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Diritto di accesso: atti amministrativi nel Codice dei contratti pubblici

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

Indice:

1. Il principio di trasparenza dell’attività amministrativa

2. La posizione della giurisprudenza

3. La decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

4. Considerazioni conclusive

 

1. Il principio di trasparenza dell’attività amministrativa

Uno dei principi fondamentali che caratterizza il sistema amministrativo è senza alcun dubbio il principio di trasparenza della pubblica amministrazione ex articolo 97 della Costituzione, volto ad assicurare la conoscibilità, a determinate condizioni, di atti/dati/informazioni in possesso dell’amministrazione, assicurando un vero e proprio coinvolgimento diretto del cittadino nell’attività amministrativa, tentando così di superare l’impostazione tradizionale per cui alla posizione di supremazia e autorità della pubblica amministrazione si contrapponeva una posizione di mera soggezione ed ausiliarietà del privato.

La rilevanza assunta dal principio di trasparenza trova conferma nelle recenti riforme legislative volte a valorizzare uno degli istituti espressione della trasparenza: l’accesso agli atti. Nello specifico, il sistema amministrativo prevede, accanto al tradizionale accesso documentale o ordinario ex articoli 22 e seguenti della legge 241/90, altre due forme di diritto di accesso: l’accesso civico semplice e l’accesso civico generalizzato, disciplinate dal decreto legislativo 33/2013, modificato ed integrato dal decreto legislativo 97/2016.

L’accesso civico semplice afferisce alla mancata osservanza degli obblighi preventivi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione, ritenendo meritevole di tutela il diritto del cittadino di accedere ai documenti, dati e informazioni oggetto dell’inadempienza del dovere di pubblicazione nell’apposita sezione “Amministrazione trasparente”, e con la finalità di assicurare la massima ed integrale pubblicità degli stessi che sono da considerare pubblici e, quindi conoscibili.

Per questo tipo di accesso cade, dunque sia la motivazione sia il riferimento all’interesse diretto, concreto, attuale, per la tutela di situazioni rilevanti e, pertanto, strumentale alla difesa in giudizio. Esso è attivabile dal quivis populo, non essendo richiesta la legittimazione del richiedente di cui all’accesso documentale: è sufficiente l’individuazione dei soggetti indicati nell’articolo 2-bis del decreto 33/2013 e dei dati, delle informazioni o dei documenti in possesso della pubblica amministrazione.

Detto accesso ha una portata alquanto limitata in quanto riguarda esclusivamente la possibilità di accedere a documenti, informazioni e dati oggetto di pubblicazione vincolata ex lege, non richiede requisiti di qualificazione da parte del richiedente e può essere esercitato da chiunque in caso di mancata (accertata) pubblicazione senza alcuna formalità né legittimazione attiva.

Lo scopo di questo tipo di accesso è quello di assicurare il rispetto delle disposizioni previste dal decreto legislativo 33/2013 anche in caso di “inerzia” dell’ente.

L’accesso civico generalizzato, invece si distingue dall’accesso civico “semplice”, in quanto consente ai cittadini di accedere a dati e documenti detenuti dall’amministrazione, ulteriori e in aggiunta a quelli per cui è legalmente previsto un obbligo di pubblicazione, nel rispetto dei limiti della tutela di interessi pubblici e privati individuali e  con il solo limite della tutela degli interessi pubblici e privati, che risultano giuridicamente rilevanti.

Consente una conoscenza estesa ma meno profonda di quella che si può ottenere in base all’accesso tradizionale/ordinario, per cui il richiedente potrà accedere agli atti che rappresentano il risultato finale ottenuto dall’amministrazione ma non agli atti endoprocedimentali del procedimento i quali possono essere conosciuti solo mediante istanze avanzate ai sensi dell’articolo 22 della legge 241/1990.

La ratio della norma, di attuazione della legge delega n. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione), è mettere in atto una politica che assicuri un controllo diffuso sull’operato dell’amministrazione capace di contrastare il dilagante fenomeno corruttivo, in particolar modo nel settore degli appalti pubblici dove si manifestano fenomeni di mala gestio, di corruzione, infiltrazione mafiosa.

Per quanto riguarda l’accesso agli atti nell’ambito dei contratti pubblici, il riferimento normativo è l’articolo 53 del decreto legislativo 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici) rubricato “Accesso agli atti e riservatezza” secondo cui, salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, la disciplina applicabile in materia di accesso alle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici è quella prevista agli articoli 22 e seguenti della legge 241/1990.

Con tale esplicito rinvio, anche in tale settore si applica il tradizionale istituto dell’accesso documentale o ordinario, fatte salve alcune ipotesi in cui il diritto di accesso è escluso o differito al fine di garantire quei principi che convergono all’interno delle gare pubbliche: segretezza, speditezza, correttezza, par condicio. Dunque il regime applicabile è per l’appunto quello dell’accesso documentale/ordinario ed è proprio a tale disciplina che si pone la questione dibattuta in dottrina e giurisprudenza circa la possibilità o meno di interpretare il rinvio di cui all’articolo 53 restrittivamente e, quindi, limitato al solo accesso documentale, oppure in via estensiva ricomprendendo anche le nuove forme di accesso.

 

2. La posizione della giurisprudenza

La questione dell’accesso agli atti previsto dagli articoli 50 e seguenti del decreto legislativo n. 50/2016  (c.d. Codice degli appalti) trae origine dal ricorso promosso da una società, classificatasi al secondo posto, avverso il diniego di accesso agli atti di esecuzione di una gara di appalto, accesso finalizzato a verificare che l’attività della ditta aggiudicataria si svolgesse nel pieno rispetto del capitolato e dell’offerta presentata in considerazione del fatto che eventuali inadempienze avrebbero portato alla risoluzione del contratto per inadempimento con conseguente affidamento del servizio alla ricorrente.

Contro detto diniego, la società ricorreva al Tar Toscana. I giudici amministrativi (Sezione III, sentenza n. 577 del 17/04/2019), nel respingere il ricorso, hanno sottolineato che l’istanza della ricorrente, così come formulata, si traduce in un’indagine meramente esplorativa, di per sé inammissibile, tesa alla ricerca di una qualche condotta inadempiente dell’aggiudicatario ma priva di alcun elemento o indicato concrete circostanze che depongano in tal senso. Consolidata giurisprudenza ha affermato che un accesso avente natura meramente esplorativa è inammissibile. Inoltre, il Collegio conclude che l’accesso di cui si tratta interessava la fase esecutiva dell’appalto, fase caratterizzata da rapporti paritari, viene esclusa l’applicabilità dell’accesso civico e precisato che l’ex partecipante alla gara potrà veder tutelato il suo interesse tramite l’accesso ordinario ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 241/90, nel rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalla medesima legge.

Avverso la sentenza del Tar Toscana, la società ricorrente appellava la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato che, con Ordinanza n. 8501 del 16 dicembre 2019, rimetteva la decisione all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni:

1. se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;

2. se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013, come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;

3. se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

 

3. La decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 10 del 2 aprile 2020) nel pronunciarsi in favore della valorizzazione di un interesse ostensivo alternativo a quello documentale, ma solo nell’ipotesi in cui possa desumersi una volontà almeno implicita di voler dar corso ad una forma di accesso differente, nel caso di specie, all’accesso generalizzato, ha enucleato i seguenti principi di diritto:

1) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della legge n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adito ai sensi dell’articolo 116 codice procedimento amministrativo, possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento;

2) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;

3) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’articolo 53 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’articolo 5-bis del decreto legislativo n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’articolo 53 e con le previsioni della legge n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’articolo 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.

Con riferimento alla prima questione, la pronuncia della Plenaria è di rilievo in quanto consente, tenuto conto delle Linee guida ANAC adottate con delibera n. 1309/2016 e della Circolare n. 2 del Ministero della Pubblica Amministrazione sull’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA), all’istante di presentare istanza di accesso agli atti, civico o documentale, congiuntamente.

Per l’Adunanza Plenaria, la previsione dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 33/2013, permette che le due forme di accesso (documentale/ordinario e civico generalizzato) possono coesistere tra loro.

Il rapporto tra i due settori, l’uno ordinario (accesso documentale), speciale l’altro (accesso civico generalizzato), seppur differenti tra loro, operano in una logica di concomitanza tra loro ma sulla base di norme e presupposti diversi, al fine di tutelare il superiore interesse conoscitivo degli atti e/o documenti in possesso dell’amministrazione, fatto salvo le eccezioni previste e disciplinate dall’articolo 5-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo 33/2013.

L’amministrazione, qualora ed a seguito di istruttoria accerti che l’istanza non può essere accolta per carenza dell’interesse qualificato (documentale) ha la prerogativa, in subordine, di accogliere la stessa come accesso civico generalizzato.

Con riguardo al secondo quesito, l’Adunanza Plenaria ha affermato che l’accesso ordinario di cui all’articolo 22 della legge 241/1990 per gli atti relativi alla fase esecutiva del contratto di appalto da parte di un operatore economico, è del tutto legittima in quanto coperto da previsione legislativa di cui all’articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 33/2013.

Pertanto, anche nella fase esecutiva del contratto vi è un interesse pubblico diretto e concreto dell’intera procedura ad evidenza pubblica, che consente l’ostensibilità da parte di un concorrente dei documenti anche relativi all’esecuzione del contratto, al fine di controllare tutte le fasi della gara pubblica, in conformità a quanto stabilito dal Codice degli appalti (Risoluzione – articolo 108; Selezione e valutazione qualitativa dei candidati – articolo 172).

Quanto alla terza problematica, l’Adunanza Plenaria ritiene ammissibile l’applicazione dell’accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici, sulla previsione dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013, il quale stabilisce, con riferimento all’ambi soggettivo di applicazione della norma, che “chiunque”, in forma singola o associata, ha diritto a conoscere di atti/documenti/informazioni in possesso dell’amministrazione, non soggette a pubblicazione obbligatoria, ulteriori e in aggiunta a quelle obbligatorie, finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa.

Secondo la Plenaria, sussiste un diritto dei cittadini all’accesso dei dati/informazioni/documenti in possesso della pubblica amministrazione, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 20 del 2019 che sancisce l'obbligo, per la legislazione nazionale, di rispettare i criteri di necessità, proporzionalità, finalità, pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati personali, pur al cospetto dell'esigenza di garantire, fino al punto tollerabile, la pubblicità dei dati in possesso della pubblica amministrazione, trovando come limite le eccezioni assolute nei casi previsti dagli articoli 24, comma 1 della legge 241/1990, 53, comma 5 del decreto legislativo 50/2016.

La logica della prevalenza della tutela della trasparenza e della legalità dell’esercizio del potere amministrativo, così come evidenziata dal Consiglio di Stato, a maggior ragione è consentita nelle procedure di gara ad evidenza pubblica in cui sussiste un bilanciamento degli interessi in giuoco.

In ultimo si ritiene utile segnalare, per l’importanza dei principi affermati, la sentenza n. 271 del 12/11/2019, anche se cronologicamente precedente la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2 aprile 2020, con la quale i giudici abruzzesi hanno affermato che un operatore economico ha diritto ad accedere agli atti mediante i quali la stazione appaltante ha individuato le imprese da invitare alle procedure di gara nei precedenti anni, al fine di accertare ed eventualmente contestare le ragioni per le quali non era mai stato invitato a partecipare (cd. “accesso difensivo” ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241/1990) pur essendo in possesso dei relativi requisiti.

Nella fattispecie, un’impresa aveva presentato istanza di accesso volta ad ottenere tutti gli atti e i provvedimenti preliminari di tutte le procedure di evidenza pubblica, sopra e sotto i € 40.000, indette da un Comune nel periodo 2015-2019. In particolare, l’impresa adduceva l’interesse a verificare la legittimità delle procedure di gara alle quali non era mai stata invitata a partecipare, nonostante fosse in possesso dei requisiti richiesti e avesse espressamente chiesto di partecipare. Ma il Comune aveva respinto l’istanza, ritenendola eccessivamente generalizzata e reputando che la stessa comportasse un notevole dispendio di risorse.

L’adito Tar ha demarcato la linea di confine tra il diritto di accesso difensivo, come tale legittimo e idoneo ad ottenere l’ostensione della documentazione richiesta, e l’accesso meramente esplorativo, volto ad un (inammissibile) controllo generalizzato sull’attività della pubblica amministrazione. Inoltre, il giudice di prime cure, ha precisato che deve trovare applicazione la disciplina dell’accesso ex articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e non quella speciale prevista in materia di appalti (articolo 53 del decreto legislativo 50/2016), la quale opera soltanto quando si ravvisi un contrasto tra le esigenze conoscitive del richiedente e il diritto alla riservatezza dei terzi e/o della stazione appaltante.

Il giudice amministrativo, inoltre ha affermato che il diritto di accesso documentale di cui alla legge 241/1990 non è solo strumentale alla tutela giurisdizionale (eventuale) di diritti ed interessi giuridicamente rilevanti, ma va interpretato come “autonomo e distinto diritto all’informazione”, nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine ed al fine di consentire ai cittadini di indirizzare le proprie scelte per curare o difendere i loro interessi.

Sulla scorta di tali considerazioni, ha accolto il ricorso e ha dichiarato che la società aveva diritto ad accedere a tali atti, in quanto titolare di un interesse a verificare la legittimità delle procedure di evidenza pubblica, essendo in possesso di tutti i requisiti richiesti per essere invitata dal Comune a prendervi parte.

La sentenza contiene anche l’importante precisazione secondo cui all’accesso c.d. defensionale deve essere resa un’interpretazione ampliativo-estensiva, ricomprendendo dunque ogni forma di tutela delle proprie posizioni giuridiche.

Ne deriva che il giudice si deve limitare a verificare che sussista, in astratto, il collegamento tra l’atto oggetto della domanda di accesso e la situazione soggettiva da tutelare in giudizio, non potendosi esprimere sull’ammissibilità e sulla fondatezza della pretesa.

 

4. Considerazioni conclusive

Alla luce delle conclusioni cui è pervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la esaminata pronuncia n. 10 del 2 aprile 2020, si possono ipotizzare le varie situazioni in cui il RUP sarà chiamato a valutare istanze di accesso agli atti, come segue:

  1. formulate in modo generico o cumulativo, congiuntamente;
  2. formulate senza riferimento ad alcuna specifica normativa;
  3. formulate con specifico riferimento all’accesso documentale (articolo 22 della legge 241/1990);
  4. formulate con specifico riferimento all’accesso civico generalizzato.

Nell’ipotesi di cui al punto 1) il RUP, qualora la stessa non possa essere accolta come accesso documentale per l’assenza di un interesse diretto, concreto, attuale, potrà invece accettarla come accesso civico generalizzato.

Secondo le Linee guida ANAC, adottate con delibera n. 1309 del 28 dicembre /2016 e della Circolare n. 2/2017 del Ministero della Pubblica Amministrazione sull’ “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (cd. F.O.I.A)”, il diritto di accesso va applicato tenendo conto della tutela preferenziale dell’interesse a conoscere. Pertanto, nei casi di dubbio circa l’applicabilità di una eccezione, le amministrazioni dovrebbero dare prevalenza all’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare.

In base a questo principio, dato che l’istituto dell’accesso civico generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.) la stessa dovrà essere trattata, in subordine, dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato.

Nella situazione di cui al punto 2) il RUP, non potendo ricondurre l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ha il dovere di pronunciarsi, con congrua motivazione, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere l’una o l’altra forma di accesso, qualora rappresentati nella richiesta.

In questa difficile operazione di pesatura degli interessi in giuoco, il RUP dovrà tenere in debita considerazione che nella fase di esecuzione del contratto di appalto è comunque presente un interesse diretto, concreto, attuale del partecipante alla gara, giuridicamente da tutelare, ai sensi della legge 241/1990, in tutte le fasi successive alla stipula del contratto di appalto che potrebbero portare, a determinate condizioni, alla risoluzione del contratto, con conseguente scorrimento della graduatoria, o perfino alla ripetizione della gara.

L’istanza però non deve trasformarsi in un esclusivo sindacato sull’attuazione degli obblighi contrattuali: in tale evenienza un rifiuto del RUP all’istanza di accesso agli atti, sarebbe del tutto legittimo.

L’istanza di accesso dovrà sempre comprendere un previgente interesse diretto, concreto, attuale del richiedente  e non tradursi in un artifizio per creare surrettiziamente un controllo sul corretto svolgimento di un rapporto contrattuale: anche in tale evenienza, il RUP potrebbe legittimamente rifiutare la richiesta di accesso.

Qualora l’istanza sia espressamente formulata ai sensi della legge 241/1990 – ipotesi di cui al punto 3), il processo istruttorio si ridurrà solo alla disciplina dell’accesso agli atti, ai sensi della legge 241/1990 e non potrà essere istruita sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato ed il Giudice adito (eventuale) non potrà trasformare  il titolo dell’accesso indicato nell’atto originario ed oggetto di rifiuto (electa una via, non datur recursus ad alteram).

Infine, ed allo stesso modo, qualora l’istanza di accesso è riferita al solo accesso civico generalizzato di cui al punto 4), il RUP circoscriverà la sua attività di valutazione a quello specifico profilo, senza essere obbligato a esaminare l’altra forma di accesso documentale.