I limiti della tutela brevettuale sulle innovazioni applicate ai Social Media
I Social Media (SM) utilizzano, anche in misura estesa, soluzioni brevettabili, quali dispositivi, sistemi e procedimenti (HW e/o SW) di comunicazione (ad esempio reti P2P); piattaforme, a livello fisico e logico, di interazione “allargata” (ad es. realtà virtuale/aumentata, blockchain) o intelligenza artificiale (ad esempio reti neurali). Tuttavia, non è in generale possibile rintracciare una esatta corrispondenza fra SM e brevetti. Il dibattito dottrinario, la prassi di rilascio dei brevetti, nonché la – ridotta – giurisprudenza sviluppatisi a partire dagli anni ‘80 del secolo XX in materia di invenzioni attuate tramite computer (CII) e di commercio elettronico forniscono dunque utili strumenti per trattare (anche) i Social Media. Decisioni quali T208/84 (Vicom) o T 258/03 (Hitachi) delineano criteri costantemente applicati in decine (forse centinaia) di migliaia di casi (Comvik, IBM, ecc.); riesaminati e ribaditi di recente dall’Enlarged Board of Appeal (G 0003/08) dall’UEB, che è molto attivo ed attento al tema, con direttive continuamente aggiornate (anche in questi giorni). Sentenze quali In re Bilski (2010) o In re Alice (2014) della Corte Suprema degli Stati Uniti delineano criteri sostanzialmente affini facendo sì che, contrariamente all’opinione corrente, l’approccio USA si profili al momento come più restrittivo rispetto a quello dell’UEB. Statistiche del giugno 2015 parlano di 92.9% (13 su 14) brevetti revocati dal Federal Circuit.
Paesi come l’Italia vivono un momento caratterizzato da un vero e proprio rigetto della cultura scientifica e da uno scarso apprezzamento della competenza specifica. Questo non autorizza però a concludere in modo affrettato che una certa soluzione è “futile” o “banale”. Questo tenendo anche in conto il fatto che valore innovativo e successo commerciale possono essere disgiunti: talune innovazioni hanno conosciuto il successo solo dopo molti anni e che alcuni SM di grande successo hanno riproposto iniziative già tentate in precedenza, potendo il successo di una certa “idea” dipendere da tanti fattori, difficili da prevedere, facendo sì che le “idee” possano presentare un elevato tasso di mortalità. Ancora, è importante osservare che, più che uno strumento di protezione delle idee e di tutela contro la copia, il brevetto è un premio per chi arriva per primo ad una certa soluzione tecnica e la divulga. Altrimenti non si spiegherebbero: la novità assoluta, il preuso, il regime delle anteriorità non prepubblicate, l’obbligo di descrizione, il carattere “oggettivo” della contraffazione (è contraffattore anche chi non ha copiato), il diritto al brevetto in capo al datore di lavoro, l’esclusione degli atti privati ed a fini non commerciali, il costo della brevettazione e del relativo contenzioso... Obiettivo principale del brevetto è stimolare la organizzazione sistematica di risorse umane e finanziarie a fini di innovazione (anche tramite il design around virtuoso: soluzioni alternative di uno stesso problema; ecco perché i brevetti relativi agli standard sono fonte di criticità. L’innovazione è un fatto collettivo, sociale, di distretto: ecco perché gli USA sono (e continueranno ancora ad essere) leader e l’Europa, sempre più frammentata, insegue a distanza. La “fuga dei cervelli” è fatto fisiologico, non patologico. Posizioni come quelle espresse da T258/03 (Hitachi) o in re Bilski/Alice non vanno lette come espressione di una valutazione qualitativa (non è un’invenzione, è futile, è banale, ecc...), ma come presa d’atto del fatto che lo strumento brevettuale non è lo strumento di elezione per tutelare taluni atti creativi: è nato e persegue altri scopi. Dall’altra parte, è pressoché scontato il fatto che non si brevettano canzoni, dipinti o sculture.
Una tutela di tipo “autorale” (non necessariamente di tipo assolutamente esclusivo: chi compone una canzone auspica che sia eseguita anche da molti altri!) e/o concorrenziale appare probabilmente più consona al mondo dei SM. Talune creazioni dei SM presentano indubbi motivi di affinità con temi quali il tema del cosiddetto “format”. Contratti “intelligenti”? Applicazioni “tipo blockchain”? Il tutto nell’alveo di un “diritto del lavoro intellettuale” che si trova ad affrontare profili sempre nuovi in relazione ad un’opera (che non è più esclusivamente opera d’arte) nell’epoca della sua (facile ed estesa) riproducibilità tecnica: vedi, ad esempio stampa - e scanning - 3D.
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