Corte dei Conti: condanna al direttore tributario per lesione all’immagine dell’Agenzia delle Entrate

Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte

Presidente: Antonio D’Aversa

Giudice relatore: Gerardo de Marco

Nel giudizio di responsabilità iscritto in data 25.11.2008 al n. 18168/R del Registro di Segreteria, promosso dalla Procura Regionale contro il signor G. N., difeso dagli Avv.ti Michele G. Caldarera del Foro di Novara e Marcello Bossi del Foro di Torino.

FATTO

1. La Procura Regionale, in persona del Sostituto Procuratore Claudio Mori, ha convenuto in giudizio davanti a questa Corte il signor N. per ottenere il risarcimento, in favore dell’Agenzia delle entrate, di un danno all’immagine stimato in diecimila euro, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

In particolare, come riferito nell’atto di citazione (sulla base delle risultanze di un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza per conto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di omissis), il Pubblico Ministero contabile contesta al convenuto, nella sua qualità di direttore tributario in servizio presso l’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, di aver assunto a favore di alcune ditte l’incarico di tenerne la contabilità e di fornire alle medesime la necessaria consulenza fiscale, percependo dalle medesime un compenso non inferiore a venti milioni di lire. Ciò in palese violazione delle tassative norme di legge e contrattuali concernenti l’attività dei dipendenti dell’amministrazione finanziaria. Per tale ragione, riferisce ancora la Procura, il convenuto è stato sanzionato con il licenziamento sotto il profilo disciplinare, mentre sotto il profilo penale il relativo procedimento (per l’ipotetico reato di concussione) si è concluso con l’archiviazione.

Ciò posto, il Pubblico Ministero ravvisa “un grave danno all’identità pubblica (od immagine) dell’Amministrazione delle Entrate” in quanto il comportamento del signor N. ha “certamente violato in modo diretto ed immediato l’art. 97 della Costituzione che sancisce il dovere di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione”; quest’ultima norma – osserva la Procura, citando SS.RR. sent. 10/QM/2003 – indica le modalità dell’azione della Pubblica Amministrazione e “l’immagine corretta” che l’ente pubblico deve mantenere agli occhi dei cittadini. Di conseguenza, ogni volta che tale immagine sia offuscata da comportamenti illeciti, abbiano o non essi rilevanza penale, si verifica una violazione del diritto all’immagine “intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica”, e tale violazione è economicamente valutabile. Nella specie, ad avviso della Procura:

- i fatti accertati hanno determinato un grave vulnus all’Amministrazione delle Entrate poiché il dipendente, contravvenendo ad espressi divieti e incorrendo in una palese incompatibilità con le funzioni a cui era preposto in seno alla p.a. di appartenenza, ha svolto per lungo tempo un’attività remunerata a favore di terzi; attività non solo non autorizzata, ma assolutamente incompatibile per i dipendenti dell’Amministrazione Finanziaria;

- questa assoluta incompatibilità, con evidenza, si lega alla necessità di evitare il conflitto d’interessi che verrebbe a determinarsi qualora fosse consentito a soggetti che curano direttamente l’interesse dello Stato alla corretta ed efficiente riscossione delle entrate di svolgere, contemporaneamente nell’interesse di terzi-contribuenti e previa remunerazione, un’attività esterna assimilabile per contenuti a quella dei dottori commercialisti, ragionieri o consulenti fiscali;

- inoltre, le violazioni contestate, certamente, hanno prodotto una diminuzione della considerazione dell’Agenzia delle Entrate, sia da parte dei consociati in genere e di settori di essi, con i quali la persona giuridica, direttamente o indirettamente, si rapporta per ragioni istituzionali; sia nei confronti delle stesse persone fisiche che rivestono e ricoprono funzioni all’interno dell’Ente, che patiscono l’incidenza negativa di tale diminuita considerazione dell’attività istituzionale dell’Ente;

- in ordine ai parametri da utilizzare per determinare il “quantum” del danno può farsi riferimento ai criteri (di matrice giurisprudenziale) del rilievo e delicatezza dell’attività svolta, della posizione funzionale dell’autore dell’illecito (già Direttore Tributario e reggente dell’Ufficio Imposte Dirette di omissis poi, dal 2001, Capo Area Accertamento dell’Ufficio Imposte Dirette di omissis), dell’entità economica del fatto (percezione di somme per attività non autorizzata), della diffusione della vicenda anche internamente all’Amministrazione (procedimento penale e disciplinare), delle negative ricadute sociali, della durata, intensità, estensione e gravità dei fenomeni, dei costi diretti e indiretti sostenuti o preventivati dall’Amministrazione per la promozione della propria immagine presso la comunità di riferimento e quella generale.

Di qui la richiesta di condanna del convenuto al risarcimento in favore dell’Agenzia delle entrate del danno all’immagine liquidato dalla Procura, in via equitativa, nell’importo di diecimila euro, oltre accessori.

2. Il signor N. si è costituito in giudizio, per il tramite dei propri legali, con memoria depositata il 19.05.2009, osservando che:

I) nella fattispecie, manca la connotazione del carattere della “abitualità” dell’attività extralavorativa svolta, trattandosi piuttosto di attività sporadica e occasionale, “comunque svolta sempre e solo a titolo di favore nei confronti di un ristrettissimo numero di amici”;

II) nell’abitazione del convenuto non v’è mai stata alcuna stanza adibita a studio privato dello stesso; per quanto riguarda la “svariata documentazione” lì rinvenuta, si trattava, ovviamente, di quella relativa al ristretto numero di amici di cui sopra; le dichiarazioni delle persone interessate sono state ampiamente ridimensionate (con particolare riferimento agli assegni ricevuti dal convenuto a titolo di corrispettivo per l’acquisto di vecchi mobili e di un motorino usato, nonché di rimborso di anticipazioni fatte); l’importo degli assegni incassati dal convenuto non è stato comunque ripreso a tassazione; sin dall’anno 1999 i contribuenti interessati erano stati in realtà seguiti dalla figlia del convenuto e non dal convenuto medesimo;

III) in ordine alla dedotta violazione delle norme del CCNL per il personale della Agenzia delle Entrate, la stessa non solo non appare confortata da elementi di riscontro, ma è addirittura contraddetta dalla attestazione rilasciata dal Direttore della Agenzia delle Entrate di omissis, secondo cui il convenuto ha svolto il proprio lavoro “con professionalità, con apprezzabile impegno ed encomiabile diligenza, riscuotendo considerevole stima all’interno e all’esterno dell’ufficio ed offrendo costantemente la massima disponibilità dal punto di vista professionale e organizzativo ai colleghi ed alla Direzione stessa”; ad avviso della difesa, non sembra quindi che possa ritenersi obiettivamente consumata la violazione della contrattazione collettiva, non avendo il convenuto mai anteposto interessi privati propri o altrui al rispetto della legge e dell’interesse pubblico;

IV) il procedimento penale instaurato nei confronti del convenuto è stato archiviato, né dall’indagine possono trarsi elementi probatori di rilievo;

V) per configurare un danno all’immagine occorre che la lesione superi una soglia minima, per tradursi in danno risarcibile, con onere della prova gravante sull’attore, anche in ordine al clamor fori; ciò non è avvenuto nella vicenda in giudizio, di nessun spessore, di cui nessuno si è accorto, né preoccupato, conclusasi addirittura con un’archiviazione e nemmeno con una sentenza dibattimentale pubblica; d’altra parte, va esclusa l’esistenza del danno all’immagine laddove risulti che l’amministrazione abbia adottato un provvedimento disciplinare di licenziamento del dipendente, offrendo così all’opinione pubblica e al proprio apparato burocratico un esempio di correttezza e trasparenza idoneo a contrastare ed elidere l’oggettiva lesività dei comportamenti illeciti sui quali era fondata la domanda risarcitoria (cita Corte Conti, Sez. App. I, 19/10/06, n. 205).

VI) al momento della liquidazione del trattamento di fine rapporto, la Direzione regionale delle Entrate del omissis non ha espresso riserva alcuna;

VII) se è vero che il danno all’immagine può essere liquidato in via equitativa, è vero altresì che incombe sempre sul P.M. contabile l’onere di indicarne i parametri di valutazione.

Il convenuto ha quindi concluso per il rigetto della domanda di condanna.

3. All’udienza pubblica del 10 giugno 2009, udito il Giudice relatore, sono intervenuti il Pubblico Ministero Claudio Mori e l’Avv. Gaia Bonazzoli (quale sostituto processuale dell’Avv. Marcello Bossi); le parti hanno richiamato oralmente i contenuti degli atti depositati, confermandone le conclusioni.

La causa è stata quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

La richiesta risarcitoria avanzata della Procura è fondata e va accolta nei termini e nei limiti di seguito indicati.

Questa Corte, dopo attento esame della documentazione versata agli atti del giudizio e nell’ambito del proprio prudente apprezzamento, ritiene ragionevolmente provato lo svolgimento, da parte del convenuto, di attività extralavorativa radicalmente incompatibile con l’impiego pubblico ricoperto. A fronte dei circostanziati riscontri documentati dalla Procura, non appaiono seriamente credibili le labili giustificazioni addotte dal convenuto (e, segnatamente, quelle relative alla prestazione gratuita di assistenza fiscale in favore di un ristretto numero di amici, principalmente ad opera della propria figlia, nonché quelle relative ad asserite operazioni di compravendita di beni usati “sottostanti” i versamenti ricevuti dai contribuenti interessati e rilevati in sede di indagine penale); ciò neppure dopo le (parziali, e all’evidenza poco attendibili) ritrattazioni di alcuni tra i soggetti escussi a sommarie informazioni dalla Guardia di Finanza (cfr. all. 1 e 2 alla memoria di costituzione in giudizio del convenuto).

Non ha poi rilievo, se non ai fini della concreta quantificazione del danno, l’indagine circa l’estensione concreta dell’illecito e, in particolare, circa la “abitualità” o “professionalità” dell’attività di assistenza tributaria (comunque inderogabilmente vietata, anche se svolta una tantum) prestata in proprio dal signor N.: certo è che il funzionario dell’amministrazione finanziaria, pur ricoprendo l’incarico di titolare di un Ufficio delle Imposte Dirette (prima) e di Capo Area Controllo di un Ufficio delle entrate (poi), ha tenuto la contabilità ed ha curato gli adempimenti fiscali relativi ad alcuni contribuenti, verso riconoscimento di corrispettivo o altre utilità. Le attività suddette si sono comunque protratte per anni, con sistematicità, in totale spregio delle ostative norme di legge, contrattuali e deontologiche applicabili al personale del comparto fiscale.

Parimenti irrilevanti, ai fini del decidere, sono la mancata ripresa a tassazione dei compensi intascati verosimilmente “al nero” dal signor N. e la mancanza di contestazioni o riserve da parte dell’Agenzia in sede di liquidazione delle competenze del medesimo signor N., all’atto della cessazione del rapporto di lavoro: non si tratta, infatti, di elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità amministrativa; all’opposto, in linea di principio, proprio la mancata tassazione dei compensi illecitamente accumulati nel corso del tempo dal convenuto potrebbe essere tenuta in considerazione, quale ulteriore circostanza di fatto, ai fini di una più severa quantificazione del danno d’immagine arrecato all’Agenzia fiscale di appartenenza.

In merito alla sussistenza del danno, è da condividere l’osservazione del Pubblico Ministero secondo cui il comportamento in esame lede la credibilità, il prestigio e l’immagine dell’apparato fiscale, tanto più in considerazione del ruolo di responsabilità rivestito dal convenuto, ingenerando l’intollerabile sospetto che i contribuenti “assistiti” o “seguiti” privatamente dal convenuto medesimo possano essere stati in qualche misura favoriti o che, comunque, in casi della specie possa restare incerto il confine dell’interesse privato (sia del contribuente, sia del funzionario pubblico) in contrapposizione all’interesse pubblico sovrano (affidato alle cure dell’Agenzia).

Sicuramente non è condivisibile l’esempio di un Capo Area Controllo di un Ufficio delle entrate il quale, benché istituzionalmente impegnato nella lotta all’evasione e all’elusione fiscale, parallelamente svolga in favore di alcuni contribuenti attività extralavorativa privata di assistenza tributaria, in evasione d’imposta oltre che in palese conflitto d’interessi con l’amministrazione di appartenenza, per “arrotondare” lo stipendio.

Il conseguente danno d’immagine per l’Agenzia delle entrate è di agevole percezione, tanto più ove si tenga a mente che, per nozione di comune esperienza, il rumor e le “voci” dapprima sull’avvio di una indagine penale (di cui, in effetti, ha dato conto la stampa locale) ed in seguito sull’emergere delle attività “collaterali” del signor N. e sul suo conseguente licenziamento disciplinare si sono inevitabilmente diffuse, specie tra gli “addetti ai lavori” in ambito locale, ingenerando, da un lato, all’esterno, il convincimento che alcuni dipendenti dell’amministrazione fiscale operino in violazione di legge e perseguendo il proprio vantaggio personale; dall’altro lato, all’interno, il senso di sdegno, frustrazione e perdita di autorevolezza degli altri dipendenti dell’Agenzia i quali quotidianamente, con dedizione e rettitudine, operano nell’interesse esclusivo della collettività. Ne deriva, in definitiva, la proiezione di un’immagine negativa dell’Agenzia delle entrate ed il consolidamento della visione di un apparato tributario immancabilmente distorto e distolto dal perseguimento in via esclusiva dell’interesse pubblico.

Comportamenti illeciti, qual è quello posto in essere dal signor N., appaiono direttamente lesivi di valori primari di rilievo costituzionale quali il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica (artt. 97 e 98 Cost.), per tacere poi della materia, di primaria importanza, entro cui gli illeciti stessi nella fattispecie vengono a collocarsi, vale a dire quella tributaria (cfr. art. 53 Cost.). Si tratta di valori e diritti fondamentali che definiscono l’identità stessa della Repubblica ed in relazione ai quali, per giurisprudenza pacifica, va ammesso il risarcimento anche del danno c.d. “non patrimoniale” (v. SS.RR., sent. 10/QM del 23 aprile 2003, i cui contenuti restano attuali anche dopo Cass., SS.UU., sent. 26972 dell’11 novembre 2008; in tema, v. Sez. Piemonte, sent. 3 del 19 gennaio 2009). Per quanto qui specificamente interessa, si è da ultimo riconosciuta e confermata, a prescindere dal nomen iuris concretamente utilizzato dal Giudice, piena legittimità del risarcimento (anche) dei danni non patrimoniali in generale, a fronte di illeciti sia contrattuali sia extracontrattuali, anche al di fuori delle ipotesi “tipiche” previste dalla legge (cfr. art. 2059 c.c.), purché conseguenti alla lesione di diritti fondamentali ed inviolabili della persona (anche giuridica, ed anche pubblica). Né potrebbe assumere rilievo, con riguardo alla specifica fattispecie in giudizio, la riconduzione sistematica del danno non patrimoniale alla categoria del “danno-conseguenza” (che deve essere allegato e provato) piuttosto che al “danno-evento” (che identifica il danno con l’evento dannoso, in re ipsa). La Procura, infatti, ha sufficientemente allegato e provato il danno da risarcire, essendo comunque ammesso, a tal fine, anche il ricorso alle nozioni di comune esperienza ovvero alla prova per presunzioni; va, anzi, preso atto che laddove il pregiudizio attenga ad un bene immateriale, “il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri” (sent. 26972/2008, cit.). In ogni caso, in materia d’immagine della pubblica amministrazione, è imprescindibile la legge 7 giugno 2000, n. 150, recante la “disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni” (v. anche la direttiva del 7 febbraio 2002, in materia di “attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”, emanata dal Ministro per la funzione pubblica). Con riguardo specifico all’Agenzia delle entrate, questa Corte non può che prendere atto delle molteplici iniziative di comunicazione e sensibilizzazione del contribuente, costantemente adottate dall’Agenzia stessa nell’arco dell’ultimo decennio, iniziative che possono considerarsi alla stregua del fatto notorio e che rendono, in ogni caso, stimabile in via equitativa un’ipotetica spesa di ripristino del bene “immagine” leso (cfr. Sez. Terza Appello, sent. 143 del 9 aprile 2009).

Venendo, peraltro, alla liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 del codice civile, la condanna richiesta dalla Procura in somma “non inferiore” a diecimila euro appare incongrua, per eccesso, tenuto conto delle caratteristiche concrete dell’illecito in giudizio, anche in raffronto a ben più gravi fattispecie delittuose pure conosciute da questa Corte. In particolare: alla luce delle allegazioni e delle deduzioni svolte dalla difesa del convenuto; tenuto nella dovuta considerazione che i fatti non hanno avuto alcun rilievo penale; valutata l’assenza di diffusione della notizia dell’illecito a mezzo stampa (salvo il menzionato articolo sull’avvio delle indagini penali, poi archiviate); considerato che, al di là del mero pregiudizio d’immagine, la Procura non ha contestato la sussistenza di altra lesione patrimoniale in capo all’amministrazione (in particolare, non constando che il signor N. abbia in qualche modo “pilotato” o “addomesticato” alcun controllo fiscale a favore dei suoi “clienti”e in danno dell’Agenzia); preso atto della positiva attestazione rilasciata in favore del convenuto dal dirigente dell’Ufficio di omissis in data 12 maggio 2004; rilevato che, in concreto, la cerchia di contribuenti interessati alle prestazioni del convenuto era, comunque, assai modesta, non essendo l’attività di questi assimilabile, per quantità e qualità dei rapporti, all’impianto abusivo di un vero e proprio studio commerciale; valutato il presumibile costo di iniziative volte, in ambito locale, al ripristino dell’immagine degli uffici periferici dell’Agenzia delle entrate coinvolti; tutto ciò considerato e soppesato, pur ribadendo la astratta gravità dei fatti in contestazione, nella specie appare equo limitare la liquidazione del danno all’immagine all’importo complessivo di euro 2.000,00 (duemila/00), da intendersi già comprensivo di rivalutazione monetaria, con maggiorazione degli interessi legali dal deposito della presente sentenza fino al saldo.

Restano assorbite nelle precedenti considerazioni tutte le altre questioni ed eccezioni di rito e di merito sollevate dalle parti.

Le spese del giudizio da versare all’erario statale, liquidate a cura della Segreteria della Sezione, seguono la soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte,

CONDANNA

il signor G. N. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, della somma di euro 2.000,00 (duemila/00), già comprensiva di rivalutazione monetaria, con maggiorazione di interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.

Le spese di giudizio da versare all’erario dello Stato, complessivamente liquidate a cura della Segreteria in euro 571,70 (CINQUECENTOSETTANTUNO/70), seguono la soccombenza.

Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 10 giugno 2009.

Il Giudice estensore

(F.to Gerardo de Marco )

Il Presidente

( F.to Antonio D’Aversa )

Depositata in Segreteria il 2 Luglio 2009

Il Direttore della Segreteria

( F.to Antonio Cinque )

* * *

Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”,

HA DISPOSTO

che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi della parte e, se esistenti, dei danti causa e degli aventi causa nonché dei terzi citati in sentenza.

Torino, 2 Luglio 2009

Il Presidente

( F.to Antonio D’Aversa )

* * *

In esecuzione del Provvedimento collegiale ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte e, se esistenti, dei danti causa e degli aventi causa nonche’ dei terzi citati in sentenza.

Torino, 2 Luglio 2009

Il Direttore della Segreteria

( F.to Antonio Cinque)

Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte

Presidente: Antonio D’Aversa

Giudice relatore: Gerardo de Marco

Nel giudizio di responsabilità iscritto in data 25.11.2008 al n. 18168/R del Registro di Segreteria, promosso dalla Procura Regionale contro il signor G. N., difeso dagli Avv.ti Michele G. Caldarera del Foro di Novara e Marcello Bossi del Foro di Torino.

FATTO

1. La Procura Regionale, in persona del Sostituto Procuratore Claudio Mori, ha convenuto in giudizio davanti a questa Corte il signor N. per ottenere il risarcimento, in favore dell’Agenzia delle entrate, di un danno all’immagine stimato in diecimila euro, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

In particolare, come riferito nell’atto di citazione (sulla base delle risultanze di un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza per conto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di omissis), il Pubblico Ministero contabile contesta al convenuto, nella sua qualità di direttore tributario in servizio presso l’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, di aver assunto a favore di alcune ditte l’incarico di tenerne la contabilità e di fornire alle medesime la necessaria consulenza fiscale, percependo dalle medesime un compenso non inferiore a venti milioni di lire. Ciò in palese violazione delle tassative norme di legge e contrattuali concernenti l’attività dei dipendenti dell’amministrazione finanziaria. Per tale ragione, riferisce ancora la Procura, il convenuto è stato sanzionato con il licenziamento sotto il profilo disciplinare, mentre sotto il profilo penale il relativo procedimento (per l’ipotetico reato di concussione) si è concluso con l’archiviazione.

Ciò posto, il Pubblico Ministero ravvisa “un grave danno all’identità pubblica (od immagine) dell’Amministrazione delle Entrate” in quanto il comportamento del signor N. ha “certamente violato in modo diretto ed immediato l’art. 97 della Costituzione che sancisce il dovere di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione”; quest’ultima norma – osserva la Procura, citando SS.RR. sent. 10/QM/2003 – indica le modalità dell’azione della Pubblica Amministrazione e “l’immagine corretta” che l’ente pubblico deve mantenere agli occhi dei cittadini. Di conseguenza, ogni volta che tale immagine sia offuscata da comportamenti illeciti, abbiano o non essi rilevanza penale, si verifica una violazione del diritto all’immagine “intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica”, e tale violazione è economicamente valutabile. Nella specie, ad avviso della Procura:

- i fatti accertati hanno determinato un grave vulnus all’Amministrazione delle Entrate poiché il dipendente, contravvenendo ad espressi divieti e incorrendo in una palese incompatibilità con le funzioni a cui era preposto in seno alla p.a. di appartenenza, ha svolto per lungo tempo un’attività remunerata a favore di terzi; attività non solo non autorizzata, ma assolutamente incompatibile per i dipendenti dell’Amministrazione Finanziaria;

- questa assoluta incompatibilità, con evidenza, si lega alla necessità di evitare il conflitto d’interessi che verrebbe a determinarsi qualora fosse consentito a soggetti che curano direttamente l’interesse dello Stato alla corretta ed efficiente riscossione delle entrate di svolgere, contemporaneamente nell’interesse di terzi-contribuenti e previa remunerazione, un’attività esterna assimilabile per contenuti a quella dei dottori commercialisti, ragionieri o consulenti fiscali;

- inoltre, le violazioni contestate, certamente, hanno prodotto una diminuzione della considerazione dell’Agenzia delle Entrate, sia da parte dei consociati in genere e di settori di essi, con i quali la persona giuridica, direttamente o indirettamente, si rapporta per ragioni istituzionali; sia nei confronti delle stesse persone fisiche che rivestono e ricoprono funzioni all’interno dell’Ente, che patiscono l’incidenza negativa di tale diminuita considerazione dell’attività istituzionale dell’Ente;

- in ordine ai parametri da utilizzare per determinare il “quantum” del danno può farsi riferimento ai criteri (di matrice giurisprudenziale) del rilievo e delicatezza dell’attività svolta, della posizione funzionale dell’autore dell’illecito (già Direttore Tributario e reggente dell’Ufficio Imposte Dirette di omissis poi, dal 2001, Capo Area Accertamento dell’Ufficio Imposte Dirette di omissis), dell’entità economica del fatto (percezione di somme per attività non autorizzata), della diffusione della vicenda anche internamente all’Amministrazione (procedimento penale e disciplinare), delle negative ricadute sociali, della durata, intensità, estensione e gravità dei fenomeni, dei costi diretti e indiretti sostenuti o preventivati dall’Amministrazione per la promozione della propria immagine presso la comunità di riferimento e quella generale.

Di qui la richiesta di condanna del convenuto al risarcimento in favore dell’Agenzia delle entrate del danno all’immagine liquidato dalla Procura, in via equitativa, nell’importo di diecimila euro, oltre accessori.

2. Il signor N. si è costituito in giudizio, per il tramite dei propri legali, con memoria depositata il 19.05.2009, osservando che:

I) nella fattispecie, manca la connotazione del carattere della “abitualità” dell’attività extralavorativa svolta, trattandosi piuttosto di attività sporadica e occasionale, “comunque svolta sempre e solo a titolo di favore nei confronti di un ristrettissimo numero di amici”;

II) nell’abitazione del convenuto non v’è mai stata alcuna stanza adibita a studio privato dello stesso; per quanto riguarda la “svariata documentazione” lì rinvenuta, si trattava, ovviamente, di quella relativa al ristretto numero di amici di cui sopra; le dichiarazioni delle persone interessate sono state ampiamente ridimensionate (con particolare riferimento agli assegni ricevuti dal convenuto a titolo di corrispettivo per l’acquisto di vecchi mobili e di un motorino usato, nonché di rimborso di anticipazioni fatte); l’importo degli assegni incassati dal convenuto non è stato comunque ripreso a tassazione; sin dall’anno 1999 i contribuenti interessati erano stati in realtà seguiti dalla figlia del convenuto e non dal convenuto medesimo;

III) in ordine alla dedotta violazione delle norme del CCNL per il personale della Agenzia delle Entrate, la stessa non solo non appare confortata da elementi di riscontro, ma è addirittura contraddetta dalla attestazione rilasciata dal Direttore della Agenzia delle Entrate di omissis, secondo cui il convenuto ha svolto il proprio lavoro “con professionalità, con apprezzabile impegno ed encomiabile diligenza, riscuotendo considerevole stima all’interno e all’esterno dell’ufficio ed offrendo costantemente la massima disponibilità dal punto di vista professionale e organizzativo ai colleghi ed alla Direzione stessa”; ad avviso della difesa, non sembra quindi che possa ritenersi obiettivamente consumata la violazione della contrattazione collettiva, non avendo il convenuto mai anteposto interessi privati propri o altrui al rispetto della legge e dell’interesse pubblico;

IV) il procedimento penale instaurato nei confronti del convenuto è stato archiviato, né dall’indagine possono trarsi elementi probatori di rilievo;

V) per configurare un danno all’immagine occorre che la lesione superi una soglia minima, per tradursi in danno risarcibile, con onere della prova gravante sull’attore, anche in ordine al clamor fori; ciò non è avvenuto nella vicenda in giudizio, di nessun spessore, di cui nessuno si è accorto, né preoccupato, conclusasi addirittura con un’archiviazione e nemmeno con una sentenza dibattimentale pubblica; d’altra parte, va esclusa l’esistenza del danno all’immagine laddove risulti che l’amministrazione abbia adottato un provvedimento disciplinare di licenziamento del dipendente, offrendo così all’opinione pubblica e al proprio apparato burocratico un esempio di correttezza e trasparenza idoneo a contrastare ed elidere l’oggettiva lesività dei comportamenti illeciti sui quali era fondata la domanda risarcitoria (cita Corte Conti, Sez. App. I, 19/10/06, n. 205).

VI) al momento della liquidazione del trattamento di fine rapporto, la Direzione regionale delle Entrate del omissis non ha espresso riserva alcuna;

VII) se è vero che il danno all’immagine può essere liquidato in via equitativa, è vero altresì che incombe sempre sul P.M. contabile l’onere di indicarne i parametri di valutazione.

Il convenuto ha quindi concluso per il rigetto della domanda di condanna.

3. All’udienza pubblica del 10 giugno 2009, udito il Giudice relatore, sono intervenuti il Pubblico Ministero Claudio Mori e l’Avv. Gaia Bonazzoli (quale sostituto processuale dell’Avv. Marcello Bossi); le parti hanno richiamato oralmente i contenuti degli atti depositati, confermandone le conclusioni.

La causa è stata quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

La richiesta risarcitoria avanzata della Procura è fondata e va accolta nei termini e nei limiti di seguito indicati.

Questa Corte, dopo attento esame della documentazione versata agli atti del giudizio e nell’ambito del proprio prudente apprezzamento, ritiene ragionevolmente provato lo svolgimento, da parte del convenuto, di attività extralavorativa radicalmente incompatibile con l’impiego pubblico ricoperto. A fronte dei circostanziati riscontri documentati dalla Procura, non appaiono seriamente credibili le labili giustificazioni addotte dal convenuto (e, segnatamente, quelle relative alla prestazione gratuita di assistenza fiscale in favore di un ristretto numero di amici, principalmente ad opera della propria figlia, nonché quelle relative ad asserite operazioni di compravendita di beni usati “sottostanti” i versamenti ricevuti dai contribuenti interessati e rilevati in sede di indagine penale); ciò neppure dopo le (parziali, e all’evidenza poco attendibili) ritrattazioni di alcuni tra i soggetti escussi a sommarie informazioni dalla Guardia di Finanza (cfr. all. 1 e 2 alla memoria di costituzione in giudizio del convenuto).

Non ha poi rilievo, se non ai fini della concreta quantificazione del danno, l’indagine circa l’estensione concreta dell’illecito e, in particolare, circa la “abitualità” o “professionalità” dell’attività di assistenza tributaria (comunque inderogabilmente vietata, anche se svolta una tantum) prestata in proprio dal signor N.: certo è che il funzionario dell’amministrazione finanziaria, pur ricoprendo l’incarico di titolare di un Ufficio delle Imposte Dirette (prima) e di Capo Area Controllo di un Ufficio delle entrate (poi), ha tenuto la contabilità ed ha curato gli adempimenti fiscali relativi ad alcuni contribuenti, verso riconoscimento di corrispettivo o altre utilità. Le attività suddette si sono comunque protratte per anni, con sistematicità, in totale spregio delle ostative norme di legge, contrattuali e deontologiche applicabili al personale del comparto fiscale.

Parimenti irrilevanti, ai fini del decidere, sono la mancata ripresa a tassazione dei compensi intascati verosimilmente “al nero” dal signor N. e la mancanza di contestazioni o riserve da parte dell’Agenzia in sede di liquidazione delle competenze del medesimo signor N., all’atto della cessazione del rapporto di lavoro: non si tratta, infatti, di elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità amministrativa; all’opposto, in linea di principio, proprio la mancata tassazione dei compensi illecitamente accumulati nel corso del tempo dal convenuto potrebbe essere tenuta in considerazione, quale ulteriore circostanza di fatto, ai fini di una più severa quantificazione del danno d’immagine arrecato all’Agenzia fiscale di appartenenza.

In merito alla sussistenza del danno, è da condividere l’osservazione del Pubblico Ministero secondo cui il comportamento in esame lede la credibilità, il prestigio e l’immagine dell’apparato fiscale, tanto più in considerazione del ruolo di responsabilità rivestito dal convenuto, ingenerando l’intollerabile sospetto che i contribuenti “assistiti” o “seguiti” privatamente dal convenuto medesimo possano essere stati in qualche misura favoriti o che, comunque, in casi della specie possa restare incerto il confine dell’interesse privato (sia del contribuente, sia del funzionario pubblico) in contrapposizione all’interesse pubblico sovrano (affidato alle cure dell’Agenzia).

Sicuramente non è condivisibile l’esempio di un Capo Area Controllo di un Ufficio delle entrate il quale, benché istituzionalmente impegnato nella lotta all’evasione e all’elusione fiscale, parallelamente svolga in favore di alcuni contribuenti attività extralavorativa privata di assistenza tributaria, in evasione d’imposta oltre che in palese conflitto d’interessi con l’amministrazione di appartenenza, per “arrotondare” lo stipendio.

Il conseguente danno d’immagine per l’Agenzia delle entrate è di agevole percezione, tanto più ove si tenga a mente che, per nozione di comune esperienza, il rumor e le “voci” dapprima sull’avvio di una indagine penale (di cui, in effetti, ha dato conto la stampa locale) ed in seguito sull’emergere delle attività “collaterali” del signor N. e sul suo conseguente licenziamento disciplinare si sono inevitabilmente diffuse, specie tra gli “addetti ai lavori” in ambito locale, ingenerando, da un lato, all’esterno, il convincimento che alcuni dipendenti dell’amministrazione fiscale operino in violazione di legge e perseguendo il proprio vantaggio personale; dall’altro lato, all’interno, il senso di sdegno, frustrazione e perdita di autorevolezza degli altri dipendenti dell’Agenzia i quali quotidianamente, con dedizione e rettitudine, operano nell’interesse esclusivo della collettività. Ne deriva, in definitiva, la proiezione di un’immagine negativa dell’Agenzia delle entrate ed il consolidamento della visione di un apparato tributario immancabilmente distorto e distolto dal perseguimento in via esclusiva dell’interesse pubblico.

Comportamenti illeciti, qual è quello posto in essere dal signor N., appaiono direttamente lesivi di valori primari di rilievo costituzionale quali il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica (artt. 97 e 98 Cost.), per tacere poi della materia, di primaria importanza, entro cui gli illeciti stessi nella fattispecie vengono a collocarsi, vale a dire quella tributaria (cfr. art. 53 Cost.). Si tratta di valori e diritti fondamentali che definiscono l’identità stessa della Repubblica ed in relazione ai quali, per giurisprudenza pacifica, va ammesso il risarcimento anche del danno c.d. “non patrimoniale” (v. SS.RR., sent. 10/QM del 23 aprile 2003, i cui contenuti restano attuali anche dopo Cass., SS.UU., sent. 26972 dell’11 novembre 2008; in tema, v. Sez. Piemonte, sent. 3 del 19 gennaio 2009). Per quanto qui specificamente interessa, si è da ultimo riconosciuta e confermata, a prescindere dal nomen iuris concretamente utilizzato dal Giudice, piena legittimità del risarcimento (anche) dei danni non patrimoniali in generale, a fronte di illeciti sia contrattuali sia extracontrattuali, anche al di fuori delle ipotesi “tipiche” previste dalla legge (cfr. art. 2059 c.c.), purché conseguenti alla lesione di diritti fondamentali ed inviolabili della persona (anche giuridica, ed anche pubblica). Né potrebbe assumere rilievo, con riguardo alla specifica fattispecie in giudizio, la riconduzione sistematica del danno non patrimoniale alla categoria del “danno-conseguenza” (che deve essere allegato e provato) piuttosto che al “danno-evento” (che identifica il danno con l’evento dannoso, in re ipsa). La Procura, infatti, ha sufficientemente allegato e provato il danno da risarcire, essendo comunque ammesso, a tal fine, anche il ricorso alle nozioni di comune esperienza ovvero alla prova per presunzioni; va, anzi, preso atto che laddove il pregiudizio attenga ad un bene immateriale, “il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri” (sent. 26972/2008, cit.). In ogni caso, in materia d’immagine della pubblica amministrazione, è imprescindibile la legge 7 giugno 2000, n. 150, recante la “disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni” (v. anche la direttiva del 7 febbraio 2002, in materia di “attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”, emanata dal Ministro per la funzione pubblica). Con riguardo specifico all’Agenzia delle entrate, questa Corte non può che prendere atto delle molteplici iniziative di comunicazione e sensibilizzazione del contribuente, costantemente adottate dall’Agenzia stessa nell’arco dell’ultimo decennio, iniziative che possono considerarsi alla stregua del fatto notorio e che rendono, in ogni caso, stimabile in via equitativa un’ipotetica spesa di ripristino del bene “immagine” leso (cfr. Sez. Terza Appello, sent. 143 del 9 aprile 2009).

Venendo, peraltro, alla liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 del codice civile, la condanna richiesta dalla Procura in somma “non inferiore” a diecimila euro appare incongrua, per eccesso, tenuto conto delle caratteristiche concrete dell’illecito in giudizio, anche in raffronto a ben più gravi fattispecie delittuose pure conosciute da questa Corte. In particolare: alla luce delle allegazioni e delle deduzioni svolte dalla difesa del convenuto; tenuto nella dovuta considerazione che i fatti non hanno avuto alcun rilievo penale; valutata l’assenza di diffusione della notizia dell’illecito a mezzo stampa (salvo il menzionato articolo sull’avvio delle indagini penali, poi archiviate); considerato che, al di là del mero pregiudizio d’immagine, la Procura non ha contestato la sussistenza di altra lesione patrimoniale in capo all’amministrazione (in particolare, non constando che il signor N. abbia in qualche modo “pilotato” o “addomesticato” alcun controllo fiscale a favore dei suoi “clienti”e in danno dell’Agenzia); preso atto della positiva attestazione rilasciata in favore del convenuto dal dirigente dell’Ufficio di omissis in data 12 maggio 2004; rilevato che, in concreto, la cerchia di contribuenti interessati alle prestazioni del convenuto era, comunque, assai modesta, non essendo l’attività di questi assimilabile, per quantità e qualità dei rapporti, all’impianto abusivo di un vero e proprio studio commerciale; valutato il presumibile costo di iniziative volte, in ambito locale, al ripristino dell’immagine degli uffici periferici dell’Agenzia delle entrate coinvolti; tutto ciò considerato e soppesato, pur ribadendo la astratta gravità dei fatti in contestazione, nella specie appare equo limitare la liquidazione del danno all’immagine all’importo complessivo di euro 2.000,00 (duemila/00), da intendersi già comprensivo di rivalutazione monetaria, con maggiorazione degli interessi legali dal deposito della presente sentenza fino al saldo.

Restano assorbite nelle precedenti considerazioni tutte le altre questioni ed eccezioni di rito e di merito sollevate dalle parti.

Le spese del giudizio da versare all’erario statale, liquidate a cura della Segreteria della Sezione, seguono la soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte,

CONDANNA

il signor G. N. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, della somma di euro 2.000,00 (duemila/00), già comprensiva di rivalutazione monetaria, con maggiorazione di interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.

Le spese di giudizio da versare all’erario dello Stato, complessivamente liquidate a cura della Segreteria in euro 571,70 (CINQUECENTOSETTANTUNO/70), seguono la soccombenza.

Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 10 giugno 2009.

Il Giudice estensore

(F.to Gerardo de Marco )

Il Presidente

( F.to Antonio D’Aversa )

Depositata in Segreteria il 2 Luglio 2009

Il Direttore della Segreteria

( F.to Antonio Cinque )

* * *

Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”,

HA DISPOSTO

che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi della parte e, se esistenti, dei danti causa e degli aventi causa nonché dei terzi citati in sentenza.

Torino, 2 Luglio 2009

Il Presidente

( F.to Antonio D’Aversa )

* * *

In esecuzione del Provvedimento collegiale ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte e, se esistenti, dei danti causa e degli aventi causa nonche’ dei terzi citati in sentenza.

Torino, 2 Luglio 2009

Il Direttore della Segreteria

( F.to Antonio Cinque)