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Corte Costituzionale: tra ordinanze contingibili e urgenti e ordinanze ordinarie c’è una sostanziale differenza

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 7 aprile 2011, n.115
Con la sentenza 115/2011, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000, come sostituito dall’art. 6 del D.L. n. 92/2008, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della L. n. 125/2008, in particolare per la presenza della congiunzione “anche”, prima delle parole “contingibili e urgenti”.

L’art. 54 recita: “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.

La controversia trae origine da un’ordinanza sindacale (n. 91 del 19/11/2009), emessa dal primo cittadino di Selvazzano Dentro (Padova), che vieta, nel territorio comunale, l’accattonaggio, anche non molesto.

L’Associazione “Razzismo Stop”, ravvisando in tale ordinanza un’eccessiva discriminazione, ha presentato ricorso al T.A.R. del Veneto.

Il Tribunale Amministrativo ha sospeso il provvedimento del Sindaco e rimesso la questione alla Corte Costituzionale (ordinanza n. 160/10), in quanto ha ritenuto l’articolo in questione in contrasto con i precetti costituzionali.

La Corte nel dichiarare l’illegittimità di tale articolo, nella parte in cui comprende la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili ed urgenti”, individua le caratteristiche connotanti degli atti amministrativi, offrendo una sorta di esempio pratico, rispetto a spiegazioni teoriche da manuale.

La decisione della Corte si sviluppa in quattro punti, associabili a quattro requisiti necessari degli atti amministrativi, ordinanze sindacali in particolare.

La Corte, circa il primo punto, opera una distinzione tra ordinanze ordinarie ed ordinanze “contingibili e urgenti”. Le prime non possono derogare norme giuridiche, le secondo possono, invece, rifarsi anche ai soli principi generali dell’ordinamento giuridico, proprio perché legate a situazioni eccezionali. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’ordinanza sindacale sull’accattonaggio non fosse classificabile come “contingibile ed urgente”, quindi dovesse rispettare le norme ordinarie vigenti.

Per il secondo punto, riguardante la discrezionalità del sindaco, la Corte ha stabilito che il potere amministrativo di questo è conferito secondo il principio di legalità sostanziale. Perciò se l’ordinanza incide, come in questo caso, sulla libertà dei singoli, deve rispettare l’art. 23 della Costituzione che recita “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

Il sindaco, o più in generale l’organo amministrativo, sebbene la riserva dell’art. 23 sia relativa, non può definire “an et quantum” della prestazione, come già stabilito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 4/57). Questo principio implica che la legge, mentre attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione, non lasci all’arbitrio dello stesso la determinazione della prestazione medesima.

Nel caso di specie la discrezionalità del sindaco potrebbe essere giustificata da un decreto del Ministro dell’Interno del 5 Agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione), ma tale atto può solo indirizzare l’azione del sindaco, in quanto figura istituzionale subordinata gerarchicamente al Ministro dell’Interno, ma non giustificarne la discrezionalità poiché non trova fondamento in un atto avente forza di legge.

Il terzo punto, su cui si esprime la Corte, si basa sul principio della imparzialità della pubblica amministrazione sancito all’art. 97 della Costituzione, che introduce un’altra riserva relativa per evitare il verificarsi di discriminazioni all’interno del territorio dello Stato dovute, appunto, ad una libertà eccessiva degli organi amministrativi. In questo caso l’art. 97 viene violato perché l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 pone solo dei limiti finalistici, non garantendo ab initio l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, in quanto non fornisce dettagli che pongano limiti formali e sostanziali al sindaco.

A fortiori risulta violato l’articolo 3 della Costituzione, quarto punto esaminato dalla Corte Costituzionale, poiché l’art. 54 consente all’autorità amministrativa “restrizioni diverse e variegate frutto di valutazioni molteplici non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria” (sent.115/2011).

In conclusione un atto amministrativo ordinario, un’ordinanza sindacale nel caso di specie, non può derogare norme giuridiche. Deve sempre rispettare i principi dell’ordinamento anche se contingibile e urgente. Deve rispettare la legge di conferimento del potere, sia da un punto di vista sostanziale che formale. Non può imporre prestazioni o restrizioni della libertà dei singoli e delle comunità che non siano desumibili chiaramente dagli interventi legislativi, che a loro volta, devono porre limiti specifici, non esclusivamente finalistici.

La Corte con questa sentenza definisce esattamente quando e come la fonte primaria sia in grado di attribuire potere, formalmente e sostanzialmente, agli organi amministrativi.

A mio avviso, ci ricorda, altresì, implicitamente, una criticità del diritto amministrativo che per necessità di aderenza al territorio "giustifica" azioni, forse, riconducibili al principio di ragionevolezza, ma che almeno in parte affievoliscono la certezza del diritto.

Con la sentenza 115/2011, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000, come sostituito dall’art. 6 del D.L. n. 92/2008, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della L. n. 125/2008, in particolare per la presenza della congiunzione “anche”, prima delle parole “contingibili e urgenti”.

L’art. 54 recita: “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.

La controversia trae origine da un’ordinanza sindacale (n. 91 del 19/11/2009), emessa dal primo cittadino di Selvazzano Dentro (Padova), che vieta, nel territorio comunale, l’accattonaggio, anche non molesto.

L’Associazione “Razzismo Stop”, ravvisando in tale ordinanza un’eccessiva discriminazione, ha presentato ricorso al T.A.R. del Veneto.

Il Tribunale Amministrativo ha sospeso il provvedimento del Sindaco e rimesso la questione alla Corte Costituzionale (ordinanza n. 160/10), in quanto ha ritenuto l’articolo in questione in contrasto con i precetti costituzionali.

La Corte nel dichiarare l’illegittimità di tale articolo, nella parte in cui comprende la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili ed urgenti”, individua le caratteristiche connotanti degli atti amministrativi, offrendo una sorta di esempio pratico, rispetto a spiegazioni teoriche da manuale.

La decisione della Corte si sviluppa in quattro punti, associabili a quattro requisiti necessari degli atti amministrativi, ordinanze sindacali in particolare.

La Corte, circa il primo punto, opera una distinzione tra ordinanze ordinarie ed ordinanze “contingibili e urgenti”. Le prime non possono derogare norme giuridiche, le secondo possono, invece, rifarsi anche ai soli principi generali dell’ordinamento giuridico, proprio perché legate a situazioni eccezionali. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’ordinanza sindacale sull’accattonaggio non fosse classificabile come “contingibile ed urgente”, quindi dovesse rispettare le norme ordinarie vigenti.

Per il secondo punto, riguardante la discrezionalità del sindaco, la Corte ha stabilito che il potere amministrativo di questo è conferito secondo il principio di legalità sostanziale. Perciò se l’ordinanza incide, come in questo caso, sulla libertà dei singoli, deve rispettare l’art. 23 della Costituzione che recita “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

Il sindaco, o più in generale l’organo amministrativo, sebbene la riserva dell’art. 23 sia relativa, non può definire “an et quantum” della prestazione, come già stabilito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 4/57). Questo principio implica che la legge, mentre attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione, non lasci all’arbitrio dello stesso la determinazione della prestazione medesima.

Nel caso di specie la discrezionalità del sindaco potrebbe essere giustificata da un decreto del Ministro dell’Interno del 5 Agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione), ma tale atto può solo indirizzare l’azione del sindaco, in quanto figura istituzionale subordinata gerarchicamente al Ministro dell’Interno, ma non giustificarne la discrezionalità poiché non trova fondamento in un atto avente forza di legge.

Il terzo punto, su cui si esprime la Corte, si basa sul principio della imparzialità della pubblica amministrazione sancito all’art. 97 della Costituzione, che introduce un’altra riserva relativa per evitare il verificarsi di discriminazioni all’interno del territorio dello Stato dovute, appunto, ad una libertà eccessiva degli organi amministrativi. In questo caso l’art. 97 viene violato perché l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 pone solo dei limiti finalistici, non garantendo ab initio l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, in quanto non fornisce dettagli che pongano limiti formali e sostanziali al sindaco.

A fortiori risulta violato l’articolo 3 della Costituzione, quarto punto esaminato dalla Corte Costituzionale, poiché l’art. 54 consente all’autorità amministrativa “restrizioni diverse e variegate frutto di valutazioni molteplici non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria” (sent.115/2011).

In conclusione un atto amministrativo ordinario, un’ordinanza sindacale nel caso di specie, non può derogare norme giuridiche. Deve sempre rispettare i principi dell’ordinamento anche se contingibile e urgente. Deve rispettare la legge di conferimento del potere, sia da un punto di vista sostanziale che formale. Non può imporre prestazioni o restrizioni della libertà dei singoli e delle comunità che non siano desumibili chiaramente dagli interventi legislativi, che a loro volta, devono porre limiti specifici, non esclusivamente finalistici.

La Corte con questa sentenza definisce esattamente quando e come la fonte primaria sia in grado di attribuire potere, formalmente e sostanzialmente, agli organi amministrativi.

A mio avviso, ci ricorda, altresì, implicitamente, una criticità del diritto amministrativo che per necessità di aderenza al territorio "giustifica" azioni, forse, riconducibili al principio di ragionevolezza, ma che almeno in parte affievoliscono la certezza del diritto.