Figli e figliastri
Dopo il metaforico assedio ai palazzi del potere del pallone da parte delle federazioni nazionali (Polonia, Svezia, Repubblica Ceca) e dell’opinione pubblica occidentale, FIFA e UEFA hanno infine sciolto le riserve: la Russia e tutti i club russi verranno esclusi dalle competizioni internazionali. Ciò vuol dire, nella pratica, niente playoff mondiali per la nazionale e fuori lo Spartak Mosca dall’Europa League. Una decisione in realtà attesa, se non obbligata. La FIFA d’altronde non avrebbe potuto comportarsi diversamente, di certo non avrebbe mai potuto consentire che la Russia vincesse a tavolino tutte le proprie partite dei playoff, con l’incognita del comportamento delle altre nazionali a Qatar 2022.
E la UEFA, dal canto suo, non poteva che accodarsi. Forse anche con più ragioni, visto che rappresenta un contesto europeo “ristretto” rispetto a quello mondiale in cui sono coinvolte entrambe le federazioni – un contesto europeo, tra l’altro, a netta trazione filo-ucraina e anti-russa.
Non serve interrogarsi sulla “giustizia” o meno del provvedimento. Si tratta di politica, anzi di un certo tipo di politica: c’è infatti chi dice che gli USA, Israele o altre nazioni avrebbero dovuto essere escluse da chissà quante competizioni, e magari qualche ragione ce l’ha pure. Perché l’attacco alla Libia di Gheddafi, decretato con il pretesto inesistente del possibile genocidio a Bengasi – come inesistenti erano le celebri armi chimiche di Saddam che gli Stati Uniti utilizzarono come casus belli – non ha la stessa dignità dell’invasione ucraina? Perché le violazioni israeliane delle risoluzioni internazionali non hanno lo stesso peso? Solo perché alcuni Paesi sono governati da dittatori, o da formazioni giudicate “anti-democratiche”, si possono invadere?
Anche qui, la nostra visione da gendarmi del mondo (di riflesso) si dispiega in tutte le sue forme: si accusava Gheddafi di essere un dittatore, lo stesso che fino a qualche anno prima, comunque, era accolto con tutti gli onori dalle cancellerie occidentali. Ma come governare se non con il pugno di ferro una Nazione frammentata, divisa tra centinaia di tribù, clan e milizie armate spesso acerrimamente rivali – e che, dopo il Rais, è puntualmente tornata in guerra? Il pregiudizio democratico appartiene a noi, il pregiudizio anzi che tutti debbano essere democratici (almeno sulla carta). Ma noi non siamo il mondo. Il fatto che alcuni Paesi non lo siano è un’attenuante per invaderli? È giusto che la federazione irachena, o quella afghana, debbano trovarsi magari nella stessa competizione gli Stati Uniti, che ne hanno bombardato le città senza un reale motivo? Probabilmente no, ma non è questo il punto.
Il punto è che, mettendo da parte l’ipocrisia e il benaltrismo, dobbiamo guardare in faccia la realtà. Alcune Nazioni hanno più peso politico, altre decisamente meno. Una Ucraina aggredita nel cuore dell’Europa, argine e simbolo di resistenza contro la Russia putiniana, supportata dagli Stati Uniti e da tutto l’Occidente, avrà 1000 volte il peso politico di una Libia, di un Iraq, di un Afghanistan o di una Palestina. E basta con il ritornello, a cui non crede più nessuno, per il quale la FIFA non fa politica: la FIFA fa politica, ma fa la politica della parte di mondo che principalmente rappresenta, quella europea e occidentale; una politica in senso lato “atlantista”, espressione dei centri di potere, quelli veri, in cui si decidono le sorti del calcio mondiale. Del resto, se ne disinteressa bellamente.
Delle contraddizioni del Qatar, a cui assegna un mondiale; o del comportamento dell’Arabia Saudita, con cui mantiene apertissimo il dialogo malgrado stia bombardando da più di 7 anni lo Yemen, facendo strage di civili.
Come la Russia allora usa lo sport con fini propagandistici e geopolitici, non ci si può stupire che FIFA e UEFA, ma non solo, facciano lo stesso. La sempre impeccabile newsletter de lo Slalom fa il punto oggi sul terremoto sportivo che si è innescato: «Zenit, CSKA e Kazan lasciano l’Eurolega di basket: sono la quinta, la sesta e l’ottava in classifica, tutte in posizioni da play-off. Avrebbero avuto difficoltà a spostarsi e viaggiare per la chiusura degli spazi aerei. Fuori anche dalla pallamano fino a nuovo avviso: il Nantes aveva già dichiarato che non avrebbe affrontato il Cechov. Nella pallavolo la Russia è fuori dall’organizzazione delle due fasi della Nations League, eppure i Mondiali maschili programmati in agosto in sei città del paese sono ancora là, in calendario. Russia e Bielorussia sono fuori invece dal prossimo Mondiale di hockey su ghiaccio, a maggio in Finlandia».
Questa è la prima volta che “lo sport” si schiera così nettamente (le esclusioni di Sudafrica e Jugoslavia erano almeno giustificate da una risoluzione dell’ONU), in quella che Alan Binder sul New York Times definisce «un’escalation nell’isolamento di Russia e Bielorussia». E qui si impone in tutta la sua forza il ruolo dello sport, come dichiara l’ex campione di scacchi Garry Kasparov: «Ciò potrebbe avere un enorme impatto su di molti russi. La maggior parte delle persone comuni ha un’immagine molto limitata e distorta di ciò che sta accadendo in Ucraina. Provvedimenti come questo della FIFA li farà guardare intorno. Lo sport per il suo potere è più essenziale di quanto la maggior parte degli opinionisti abbia riconosciuto». Insomma, la propaganda russa perde un’importante freccia nella sua faretra: quella sportiva, che lo stesso Putin ha sempre utilizzato come espressione della potenza e dell’orgoglio nazionale russo.
In una simile rottura geopolitica non potevamo pensare – soprattutto di questi tempi, in cui anche le neutralissime banche svizzere si schierano appoggiando le sanzioni alla Russia – che lo sport non prendesse posizione: formidabile strumento di soft power (e forse non solo), terreno eletto di scontro tra le grandi potenze mondiali. E non potevamo aspettarci che i suoi organi di rappresentanza, dal CIO alla FIFA, non agissero. La sensibilità d’altronde è mutata rispetto al passato, soprattutto alle nostre latitudini, ed è naturale che l’attacco di Putin all’Ucraina mobiliti federazioni, faccia schierare atleti e smuova le coscienze molto più di un’aggressione degli Usa a un Paese mediorientale – anche perché risentiamo della propaganda americana a media unificati, che riesce sempre a mascherarne le guerre da interventi umanitari.
In questo caso la percezione è inevitabilmente diversa: Putin ha invaso e bombardato una Nazione nel cuore dell’Europa, partner occidentale e vicina a noi per tanti motivi. Nessuno, giustamente, avrebbe potuto accettare una cosa simile. Ma la propaganda c’è, scandisce le nostre agende politiche e quelle mediatiche. Pensate a coloro, tantissimi, che ripetono come la Russia abbia infranto 75 anni di pace in Europa, dimenticando gli altri conflitti in Europa a partire dai bombardamenti Nato (etici, naturalmente) su Belgrado, svolti senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per fortuna c’è chi sui grandi giornali – esteri naturalmente, ché lo spirito critico in Italia lo abbiamo sotto le scarpe – questo doppiopesismo lo riconosce.
«Lontani dall’Occidente, Paesi e Nazioni martorizzati da altre guerre, sosterranno giustamente di non aver mai visto le grandi organizzazioni sportive schierarsi dalla parte delle vittime. Di fronte ai conflitti, la FIFA ha diviso il mondo in figli e figliastri»
Vincet Duluc, nel suo editoriale su L’Equipe
Tutto ciò è vero, ma oggi non conta nulla. Non possiamo essere così ingenui da credere che lo sport non faccia politica, o meglio che non faccia una determinata politica; né potevamo sottovalutare le conseguenze di una simile aggressione. Perché anche qui bisogna essere chiari: il fatto che altri abbiano mosso guerre più, o soprattutto meno, giustificate, non può assolvere la Russia dall’operazione che sta compiendo. La consapevolezza che altre federazioni dovrebbero tuttora essere escluse dalle competizioni internazionali (l’Arabia Saudita in primis) non può condonare le responsabilità russe; a maggior ragione in un contesto nel quale tutti in Europa e in Occidente si sono mossi, anzi risolutamente schierati.
Per questo, e per una volta, non ha senso attaccare la FIFA e la UEFA. Siamo onesti, non avrebbero mai e poi mai potuto agire diversamente, la loro è stata una decisione obbligata. Certo si tratta di una scelta presa non per criteri etici e morali, bensì per sfere d’influenza. Ma nel nuovo muro compatto che si è alzato a difesa del “mondo libero”, ritenevate davvero che la crepa potesse essere rappresentata dalla FIFA? In questo caso, ci dispiace dirlo, ma gli ingenui siete voi.