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Decreto "salvaliste": alla ricerca dell’"interpretazione autentica"

Per autodefinizione, il decreto legge 5 marzo 2010 n. 29, noto come “decreto salva liste”, riveste natura squisitamente “interpretativa”.

Interpretativa di cosa? Delle norme di legge in base alle quali le due liste da “salvare” sono state escluse dagli Uffici Centrali Circoscrizionale di Roma e Regionale di Milano dalla possibilità di partecipare alle imminenti consultazioni elettorali regionali.

La necessità dell’interpretazione autentica in questione è ricondotta a quella di determinare la riammissione delle due liste alla competizione elettorale, occorrendo in tal modo tutelare in via d’urgenza i supremi interessi dell’elettorato attivo e passivo pregiudicati dalla esclusione delle liste decisa in applicazione delle norme di settore malamente interpretate.

Difatti, nel preambolo del decreto si predica che l’esigenza di interpretare autenticamente le suddette disposizioni settoriali

* nasce dalla necessità di garantire il “....corretto svolgimento delle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010...” (primo cpv. );

* è “....finalizzata a favorire la piu’ ampia corrispondenza delle norme alla volonta’ del cittadino elettore, per rendere effettivo l’esercizio del diritto politico di elettorato attivo e passivo, nel rispetto costituzionalmente dovuto per il favore nei confronti della espressione della volonta’ popolare” (secondo cpv).

Lascio ad altri le considerazione di ordine politico, civile ed etico sull’operazione compiuta con l’interevento governativo in questione, essendo mia esclusiva intenzione appurare se, sul piano meramente tecnico-giuridico, il provvedimento è realmente ciò che proclama di essere, ossia un atto di ”interpretazione autentica” di leggi preesistenti.

Diamo avvio all’indagine.

Recita il primo comma dell’art. 1 del decreto: << Il primo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati puo’ essere provata con ogni mezzo idoneo.>>.

Ma, cosa prevede il primo comma dell’art. 9 della legge 17 febbraio 1968 n.108?

<< Le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale di cui al primo comma dell’articolo precedente dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione; a tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20 .>>.

Dunque, “...per il periodo suddetto (dalle ore 8.00 del trentesimo giorno alle ore 12.00 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione) la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20.”

Interpretando la disposizione secondo il senso logico delle parole da essa impiegate poste in reciproca connessione, la norma stabilisce sostanzialmente questo: nel trentesimo e nel ventinovesimo giorno antecedenti la data delle votazioni, le cancellerie debbono rimanere aperte, in ciascun giorno (“quotidianamente”), dalle ore 8 alle ore 20, anche se il termine ultimo per presentare le liste scade alle ore 12 del secondo giorno.

Dunque, nel secondo (ed ultimo) giorno utile alla presentazione delle liste, il tempo in cui la cancelleria deve restare aperta è più esteso (di ben otto ore ) rispetto a quello entro il quale è consentita la presentazione delle liste.

La disposizione nulla dice espressamente circa la ragione di questo “sfasamento” fra il lasso di tempo entro cui le liste possono essere presentate alle cancellerie dei tribunali e quello, maggiore, entro cui le cancellerie dei tribunali debbono essere mantenute aperte.

Detta ragione, tuttavia, è svelata dal chiaro significato dell’espressione “rimanere aperte” riferita alle cancellerie, espressione che implica, inequivocabilmente, che gli uffici in questione, anche nell’ultimo giorno utile alla presentazione delle liste, non solo permangano in attività fino alle ore 20, ma consentano, entro lo stesso orario, anche la presenza al loro interno di soggetti terzi; i quali non potrebbero che essere i presentatori delle liste.

Del resto, la ragione per cui le cancellerie debbono consentire la presenza al loro interno dei presentatori delle liste oltre l’orario consentito per presentare le stesse altra non può essere se non quella di permettere ai presentatori giunti in cancelleria prima delle ore 12 di procedere comunque alla materiale consegna delle liste qualora, per qualunque ragione, la cancelleria non sia in grado di prendere in carico gli atti prima di mezzogiorno.

Ne segue che quando la norma parla di liste che devono essere “presentate alla cancelleria del tribunale” fino all’ora x del giorno y, occorre intendere il verbo “presentare” nel senso che i presentatori delle liste debbono essere pronti a consegnare gli atti prima dello scadere dell’ora x, quand’anche la materiale operazione di presa in carico da parte delle cancellerie debba avvenire in un momento successivo.

Da questa interpretazione - credo obbligata - del dettato normativo discende, di necessità, un corollario: occorre che l’incartamento che i presentatori delle liste debbono depositare resti nello stato in cui era allo scoccare dell’ora x. In effetti, se gli atti da consegnare potessero essere nel frattempo perfezionati ed integrati, cadrebbe la ragion d’essere della previsione dell’ora x come termine puntuale per presentare gli atti, divenendo il termine ultimo di effettuazione dell’incombenza il successivo momento nel quale le cancellerie debbono chiudere in base alla medesima norma.

Ma a questo corollario non può non concatenarsene un altro: nei casi in cui la consegna delle liste non possa avvenire prima dell’ora x per ragioni che non dipendono dal mancato rispetto di quel termine da parte dei presentatori, le liste possono essere prese in carico dalle cancellerie alla condizione che, fra lo scoccare dell’ora x e l’effettiva consegna degli atti, lo stato di questi ultimi resti inalterato.

Ora, da quanto ho potuto comprendere da ricerche nel web, nella vicenda relativa alla presentazione della lista del candidato del P.d.L. nel collegio provinciale di Roma è accaduto che il presentatore della stessa, giunto in cancelleria entro le ore 12 dell’ultimo giorno utile alla sua presentazione, si è allontanato dall’ufficio giudiziario, facendovi ritorno dopo le ore 12 per effettuare la materiale consegna del carteggio.

Se le cose stanno in questi termini, l’esclusione della lista in argomento non è stata decisa in base ad una delle possibili interpretazioni del primo comma dell’art. 9 della legge 108/1968, ma all’unica interpretazione dello stesso che risulta obiettivamente consentita alla luce del significato logico delle parole che tale norma impiega e delle complementari regole che da quel significato si ritraggono.

Difatti, l’allontanamento ed il ritorno nei locali della cancelleria da parte del delegato alla presentazione della suddetta lista ha fatto venire meno la garanzia della non alterazione dello stato degli atti da depositare, giacchè il delegato in questione, uscendo e rientrando nell’ufficio oltre il termine orario massimo di presentazione delle liste, potrebbe avere perfezionato fuori tempo massimo un incartamento ipoteticamente incompleto, aggiungendovi, ad esempio, nuovi documenti necessari all’ammissione.

Secondo l’interpretazione autentica che il decreto “salva liste” ne impone, la norma in parola deve essere intesa, anche (e soprattutto) retroattivamente, nel senso che il termine orario finale di presentazione delle liste si considera rispettato sol che, prima del suo spirare, i presentatori si trovino fisicamente nei locali del tribunale e siano muniti di tutta la documentazione da depositare.

In altri termini, se si considera come si sono svolti i fatti che hanno determinato l’intervento del Governo, il decreto mira a togliere, ora per allora, qualsivoglia rilevanza ad un aspetto che, invece, si ricava essere fondamentale nella logica della norma, vale a dire quello della necessità che lo stato degli atti non sia alterato nell’arco di tempo che va dallo spirare dell’ora x alla effettiva presa in carico degli atti stessi da parte della cancelleria.

Il decreto “salva liste”, dunque, impone di leggere la vicenda che ha coinvolto la lista da “salvare” in una supposta chiave interpretativa secondo cui, durante il cennato arco temporale in cui gli atti dovrebbero permanere inalterati, possono svolgersi operazioni che fanno venire meno la garanzia di non alterazione, attribuendo, in tal modo, un significato alla norma che, in realtà, conculca ogni senso logico e reale cogenza alla sua previsione di un termine finale oltre il quale le liste non possono essere presentate (nell’accezione che questo verbo ha secondo la disposizione).

L’interpretazione che il decreto dà alla disposizione legislativa, pertanto, non trova ancoraggio in alcuno dei possibili significati ritraibili dalla stessa, dato che in nessun modo la norma tollera di essere interpretata nel senso imposto dal decreto; essa norma implicitamente, ma inequivocabilmente, esclude che la documentazione possa essere perfezionata ed integrata nelle more della materiale consegna alla cancelleria quando tale consegna avvenga oltre il previsto orario entro il quale la documentazione deve essere presentata in cancelleria.

Ne segue che il primo comma dell’art. 1 del decreto “salva liste” ha portata esclusivamente innovativa e per nessun aspetto interpretativa, posto che esso interviene non a prescegliere uno dei possibili significati della legge che dice di interpretare, ma a modificarla attraverso l’abrogazione implicita di alcune disposizioni.

Passiamo al comma successivo.

Recita il secondo comma dell’art. 1 del decreto “salva liste”: << Il terzo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le firme si considerano valide anche se l’autenticazione non risulti corredata da tutti gli elementi richiesti dall’articolo 21, comma 2, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purche’ tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare, la regolarita’ della autenticazione delle firme non e’ comunque inficiata dalla presenza di una irregolarita’ meramente formale quale la mancanza o la non leggibilita’ del timbro della autorita’ autenticante, dell’indicazione del luogo di autenticazione, nonche’ dell’indicazione della qualificazione dell’autorita’ autenticante, purche’ autorizzata.>>

Ora, la questione che si pone con riguardo alla (supposta) interpretazione dell’art. 9, comma 3, della legge 108/1968 e dell’art. 21, co.2, D.P.R. 4345/2000 è che l’autenticazione di firma è tale solo se coesistono tutti i requisiti di forma che, secondo la legge regolatrice della materia, debbono corredare le attestazioni pubbliche di cui constano le autenticazioni in argomento .

Difatti, se la legge impone che l’autentica di firma deve presentare determinati requisiti di forma, ciò significa che ciascuno di tali requisiti è rilevante per la legge e che l’assenza anche di uno di essi non può non determinare conseguenze in termini di invalidità/irregolarità dell’autentica.

Del resto, semmai la legge ritenesse che la mancanza di alcuni di detti requisiti può, a date condizioni, non incidere sulla validità delle autenticazioni in argomento, detti requisiti dovrebbero essere indicati dalla legge assieme alle condizioni alle quali il loro difetto non inficia le autentiche.

Ma, né le disposizioni legislative segnatamente interpretata dal decreto, né altre previsioni d’ordine generale stabiliscono distinzioni fra i requisiti formali che le autentiche di firma debbono soddisfare sotto il profilo dell’incidenza invalidante della loro mancanza, cosicché non è oggettivamente possibile rinvenire nelle norme in questione alcun elemento atto a giustificare l’interpretazione datavi dal decreto legge in esame.

Anche qui, dunque, siamo in presenza di un intervento smaccatamente innovativo, il cui reale contenuto si concreta non nel prescegliere ed imporre uno dei possibili significati delle disposizioni prese in considerazione, ma nel dettare regole ad hoc con riferimento ai requisiti che debbono corredare le autenticazioni di firma nei casi di specifico interesse del decreto legge di che trattasi.

Passiamo al terzo comma dell’art. 1 del decreto: << Il quinto comma dell’articolo 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell’Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso Ufficio. Contro le decisioni di ammissione puo’ essere proposto esclusivamente ricorso al Giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse. Contro le decisioni di eliminazione di liste di candidati oppure di singoli candidati e’ ammesso ricorso all’ Ufficio centrale regionale, che puo’ essere presentato, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, soltanto dai delegati della lista alla quale la decisione si riferisce. Avverso la decisione dell’Ufficio centrale regionale e’ ammesso immediatamente ricorso al Giudice amministrativo.>>.

Il procedimento di presentazione ed ammissione delle liste dei candidati ha forma e sostanza di procedimento amministrativo, così come hanno natura pienamente e tipicamente amministrativa i provvedimenti assunti nel corso ed a conclusione di quell’iter procedurale dai competenti organi.

Dunque, le determinazioni assunte dagli Uffici Centrali Circoscrizionali e Regionali in tema di ammissione/esclusione delle liste dei candidati sono governate dalle regole generali dettate per i provvedimenti amministrativi, fatte salve eventuali deroghe stabilite dalle norme settoriali.

Fra le norme generali che disciplinano l’attività amministrativa, si colloca l’art. 21-nonies della legge 241/1990, che riconosce alla P.A. il potere di auto-annullare i propri provvedimenti se illegittimi.

La disposizione che nel caso di specie viene “autenticamente interpretata” nulla prevede, in deroga all’art. 21- nonies precitato, con riferimento ai poteri di annullamento in autotutela dei provvedimenti di ammissione/esclusione delle liste e dei candidati.

Ne segue che la previsione legislativa in parola, per tale aspetto, è automaticamente integrata dall’art. 21-nonies della legge 241/1990 e che da essa non è oggettivamente possibile estrapolare in via interpretativa alcuna interdizione o limitazione riguardo alla possibilità per gli organi competenti di ritornare sulle proprie decisioni ed, eventualmente, annullarle se ritenute illegittime.

Né, a questo riguardo, le esigenze di particolare celerità che debbono contraddistinguere l’adozione dei provvedimenti di ammissione/esclusione de quibus possono da sole giustificare la non applicazione alle fattispecie considerate della richiamata norma della L.241/1990.

L’applicazione di questa norma di sistema, infatti, non si oppone in alcun modo a dette esigenze di celerità ove il provvedimento di annullamento intervenga entro un termine ragionevolmente breve dall’adozione di quello da annullare. Ciò, poiché l’art. 21–nonies della L.241/90 circoscrive l’esercizio del potere di annullamento in autotutela entro un congruo periodo di tempo dall’adozione dei provvedimenti da annullare, congruità temporale che va valutata caso per caso, in rapporto alle esigenze di minore o maggiore celerità dettate dalla natura e dal tipo di provvedimento da annullare.

Conclusivamente, le principali conseguenze della focalizzata assenza di portata realmente interpretativa del provvedimento governativo esaminato attengono all’efficacia nel tempo delle norme pseudo-interpretative in esso contenute.

Tale carenza, infatti, determina l’impossibilità di applicare in modo automaticamente retroattivo le previsioni dell’art. 1 del decreto, essendo necessario verificare, in fase di interpretazione ed applicazione del D.L., che la retroattività delle nuove disposizioni non collida irragionevolmente con fondamentali esigenze di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei consociati nella legge vigente al tempo in cui sono venuti in essere i fatti e le situazioni diversamente normati dalla nuova legge.

A mio parere, alla luce del consolidato indirizzo della Corte costituzionale sulla questione, l’applicazione retroattiva del provvedimento lede irragionevolmente i suddetti principi fondamentali dell’Ordinamento, poiché pregiudica, senza alcuna ragione oggettivamente valida, le posizioni di vantaggio legittimamente acquisite dalle altre liste concorrenti a seguito dell’altrettanto legittima (anzi doverosa) esclusione di quelle che il D.L. intende “salvare”.

Difatti, l’esclusione delle due liste da salvare dall’imminente competizione elettorale non confligge in alcun modo con prevalenti interessi pubblici al “corretto svolgimento delle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010.”, così come le norme “autenticamente interpretate” dal D.L. non si oppongono e mai si sono opposte ad un “effettivo esercizio del diritto politico di elettorato attivo e passivo, nel rispetto costituzionalmente dovuto per il favore nei confronti della espressione della volontà popolare”.

Al contrario, le disposizioni di legge in base alle quali sono state escluse le liste in parola sono ordinate proprio a garantire il corretto svolgimento delle competizioni elettorali e la loro osservanza ed applicazione in nessun modo interferisce negativamente con l’esplicazione del diritto politico di elettorato attivo e passivo dei cittadini.

Se non altro per ciò che attiene alla sua applicazione retroattiva, il decreto in questione si pone in contrasto con la Carta Costituzionale, poiché sacrifica fondamentali esigenze di certezza giuridica e di legittimo affidamento nel diritto vigente pro-tempore ad interessi che, nel raffronto, si palesano senz’altro recessivi.

Per autodefinizione, il decreto legge 5 marzo 2010 n. 29, noto come “decreto salva liste”, riveste natura squisitamente “interpretativa”.

Interpretativa di cosa? Delle norme di legge in base alle quali le due liste da “salvare” sono state escluse dagli Uffici Centrali Circoscrizionale di Roma e Regionale di Milano dalla possibilità di partecipare alle imminenti consultazioni elettorali regionali.

La necessità dell’interpretazione autentica in questione è ricondotta a quella di determinare la riammissione delle due liste alla competizione elettorale, occorrendo in tal modo tutelare in via d’urgenza i supremi interessi dell’elettorato attivo e passivo pregiudicati dalla esclusione delle liste decisa in applicazione delle norme di settore malamente interpretate.

Difatti, nel preambolo del decreto si predica che l’esigenza di interpretare autenticamente le suddette disposizioni settoriali

* nasce dalla necessità di garantire il “....corretto svolgimento delle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010...” (primo cpv. );

* è “....finalizzata a favorire la piu’ ampia corrispondenza delle norme alla volonta’ del cittadino elettore, per rendere effettivo l’esercizio del diritto politico di elettorato attivo e passivo, nel rispetto costituzionalmente dovuto per il favore nei confronti della espressione della volonta’ popolare” (secondo cpv).

Lascio ad altri le considerazione di ordine politico, civile ed etico sull’operazione compiuta con l’interevento governativo in questione, essendo mia esclusiva intenzione appurare se, sul piano meramente tecnico-giuridico, il provvedimento è realmente ciò che proclama di essere, ossia un atto di ”interpretazione autentica” di leggi preesistenti.

Diamo avvio all’indagine.

Recita il primo comma dell’art. 1 del decreto: << Il primo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati puo’ essere provata con ogni mezzo idoneo.>>.

Ma, cosa prevede il primo comma dell’art. 9 della legge 17 febbraio 1968 n.108?

<< Le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale di cui al primo comma dell’articolo precedente dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione; a tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20 .>>.

Dunque, “...per il periodo suddetto (dalle ore 8.00 del trentesimo giorno alle ore 12.00 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione) la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20.”

Interpretando la disposizione secondo il senso logico delle parole da essa impiegate poste in reciproca connessione, la norma stabilisce sostanzialmente questo: nel trentesimo e nel ventinovesimo giorno antecedenti la data delle votazioni, le cancellerie debbono rimanere aperte, in ciascun giorno (“quotidianamente”), dalle ore 8 alle ore 20, anche se il termine ultimo per presentare le liste scade alle ore 12 del secondo giorno.

Dunque, nel secondo (ed ultimo) giorno utile alla presentazione delle liste, il tempo in cui la cancelleria deve restare aperta è più esteso (di ben otto ore ) rispetto a quello entro il quale è consentita la presentazione delle liste.

La disposizione nulla dice espressamente circa la ragione di questo “sfasamento” fra il lasso di tempo entro cui le liste possono essere presentate alle cancellerie dei tribunali e quello, maggiore, entro cui le cancellerie dei tribunali debbono essere mantenute aperte.

Detta ragione, tuttavia, è svelata dal chiaro significato dell’espressione “rimanere aperte” riferita alle cancellerie, espressione che implica, inequivocabilmente, che gli uffici in questione, anche nell’ultimo giorno utile alla presentazione delle liste, non solo permangano in attività fino alle ore 20, ma consentano, entro lo stesso orario, anche la presenza al loro interno di soggetti terzi; i quali non potrebbero che essere i presentatori delle liste.

Del resto, la ragione per cui le cancellerie debbono consentire la presenza al loro interno dei presentatori delle liste oltre l’orario consentito per presentare le stesse altra non può essere se non quella di permettere ai presentatori giunti in cancelleria prima delle ore 12 di procedere comunque alla materiale consegna delle liste qualora, per qualunque ragione, la cancelleria non sia in grado di prendere in carico gli atti prima di mezzogiorno.

Ne segue che quando la norma parla di liste che devono essere “presentate alla cancelleria del tribunale” fino all’ora x del giorno y, occorre intendere il verbo “presentare” nel senso che i presentatori delle liste debbono essere pronti a consegnare gli atti prima dello scadere dell’ora x, quand’anche la materiale operazione di presa in carico da parte delle cancellerie debba avvenire in un momento successivo.

Da questa interpretazione - credo obbligata - del dettato normativo discende, di necessità, un corollario: occorre che l’incartamento che i presentatori delle liste debbono depositare resti nello stato in cui era allo scoccare dell’ora x. In effetti, se gli atti da consegnare potessero essere nel frattempo perfezionati ed integrati, cadrebbe la ragion d’essere della previsione dell’ora x come termine puntuale per presentare gli atti, divenendo il termine ultimo di effettuazione dell’incombenza il successivo momento nel quale le cancellerie debbono chiudere in base alla medesima norma.

Ma a questo corollario non può non concatenarsene un altro: nei casi in cui la consegna delle liste non possa avvenire prima dell’ora x per ragioni che non dipendono dal mancato rispetto di quel termine da parte dei presentatori, le liste possono essere prese in carico dalle cancellerie alla condizione che, fra lo scoccare dell’ora x e l’effettiva consegna degli atti, lo stato di questi ultimi resti inalterato.

Ora, da quanto ho potuto comprendere da ricerche nel web, nella vicenda relativa alla presentazione della lista del candidato del P.d.L. nel collegio provinciale di Roma è accaduto che il presentatore della stessa, giunto in cancelleria entro le ore 12 dell’ultimo giorno utile alla sua presentazione, si è allontanato dall’ufficio giudiziario, facendovi ritorno dopo le ore 12 per effettuare la materiale consegna del carteggio.

Se le cose stanno in questi termini, l’esclusione della lista in argomento non è stata decisa in base ad una delle possibili interpretazioni del primo comma dell’art. 9 della legge 108/1968, ma all’unica interpretazione dello stesso che risulta obiettivamente consentita alla luce del significato logico delle parole che tale norma impiega e delle complementari regole che da quel significato si ritraggono.

Difatti, l’allontanamento ed il ritorno nei locali della cancelleria da parte del delegato alla presentazione della suddetta lista ha fatto venire meno la garanzia della non alterazione dello stato degli atti da depositare, giacchè il delegato in questione, uscendo e rientrando nell’ufficio oltre il termine orario massimo di presentazione delle liste, potrebbe avere perfezionato fuori tempo massimo un incartamento ipoteticamente incompleto, aggiungendovi, ad esempio, nuovi documenti necessari all’ammissione.

Secondo l’interpretazione autentica che il decreto “salva liste” ne impone, la norma in parola deve essere intesa, anche (e soprattutto) retroattivamente, nel senso che il termine orario finale di presentazione delle liste si considera rispettato sol che, prima del suo spirare, i presentatori si trovino fisicamente nei locali del tribunale e siano muniti di tutta la documentazione da depositare.

In altri termini, se si considera come si sono svolti i fatti che hanno determinato l’intervento del Governo, il decreto mira a togliere, ora per allora, qualsivoglia rilevanza ad un aspetto che, invece, si ricava essere fondamentale nella logica della norma, vale a dire quello della necessità che lo stato degli atti non sia alterato nell’arco di tempo che va dallo spirare dell’ora x alla effettiva presa in carico degli atti stessi da parte della cancelleria.

Il decreto “salva liste”, dunque, impone di leggere la vicenda che ha coinvolto la lista da “salvare” in una supposta chiave interpretativa secondo cui, durante il cennato arco temporale in cui gli atti dovrebbero permanere inalterati, possono svolgersi operazioni che fanno venire meno la garanzia di non alterazione, attribuendo, in tal modo, un significato alla norma che, in realtà, conculca ogni senso logico e reale cogenza alla sua previsione di un termine finale oltre il quale le liste non possono essere presentate (nell’accezione che questo verbo ha secondo la disposizione).

L’interpretazione che il decreto dà alla disposizione legislativa, pertanto, non trova ancoraggio in alcuno dei possibili significati ritraibili dalla stessa, dato che in nessun modo la norma tollera di essere interpretata nel senso imposto dal decreto; essa norma implicitamente, ma inequivocabilmente, esclude che la documentazione possa essere perfezionata ed integrata nelle more della materiale consegna alla cancelleria quando tale consegna avvenga oltre il previsto orario entro il quale la documentazione deve essere presentata in cancelleria.

Ne segue che il primo comma dell’art. 1 del decreto “salva liste” ha portata esclusivamente innovativa e per nessun aspetto interpretativa, posto che esso interviene non a prescegliere uno dei possibili significati della legge che dice di interpretare, ma a modificarla attraverso l’abrogazione implicita di alcune disposizioni.

Passiamo al comma successivo.

Recita il secondo comma dell’art. 1 del decreto “salva liste”: << Il terzo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le firme si considerano valide anche se l’autenticazione non risulti corredata da tutti gli elementi richiesti dall’articolo 21, comma 2, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purche’ tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare, la regolarita’ della autenticazione delle firme non e’ comunque inficiata dalla presenza di una irregolarita’ meramente formale quale la mancanza o la non leggibilita’ del timbro della autorita’ autenticante, dell’indicazione del luogo di autenticazione, nonche’ dell’indicazione della qualificazione dell’autorita’ autenticante, purche’ autorizzata.>>

Ora, la questione che si pone con riguardo alla (supposta) interpretazione dell’art. 9, comma 3, della legge 108/1968 e dell’art. 21, co.2, D.P.R. 4345/2000 è che l’autenticazione di firma è tale solo se coesistono tutti i requisiti di forma che, secondo la legge regolatrice della materia, debbono corredare le attestazioni pubbliche di cui constano le autenticazioni in argomento .

Difatti, se la legge impone che l’autentica di firma deve presentare determinati requisiti di forma, ciò significa che ciascuno di tali requisiti è rilevante per la legge e che l’assenza anche di uno di essi non può non determinare conseguenze in termini di invalidità/irregolarità dell’autentica.

Del resto, semmai la legge ritenesse che la mancanza di alcuni di detti requisiti può, a date condizioni, non incidere sulla validità delle autenticazioni in argomento, detti requisiti dovrebbero essere indicati dalla legge assieme alle condizioni alle quali il loro difetto non inficia le autentiche.

Ma, né le disposizioni legislative segnatamente interpretata dal decreto, né altre previsioni d’ordine generale stabiliscono distinzioni fra i requisiti formali che le autentiche di firma debbono soddisfare sotto il profilo dell’incidenza invalidante della loro mancanza, cosicché non è oggettivamente possibile rinvenire nelle norme in questione alcun elemento atto a giustificare l’interpretazione datavi dal decreto legge in esame.

Anche qui, dunque, siamo in presenza di un intervento smaccatamente innovativo, il cui reale contenuto si concreta non nel prescegliere ed imporre uno dei possibili significati delle disposizioni prese in considerazione, ma nel dettare regole ad hoc con riferimento ai requisiti che debbono corredare le autenticazioni di firma nei casi di specifico interesse del decreto legge di che trattasi.

Passiamo al terzo comma dell’art. 1 del decreto: << Il quinto comma dell’articolo 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell’Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso Ufficio. Contro le decisioni di ammissione puo’ essere proposto esclusivamente ricorso al Giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse. Contro le decisioni di eliminazione di liste di candidati oppure di singoli candidati e’ ammesso ricorso all’ Ufficio centrale regionale, che puo’ essere presentato, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, soltanto dai delegati della lista alla quale la decisione si riferisce. Avverso la decisione dell’Ufficio centrale regionale e’ ammesso immediatamente ricorso al Giudice amministrativo.>>.

Il procedimento di presentazione ed ammissione delle liste dei candidati ha forma e sostanza di procedimento amministrativo, così come hanno natura pienamente e tipicamente amministrativa i provvedimenti assunti nel corso ed a conclusione di quell’iter procedurale dai competenti organi.

Dunque, le determinazioni assunte dagli Uffici Centrali Circoscrizionali e Regionali in tema di ammissione/esclusione delle liste dei candidati sono governate dalle regole generali dettate per i provvedimenti amministrativi, fatte salve eventuali deroghe stabilite dalle norme settoriali.

Fra le norme generali che disciplinano l’attività amministrativa, si colloca l’art. 21-nonies della legge 241/1990, che riconosce alla P.A. il potere di auto-annullare i propri provvedimenti se illegittimi.

La disposizione che nel caso di specie viene “autenticamente interpretata” nulla prevede, in deroga all’art. 21- nonies precitato, con riferimento ai poteri di annullamento in autotutela dei provvedimenti di ammissione/esclusione delle liste e dei candidati.

Ne segue che la previsione legislativa in parola, per tale aspetto, è automaticamente integrata dall’art. 21-nonies della legge 241/1990 e che da essa non è oggettivamente possibile estrapolare in via interpretativa alcuna interdizione o limitazione riguardo alla possibilità per gli organi competenti di ritornare sulle proprie decisioni ed, eventualmente, annullarle se ritenute illegittime.

Né, a questo riguardo, le esigenze di particolare celerità che debbono contraddistinguere l’adozione dei provvedimenti di ammissione/esclusione de quibus possono da sole giustificare la non applicazione alle fattispecie considerate della richiamata norma della L.241/1990.

L’applicazione di questa norma di sistema, infatti, non si oppone in alcun modo a dette esigenze di celerità ove il provvedimento di annullamento intervenga entro un termine ragionevolmente breve dall’adozione di quello da annullare. Ciò, poiché l’art. 21–nonies della L.241/90 circoscrive l’esercizio del potere di annullamento in autotutela entro un congruo periodo di tempo dall’adozione dei provvedimenti da annullare, congruità temporale che va valutata caso per caso, in rapporto alle esigenze di minore o maggiore celerità dettate dalla natura e dal tipo di provvedimento da annullare.

Conclusivamente, le principali conseguenze della focalizzata assenza di portata realmente interpretativa del provvedimento governativo esaminato attengono all’efficacia nel tempo delle norme pseudo-interpretative in esso contenute.

Tale carenza, infatti, determina l’impossibilità di applicare in modo automaticamente retroattivo le previsioni dell’art. 1 del decreto, essendo necessario verificare, in fase di interpretazione ed applicazione del D.L., che la retroattività delle nuove disposizioni non collida irragionevolmente con fondamentali esigenze di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei consociati nella legge vigente al tempo in cui sono venuti in essere i fatti e le situazioni diversamente normati dalla nuova legge.

A mio parere, alla luce del consolidato indirizzo della Corte costituzionale sulla questione, l’applicazione retroattiva del provvedimento lede irragionevolmente i suddetti principi fondamentali dell’Ordinamento, poiché pregiudica, senza alcuna ragione oggettivamente valida, le posizioni di vantaggio legittimamente acquisite dalle altre liste concorrenti a seguito dell’altrettanto legittima (anzi doverosa) esclusione di quelle che il D.L. intende “salvare”.

Difatti, l’esclusione delle due liste da salvare dall’imminente competizione elettorale non confligge in alcun modo con prevalenti interessi pubblici al “corretto svolgimento delle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010.”, così come le norme “autenticamente interpretate” dal D.L. non si oppongono e mai si sono opposte ad un “effettivo esercizio del diritto politico di elettorato attivo e passivo, nel rispetto costituzionalmente dovuto per il favore nei confronti della espressione della volontà popolare”.

Al contrario, le disposizioni di legge in base alle quali sono state escluse le liste in parola sono ordinate proprio a garantire il corretto svolgimento delle competizioni elettorali e la loro osservanza ed applicazione in nessun modo interferisce negativamente con l’esplicazione del diritto politico di elettorato attivo e passivo dei cittadini.

Se non altro per ciò che attiene alla sua applicazione retroattiva, il decreto in questione si pone in contrasto con la Carta Costituzionale, poiché sacrifica fondamentali esigenze di certezza giuridica e di legittimo affidamento nel diritto vigente pro-tempore ad interessi che, nel raffronto, si palesano senz’altro recessivi.