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I problemi psicologici del genitore naturale non costituiscono ostacolo al riconoscimento

1. Le massime

Il giudice adito, a fronte di una domanda di riconoscimento avanzata dal genitore naturale, deve porre al centro delle proprie valutazioni il diritto del minore all’acquisizione dell’identità personale nella sua integrale ed effettiva connotazione psicofisica, come figlio di una madre e di un padre determinati, perciò, soltanto un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, che sia direttamente correlato alla attribuzione della genitorialità, oltre che fondato su motivi comprovati, seri ed irreversibili, può fondare il rigetto della domanda di riconoscimento proposta (nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto conforme a consolidati orientamenti di legittimità la decisione del giudice di appello con cui si era provveduto ad accogliere la domanda di riconoscimento presentata da un uomo affetto da alessitimia. A detta istanza la madre si era opposta sostenendo che il riconoscimento avrebbe posto il minore in una condizione pregiudizievole per il suo sviluppo).

Non costituisce di per sé un pericolo di danno idoneo a fondare il rigetto della domanda di riconoscimento proposta dal genitore naturale la mera pendenza di un procedimento penale a carico dell’istante, a meno che il richiedente non sia stabilmente inserito nella criminalità organizzata e sia detenuto per gravi reati, in ragione delle connotazioni fortemente negative sulla personalità del minore che tale ambiente può determinare.

2. Il caso

Tizio presentava istanza al Tribunale per i Minorenni onde ottenere l’autorizzazione al riconoscimento del figlio minore Tizietto, nato dall’unione con Caia, la quale si opponeva. Il giudice adito rigettava la domanda in quanto riteneva che il riconoscimento avrebbe danneggiato lo sviluppo psico-fisico del minore. In particolare, il rigetto veniva motivato in considerazione delle caratteristiche di personalità di Tizio, il quale presentava tratti di psicopatologia (alessitimia), nonché in relazione alla fragilità mostrata dalla madre ed alla conflittualità esistente tra Tizio e Caia.

Tizio impugnava la sentenza del Tribunale e ne otteneva la riforma dalla Corte di Appello. Il giudice di seconda istanza, evidenziava che:

a) il riconoscimento del figlio naturale è un diritto soggettivo costituzionalmente garantito del genitore che non si pone in contrapposizione con l'interesse del minore, in quanto al diritto del genitore corrisponde il diritto del minore ad acquisire un’identità personale, quale figlio di una madre e di un padre determinati. Un simile diritto del minore, a giudizio della Corte di Appello, può essere sacrificato solo ove ricorrano motivi gravi ed irreversibili, tali da far ravvisare la probabilità di una forte compromissione del suo sviluppo psico-fisico;

b) la consulenza tecnica d'ufficio, espletata nel primo grado di giudizio, aveva individuato il maggiore fattore di rischio nella conflittualità tra i genitori ed aveva affermato che le residue problematiche presenti non erano tali da far ritenere compromesso il potenziale assolvimento della funzione genitoriale, salva la necessità di un supporto psicologico per ambedue i genitori in caso di accoglimento della domanda;

c) di conseguenza, la Corte d'Appello non ha ravvisato comprovati, gravi ed irreversibili motivi di compromissione dello sviluppo del minore che giustificassero la soppressione del diritto del genitore al riconoscimento e del corrispondente interesse del minore all'identità personale; d) ferma la possibilità di regolare nelle sedi competenti le questioni relative all'esercizio della potestà dopo il riconoscimento.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Caia, affidandosi a due motivi:

1) con il primo motivo denuncia la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione, per avere il giudice di secondo grado posto al centro della propria decisione il diritto dell'adulto invece che l'interesse del minore. Così facendo l'idoneità genitoriale sarebbe stata presunta mentre l'esistenza di rischi per il minore sarebbe stata rimessa ad una valutazione in concreto da espletarsi in futuro, in spregio del carattere assolutamente prioritario dell'interesse del minore, nonché delle pertinenti previsioni normative secondo cui conoscere i propri genitori è un diritto soltanto nella misura del possibile;

2) nel secondo motivo si denuncia la violazione, nonché il vizio d'insufficiente ed omessa motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, svolta in primo grado, da parte della Corte d'Appello. Secondo la ricorrente la Corte di Appello ha aderito acriticamente alle risultanze dell'elaborato peritale, senza avvedersi che esse contrastavano con i dati clinici rilevati. Resisteva Tizio.

3. La decisione

La Suprema Corte evidenzia, alla luce della costituzione e delle convenzioni internazionali, il ruolo primario del diritto del minore alla bigenitorialità sia come elemento costitutivo della personalità del figlio sia quale garanzia di un suo sviluppo armonico. La Corte riconosce alla genitorialità biologica il ruolo di fattore determinante per la graduale costruzione di una precisa identità personale del minore. Controlimite a un simile diritto è solo la tutela del fanciullo, il cui interesse soltanto può imporre un sacrificio del primo. Il giudice di legittimità compie, dunque, una ricognizione dei propri precedenti per poter esattamente individuare la portata di detto controlimite, per giungere alla conclusione per cui solo un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, direttamente riconducibile all’attribuzione della bigenitorialità e saldamente ancorato a motivi comprovati, seri ed irreversibili, può configurarsi quale ragione ostativa al riconoscimento.

Richiamando precedenti pronunce di legittimità, la Corte segnala come non sia idoneo a costituire pregiudizio ostativo al riconoscimento la semplice pendenza di un procedimento penale a carico del richiedente, mentre certamente integra un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo del minore lo stabile inserimento del genitore in organizzazioni criminali e la sua detenzione per gravi reati.

Il supremo collegio ritiene adeguatamente motivata, alla luce di un approfondito esame dei fatti di causa, la sentenza impugnata, la quale ha fatto corretta applicazione dei principi ispiratori della materia, così come enucleati dalla giurisprudenza di legittimità e, pertanto, rigetta il primo motivo di ricorso.

La Corte ritiene, inoltre, inammissibile il secondo motivo in quanto diretto a sollecitare nuove valutazioni in fatto.

La Suprema Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese di lite per la peculiarità della situazione di fatto.

4. I precedenti e la recente Legge n. 219 dell'11 dicembre 2012

È la stessa Corte a richiamare alcuni dei propri più rilevanti precedenti in tema di riconoscimento del figlio naturale. L’enunciazione di un vero e proprio diritto del bambino ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre, funzionale all’assunzione di una precisa e completa identità era già avvenuto con la sentenza Cass. n. 2878/2005. Mentre la necessità di un’accorta e rigorosa valutazione del giudice di merito circa la ricorrenza di un fattore di pericolo idoneo a costituire ragione ostativa al riconoscimento era stata già affermata con le pronunce della Suprema Corte n. 2645/2011 e n. 2878/2005. Con sentenza Cass. n. 2645/2011 si era, poi, escluso che la mera pendenza di un procedimento penale potesse escludere di per sé il riconoscimento; ostacolo sufficiente era, invece, stato ravvisato dalla nota sentenza Cass. n. 23074/2005 nell’essere il genitore integrato stabilmente in un’organizzazione criminale e nell’essere egli in stato di detenzione per reati gravi.

Una delle questioni dibattute in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità è, però, relativa alla valutazione se possa o meno presumersi l’interesse del minore ad essere riconosciuto dal secondo genitore: se, infatti, con sent. 687/1991 la Cassazione aveva affermato non potersi apprezzare presuntivamente l’interesse del minore, dovendosi procedere in ogni caso ad una valutazione del vantaggio conseguito dal fanciullo in concreto, secondo Cass. n. 2669/1998 la vantaggiosità del riconoscimento è presumibile, al lume di una presunzione semplice, come chiarito con la sentenza Cass. n. 12018/1998. Si è, inoltre, enunciato che non possono costituire ostacolo al riconoscimento la superata e pregressa tossicodipendenza del genitore naturale (Cass. n. 11949/2003), né il semplice fatto che il padre avesse preteso l’aborto del figlio e che dopo la nascita di quest’ultimo non si fosse interessato a lui (Cass. n. 21088/2004), mentre può costituire ostacolo al riconoscimento il fanatismo religioso, ma non la semplice diversità culturale, di origini, di etnia e di religione tra i genitori naturali (Cass. 12077/1999).

La tendenziale corrispondenza tra verità naturale e certezza giuridica nello stato di figlio, in un'ottica di valorizzazione del dato biologico, è stata operata sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, la quale aveva operato una limitazione dell’area di operatività delle presunzioni legali di paternità e di concepimento durante il matrimonio, corrispondenza peraltro tutelata anche dalla disciplina dell’azione di disconoscimento della paternità (cfr. Gilda Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 234 e ss.). Ulteriore valorizzazione della genitorialità biologica è quella risultante dalla L. n. 219 dell’11 dicembre 2012, con la quale si è disposta la riforma dell’art. 251 del codice civile, prevedendosi l'ampliamento della possibilità di riconoscimento per il figlio nato da incesto – prima limitato alle ipotesi tassative risultanti dalla vecchia formulazione dell’art. 251 del codice civile – sempre subordinatamente alla prioritaria valutazione dell’interesse del figlio, rimessa alla valutazione del giudice civile. L’art. 251 del codice civile – come riformato dall’art. 1, co. 3, L. n. 219/2013 – dispone, infatti che <<Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio>>.

1. Le massime

Il giudice adito, a fronte di una domanda di riconoscimento avanzata dal genitore naturale, deve porre al centro delle proprie valutazioni il diritto del minore all’acquisizione dell’identità personale nella sua integrale ed effettiva connotazione psicofisica, come figlio di una madre e di un padre determinati, perciò, soltanto un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, che sia direttamente correlato alla attribuzione della genitorialità, oltre che fondato su motivi comprovati, seri ed irreversibili, può fondare il rigetto della domanda di riconoscimento proposta (nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto conforme a consolidati orientamenti di legittimità la decisione del giudice di appello con cui si era provveduto ad accogliere la domanda di riconoscimento presentata da un uomo affetto da alessitimia. A detta istanza la madre si era opposta sostenendo che il riconoscimento avrebbe posto il minore in una condizione pregiudizievole per il suo sviluppo).

Non costituisce di per sé un pericolo di danno idoneo a fondare il rigetto della domanda di riconoscimento proposta dal genitore naturale la mera pendenza di un procedimento penale a carico dell’istante, a meno che il richiedente non sia stabilmente inserito nella criminalità organizzata e sia detenuto per gravi reati, in ragione delle connotazioni fortemente negative sulla personalità del minore che tale ambiente può determinare.

2. Il caso

Tizio presentava istanza al Tribunale per i Minorenni onde ottenere l’autorizzazione al riconoscimento del figlio minore Tizietto, nato dall’unione con Caia, la quale si opponeva. Il giudice adito rigettava la domanda in quanto riteneva che il riconoscimento avrebbe danneggiato lo sviluppo psico-fisico del minore. In particolare, il rigetto veniva motivato in considerazione delle caratteristiche di personalità di Tizio, il quale presentava tratti di psicopatologia (alessitimia), nonché in relazione alla fragilità mostrata dalla madre ed alla conflittualità esistente tra Tizio e Caia.

Tizio impugnava la sentenza del Tribunale e ne otteneva la riforma dalla Corte di Appello. Il giudice di seconda istanza, evidenziava che:

a) il riconoscimento del figlio naturale è un diritto soggettivo costituzionalmente garantito del genitore che non si pone in contrapposizione con l'interesse del minore, in quanto al diritto del genitore corrisponde il diritto del minore ad acquisire un’identità personale, quale figlio di una madre e di un padre determinati. Un simile diritto del minore, a giudizio della Corte di Appello, può essere sacrificato solo ove ricorrano motivi gravi ed irreversibili, tali da far ravvisare la probabilità di una forte compromissione del suo sviluppo psico-fisico;

b) la consulenza tecnica d'ufficio, espletata nel primo grado di giudizio, aveva individuato il maggiore fattore di rischio nella conflittualità tra i genitori ed aveva affermato che le residue problematiche presenti non erano tali da far ritenere compromesso il potenziale assolvimento della funzione genitoriale, salva la necessità di un supporto psicologico per ambedue i genitori in caso di accoglimento della domanda;

c) di conseguenza, la Corte d'Appello non ha ravvisato comprovati, gravi ed irreversibili motivi di compromissione dello sviluppo del minore che giustificassero la soppressione del diritto del genitore al riconoscimento e del corrispondente interesse del minore all'identità personale; d) ferma la possibilità di regolare nelle sedi competenti le questioni relative all'esercizio della potestà dopo il riconoscimento.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Caia, affidandosi a due motivi:

1) con il primo motivo denuncia la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione, per avere il giudice di secondo grado posto al centro della propria decisione il diritto dell'adulto invece che l'interesse del minore. Così facendo l'idoneità genitoriale sarebbe stata presunta mentre l'esistenza di rischi per il minore sarebbe stata rimessa ad una valutazione in concreto da espletarsi in futuro, in spregio del carattere assolutamente prioritario dell'interesse del minore, nonché delle pertinenti previsioni normative secondo cui conoscere i propri genitori è un diritto soltanto nella misura del possibile;

2) nel secondo motivo si denuncia la violazione, nonché il vizio d'insufficiente ed omessa motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, svolta in primo grado, da parte della Corte d'Appello. Secondo la ricorrente la Corte di Appello ha aderito acriticamente alle risultanze dell'elaborato peritale, senza avvedersi che esse contrastavano con i dati clinici rilevati. Resisteva Tizio.

3. La decisione

La Suprema Corte evidenzia, alla luce della costituzione e delle convenzioni internazionali, il ruolo primario del diritto del minore alla bigenitorialità sia come elemento costitutivo della personalità del figlio sia quale garanzia di un suo sviluppo armonico. La Corte riconosce alla genitorialità biologica il ruolo di fattore determinante per la graduale costruzione di una precisa identità personale del minore. Controlimite a un simile diritto è solo la tutela del fanciullo, il cui interesse soltanto può imporre un sacrificio del primo. Il giudice di legittimità compie, dunque, una ricognizione dei propri precedenti per poter esattamente individuare la portata di detto controlimite, per giungere alla conclusione per cui solo un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, direttamente riconducibile all’attribuzione della bigenitorialità e saldamente ancorato a motivi comprovati, seri ed irreversibili, può configurarsi quale ragione ostativa al riconoscimento.

Richiamando precedenti pronunce di legittimità, la Corte segnala come non sia idoneo a costituire pregiudizio ostativo al riconoscimento la semplice pendenza di un procedimento penale a carico del richiedente, mentre certamente integra un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo del minore lo stabile inserimento del genitore in organizzazioni criminali e la sua detenzione per gravi reati.

Il supremo collegio ritiene adeguatamente motivata, alla luce di un approfondito esame dei fatti di causa, la sentenza impugnata, la quale ha fatto corretta applicazione dei principi ispiratori della materia, così come enucleati dalla giurisprudenza di legittimità e, pertanto, rigetta il primo motivo di ricorso.

La Corte ritiene, inoltre, inammissibile il secondo motivo in quanto diretto a sollecitare nuove valutazioni in fatto.

La Suprema Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese di lite per la peculiarità della situazione di fatto.

4. I precedenti e la recente Legge n. 219 dell'11 dicembre 2012

È la stessa Corte a richiamare alcuni dei propri più rilevanti precedenti in tema di riconoscimento del figlio naturale. L’enunciazione di un vero e proprio diritto del bambino ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre, funzionale all’assunzione di una precisa e completa identità era già avvenuto con la sentenza Cass. n. 2878/2005. Mentre la necessità di un’accorta e rigorosa valutazione del giudice di merito circa la ricorrenza di un fattore di pericolo idoneo a costituire ragione ostativa al riconoscimento era stata già affermata con le pronunce della Suprema Corte n. 2645/2011 e n. 2878/2005. Con sentenza Cass. n. 2645/2011 si era, poi, escluso che la mera pendenza di un procedimento penale potesse escludere di per sé il riconoscimento; ostacolo sufficiente era, invece, stato ravvisato dalla nota sentenza Cass. n. 23074/2005 nell’essere il genitore integrato stabilmente in un’organizzazione criminale e nell’essere egli in stato di detenzione per reati gravi.

Una delle questioni dibattute in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità è, però, relativa alla valutazione se possa o meno presumersi l’interesse del minore ad essere riconosciuto dal secondo genitore: se, infatti, con sent. 687/1991 la Cassazione aveva affermato non potersi apprezzare presuntivamente l’interesse del minore, dovendosi procedere in ogni caso ad una valutazione del vantaggio conseguito dal fanciullo in concreto, secondo Cass. n. 2669/1998 la vantaggiosità del riconoscimento è presumibile, al lume di una presunzione semplice, come chiarito con la sentenza Cass. n. 12018/1998. Si è, inoltre, enunciato che non possono costituire ostacolo al riconoscimento la superata e pregressa tossicodipendenza del genitore naturale (Cass. n. 11949/2003), né il semplice fatto che il padre avesse preteso l’aborto del figlio e che dopo la nascita di quest’ultimo non si fosse interessato a lui (Cass. n. 21088/2004), mentre può costituire ostacolo al riconoscimento il fanatismo religioso, ma non la semplice diversità culturale, di origini, di etnia e di religione tra i genitori naturali (Cass. 12077/1999).

La tendenziale corrispondenza tra verità naturale e certezza giuridica nello stato di figlio, in un'ottica di valorizzazione del dato biologico, è stata operata sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, la quale aveva operato una limitazione dell’area di operatività delle presunzioni legali di paternità e di concepimento durante il matrimonio, corrispondenza peraltro tutelata anche dalla disciplina dell’azione di disconoscimento della paternità (cfr. Gilda Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 234 e ss.). Ulteriore valorizzazione della genitorialità biologica è quella risultante dalla L. n. 219 dell’11 dicembre 2012, con la quale si è disposta la riforma dell’art. 251 del codice civile, prevedendosi l'ampliamento della possibilità di riconoscimento per il figlio nato da incesto – prima limitato alle ipotesi tassative risultanti dalla vecchia formulazione dell’art. 251 del codice civile – sempre subordinatamente alla prioritaria valutazione dell’interesse del figlio, rimessa alla valutazione del giudice civile. L’art. 251 del codice civile – come riformato dall’art. 1, co. 3, L. n. 219/2013 – dispone, infatti che <<Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio>>.