Geolocalizzazione dei dipendenti: il ruolo della DPIA va valorizzato

controllo dei lavoratori
controllo dei lavoratori

Geolocalizzazione dei dipendenti: il ruolo della DPIA va valorizzato

Una recente pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna sottolinea l’importanza della DPIA al fine di ottenere l’autorizzazione all’installazione di strumenti di geolocalizzazione.

Il 29 luglio 2022 il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna si è pronunciato su un ricorso avente ad oggetto il diniego dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro Ferrara-Rovigo ad una richiesta di un’impresa all’installazione e all’uso di strumenti di geolocalizzazione sugli automezzi aziendali.

La pronuncia, pur non presentando elementi particolarmente innovativi in materia di installazione ed uso di strumenti di geolocalizzazione, è un’ottima sintesi dello stato dell’arte sulle questioni relative al bilanciamento di interessi tra tutela dei diritti dei lavoratori ed interessi economico-organizzativi del datore di lavoro che ha intenzione di ricorrere a strumenti di geolocalizzazione.

Il vero “valore aggiunto” della sentenza è però rappresentato dalla valorizzazione attribuita alla valutazione d’impatto (DPIA) che, specificano i giudici amministrativi, deve essere lo strumento sul quale l’Ispettorato è chiamato ad effettuare le proprie valutazioni per determinare se concedere o meno l’autorizzazione all’installazione dello strumento di geolocalizzazione o, eventualmente, indicare le specifiche prescrizioni richieste al datore di lavoro per ottenere tale autorizzazione.


La richiesta all’installazione dello strumento di geolocalizzazione per i dipendenti

Come anticipato, il caso alla base del ricorso riguardava il diniego dell’Ispettorato alla richiesta di un’impresa erogante servizi pubblici attinenti alla distribuzione ed alla depurazione di acqua ad usi civili che, principalmente per esigenze di efficientamento organizzativo, nel 2020 domandava all’Ispettorato di ottenere l’autorizzazione ad installare uno strumento di geolocalizzazione sugli automezzi aziendali.

Lo strumento di geolocalizzazione oggetto della richiesta era già stato oggetto di un accordo con le organizzazioni sindacali, intervenuto nel 2004 e poi rinnovato il 2010 ed il 2013 ma, a causa del rifiuto al rinnovo espresso dalle RSU nel 2018, il datore di lavoro si vedeva dunque costretto a richiedere la necessaria autorizzazione concernente lo strumento di geolocalizzazione all’Ispettorato competente, in conformità a quanto previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Secondo le specifiche relative alle modalità di funzionamento dello strumento di geolocalizzazione esposte nel ricorso, tale strumento rilevava la posizione e le modalità di utilizzo dei mezzi (accesso o spento), permettendo di ottenere le seguenti informazioni:

  • Distanza percorsa e velocità media del veicolo;
  • Dati tecnici relativi all’utilizzo di carburante;
  • Registrazione dei tempi di carico e scarico del veicolo (e dunque dei tempi dei singoli lavori).

Tutti i dati raccolti venivano conservati per 5 anni sul server appartenente al fornitore dello strumento di geolocalizzazione, nominato responsabile del trattamento, ed erano consultabili “live” solo qualora sopravvenisse la necessità di geolocalizzare il veicolo per circostanze diverse dalla normale pianificazione (ad esempio, richiesta di intervento d’urgenza da parte di un utente della rete idrica).  

Il datore di lavoro, su richiesta dell’Ispettorato, specificava inoltre che i dati personali dei dipendenti sarebbero stati utilizzati solo nei casi di rigorosa necessità e che i report generati dal sistema di geolocalizzazione erano anonimizzati e acquisiti solo su base semestrale, annuale o biennale.


Il diniego all’installazione dello strumento di geolocalizzazione dei dipendenti

A fronte di tutte le informazioni e chiarimenti forniti dal datore di lavoro sullo strumento di geolocalizzazione, l’Ispettorato negava comunque la richiesta ritenendo che la tipologia di impianto di geolocalizzazione prevedesse la raccolta di informazioni non proporzionata agli scopi rappresentati dal datore di lavoro.

Detto altrimenti, secondo l’Ispettorato, il concreto funzionamento dello strumento di geolocalizzazione oggetto della richiesta finiva per frustrare eccessivamente il diritto alla riservatezza dei lavoratori e, specularmente, privilegiare ingiustificatamente gli interessi economici del datore di lavoro che richiedeva l’installazione dello strumento di geolocalizzazione.

Pertanto, l’Ispettorato concludeva rilevando che il trattamento effettuato dallo strumento di geolocalizzazione oggetto della richiesta veniva ritenuto non conforme ai principi ed alle istruzioni di cui al provvedimento n.138 del 2017 del Garante per la protezione dei dati personali.

Il suddetto provvedimento è una verifica preliminare nell’ambito della quale il Garante ha definito precisamente quali debbano essere le misure e gli accorgimenti che il datore di lavoro deve adottare relativamente agli strumenti di geolocalizzazione di veicoli aziendali di cui richieda l’installazione, al fine di tutelare il corretto bilanciamento degli interessi in gioco e nel rispetto dei principi di minimizzazione e proporzionalità, le cui statuizioni sono ancora valide ed attuali nonostante la pronuncia risalga all’epoca pre GDPR.
 

Il ricorso al TAR e le ragioni a sostegno della conformità dello strumento di geolocalizzazione dei dipendenti

A fronte del diniego dell’Ispettorato, l’impresa ricorreva al TAR Emilia-Romagna ed esponeva le seguenti ragioni a sostegno della richiesta di annullamento del provvedimento di diniego.

In primo luogo, il datore di lavoro rilevava come lo strumento di geolocalizzazione fosse già stato oggetto di un accordo sindacale, rinnovato per ben due volte. Se per un totale di tre volte le organizzazioni sindacali hanno ritenuto lo strumento di geolocalizzazione compatibile con i diritti dei lavoratori, non si vede per quale ragione l’Ispettorato abbia negato l’installazione dello stesso strumento di geolocalizzazione.

Oltre a tale argomento, sicuramente debole, l’impresa adduceva altresì che tutte le esigenze organizzative, produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale richieste dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori per l’installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori – ivi inclusi dunque strumenti di geolocalizzazione – erano state tutte ampiamente documentate dal datore di lavoro all’Ispettorato.

In ultimo, l’impresa sottolineava che lo strumento di geolocalizzazione risultava perfettamente compatibile con le prescrizioni dettate dal Garante privacy in materia e non permetteva assolutamente un monitoraggio costante dei dipendenti della società, dato che l’utilizzo dei dati personali dei lavoratori sarebbe avvenuto solo in caso di necessità, per richieste di intervento, emergenza, incidenti, furti del mezzo o salvaguardia del lavoratore.
 

 La pronuncia del TAR

Preso atto delle rispettive posizioni delle parti, il TAR si è pronunciato in favore del ricorso del datore di lavoro, accogliendone in maniera praticamente integrale le ragioni addotte a sostegno della conformità del trattamento di dati effettuato dallo strumento di geolocalizzazione.

Dopo aver dedicato ampio spazio a ricostruire il panorama normativo riguardante il controllo a distanza dei lavoratori e ricordato la rivoluzione introdotta dal GDPR con l’ascrizione al titolare del trattamento del principio di accountability, il giudice amministrativo conclude come, nel caso di specie, lo strumento di geolocalizzazione risultava pienamente conforme a quanto previsto dalle prescrizioni del Garante in materia, come d’altronde sostenuto dal datore di lavoro ricorrente.

Infatti, lo strumento di geolocalizzazione trattava informazioni della tipologia la cui raccolta era già stata ritenuta lecita dal Garante privacy nella ricordata verifica preliminare del 2017 e non comportava alcun monitoraggio sistematico della prestazione lavorativa eseguita dai dipendenti.

In condizioni di normalità, il datore di lavoro risultava legittimato ad accedere ai report anonimizzati (a leggere il provvedimento parrebbe però che i giudici amministrativi volessero intendere “pseudonimizzati” …) elaborati dallo strumento di geolocalizzazione solo su base semestrale. Esclusivamente in casi di particolare necessità precisamente individuati il datore di lavoro poteva accedere ai dati personali dei lavoratori “live”, ad esempio al fine di mandare i soccorsi ad un dipendente interessato da un incidente o di comprendere quale fosse il dipendente più vicino al luogo dal quale l’impresa aveva ricevuto una chiamata per un intervento d’urgenza.

Pertanto, il trattamento effettuato tramite lo strumento di geolocalizzazione non deve ritenersi contrario al principio di proporzionalità, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ispettorato.
 

L’accento sulla DPIA

In chiusura di sentenza, il TAR effettua delle puntualizzazioni importi sulla DPIA, la valutazione d’impatto prevista dall’articolo 35 del GDPR.

Dopo aver esplicitato che per il trattamento effettuato da strumenti di geolocalizzazione nell’ambito del rapporto di lavoro l’effettuazione di una DPIA è adempimento obbligatorio ai sensi del GDPR e delle Linee Guida in materia di valutazione d'impatto sulla protezione dei dati elaborate dal Garante privacy, il giudice amministrativo sottolinea che lo strumento della DPIA, per quanto non fosse oggetto del diniego impugnato, rappresenta lo strumento che può essere utilmente valorizzato dall’amministrazione per valutare le specifiche prescrizioni da impartire al datore di lavoro per raggiungere il bilanciamento tra gli interessi economici dell’impresa e quelli alla riservatezza dei lavoratori.

Decifrando le parole del TAR, in sostanza la DPIA rappresenta la base per una valutazione di legittimità dello strumento di geolocalizzazione di cui è richiesta l’adozione da parte del datore di lavoro. Conseguentemente, ne deriva che:

  • Il datore di lavoro dovrà allegare la DPIA alla richiesta presentata all’Ispettorato o, quanto meno, renderla disponibili a tale amministrazione; e
  • L’Ispettorato potrà negare l’autorizzazione all’installazione dello strumento di geolocalizzazione ove manchi la DPIA.  

Trattasi di specificazione non da poco che, se dovesse essere adeguatamente recepita dagli Ispettorati italiani, avrà sicuramente impatti molto concreti sulle future domande di autorizzazioni presentate dai datori di lavoro.