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Concetti di paternità

La paternità, come ogni altro diritto relazionale, non è un diritto dell’adulto ma del bambino
paternità
Ph. Giorgia Pavani / paternità

Concetti di paternità
 

Si tende a parlare di paternità in maniera negativa o problematica; sarebbe opportuno, invece, parlarne in negativo o in maniera problematizzante (alla Paulo Freire) per offrire un sostegno alla paternità e alla genitorialità.

Il cristianesimo è una religione basata sulla figura del padre: Dio Padre; i padri nell’Antico Testamento; Giuseppe, padre putativo di Gesù; il Padre Nostro; la parabola del padre misericordioso; la patristica. Tutti elementi che si ritrovano nel quotidiano della paternità, dal generare la vita alla presenza silenziosa e rispettosa accanto o dietro al figlio.

Il teologo Angelo Scola scrive: «Il padre è la memoria della propria origine. Perderlo significa anche bloccare il cammino e il senso del proprio destino». Una delle più belle considerazioni del padre è quella di “depositario della memoria”, a cominciare dallo spermatozoo che corre verso l’ovulo portando la memoria della vita che continua al tramandare il proprio mestiere o l’azienda familiare.

Il padre è (o dovrebbe essere) il punto di origine e di riferimento della vita del figlio. Dagli anni ’70 la legislazione ha cominciato a eliminare i riferimenti al padre in una sorta di processo di affrancazione dalla figura del “padre padrone” e dalla cosiddetta famiglia patriarcale (che, in realtà, era matrilocale) e in ossequio al dettato costituzionale, in particolare l’art. 30 comma 1 della Costituzione in cui si parla di “genitori” e non di “padre e madre”.

Per effetto di una sentenza della Corte Costituzionale del 27 aprile 2022, anche in Italia si può attribuire il cognome materno al figlio secondo la regola che il figlio assume il cognome di ambedue i genitori nell’ordine dagli stessi concordato, salvo che decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.

Il “cognome”, dal latino “cum nomen”, nome che tiene insieme una famiglia, non conta se non si vivono reali relazioni familiari che siano elemento di identità personale, familiare e sociale; è questo il senso della lettura congiunta degli artt. 7 e 8 della Convenzione Internazionale dei diritti sull’Infanzia in cui si stabilisce il diritto del fanciullo a conoscere i propri genitori ed essere da essi accudito e il diritto a conservare la propria identità, nome e relazioni familiari. L’evento peggiore non è perdere fisicamente il padre, ma perderlo (o non averlo mai avuto) come presenza accanto a sé.

«Spesso è la stessa figura del padre a essere in crisi. E, nell’attuale modello più “affettivo” che “normativo” di famiglia, la figura vincente sembra essere quella della madre, che lavora e governa la casa. Ma è possibile essere madri ed essere figli, se il padre è latitante o ha smarrito l’identità? In altri termini: che cosa si perde, perdendo il padre? Perdere la memoria della propria origine significa anche bloccare il cammino e il senso del proprio destino» (A. Scola). Il Costituente ha prima disciplinato la “ricerca della paternità” (art. 30 comma 4 Costituzione) e poi la “protezione della maternità” (art. 31 comma 2 Costituzione). Non vi può essere maternità senza paternità. E la paternità prima ancora di essere “cercata e riconosciuta” giuridicamente deve essere cercata e riconosciuta dall’uomo e dalla donna nella coppia. Così anche se dovesse rompersi la coppia, coniugale o convivente, dovrebbe continuare quella genitoriale. È venuta meno la normatività in famiglia perché si è avversata ogni forma di autorità, in particolare quella paterna, promuovendo l’autorevolezza per distaccarsi dalle forme di autoritarismo o addirittura violenza che dilagavano nelle famiglie del passato (in taluni casi ancora oggi). “Autorità” ha lo stesso etimo di “autore”, dal verbo latino “augeo”, “accrescere, far prosperare”, pertanto autorità è autorialità che è proprio il senso di paternità (quell’ingrandire, innalzare, far crescere che si scorge nell’immagine del padre che porta sulle spalle il figlio o spinge il figlio sulla bicicletta senza rotelle).

«Troppo spesso, là dove dovrebbe esserci il quotidiano scambio di amore in cui il padre consegna al figlio una visione della vita che il figlio sarà chiamato a verificare, facendola sua o rifiutandola, troviamo invece l’incertezza e l’assenza» (A. Scola). Il Costituente ha parlato di paternità nell’art. 30 della nostra Costituzione, che è l’articolo centrale della triade dedicata alla famiglia ed è l’articolo in cui si parla dei figli, proprio per sottolineare la centralità della paternità a differenza dell’immaginario collettivo (e anche di una certa giurisprudenza) in cui ha avuto un posto centrale quasi esclusivamente la maternità. Si tenga conto che la parola femminile “patria” deriva dal termine maschile latino “pater”, padre, ed è usata due volte nella nostra Costituzione, negli articoli 52 e 59, con la P maiuscola. Il padre deve (o dovrebbe) essere, pertanto, per i figli quello che è la Patria per i cittadini. Peraltro la parola “paternità”, sin dal latino, è femminile come “maternità”.

«I ragazzi e i giovani ai quali, quando il loro disagio esplode in forme irrazionali e violente, i mass-media dedicano fiumi di parole tanto scandalizzate quanto impotenti, hanno bisogno di vivere relazioni buone di paternità. In famiglia come a scuola, o negli spazi della convivenza sociale, devono poter contare su adulti impegnati in prima persona con il vero, il bello e il bene, che propongono» (A. Scola). Unità familiare (art. 29 Costituzione), paternità (art. 30 Costituzione), maternità (art. 31 Costituzione): siano veramente tali. Questi i primi cardini della vita e del benessere dei bambini e le precipue responsabilità degli adulti.

«È in verità, il tramonto del padre a segnare profondamente il nostro presente; ed è esso la causa della fatica di tanti giovanissimi ad assumere un giusto posto nel mondo. Infatti siamo passati dall’epoca della contestazione dei padri - il Sessantotto - alla fase attuale della confusione dei padri con i figli, nella quale domina un sistema economico e culturale che, in nome di una giovinezza eterna e di un narcisismo eccessivo, spinge gli adulti all’immediato consumo di ogni desiderio e ad annullare la loro essenziale differenza rispetto ai giovani. In tal modo, però, gli adulti abdicano alla funzione del “padre”, che è quella della responsabilità e della testimonianza» (don Armando Matteo, esperto di problematiche giovanili). Nell’art. 1176 comma 1 del codice civile si stabilisce: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”. L’uomo torni ad adempiere i propri obblighi all’interno della famiglia con la diligenza del buon padre di famiglia e soprattutto la donna, che gli sta accanto, gli consenta di farlo, ricordando che ogni scelta - soprattutto educativa - comporta, oltre alla responsabilità endofamiliare (all’interno della famiglia), anche la responsabilità esofamiliare (al di fuori della famiglia). A proposito di adempimenti e responsabilità, il padre – più della madre – è assimilabile alla figura dell’institore (art. 2203 cod. civ. preposizione institoria nell’impresa), ovvero con una funzione di rappresentanza.

«Guai alle figlie femmine dei padri senza amore: il loro è il destino delle maleamate. […] la devo proteggere come solo io che sono il padre posso e devo fare, la porterò a ballare […] d’estate, per far vedere a tutti i giovani quanto è vigile e attento suo padre che non lascerà mai che la ingiurino» (la scrittrice Francesca Melandri). La bambina si prepara a diventare donna non solo specchiandosi nella madre, ma anche attraverso gli occhi di suo padre. Nella nuova Carta dei diritti della bambina (30 settembre 2016) si legge che ogni bambina ha il diritto di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia (art. 1) e di beneficiare nella pubertà del sostegno positivo da parte della famiglia (art. 7) ed è soprattutto il padre che deve garantire ciò sia come uomo sia per far sì che la figlia abbia una sua identità distinta o non assorbita da quella materna. Così si realizza anche l’educazione sessuale e sentimentale nella famiglia e, attraverso la famiglia, si educa anche la società. Una bambina che vive un percorso identitario sereno con l’altro sesso sarà maggiormente riconosciuta e rispettata come donna, soggetto di relazioni e di sentimenti, e non come femmina e oggetto di desiderio.

«Però le ragazze della tua età hanno bisogno anche di un papà e, se tu lo vuoi, potrei un po’ esserlo io, una specie diciamo, fare quello che ti consiglia, ti consola, magari pure ti sgrida se sbagli. Soprattutto, che ti protegge» (F. Melandri). Potrebbe essere questa la definizione di padre: colui che consiglia, consola, sgrida se si sbaglia, protegge i figli e l’intera famiglia. Dare la vita e quanto necessario nella vita. Potrebbe essere questo il significato odierno e profondo di quello “ius vitae necisque” (letteralmente “diritto di vita e di morte”) che il diritto romano attribuiva al pater familias. Etimologicamente il padre è “colui che protegge, nutre, mantiene, sostiene la famiglia” (la radice “pa”, che significa nutrire è la stessa di “pane” e “pastore”); nel caso non adempia a ciò porta la famiglia allo sfacelo.

«[…] l’unico uomo che mi abbia fatto sentire a casa. Colui che non è stato mio padre, ma quasi» (F. Melandri). “Casa” è il significato dell’osco “faam” da cui deriva famiglia. Molte famiglie si disgregano quando il padre non vive la dimensione della domesticità e della convivialità (perché preso dal lavoro, da un suo interesse o da altro) e quando non vi contribuisce a costruirla nella quotidianità. È della salvaguardia di questa dimensione familiare che si tiene conto, in caso di separazione dei coniugi, nell’affidamento condiviso e nell’assegnazione della casa familiare (artt. 337 bis e ss. cod. civ.).  

«[…] sono tanti i modi in cui un padre può non essere lì, ma qualcuno è peggio degli altri» (F. Melandri). Ci sono varie forme di assenza (che non è detto che sia mancanza) del padre: dal padre detenuto al padre anaffettivo, dal padre deceduto al padre ostacolato nel rapporto con i figli, le famiglie monogenitoriali (perché la mamma è vedova o mai coniugata), le famiglie omogenitoriali. Scarsa rilevanza alla figura paterna è data in caso di aborto (art. 5 L. 22 maggio 1978 n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”) ove la presenza del padre del concepito è subordinata al consenso della donna. In realtà oggi si potrebbe dare una lettura diversa alla richiesta del consenso (come l’assenso del figlio ultraquattordicenne e il consenso dell’altro genitore previsti nell’art. 250 cod. civ. per il riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio): la si può ritenere un richiamo alla consapevolezza che la genitorialità non è un evento che capita o che si subisce o che si programma a tavolino ma è relazione, coinvolgimento delle vite altrui.

Nella legge istitutiva dei consultori familiari, legge 405 del 29 luglio 1975, si parla di “maternità e paternità responsabile” (art. 1), usando l’aggettivo singolare “responsabile” per evidenziare che la responsabilità è unica e comune, che la maternità e la paternità sono da esercitare distintamente e al tempo stesso congiuntamente. La legislazione recente cerca di agevolare la presenza paterna, per esempio con la concessione di congedi parentali anche ai padri per la nascita, l’adozione o l’affidamento di un figlio.

La paternità, prima sconosciuta agli stessi padri, oggi ostacolata da alcune madri che, così facendo, tanto madri non sono; tanti padri sono ridotti in condizioni tali da essere annoverati tra i “nuovi poveri” (stato che può determinare anche figli una povertà educativa o invisibile). La famiglia ha bisogno della paternità, la società quale famiglia di famiglie ha bisogno della paternità, come la Costituzione ha avuto bisogno dei padri costituenti affiancati dalle 21 madri costituenti. La paternità, come ogni altro diritto relazionale, non è un diritto dell’adulto ma del bambino. Tra i tanti esperti, lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavi Pietropolli Charmet sostiene l’importanza del ruolo del padre per educare i figli a elaborare la sconfitta e il distacco.

«Voglio che tu sia un padre vero per mio figlio. Se non puoi, me ne prenderò cura da sola e farò in modo che lui cresca in modo diverso» (dal film “La parte degli angeli”, 2012). Non è sufficiente che un padre sia padre, ma è necessario che sia un padre vero. Questo dipende anche dalla donna che gli è compagna, che lo deve trattare così dal concepimento all’eventuale separazione/divorzio e non ridurlo solo come colui che deve concorrere al mantenimento o tenere i figli durante i fine settimana.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro analizza la figura di Geppetto, “padre” del burattino Pinocchio: «Geppetto ha tra le mani un pezzo di legno e, al contrario di quanto avviene in natura, ha la possibilità di dargli vita. Pur avendolo letteralmente costruito con le sue mani, non l’ha creato a sua immagine e somiglianza. Pinocchio viene al mondo con una carica di vitalità e di insofferenza per le regole che sbalordisce e sconcerta Geppetto che quella carica, semmai l’ha avuta, l’ha perduta da un pezzo. Non può contare per un aiuto su nessuna tra le figure che compaiono nella storia troppo eteree e distaccate o saccenti o, più spesso, malintenzionate. La sua paternità appare subito un’impresa disperata accentuata da una vistosa disabilità di Pinocchio il cui naso si allunga ogni volta che mente. Questo fa del burattino un’eccezione tra gli umani che, tra le prime cose che imparano crescendo, c’è la dissimulazione delle proprie menzogne. Con un figlio così vivace e incapace di nascondere le bugie, Geppetto fa quello che può, le tenta tutte, ma alla fine sarà proprio Pinocchio che, fatta esperienza dei pericoli del mondo, comprenderà che solo su Geppetto potrà contare e scoprirà prima la riconoscenza e infine l’amore». In altre parole la paternità è un’impresa ardua, un padre non ha le stesse aspettative di una madre e il padre è fondamentale in caso di disabilità di un figlio per il sostegno del figlio e della madre.

Scaparro conclude: «Se è vero che amare significa volere il bene dell’altro, possiamo immaginare che Geppetto e Pinocchio abbiano trovato l’amore aiutandosi a colmare le rispettive mancanze, la solitudine di Geppetto e la totale apertura al mondo – spesso ingenua e quindi pericolosa – di Pinocchio». Paternità: una forma di amore, tra le più belle e le più originali, in cui ci si rincorre col figlio allontanandosi e avvicinandosi, un lavoro artigianale in cui si usano scalpello e martello, strumenti che richiedono pazienza e capacità ma ci si può anche dare qualche colpo, farsi male o fare del male e commettere errori e imprecisioni.