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Art. 25-sexies - Abusi di mercato [41]

1. In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

2. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall’ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.

[41] Articolo inserito dall’art. 9, comma 3, L. 18 aprile 2005, n. 62.

Elenco dei reati richiamati dalla norma

Art. 184 TUF (Abuso di informazioni privilegiate)

Art. 185 TUF (Manipolazione del mercato)

Si ricorda inoltre che il 29 settembre 2018 è entrato in vigore il D. Lgs. 107/2018, contenente norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento UE 596/014 relativo agli abusi di mercato.

Per ciò che qui interessa, è stato riformulato il testo dell’art. 187-quinquies TUF secondo il quale “L’Ente è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da ventimila euro fino a quindici milioni di euro, ovvero fino al quindici per cento del fatturato, quando tale importo è superiore a quindici milioni di euro e il fatturato è determinabile ai sensi dell’articolo 195, comma l-bis, nel caso in cui sia commessa nel suo interesse o a suo vantaggio una violazione del divieto di cui all’articolo 14 o del divieto di cui all’articolo 15 del regolamento (UE) n. 596/2014”. 

La violazione del divieto di cui all’art. 14 di tale Regolamento è regolata dall’art. 187-bis TUF (Abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate). La violazione del divieto di cui all’art. 15 è regolata a sua volta dall’art. 187-ter (Manipolazione del mercato).

Entrambe le fattispecie, facendo salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce il reato, prevedono l’irrogazione di sanzioni amministrative particolarmente onerose (ben più di quelle previste dal Decreto 231) a carico dell’ente che abbia tratto interesse o vantaggio dalle condotte ivi descritte.

Per di più, l’esonero dalla responsabilità richiede (art. 187-quinquies TUF) che l’ente dimostri che le persone fisiche cui le condotte sono attribuibili abbiano agito esclusivamente nell’interesse proprio o di terzi.

Può quindi verificarsi che, a fronte del medesimo fatto e sempre che questo abbia rilevanza penale, concorrano a carico dell’ente le sanzioni previste dal Decreto 231 la cui irrogazione spetta all’autorità giudiziaria e quelle irrogate dalla CONSOB in applicazione del TUF.

L’eventualità è prevista e disciplinata dall’art. 187-terdecies TUF il quale, nel testo modificato dal Decreto 107/2018, prevede che “Quando per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del reo, dell’autore della violazione o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’articolo 187-septies ovvero una sanzione penale o una sanzione amministrativa dipendente da reato: a) l’autorità giudiziaria o la CONSOB tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate; b) l’esazione della pena pecuniaria, della sanzione pecuniaria dipendente da reato ovvero della sanzione pecuniaria amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall’autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria”.

Il legislatore sembra dunque assumere come fatto scontato la duplicazione delle sanzioni, si limita a indicare blande e discrezionali misure calmieratrici e non ravvisa il rischio di un bis in idem ovvero di un dimensionamento esagerato del trattamento sanzionatorio complessivo.

Eppure, la questione si è già posta ed ha provocato una prima presa di posizione della Corte di cassazione (si veda infra, Sez. 5 civile, 27564/2018) cui, verosimilmente, seguiranno ulteriori puntualizzazioni.

 

Rassegna di giurisprudenza

Abuso di informazioni privilegiate (c.d. insider trading)

Risulta agevole distinguere il comportamento dell’insider secondario qualificabile in termini di illecito amministrativo e quello dell’outsider concorrente nel fatto dell’insider primario qualificabile penalmente ai sensi degli artt. 110 CP e 184 TUF.

L’insider secondario usa illecitamente l’informazione privilegiata a proprio esclusivo vantaggio o comunque per fini autonomi rispetto al comportamento illecito dell’insider primario; l’outsider penalmente concorrente istiga, determina o aiuta consapevolmente l’insider primario a realizzare una delle condotte di abuso di informazioni privilegiate previste dall’art. 184 TUF (Tribunale di Milano, 23 gennaio 2007).Il fatto che una persona in possesso di informazioni privilegiate acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto di terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono comporta che tale persona ha utilizzato tali informazioni illecitamente, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione (CGUE, 23 dicembre 2009, C-45/08 Spector Photo Group NV, Chris Van Raemdonck / Commissie voor het Bank, Financie-en Assurantiewezen - CBFA).

Il progetto di promuovere un’OPA finalizzata al delisting (revoca della quotazione delle azioni di una società) è un’informazione privilegiata ai sensi dell’art. 181 TUF e il suo utilizzo speculativo prima della diffusione pubblica implica la violazione dell’art. 184 TUF, anche se la condotta sia tenuta dallo stesso artefice dell’evento cui corrisponde l’informazione (cosiddetto insider di se stesso) (Tribunale di Milano, Sez. 3, sentenza 12149/2015).

Il momento consumativo del reato di abuso di informazioni privilegiate va individuato, quando la condotta incriminata consista nell’acquisto di strumenti finanziari dematerializzati, in coincidenza con il trasferimento della proprietà dei titoli, che si perfeziona solo con il compimento della registrazione in accredito, ad opera dell’intermediario, sull’apposito conto aperto dall’acquirente (Sez. 5, 7769/2009).

Per la configurabilità dell’abuso di informazioni privilegiate non è necessario il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto informatore al soggetto agente; infatti, nel testo dell’art. 187-bis TUF, l’espressione “informazione” non è accompagnata da alcun riferimento alla relativa provenienza e deve quindi essere intesa come “conoscenza”, indipendentemente dalla circostanza che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all’agente.

Dunque, la CONSOB può sanzionare l’insider di se stesso, ossia colui che abbia utilizzato abusivamente una informazione privilegiata da lui stesso creata, in quanto ideatore dell’operazione relativa (Sez. 2 civile, 24319/2017).

La volontà dall’azionista di controllo non basta a concretizzare un’informazione privilegiata, idonea ad influire in modo sensibile sui prezzi degli strumenti finanziari, ciò che presuppone la fattibilità attuale dell’operazione, distinguendola da semplici rumours speculativi. L’informazione privilegiata è l’offerta pubblica, e non il suo mero progetto, almeno finché non abbia raggiunto un rilevante grado di concretezza. Elemento essenziale della condotta sanzionabile è la circostanza che l’acquisizione dell’informazione avvenga in ragione della relazione esistente tra insider ed emittente sicché chi lancia l’offerta pubblica non può considerarsi insider di se stesso in quanto egli è creatore dell’informazione indipendentemente dal possesso di cariche sociali e del controllo del capitale) (TAR Lazio, sentenza del 10 luglio 2012).

 

…inesistenza del divieto di bis in idem per la doppia sanzione penale e amministrativa

Dall’attuale quadro normativo europeo, particolarmente il Considerando n. 8 della Direttiva UE 2014/57 (MAD 1), emerge con chiarezza che l’introduzione da parte degli Stati membri di sanzioni penali almeno per i più gravi reati di abusi di mercato è essenziale per attuare in materia la politica dell’Unione

A sua volta, il Considerando n. 72 del Regolamento UE 596/2014 (MAR) statuisce che gli Stati membri, oltre a sanzioni penali, possono prevedere anche sanzioni amministrative per le stesse infrazioni: dunque, obbligo di sanzioni penali, facoltà di sanzioni amministrative.

La duplicità di sanzioni non trova ostacolo nella giurisprudenza dei giudici europei dei diritti umani che, nella sua più recente espressione (Corte EDU, Grande camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, con il solo dissenso del giudice Pinto de Albuquerque), ha considerevolmente ridotto la portata del divieto di bis in idem come definita nella precedente sentenza Grande Stevens c. Italia, valorizzando il criterio di una “close connection in time and substance – (stretta connessione di tempo e materia – NdA)” tra i procedimenti.

Tale criterio, se esistente, consente di considerarli parti di “un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell’illecito in maniera prevedibile e proporzionata, nel quadro di una strategia unitaria” e quindi di escludere la violazione dell’art. 4 del Protocollo 7 CEDU. È quindi legittima la celebrazione di un processo penale avente ad oggetto l’imputazione di abuso di informazioni privilegiate, anche se gli imputati siano stati in precedenza sanzionati amministrativamente dalla CONSOB per i medesimi fatti e non vi sono le condizioni per un rinvio pregiudiziale alla CGUE allo scopo di valutare la compatibilità del complessivo sistema sanzionatorio interno in materia con l’art. 50 CDFUE (Tribunale di Milano, ordinanza del 6 dicembre 2016).

Il divieto di bis in idem previsto dall’art. 4 del Protocollo 7 alla CEDU si applica solo nel caso in cui sul medesimo fatto sia intervenuta una sentenza definitiva e dunque non preclude il contemporaneo svolgimento di due procedimenti paralleli per il medesimo fatto se nessuno di essi sia approdato ad un esito definitivo (fattispecie in cui vi è stata concomitanza tra procedimento penale per l’ipotesi ex art. 184 TUF e procedimento amministrativo per l’applicazione di sanzioni amministrative dinanzi la CONSOB) (Tribunale di Milano, Sez. 3, sentenza 12149/2015).

Si segnala infine che la Corte costituzionale (sentenza 43/2018) ha dichiarato inammissibile una questione di illegittimità dell’art. 649 CPP per contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost. in riferimento all’art. 4 del Protocollo 7 della CEDU nella parte in cui non vieta “un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli”.

La Consulta si è fondata essenzialmente sulla citata pronuncia della Corte EDU nel caso A e B c. Norvegia, prendendo atto del mutamento giurisprudenziale così intervenuto.

 

Manipolazione del mercato (aggiotaggio manipolativo)

Il reato di manipolazione del mercato tutela l’integrità del mercato finanziario e conseguentemente gli investitori dal c.d. market abuse, ovvero quelle condotte manipolative in grado di alterare la regolare formazione del prezzo degli strumenti finanziari, così da garantire al mercato la trasparenza e l’efficienza indispensabili per il suo corretto funzionamento.

Infatti, la norma di cui all’articolo 185 TUF punisce chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi, qualora siano concretamente idonee a provocare una “sensibile” alterazione dei prezzo degli strumenti finanziari; l’alterazione presa in esame dalla norma penale è solo quella che risulta dal raffronto tra il corretto valore di mercato, cioè quello che si sarebbe determinato in un regime di normale contrattazione senza la presenza di condotte artificiose, ed i valori raggiunti dal titolo o, meglio, gli effetti potenzialmente modificativi del valore dello strumento finanziario prevedibili ex ante in conseguenza della condotta tenuta dall’operatore (Sez. 5, 45829/2018).

Secondo la giurisprudenza pacifica della Corte di cassazione, deve ritenersi acquisita la natura di reato di pericolo concreto del delitto di aggiotaggio manipolativo, evidenziandosene la natura di reato di mera condotta per la cui integrazione è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento: la natura concreta del pericolo esige, perché il reato si perfezioni, la manifestazione fenomenica dell’idoneità dell’azione a provocare quella sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari che realizza il contenuto offensivo tipico della fattispecie, consistente nella messa in pericolo effettiva dell’interesse protetto, rappresentato dal corretto ed efficiente andamento del mercato degli strumenti finanziari e delle operazioni che in esso si svolgono, al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale ed effettivo e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi e fraudolenti (Sez. 1, 45347/2015, richiamata da Sez. 5, 54300/2017).

Il delitto di manipolazione del mercato o aggiotaggio manipolativo ex art. 185 TUF è pacificamente reato di mera condotta e di pericolo concreto, per la cui integrazione è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento. Ne consegue che la verifica “ex post” dell’avvenuta alterazione del prezzo dei titoli scambiati costituisce solo elemento sintomatico della effettiva idoneità della condotta stessa a produrre l’alterazione sensibile del loro prezzo (Sez. 5, 54300/2017, richiamata da Sez. 5, 45829/2018).

Il reato di manipolazione del mercato, previsto dall’art. 185 TUF si caratterizza, differenziandosi dall’omologo illecito amministrativo di cui all’art. 187-ter TUF, anch’esso denominato di manipolazione del mercato, per la presenza di condotte qualificabili lato sensu come truffaldine o artificiose, idonee a concretizzare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari (Sez. 6, 15199/2006).

L’individuazione della competenza territoriale per il reato ex art. 185 TUF è legata al momento di perfezionamento del reato e, ove il fatto sia stato realizzato tramite operazioni di borsa, si radica nel luogo in cui le operazioni di compravendita degli strumenti finanziari si sono perfezionate e sono state rese note, che coincide con quello in cui ha sede la Borsa Italiana ovvero Milano (Sez. 5, 45829/2018).

La nozione di profitto dipendente dal reato di manipolazione del mercato, e riferibile sia alla società che agli azionisti indagati, deve presentare i connotati della immediata derivazione e della concreta effettività, ma non coincide necessariamente, quanto alla posizione dell’ente collettivo, con il solo profitto conseguito dall’autore del reato, potendo consistere anche in altri vantaggi di tipo economico che l’ente abbia consolidato e che siano dimostrati.

Per l’azionista, d’altra parte, valgono ovviamente gli stessi criteri, con la precisazione che il vantaggio può consistere nella acquisizione della plusvalenza delle azioni, come nella evitata perdita di valore, sempre che il vantaggio stesso possa individuarsi con le caratteristiche della effettiva realizzazione e non della sola “attesa”.

In tale prospettiva, la notazione della realizzata plusvalenza delle azioni, determinata dalla condotta di manipolazione del mercato, costituisce un criterio indicativo, sul piano indiziario, della esistenza di un profitto, ma non può dirsi il contrario e cioè che la rilevazione della situazione opposta  evenienza verificatasi nel provvedimento impugnato  costituisca anche, di per sé, l’affermazione che è provata la assenza di profitto confiscabile (Sez. 5, 25450/2014).

È da escludere che la natura del reato di manipolazione del mercato   reato di pericolo concreto e di mera condotta (Sez. 5, 28932/2011), per la cui consumazione non è necessario che si verifichi una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari  sia di ostacolo alla individuazione di un profitto confiscabile.

Basta leggere proprio il testo dell’art. 25 sexies che, al capoverso, regola espressamente la sanzione per l’illecito, in base all’entità del profitto che l’ente abbia conseguito in seguito alla commissione, nel suo interesse, del reato di manipolazione del mercato.

D’altra parte, la giurisprudenza è costante nell’individuare il profitto in relazione anche ai reati di pericolo, essendo, quello, il vantaggio patrimoniale, anche in termini di mancata perdita, che l’illecito può produrre per l’agente ed essendo indifferente alla struttura del reato (Sez. 3, 33184/2013; Sez. 2, 45786/2012).

Questo infatti si consuma indipendentemente dalla realizzazione dell’evento, ma alla sua ricostruzione, ai fini ad esempio del trattamento sanzionatorio come della adozione della misura cautelare reale, non è estraneo l’accertamento del verificarsi dell’evento e dei correlati effetti economici (Sez. 5, 25450/2014).

Ai fini della configurabilità del concorso nel reato di aggiotaggio manipolativo, materialmente posto in essere da altri, è sufficiente anche un contributo soltanto agevolatore dell’altrui attività manipolativa, e la prova di tale contributo, che può prescindere dalla dimostrazione della esistenza di un previo accordo tra i concorrenti, può consistere in un rafforzamento del proposito del correo o, in alternativa, in un apporto materiale efficiente alla condotta di questo (Sez. 5, 9369/2014).

Le relazioni ispettive dei funzionari della CONSOB sono utilizzabili ai fini di prova relativamente alle parti riguardanti il rilevamento dei dati oggettivi sull’andamento delle sedute di borsa ed al contenuto delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche degli intermediari (Sez. 5, 4324/2013).

La confisca ex art. 240 CP, come misura di sicurezza patrimoniale, è applicabile anche nei confronti di soggetti (quali le società) sforniti di capacità penale. Di conseguenza, ove il prezzo del reato di “market abuse” commesso dai legali rappresentanti di una banca, sia stato da questa utilizzato per propri fini, legittimamente è disposta la confisca di una somma di denaro equivalente al prezzo del reato e di cui la banca abbia la disponibilità (Sez. 2, 14660/2014, richiamata da Sez. 5, 4064/2016).

Desta perplessità il D. Lgs. 107/2018 (entrato in vigore il 29 settembre 2018), emanato dal Governo in attuazione alla Legge delega 163/2017 allo scopo di adeguare la disciplina nazionale in tema di abuso del mercato alle disposizioni contenute nel Regolamento UE 596/2014 e che prevede che sia configurabile una possibile violazione del divieto di doppia sanzione anche nel caso in cui il soggetto giuridico nei cui confronti sia diretta la pena sia – non una persona fisica, ma  una persona giuridica cui sia applicata una sanzione per l’illecito amministrativo ed una sanzione, ai sensi del D. Lgs. 231/2001, per il reato commesso da una persona fisica che abbia agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente collettivo medesimo. Infatti il novellato art. 187 -terdecies TUF prevede che “1. Quando per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del reo, dell’autore della violazione o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’articolo 187-septies, ovvero una sanzione penale o una sanzione amministrativa dipendente da reato [...] l’autorità giudiziaria o la CONSOB tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate”.

Tale normativa, facendo riferimento a sanzioni penali o sanzioni amministrative dipendenti da reato, ove sia riconosciuta alle stesse natura penale, trova il limite della retroattività della sanzione più favorevole ai fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa.

In base all’art 2, secondo capoverso, CP, se la legge del tempo in cui sono stati commessi i medesimi fatti aventi rilevanza o natura penale e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, attuandosi in tal modo il principio della extrattività della norma più favorevole, extrattività che è retroattività se la norma più favorevole è quella successiva, ultrattività se la norma più favorevole e quella anteriore.

Ciò risponde ad una duplice esigenza: da un lato si vuole evitare una valutazione del fatto più severa di quella del tempo in cui fu commesso il reato, dall’altro, nel caso d’identificazione della norma più favorevole con quella successiva, si sancisce l’inapplicabilità della disciplina antecedente, il cui maggiore rigore non risponde più ai nuovi parametri di valutazione sociale e morale del fatto.

La normativa previgente (art. 187-ter, Manipolazione del mercato) faceva “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, prevedendo il cumulo di sanzioni penali ed amministrative; il previgente art 187-terdecies (Esecuzione delle pene pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie nel processo penale) recita “1. Quando per lo stesso fatto è stata applicata a carico del reo o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi (dell’articolo 187-septies), la esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall’Autorità amministrativa”, facendo riferimento al solo cumulo di pene pecuniarie di natura amministrativa e sanzioni pecuniarie dipendenti da reato, lasciando fuori il cumulo tra sanzioni penali di natura detentiva e sanzioni amministrative di natura penale (applicabile nella fattispecie a favore dell’incolpato), riconosciute invece dall’interpretazione del novellato art. 187-terdecies.

II previgente art.  187-terdecies è quindi meno favorevole della nuova normativa che, invece, statuisce che l’autorità giudiziaria o la CONSOB tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate (art. 187-terdecies). Per misure punitive devono intendersi sia le pene detentive che la sanzioni pecuniarie sia di natura penale che amministrativa, con possibilità di cumulo anche tra pena detentiva e pena pecuniaria amministrativa ai fini della valutazione di proporzionalità demandata al giudice che applica la sanzione inflitta per ultima. In ogni caso il nuovo art. 187-terdecies è più favorevole nella parte in cui prevede il cumulo tra le sanzioni inflitte all’ente e alla persona fisica che lo rappresenta ai fini della valutazione di proporzionalità.

La nuova normativa (art. 187-terdecies) appare confliggente con i principi della Corte del Lussemburgo, nella parte in cui consente l’applicazione del principio del ne bis in idem anche nel caso di sanzioni inflitte a soggetti diversi (quali, ad esempio, la società e il suo legale rappresentante). Trattandosi di principio contrastante con l’orientamento consolidato, al riguardo, sia della CEDU che della CGUE (cfr. §17), il giudice nazionale dovrà disapplicare la sola parte della norma (187-terdecies novellato) confliggente con i principi della CGUE (anche in forza del principio del favor rei), ove non abbia riflessi sulla applicazione della restante normativa ritenuta più favorevole, essendo possibile, in tali limiti, una disapplicazione parziale della norma confliggente con i principi della CGUE.

Nel caso di specie il principio nazionale ritenuto incompatibile con i principi unionali deve ritenersi autonomo e non essenziale all’applicazione della restante disposizione normative.

La previsione della normativa nazionale in esame agevolerebbe, inoltre, condotte elusive con la comminatoria di pene nei confronti di persone fisiche che potrebbero essere adoperate come schermo (c.d. teste di legno) per salvaguardare il patrimonio di società o viceversa (Sez. 5 civile, 27564/2018).

Nell’interpretazione resa dalla Corte di Lussemburgo, il cumulo di sanzioni di natura penale può essere ammesso a condizione che nell’ordinamento dello Stato membro esistano norme che garantiscano che la severità dell’insieme delle sanzioni inflitte non risulti eccessiva rispetto alla gravità del fatto concretamente verificatosi.

Se è vero tuttavia che l’art. 187-terdecies TUF non può essere assunto – nella sua attuale formulazione – quale parametro normativo a tali fini, dal momento che non permette al giudice di modulare la risposta sanzionatoria tenendo conto del cumulo della sanzione pecuniaria e detentiva, è altresì vero che l’art. 133 CP impone in via generale al giudice di commisurare la pena alla “gravità” del fatto commesso; tale norma vincola infatti il decidente nell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dall’ordinamento in relazione alla determinazione della pena da infliggere, in linea con il principio di legalità della pena, prima ancora che con le recentissime statuizioni della CGUE.

Spetta dunque al giudice nazionale il compito di verificare la proporzionalità delle sanzioni complessivamente irrogate con riguardo a tutte le circostanze della fattispecie concreta oggetto del giudizio. Va quindi conclusivamente affermato che non sussiste la violazione del principio di ne bis in idem nel caso in cui le sanzioni penale ed amministrativa complessivamente irrogate rispettino il principio di “proporzionalità”, alla luce della recente giurisprudenza della Corte del Lussemburgo (CGUE, causa C-524/15, Menci; causa C-537/16, Garlsson Real Estate e altri) e della Corte di Strasburgo (Corte EDU, sentenza 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11).

In tema di abusi di mercato, come disciplinati dal TUF, la Corte di cassazione può quindi valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio in applicazione dell’art. 620, comma 1, lett. I), CPP, qualora non sia necessario procedere ad ulteriori accertamenti di fatto e facendo riferimento ai criteri di cui all’art. 133 CP (Sez. 5, 45829/2018).

Il delitto di manipolazione del mercato è di mera condotta e, quando questa è tenuta per intero all’estero, la competenza per territorio si radica, in applicazione dell’art. 10 comma 2 CPP   presso il “giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335 c.p.p.”.

La giurisdizione italiana non è preclusa dalla circostanza che l’ente abbia sede in uno Stato estero, come si desume  con chiarezza dal disposto dell’art. 182, comma 1, TUF, per il quale «I reati e gli illeciti previsti dal presente titolo sono puniti secondo la legge italiana anche se commessi all’estero, qualora attengano a strumenti finanziari ammessi o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o in un sistema multilaterale di negoziazione italiano»  (Tribunale di Trani, sentenza 837/2017).

Il Regolamento (CE) 1060/2009 è stato fino al 2013 il testo normativo essenziale per la disciplina dell’attività in ambito europeo delle agenzie di rating, per poi essere sostituito dal successivo Regolamento (UE) 462/2013. Il primo dei due Regolamenti non contemplava alcuna disciplina delle attività di “credit outlook” e di “credit watch”, (giudizi prospettici a medio o lungo termine) che sono state invece prese in considerazione e normate dal secondo Regolamento.

Ne consegue che l’ipotesi di responsabilità di un’agenzia di rating per l’artificiosa predisposizione di credit watch o di credit outlook compiuta nel 2011 non può trovare accoglimento ratione temporis poiché inidonea ad integrare la condotta di artificiosità richiesta dalle fattispecie di manipolazione del mercato e di insider trading (Tribunale di Trani, sentenza 837/2017).