisce più grave reato” figurante nella parte iniziale del menzionato secondo comma dell’art. 600-bis CP, fa sì che le condotte poste in essere in danno di soggetto minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni in cambio di corrispettivo di denaro o altra utilità debbano essere sanzionate non già a norma del comma 2 suddetto ma ai sensi del più grave delitto di cui all’art. 609-quater comma 1 CP che – come noto – punisce con la pena prevista dall’art. 609-bis stesso codice la condotta di chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto non abbia compiuto gli anni quattordici (n. 1) ovvero non abbia compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (n. 2).

La clausola di riserva ora menzionata impedisce infatti il concorso materiale tra le due figure delittuose in esame (atti sessuali con minorenne e prostituzione minorile ex comma 2 CP) nonostante la differenza solo parziale di oggettività giuridica e degli elementi costitutivi delle due figure delittuose in parola: ciò è frutto di una precisa scelta legislativa a monte che determina la punibilità della condotta di prostituzione laddove ricorrano gli estremi del delitto di atti sessuali con minorenni, a norma di tale ultimo articolo.

Il delitto di prostituzione minorile, che punisce la condotta di induzione, favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione del minore degli anni diciotto, assorbe, dando luogo ad un concorso meramente apparente di norme incriminatrici, il delitto di atti sessuali con minorenne compiuti nell’ambito delle attività di prostituzione di quest’ultimo (Sez. 3, 53672/2016).

 

Pornografia minorile e detenzione di materiale pornografico

Di fondamentale importanza per l’evoluzione normativa è stata la Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile.

Con tale atto normativo, l’Unione europea ritiene lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile gravi violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto fondamentale di tutti i bambini ad una crescita, un’educazione ed uno sviluppo armoniosi (par. 4 dei “considerando”), particolarmente pericolosa la pornografia infantile, a causa della diffusione a mezzo Internet (par. 5 dei “considerando”), sicché l’importante opera portata avanti da organizzazioni internazionali deve essere integrata da quella dell’Unione europea (par. 6 dei “considerando”) ed è necessario affrontare reati gravi quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile con un approccio globale comprendente quali parti integranti elementi costitutivi della legislazione penale comuni a tutti gli Stati membri, tra cui sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, e una cooperazione giudiziaria più ampia possibile (par. 7 dei “considerando”).

In questo contesto, sono state dettate regole minime a cui gli Stati membri avrebbero dovuto attenersi, alle quali la disciplina italiana del 1998 già sostanzialmente si uniformava. L’art. 2 della L. 38/2006 (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet) ha apportato rilevanti modifiche al sistema introdotto dalla legge del 1998. In particolare, con l’art. 2, è intervenuta sull’art. 600-ter, norma centrale dell’intero sistema sanzionatorio, prevedendo una pluralità di fattispecie incriminatrici che, pur se autonome tra loro, sono ordinate secondo un criterio gerarchico rinvenibile sia nella degradante severità delle pene edittali, sia nel sistema delle cause di esclusione disciplinate nel terzo e nel quarto comma.

Come emerge dai lavori parlamentari, l’intervento legislativo è espressione dell’esigenza di soddisfare le linee guida in materia di repressione della pedopornografia proprie della decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2004/68/GAI ed evidenzia la volontà del legislatore di «anticipare ulteriormente la già avanzata soglia di rilevanza penale stabilita dalla legge n. 269/1998», richiamando l’interpretazione della nozione di “sfruttamento” data dalle Sezioni Unite (si veda la relazione di presentazione del disegno di legge della Camera dei deputati n. 4599, prodromico all’adozione della legge n. 38 del 2006).

In tale quadro, la nuova condotta tipizzata è quella di «chi realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico, utilizzando minori degli anni diciotto ovvero induce i medesimi a partecipare ad esibizioni pornografiche». Il verbo “utilizzare” ha quindi preso il posto di “sfruttare” ed è scomparso “il fine di”, prima previsto; tutto ciò comporta, sia che per la consumazione dei delitti occorre l’utilizzazione dei minori per la produzione di esibizioni o di materiale pornografico a prescindere da qualsiasi finalità lucrativa.

L’interpretazione proposta dall’orientamento largamente dominante, nel senso della necessità del requisito del pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, deve ritenersi superata dall’evoluzione normativa e, comunque, anacronistica, in quanto riferita a un contesto sociale e a un grado di sviluppo tecnologico   quelli della seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso   che sono radicalmente mutati negli ultimi anni.

Deve prendersi atto del fatto che la richiamata sentenza del 2000 delle Sezioni Unite rispondeva all’esigenza, del tutto legittima, di evitare di trattare con eccessivo rigore sanzionatorio  essendo molto elevata la pena edittale prevista: reclusione da sei a dodici anni e multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni  la realizzazione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori, avendo superato l’idea che lo sfruttamento punito dalla disposizione dovesse presentare risvolti economici e, dunque, avendo elaborato una nozione di “sfruttamento” sostanzialmente coincidente con quella di “utilizzazione”, poi fatta propria dal legislatore, con la riforma del 2006.

Nella ricostruzione interpretativa di allora, per “compensare” l’ampliamento della nozione di sfruttamento, i casi nei quali la produzione del materiale pedopornografico era invece destinata ad una fruizione meramente privata, da parte dello stesso soggetto che aveva realizzato detto materiale, erano ricondotti all’ambito di applicazione dell’art. 600-quater, assai meno rigoroso sul piano sanzionatorio (reclusione fino a tre anni e multa non inferiore a lire tre milioni).

E tale conclusione trovava spazio perché non vi era una definizione chiara di pornografia minorile – come quella introdotta nel 2012 all’ultimo comma dell’art. 600-ter – che fosse imperniata sull’esigenza di tutela della dignità sessuale e dell’immagine del minore. Dunque, per attrazione di significato (rispetto alle previsioni dello stesso articolo riferite a “spettacoli” ed “esibizioni”), “produrre” materiale pornografico voleva dire «produrre materiale destinato alla fruizione da parte di terzi», giacché era insita nel concetto stesso di pornografia (elaborato all’epoca) la visione perversa da parte di una cerchia indeterminata di soggetti.

L’introduzione, in via interpretativa, del requisito del pericolo di diffusione si giustificava, allora, perché l’applicazione di un trattamento sanzionatorio così rigoroso richiedeva necessariamente che vi fosse qualcosa di più della semplice captazione dell’immagine pornografica del minore, in un contesto tecnologico nel quale la captazione non implicava necessariamente la successiva diffusione.

Se, però, il requisito del pericolo concreto di diffusione del materiale poteva fungere da guida per l’interprete all’inizio degli anni ‘2000, esso è diventato oggi anacronistico, a causa della pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smartphone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata, e ha reso normali il collegamento a Internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione e reti sociali.

Mentre un tempo la disponibilità di un collegamento a Internet rappresentava un quid pluris, da verificare caso per caso, rispetto la disponibilità di una fotocamera o videocamera con la quale realizzare immagini o video pornografici, l’attuale situazione è caratterizzata dalla accessibilità generalizzata alle tecnologie della comunicazione, che implicano facilità, velocità e frequenza nella creazione, nello scambio, nella condivisione, nella diffusione di immagini e video ritraenti una qualsiasi scena, anche della vita privata.

Ne deriva che il riferimento al presupposto del pericolo concreto di diffusione del materiale realizzato – come elaborato dalle Sezioni Unite del 2000 e dalla giurisprudenza successiva – ha oggi scarso significato, essendo ormai potenzialmente diffusiva qualsiasi produzione di immagini o video.

L’esclusione del requisito del pericolo di diffusione e della ricostruzione della fattispecie in termini di reato di danno, appare più coerente anche sul piano sistematico, se si considerano i rapporti tra l’art. 600-ter e il successivo art. 600-quater CP.

Come già osservato, tale ultima disposizione ha l’evidente scopo di “chiudere” il sistema, in modo che siano sanzionate, sostanzialmente, tutte le possibili aggressioni al bene primario del libero e corretto sviluppo psicofisico del minore e, più in particolare, della sua sfera sessuale. In altri termini, esso rappresenta l’ultimo anello di una catena di condotte antigiuridiche, di lesività decrescente, che iniziano con la produzione e proseguono con la commercializzazione, cessione diffusione – punite dall’art. 600-ter – sanzionando il “procurarsi” o “detenere” materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto.

Si tratta di condotte che non integrano due distinti reati (sul punto, Sez. 3, 38221/2017; Sez. 3, 43189/2008), ma rappresentano due diverse modalità di realizzazione del medesimo reato e, quindi, non possono concorrere tra loro se riguardano il medesimo materiale, ricorrendo la continuazione fra reati nel caso in cui il materiale pedopornografico sia stato procurato in momenti diversi e poi detenuto.

L’attuale testo dell’articolo è stato introdotto dal legislatore del 2006 che al verbo “disporre” ha sostituito quello più preciso di “detenere”, con la conseguenza che la sua formulazione letterale comporta che non sia configurabile la fattispecie incriminatrice ogni qual volta il soggetto consulti o visioni materiale pornografico in possesso di altri o via Internet, mentre comprende pacificamente le ipotesi di memorizzazione del materiale nell’hard disk del computer, in CD-ROM, DVD, o altri supporti.

Ma ciò che più rileva, ai fini che qui interessano, è il carattere esplicitamente residuale («al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter») della fattispecie  sottolineato dalle Sezioni Unite nel 2000 e ribadito, tra le altre, da Sez. 3, 2211/2015; Sez. 3, 11997/2011,  la quale ha come presupposto che l’agente non sia stato precedentemente coinvolto nelle condotte sanzionate dall’art. 600 ter, come emerge dalla clausola di riserva prevista dallo stesso art. 600-quater.

Tanto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la fattispecie in questione «richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento».

Da tale ricostruzione derivava   come visto   l’orientamento tradizionale, secondo cui la realizzazione di materiale pedopornografico utilizzando minori di anni diciotto, in mancanza di un pericolo concreto di diffusione, era equiparata alla condotta di chi si procurava o deteneva materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto. Come anticipato, l’opposta soluzione, nel senso dell’irrilevanza del pericolo di diffusione ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600-ter CP, risulta maggiormente coerente con il dato letterale, quale emerge dall’ultima formulazione di tale disposizione e del successivo art. 600-quater.

Entrambe si riferiscono, infatti, al materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto, ma la prima delle due incrimina la produzione di detto materiale equiparandola alla realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici (primo comma, n. 1), mentre la seconda incrimina il procurarsi o detenere il materiale in questione. E la presenza di un evidente nucleo comune, rappresentato dall’utilizzazione di minori per la realizzazione di materiale pornografico, deve indurre l’interprete a svalutare il profilo della “produzione” del materiale.

Dunque, alla luce dell’evoluzione del quadro normativo sopra delineata, il termine “produzione” – interpretato dalle Sezioni Unite nel 2000 come “produzione di materiale destinato ad essere diffuso nel mercato della pedofilia” – non ha più una sua autonomia di significato rispetto al termine “realizzazione”, utilizzato nello stesso n. 1) del primo comma dell’art. 600-ter, con riferimento alle esibizioni o spettacoli; con la conseguenza che la “produzione” altro non è che la “realizzazione di materiale pornografico”.

Si verifica, così, un ampliamento dello spazio di operatività della clausola di salvaguardia fissata dall’art. 600-quater perché tale disposizione e il precedente art. 600-ter hanno ad oggetto lo stesso materiale pornografico; con la conseguenza che il produttore di tale materiale risponderà della più grave fattispecie dell’art. 600-ter, mentre la meno grave fattispecie dell’art. 600-quater troverà spazio solo per i soggetti diversi dal produttore.

Si deve dunque affermare il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter, primo comma, n. 1), CP, con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale” (SU, 51815/2018).

 

Pornografia virtuale

La L.  38/2006, attuativa della Decisione Quadro n. 2004/68/GAI (G.U.C.E. n. 13/44 del 20 gennaio 2006) mira a reprimere in maniera rafforzata e coordinata le forme di pornografia minorile. Nella chiarezza del suo testo e della sua “ratio”, la legge impone all’interprete di assumere come prospettiva prioritaria la posizione del singolo minore oggetto di comportamenti che attentano alla sua libertà ed al libero sviluppo della sua personalità. Rispetto a tale prospettiva vengono in luce due diverse situazioni di offesa.

La prima è rappresentata dal solo fatto che il minore come persona (e questo costituisce elemento che differenzia la presente fattispecie da quella che si occupa della pornografia minorile “virtuale”, art. 600- quater 1 CP), venga utilizzato o indotto a partecipare alla creazione di materiale pornografico ed alla realizzazione di spettacoli aventi analoga natura.

Già tali condotte, con il loro carattere di oscenità e, in molti casi, di vera perversione, comportano una offesa gravissima allo sviluppo della personalità del minore, tanto maggiore quanto più costui è lontano da uno stadio minimamente strutturato di maturità e di sviluppo. La seconda, che può rappresentare uno sviluppo della precedente, è costituito dalle diverse forme di diffusione del materiale pornografico ottenuto mediante l’utilizzazione di persone minori di età (Sez. 4, 22768/2015).

 

Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della pornografia minorile

Il reato previsto dall’art. 600-quinquies, CP (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) ha natura di reato comune eventualmente abituale, in quanto, da un lato, non è necessario che l’autore sia un operatore turistico o svolga l’attività in maniera continuativa e, dall’altro, è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, anche l’organizzazione di una sola trasferta (Sez. 3, 42053/2011).

 

Tratta di persone

Ai fini della configurabilità del delitto di tratta di persone (art. 601 CP), non è richiesto che il soggetto passivo si trovi già in schiavitù o condizione analoga, con la conseguenza che il delitto in questione si ravvisa anche se una persona libera sia condotta con inganno in Italia, al fine di porla nel nostro territorio in condizione analoga alla schiavitù; il reato di tratta può essere, infatti, commesso anche con induzione mediante inganno in alternativa alla costrizione con violenza o minaccia, al fine di commettere i delitti di cui all’art. 600, comma primo, CP (Sez. 5, 40045/2010).

Il delitto di favoreggiamento dell’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero extracomunitario resta assorbito nel delitto di tratta di persone se realizzato per compiere questo ultimo delitto, in quanto la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” di cui alla norma di previsione del delitto di favoreggiamento dell’ingresso clandestino comporta l’applicazione della norma incriminatrice della tratta, delitto più gravemente punito (Sez. 5, 20740/2010).

Ai fini della consumazione del reato di tratta di persone, con riguardo alla seconda delle ipotesi previste dall’art. 601, comma 1, CP, non è necessario che venga consumato anche il reato di riduzione in schiavitù, quale previsto dalla richiamata norma, atteso che con tale richiamo si è inteso soltanto, da parte del legislatore, stabilire la necessità del dolo specifico da cui la condotta dell’agente dev’essere accompagnata, nulla rilevando, quindi, che la finalità da lui perseguita non si realizzi, ovvero si realizzi ad opera di soggetto diverso, non necessariamente concorrente con il primo (Sez. 5, 23368/2008).

 

Acquisto e alienazione di schiavi

La ricorrenza del reato di acquisto o alienazione di schiavi richiede che la vittima sia già ridotta in schiavitù o stato servile. In particolare, la condizione servile richiede uno stato di soggezione e la costrizione a determinate prestazioni (Corte di Assise del Tribunale di Milano, 24 novembre 2003).

 

Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

La  fattispecie incriminatrice ex art 603-bis CP è stata introdotta con la L. 14.9.2011 e va subito osservato che la descrizione delle condotte ivi indicate e dei modi di realizzazione dello sfruttamento, le severe cornici edittali di pena previste, la collocazione tra i delitti contro la personalità individuale, rivelano con chiarezza l’intenzione del legislatore di destinare la stessa alla prevenzione/repressione di fatti caratterizzati da un disvalore che eccede in maniera netta la semplice violazione delle condizioni di liceità dell’interposizione e della somministrazione della mano d’opera, comportamento il cui controllo in ambito penalistico rimane affidato alle previsioni dell’art. 18 D. Lgs. 276/2003.

In proposito questa Corte (Sez. 5 14591/2014), ha già considerato che il reato di cui all’art. 603-bis CP punisce tutte quelle condotte distorsive del mercato del lavoro, in quanto caratterizzate dallo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori e che non si risolvono nella mera violazione delle regole relative all’avviamento al lavoro sanzionate dall’art. 18 citato.

In modo coerente con l’impostazione sistematica che l’ha collocata tra i delitti contro la personalità individuale, la norma prevede che lo sfruttamento della manodopera debba avvenire tramite le condotte alternativamente contemplate di violenza, minaccia o intimidazione, idonee – nel ricorrere dell’altro presupposto dell’approfittare da parte del soggetto attivo dello stato di bisogno o di necessità – ad attentare alla sua dignità di uomo, non essendo, quindi, la sola condizione di sfruttamento sufficiente ad integrare il delitto (Sez. 5, 16737/2016).

Allorché sia contestato a un ente (nella specie un’azienda agricola) l’art. 25-quinquies  in connessione al reato di sfruttamento di manodopera di cui all’articolo 603-bis CP, non ricorrono gli estremi per disporre il sequestro preventivo quando sia documentata l’avvenuta regolarizzazione dei lavoratori e l’impresa sia stata adeguata alle prescrizioni normative antinfortunistiche (Sez. 5, 17939/2018).  

 

Adescamento di minorenni

In forza della clausola di riserva prevista dall’art. 609-undecies CP, il reato di adescamento di minori si configura soltanto quando la condotta non integra gli estremi del reato-fine neanche nella forma tentata (nella specie è stato ravvisato il tentativo di compimento di atti sessuali con minorenne nella condotta volta ad instaurare un intenso rapporto telefonico di natura esclusivamente sessuale con una minore degli anni quattordici, con richieste di invio di fotografie che la riproducessero nuda e proposte di incontri per consumare le pratiche sessuali oggetto delle conversazioni telefoniche, con la promessa di pagarle il prezzo del viaggio in treno per raggiungerlo) (Sez. 3, 8691/2017).

Il delitto di adescamento di minori è punibile, in virtù della clausola di riserva “se il fatto non costituisce più grave reato”, solo se non siano ancora configurabili gli estremi del tentativo o della consumazione del reato fine, in quanto, nell’ipotesi che quest’ultimo resti allo stadio della fattispecie tentata, la contestazione anche del delitto di cui all’art. 609-undecies CP significherebbe di fatto perseguire la stessa condotta due volte, mentre, qualora il reato fine sia consumato, la condotta di adescamento precedentemente tenuta dall’agente si risolverebbe in un antefatto non punibile (Sez. 3, 16329/2015).