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I soggetti di diritto amministrativo ed in particolare le società pubbliche

Recenti considerazioni sulla giurisdizione contabile a proposito della società di capitali in house
I soggetti di diritto amministrativo ed in particolare le società pubbliche
I soggetti di diritto amministrativo ed in particolare le società pubbliche

Argomenti trattati:

- Cenno sui soggetti di diritto amministrativo: gli enti pubblici, enti pubblici economici, organismi di diritto pubblico e imprese in mano pubblica.

- Cenni generali sulle società in house.

- La responsabilità amministrativa nell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale.

- La responsabilità della pubblica amministrazione.

- La responsabilità civile per mala gestio degli amministratori delle società pubbliche.

- La questione di fatto sollevata innanzi le Sezioni Unite nel 2013 dopo una condanna del giudice contabile ed un secondo grado di giudizio che dichiarava il difetto del giudice contabile.

- Il dibattito giurisprudenziale per cui le società di capitali non cessano di essere società di diritto privato per cui hanno personalità distinta dagli organi e dai soci con proprio patrimonio. Articolo 2392 del codice civile.

- Il principio di neutralità della forma giuridica secondo la giurisprudenza e la dottrina recenti dimostra l’evoluzione dell’ordinamento della nozione di pubblica amministrazione. Articolo 1-ter, articolo 22, Legge 241/90 e art 3, comma 25, Decreto Legislativo 163/2006.

- La nozione di società in house: natura esclusivamente pubblica dei soci, destinazione prevalente dell’attività e sottoposizione a controllo analogo esercitato dall’ente sui propri uffici.

- La soluzione della questione secondo le SS.UU. si discostano dal tradizionale orientamento per cui la giurisdizione è del giudice ordinario, in quanto nello specifico si tratta di danno erariale in quanto non sussiste la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello della società.

- Conclusioni: è irrilevante la natura privatistica delle società a partecipazione pubblica e il regime giuridico cui è assoggettata secondo il principio della neutralità della forma giuridica, al contrario della rilevanza dell’effettivo regime giuridico.

Le SS.UU. hanno considerato la sussistenza di un evento dannoso effettivamente verificatosi a carico della P.A.

 

Nell’ordinamento italiano esiste una pluralità di soggetti, accanto allo Stato, che svolgono funzioni e compiti amministrativi, e, quindi possono ritenersi pubbliche amministrazioni: si tratta degli enti pubblici.

Gli enti pubblici, o persone giuridiche pubbliche, sono quei soggetti, diversi dallo Stato, che esercitano funzioni amministrative e che costituiscono, nel loro complesso, la c.d. Pubblica Amministrazione.

Gli enti pubblici economici, invece, agiscono in regime di diritto privato e sono soggetti alla disciplina di quest’ultimo.

La sempre maggiore incidenza del diritto europeo sul diritto interno ha avuto come immediata conseguenza il mutamento in senso ampliativo, del concetto di Pubblica Amministrazione.

Sono persone giuridiche pubbliche di origine europea l’organismo di diritto pubblico e l’impresa in mano pubblica.

Questi nuovi soggetti di diritto amministrativo sono stati oggetto di numerosi interventi autorevoli nel tempo per poterne chiarire il significato.

Tra gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali spicca quello “restrittivo” che ponendosi in stretto contrasto con quello costantemente assunto dalla Corte di Giustizia, ritiene insita alla stessa forma societaria una connotazione imprenditoriale di tipo commerciale che è incompatibile con la nozione di organismo di diritto pubblico.

La tendenza di questo orientamento è pertanto quella di escludere in modo assoluto la riconducibilità di organismi societari di tal genere alla categoria pubblicistica.

Il secondo indirizzo maggioritario è considerato “estensivo” ed aderisce all’idea per cui debbono considerarsi organismi di diritto pubblico tutti gli enti, compresi quelli aventi forma societaria,

la cui attività sia finalizzata a produrre utilità strumentali per l’interesse generale e comunque aventi carattere non industriale o commerciale in quanto non assoggettate a regole di mercato e dunque non perseguite sulla base di criteri strettamente imprenditoriali.

Il terzo indirizzo, definito “intermedio”, è quello in forza del quale i criteri da utilizzare nel verificare la riconducibilità del singolo ente alla nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico sono quelli ordinari, coincidenti con gli elementi costitutivi della nozione medesima.

Da tanto si fa discendere anche una società per azioni può essere qualificata organismo di diritto pubblico quando, oltre ad essere sotto l’influenza dominante dello Stato, degli enti locali o altri organismi di diritto pubblico, sia preposta all’espletamento di un’attività diretta al soddisfacimento di bisogni generali, purchè non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni fornendo direttamente servizi alla collettività.

L’adesione all’uno piuttosto che all’altro indirizzo ha conseguenze di pregnante rilievo pratico nell’ambito in questione.

Scegliere di qualificare tali società come organismi di diritto pubblico implica l’obbligo di ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, così come sancito dalle norme comunitarie e nazionali in materia di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.

Talvolta è stato sostenuto che tali organismi sono imprese pubbliche, alla stregua del fatto che la Direttiva appalti in materia di lavori, servizi e forniture, da una parte e, il Codice dei contratti pubblici, dall’altra, non le includono nella categoria delle amministrazioni aggiudicatici, esonerandole per l’effetto dall’obbligo di gara.

L’obbligo di gara si potrebbe facilmente escludere se si aderisce al primo indirizzo, per effetto del quale tali società concorrono sul mercato come soggetti giuridici privati  e,dunque, non ci sarebbe la necessità di ripristinare il regime della concorrenza a fronte di soggetti che godono di una posizione privilegiata sul mercato.

Sulla scorta di questi dati, può osservarsi come il problema della natura giuridica della società in house non sia riconducibile ad univoca soluzione, prevalendo quella che potremmo invece definire del caso concreto, che richiede di mettere in relazione gli elementi costitutivi delle diverse figure citate.

L’organo in house non può che essere necessariamente anche un organismo di diritto pubblico, configurandosi come “ente locale in veste societaria” obbligato, per l’effetto, a seguire le norme di evidenza pubblica previste dalla legge con le sole eccezioni dalla stessa consentite. Non è vero tuttavia anche il contrario, e cioè che l’organismo di diritto pubblico possa essere un organo in house.

Ciò perché il controllo analogo richiesto per il legittimo affidamento senza gara esprime un’influenza dell’ente pubblico così radicale da essere superiore a quella che, invece, la legge considera sufficiente per aversi un organismo di diritto pubblico.                                                                           

L’inquadramento della materia relativa al modello gestionale fondato sull’in house pone una serie di problematiche sia interpretative, sia operative,come finora osservato in quanto vengono in rilievo, oltre ad aspetti di natura pubblicistica e privatistica che si intersecano e sovrappongono, delineando un quadro normativo che stenta a trovare una sua coerenza complessiva.

In primo luogo occorre inquadrare correttamente la questione, al fine di stabilire se, ferma restando la responsabilità penale, nei confronti degli amministratori delle società in house debbano trovare applicazione le norme di diritto societario e/o quelle pubblicistiche connesse alla responsabilità amministrativa, con inevitabili conseguenze in merito al riparto di giurisdizione.

La società in house, pur avendo forma privata, presenta della connotazioni di tipo pubblicistico, in quanto il capitale sociale è costituito interamente da risorse pubbliche e la società persegue finalità pubblicistiche, svolgendo la propria attività in via prevalente o “quasi esclusiva” a favore dell’ente affidante. Un ulteriore requisito richiesto dal giudice comunitario al fine di consentire l’affidamento in house è rappresentato dall’esercizio, da parte dell’ente pubblico, nei confronti della società, di “un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.

Più propriamente, il consiglio di amministrazione delle società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli esercitati in base al diritto societario da parte della maggioranza sociale. Le decisioni più importanti, inoltre, devono essere sottoposte preventivamente al vaglio dell’ente affidante, tanto che se il consiglio di amministrazione dispone di poteri ordinari, non può ritenersi sussistente il requisito del controllo analogo.

Da quanto sopra si evince che il controllo analogo deve consentire alla pubblica amministrazione di influenzare in maniera determinante sia gli obiettivi strategici che le decisioni principali dell’ente in house. L’esercizio di un ferreo controllo gestionale e finanziario da parte dell’ente pubblico nei confronti della società, comporta la configurabilità di una sorta di “delegazione interorganica” o di servizio, in assenza di un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti.

Il controllo analogo, si configura, secondo la Corte di Giustizia, come una sorta di rapporto di subordinazione gerarchica, tra la società e la pubblica amministrazione, tale da incidere sul regime di responsabilità configurabile in capo agli amministratori delle società in house.

Come è stato rilevato da gran parte della dottrina i tratti peculiari che caratterizzano il modello dell’in house, ed in particolare la mancanza di qualsiasi rischio di impresa, l’assenza dello scopo di lucro, la sussistenza di uno o più azionisti pubblici detentori dell’intero capitale sociale, la mancata circolazione di partecipazioni azionarie sono tutti elementi che hanno fatto propendere per la configurabilità della responsabilità amministrativa che conseguente giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori e/o dei dipendenti della società in house, essendo quest’ultima paragonabile ad un braccio operativo e quindi ad una articolazione della pubblica amministrazione.

La Corte dei conti, come risulta dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione ha giurisdizione sull’azione di responsabilità concernente gli organi per i danni da essa cagionati al patrimonio di una società in house providing.

Quest’ultima, come in parte accennato, si deve intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, che per regime statutario esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione viene statutariamente assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici.

Il Supremo Collegio ha affrontato il tema del riparto di giurisdizione più volte in caso di responsabilità per mala gestio imputabile ad amministratori di società in mano pubblica, ritenendo

Quasi sempre sussistente in tali ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario. Tuttavia è pervenuta

in tempi recenti ad una conclusione opposta, in virtù del fatto che la società pubblica asseritamene danneggiata presentava le caratteristiche di società in house.

La vicenda muove dall’azione esercitata in primo grado, davanti al giudice contabile, nei confronti del direttore generale, del sindaco e dell’amministratore unico di una società interamente partecipata da un Comune. In accoglimento della domanda, il giudice contabile adito condannava i convenuti al risarcimento del danno subito dalla società.

Proposto appello, il giudice di secondo grado, in riforma della decisione impugnata, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice contabile, ritenendo che l’azione proposta rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate sul ricorso per cassazione richiamando le principali decisioni sul tema  e i punti salienti dell’orientamento prevalente che ravvisa la giurisdizione del giudice ordinario.

Esso si fonda sul fatto che le società di capitali a partecipazione pubblica non cessano solo per questo di essere società di diritto privato, cioè soggetti aventi personalità giuridica distinta da quella dei loro organi e dei loro soci, nonché titolari di un proprio patrimonio.

Da ciò consegue, anzitutto, che la responsabilità degli organi sociali nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi è regolata secondo quanto previsto dall'articoli 2392 del codice civile.

Altra fondamentale conseguenza è che il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale non è idoneo a configurare un’azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, ma del giudice ordinario. In tali casi, infatti, non si ha alcun danno erariale, ma un danno che è sofferto da un soggetto da un soggetto privato ed è riferibile solo al patrimonio della società, e non ai singoli soci, i quali sono titolari solo di quote di partecipazione.

Viceversa, la giurisdizione contabile sussiste quando si faccia valere la responsabilità di organi di gestione di società partecipata da ente pubblico danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, ma direttamente. Questo accade, per esempio, in caso di danno all’immagine della pubblica amministrazione, come previsto dall’articolo 17, comma 30-ter, della Legge n. 102 del 2009.

Altro caso di giurisdizione della Corte dei conti, citato sempre dalla sentenza delle Sezioni Unite in esame, è quello del rappresentante dell’ente pubblico che abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così provocando una perdita di valore della partecipazione, cioè un danno che è subito direttamente dall’ente pubblico titolare della partecipazione.

Questa giurisprudenza mostra un approccio che tiene conto del principio della neutralità della forma giuridica, affermato in diverse occasioni della dottrina e dalla giurisprudenza più recenti.

Esso può essere declinato in due diverse accezioni. Da un alto, viene affermata l’indifferenza, della proprietà, pubblica o privata, di un ente, ai fini dell’individuazione della disciplina che gli si applica.

Dall’altro lato, comporta l’irrilevanza della forma giuridica, pubblicistica o privatistica di un ente, in quanto ciò che conta è il regime giuridico che all’ente steso si applica, nei diversi campi in cui può operare.

Si tratta di un principio recepito anche dalle leggi più recenti, che dimostrano l’evoluzione dell’ordinamento da una nozione di pubblica amministrazione in senso soggettivo ad una nozione di pubblica amministrazione in senso oggettivo.

Oggi, infatti, può dirsi pubblico non tanto l’ente appartenente allo Stato o agli enti territoriali, o da questi vigilato e diretto, quanto piuttosto l’ente al quale sono attribuiti dall’ordinamento poteri speciali, o che è sottoposto dall’ordinamento ad un particolare regime giuridico derogatorio rispetto a quello ordinario.

Si vedano in tal senso, l’articolo 1, comma 1-ter, della Legge 241/1990, che assoggetta ai principi del procedimento amministrativo anche soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative; l’art. 3, comma 25, del d.lgs. 163/2006, che comprende fra le altre amministrazioni aggiudicatici anche gli organismi di diritto pubblico (che sono soggetti di diritto privato); infine, l’articolo 22 della Legge 241/1990, che considera il diritto di accesso esercitatile nei confronti di tutti i soggetti, anche privati, che svolgono attività di interesse pubblico.

Ebbene, anche la giurisprudenza citata sopra applica il principio della neutralità della forma giuridica. Da un lato, infatti, considera irrilevante la proprietà pubblica delle società, affermando comunque la giurisdizione del giudice ordinario, sulla base del rilievo che la società non diviene un ente pubblico per il solo fatto di essere partecipata da un ente pubblico.

Dall’altro lato, in alcune occasioni ritiene indifferente la forma privatistica della società a partecipazione pubblica, affermando la giurisdizione del giudice contabile, quando ci sia un danno subito dall’ente pubblico titolare della partecipazione.

In tal senso è illuminante la recente sentenza delle Sezioni Unite secondo la quale si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando si perseguono finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante una attività disciplinata in tutto o in parte dal privato.

 Nell’attuale assetto normativo, di conseguenza, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento, pubblico o privato, nel quale si colloca la condotta produttiva del danno.

Il principio della neutralità della forma giuridica è correttamente applicato anche dalla sentenza delle Sezioni Unite inizialmente esaminata (n. 26283), vista la soluzione alla quale approda per il caso in cui la società a partecipazione pubblica presenti i caratteri di società in house.

Il Collegio ricorda, anzitutto, i tre requisiti che una società deve presentare per poter essere definita come società in house.

Si tratta, in primo luogo, della natura esclusivamente pubblica dei soci, con previsione statutaria che inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari.

Vi è poi la prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti. Come ricordato dalle Sezioni Unite, non si tratta di una valutazione solamente di tipo quantitativo, dovendosi tener conto anche dei profili qualitativi e della prospettiva di sviluppo in cui l’attività accessoria eventualmente si ponga.

Ultimo requisito è quello della sottoposizione della società ad un controllo analogo a quello esercitato dall’ente sui propri uffici. È essenziale, a tal fine, che l’ente pubblico disponga di un potere di comando che eccede per modalità ed intensità i diritti e le facoltà normalmente spettanti al socio, anche unico, della società secondo il codice civile, in modo tale che agli organi della società non resti affidata alcuna rilevante autonomia gestionale.

Queste caratteristiche, soprattutto la terza, rendono evidente l’anomalia della società in house nel panorama del diritto societario. Questa, infatti, non è destinata allo svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro. Ma soprattutto, manca un potere decisionale delle società, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico titolare della partecipazione, per cui la società non è altro che una longa manus della PA.

Per quanto attiene, poi, alla tutela del patrimonio societario di tali organismi partecipati si presenta più di qualche zona d’ombra, dando margine a non poche ambiguità interpretative.

Gli orientamenti giurisprudenziali in materia hanno tracciato una netta linea di confine tra le società in house e le altre società partecipate dalla P.A.

Nel 2013, come sopra scritto, la Suprema Corte ha focalizzato l’attenzione sul rapporto di delegazione interorganica intercorrente tra l’Ente locale e la società in house, la quale, per poter essere ritenuta una mera articolazione organizzativa del socio pubblico, deve necessariamente registrare la contemporanea presenza dei tre requisiti di derivazione comunitaria.

Questi requisiti sono: il capitale sociale integralmente detenuto da uno o più Enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, con divieto statutario di cedere la partecipazioni a privati, lo svolgimento dell’attività prevalente in favore degli Enti soci, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e riveste carattere meramente strumentale; l’assoggettamento a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli Enti pubblici sui loro uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile.

Nel contesto di tali rilievi, la Corte sottopone al vaglio lo statuto della società pubblica in causa, e rileva una sostanziale discordanza del relativo statuto rispetto ai principi dell’in house providing.

Ciò che conta, ai fini del giudizio, non è tanto il ruolo operativo e l’attività in concreto svolta dalla società partecipata, quanto invece le norme “interna corporis” che, in base allo statuto, ne regolano il funzionamento.

L’ampio oggetto sociale e il requisito dell’indefettibile partecipazione maggioritaria pubblica del capitale, che non esclude però, anche soltanto in ipotesi, l’ingresso di privati nella compagine societaria, sono ritenuti elementi incompatibili con i connotati di una società in house, per cui il ricorso è stato accolto e la Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile.

La sentenza del 2014, pur non discostandosi dai precedenti giurisprudenziali in materia, ma aggiunge un eloquente tassello alla tematica in questione, mettendo in chiaro i confini tra la giurisdizione della magistratura ordinaria e quella contabile, con riguardo alla tipologia e all’ambito operativo delle società in mano pubblica. Risulta, dunque, confermato l’impianto giuridico secondo cui, allorché emerga l’alterità giuridica e patrimoniale tra la società di capitali a totale partecipazione pubblica e il socio pubblico, deve escludersi la natura erariale del danno cagionato dagli amministratori della società di capitali al patrimonio societario, con la conseguente carenza di giurisdizione della Corte dei conti in materia.

La questione è differente,invece, per le società in house, le quali, configurandosi alla stregua di articolazioni organizzative della pubblica amministrazione, ne seguono la sorte giuridica anche per quanto riguarda l’assoggettamento alla giurisdizione della magistratura contabile, là dove sia stato cagionato un danno al patrimonio sociale per effetto di una condotta illecita posta in essere dai relativi amministratori o dipendenti.

Alla luce di quanto detto le Sezioni Unite risolvono la questione, discostandosi dal tradizionale orientamento che afferma spesso la giurisdizione del giudice ordinario nelle cause relative alla responsabilità degli organi di società a partecipazione pubblica.

Sussiste, dunque, nei casi in esame innanzi al Supremo Collegio, la giurisdizione del giudice contabile, dato che la società in questione ha natura di società in house, di mera articolazione della PA, e non di soggetto esterno ed autonomo.

Infatti gli organi di tale società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici neppure possono essere considerati investiti di un mero “munus” privato, essendo preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione e quindi legati da un vero e proprio rapporto di servizio.

A ciò si aggiunge che la distinzione tra patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità, con la conseguenza che il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori è arrecato ad un patrimonio separato, ma riconducibile all’ente pubblico.

Si tratta, dunque, di un danno erariale, il che giustifica la giurisdizione della Corte dei conti.

Correttamente le sentenze in esame hanno fatto applicazione del principio di neutralità della forma giuridica, affermando l’irrilevanza della natura privatistica della società a partecipazione pubblica e la rilevanza, al contrario del regime giuridico al quale essa è in concreto assoggettata.

È proprio dal regime giuridico concreto delle società in house, infatti, che le Sezioni Unite desumono l’esistenza di una mera separazione tra il patrimonio della società e quello dell’ente pubblico partecipante, così rinvenendo l’esistenza di un danno erariale.

Ben può ritenersi, dunque, che anche in questo caso le Sezioni Unite abbiano esattamente guardato non al quadro di riferimento nel quale si colloca la condotta produttiva del danno, quanto alla sussistenza di un evento dannoso effettivamente verificatosi a carico della P.A.

Argomenti trattati:

- Cenno sui soggetti di diritto amministrativo: gli enti pubblici, enti pubblici economici, organismi di diritto pubblico e imprese in mano pubblica.

- Cenni generali sulle società in house.

- La responsabilità amministrativa nell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale.

- La responsabilità della pubblica amministrazione.

- La responsabilità civile per mala gestio degli amministratori delle società pubbliche.

- La questione di fatto sollevata innanzi le Sezioni Unite nel 2013 dopo una condanna del giudice contabile ed un secondo grado di giudizio che dichiarava il difetto del giudice contabile.

- Il dibattito giurisprudenziale per cui le società di capitali non cessano di essere società di diritto privato per cui hanno personalità distinta dagli organi e dai soci con proprio patrimonio. Articolo 2392 del codice civile.

- Il principio di neutralità della forma giuridica secondo la giurisprudenza e la dottrina recenti dimostra l’evoluzione dell’ordinamento della nozione di pubblica amministrazione. Articolo 1-ter, articolo 22, Legge 241/90 e art 3, comma 25, Decreto Legislativo 163/2006.

- La nozione di società in house: natura esclusivamente pubblica dei soci, destinazione prevalente dell’attività e sottoposizione a controllo analogo esercitato dall’ente sui propri uffici.

- La soluzione della questione secondo le SS.UU. si discostano dal tradizionale orientamento per cui la giurisdizione è del giudice ordinario, in quanto nello specifico si tratta di danno erariale in quanto non sussiste la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello della società.

- Conclusioni: è irrilevante la natura privatistica delle società a partecipazione pubblica e il regime giuridico cui è assoggettata secondo il principio della neutralità della forma giuridica, al contrario della rilevanza dell’effettivo regime giuridico.

Le SS.UU. hanno considerato la sussistenza di un evento dannoso effettivamente verificatosi a carico della P.A.

 

Nell’ordinamento italiano esiste una pluralità di soggetti, accanto allo Stato, che svolgono funzioni e compiti amministrativi, e, quindi possono ritenersi pubbliche amministrazioni: si tratta degli enti pubblici.

Gli enti pubblici, o persone giuridiche pubbliche, sono quei soggetti, diversi dallo Stato, che esercitano funzioni amministrative e che costituiscono, nel loro complesso, la c.d. Pubblica Amministrazione.

Gli enti pubblici economici, invece, agiscono in regime di diritto privato e sono soggetti alla disciplina di quest’ultimo.

La sempre maggiore incidenza del diritto europeo sul diritto interno ha avuto come immediata conseguenza il mutamento in senso ampliativo, del concetto di Pubblica Amministrazione.

Sono persone giuridiche pubbliche di origine europea l’organismo di diritto pubblico e l’impresa in mano pubblica.

Questi nuovi soggetti di diritto amministrativo sono stati oggetto di numerosi interventi autorevoli nel tempo per poterne chiarire il significato.

Tra gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali spicca quello “restrittivo” che ponendosi in stretto contrasto con quello costantemente assunto dalla Corte di Giustizia, ritiene insita alla stessa forma societaria una connotazione imprenditoriale di tipo commerciale che è incompatibile con la nozione di organismo di diritto pubblico.

La tendenza di questo orientamento è pertanto quella di escludere in modo assoluto la riconducibilità di organismi societari di tal genere alla categoria pubblicistica.

Il secondo indirizzo maggioritario è considerato “estensivo” ed aderisce all’idea per cui debbono considerarsi organismi di diritto pubblico tutti gli enti, compresi quelli aventi forma societaria,

la cui attività sia finalizzata a produrre utilità strumentali per l’interesse generale e comunque aventi carattere non industriale o commerciale in quanto non assoggettate a regole di mercato e dunque non perseguite sulla base di criteri strettamente imprenditoriali.

Il terzo indirizzo, definito “intermedio”, è quello in forza del quale i criteri da utilizzare nel verificare la riconducibilità del singolo ente alla nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico sono quelli ordinari, coincidenti con gli elementi costitutivi della nozione medesima.

Da tanto si fa discendere anche una società per azioni può essere qualificata organismo di diritto pubblico quando, oltre ad essere sotto l’influenza dominante dello Stato, degli enti locali o altri organismi di diritto pubblico, sia preposta all’espletamento di un’attività diretta al soddisfacimento di bisogni generali, purchè non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni fornendo direttamente servizi alla collettività.

L’adesione all’uno piuttosto che all’altro indirizzo ha conseguenze di pregnante rilievo pratico nell’ambito in questione.

Scegliere di qualificare tali società come organismi di diritto pubblico implica l’obbligo di ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, così come sancito dalle norme comunitarie e nazionali in materia di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.

Talvolta è stato sostenuto che tali organismi sono imprese pubbliche, alla stregua del fatto che la Direttiva appalti in materia di lavori, servizi e forniture, da una parte e, il Codice dei contratti pubblici, dall’altra, non le includono nella categoria delle amministrazioni aggiudicatici, esonerandole per l’effetto dall’obbligo di gara.

L’obbligo di gara si potrebbe facilmente escludere se si aderisce al primo indirizzo, per effetto del quale tali società concorrono sul mercato come soggetti giuridici privati  e,dunque, non ci sarebbe la necessità di ripristinare il regime della concorrenza a fronte di soggetti che godono di una posizione privilegiata sul mercato.

Sulla scorta di questi dati, può osservarsi come il problema della natura giuridica della società in house non sia riconducibile ad univoca soluzione, prevalendo quella che potremmo invece definire del caso concreto, che richiede di mettere in relazione gli elementi costitutivi delle diverse figure citate.

L’organo in house non può che essere necessariamente anche un organismo di diritto pubblico, configurandosi come “ente locale in veste societaria” obbligato, per l’effetto, a seguire le norme di evidenza pubblica previste dalla legge con le sole eccezioni dalla stessa consentite. Non è vero tuttavia anche il contrario, e cioè che l’organismo di diritto pubblico possa essere un organo in house.

Ciò perché il controllo analogo richiesto per il legittimo affidamento senza gara esprime un’influenza dell’ente pubblico così radicale da essere superiore a quella che, invece, la legge considera sufficiente per aversi un organismo di diritto pubblico.                                                                           

L’inquadramento della materia relativa al modello gestionale fondato sull’in house pone una serie di problematiche sia interpretative, sia operative,come finora osservato in quanto vengono in rilievo, oltre ad aspetti di natura pubblicistica e privatistica che si intersecano e sovrappongono, delineando un quadro normativo che stenta a trovare una sua coerenza complessiva.

In primo luogo occorre inquadrare correttamente la questione, al fine di stabilire se, ferma restando la responsabilità penale, nei confronti degli amministratori delle società in house debbano trovare applicazione le norme di diritto societario e/o quelle pubblicistiche connesse alla responsabilità amministrativa, con inevitabili conseguenze in merito al riparto di giurisdizione.

La società in house, pur avendo forma privata, presenta della connotazioni di tipo pubblicistico, in quanto il capitale sociale è costituito interamente da risorse pubbliche e la società persegue finalità pubblicistiche, svolgendo la propria attività in via prevalente o “quasi esclusiva” a favore dell’ente affidante. Un ulteriore requisito richiesto dal giudice comunitario al fine di consentire l’affidamento in house è rappresentato dall’esercizio, da parte dell’ente pubblico, nei confronti della società, di “un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.

Più propriamente, il consiglio di amministrazione delle società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli esercitati in base al diritto societario da parte della maggioranza sociale. Le decisioni più importanti, inoltre, devono essere sottoposte preventivamente al vaglio dell’ente affidante, tanto che se il consiglio di amministrazione dispone di poteri ordinari, non può ritenersi sussistente il requisito del controllo analogo.

Da quanto sopra si evince che il controllo analogo deve consentire alla pubblica amministrazione di influenzare in maniera determinante sia gli obiettivi strategici che le decisioni principali dell’ente in house. L’esercizio di un ferreo controllo gestionale e finanziario da parte dell’ente pubblico nei confronti della società, comporta la configurabilità di una sorta di “delegazione interorganica” o di servizio, in assenza di un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti.

Il controllo analogo, si configura, secondo la Corte di Giustizia, come una sorta di rapporto di subordinazione gerarchica, tra la società e la pubblica amministrazione, tale da incidere sul regime di responsabilità configurabile in capo agli amministratori delle società in house.

Come è stato rilevato da gran parte della dottrina i tratti peculiari che caratterizzano il modello dell’in house, ed in particolare la mancanza di qualsiasi rischio di impresa, l’assenza dello scopo di lucro, la sussistenza di uno o più azionisti pubblici detentori dell’intero capitale sociale, la mancata circolazione di partecipazioni azionarie sono tutti elementi che hanno fatto propendere per la configurabilità della responsabilità amministrativa che conseguente giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori e/o dei dipendenti della società in house, essendo quest’ultima paragonabile ad un braccio operativo e quindi ad una articolazione della pubblica amministrazione.

La Corte dei conti, come risulta dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione ha giurisdizione sull’azione di responsabilità concernente gli organi per i danni da essa cagionati al patrimonio di una società in house providing.

Quest’ultima, come in parte accennato, si deve intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, che per regime statutario esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione viene statutariamente assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici.

Il Supremo Collegio ha affrontato il tema del riparto di giurisdizione più volte in caso di responsabilità per mala gestio imputabile ad amministratori di società in mano pubblica, ritenendo

Quasi sempre sussistente in tali ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario. Tuttavia è pervenuta

in tempi recenti ad una conclusione opposta, in virtù del fatto che la società pubblica asseritamene danneggiata presentava le caratteristiche di società in house.

La vicenda muove dall’azione esercitata in primo grado, davanti al giudice contabile, nei confronti del direttore generale, del sindaco e dell’amministratore unico di una società interamente partecipata da un Comune. In accoglimento della domanda, il giudice contabile adito condannava i convenuti al risarcimento del danno subito dalla società.

Proposto appello, il giudice di secondo grado, in riforma della decisione impugnata, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice contabile, ritenendo che l’azione proposta rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate sul ricorso per cassazione richiamando le principali decisioni sul tema  e i punti salienti dell’orientamento prevalente che ravvisa la giurisdizione del giudice ordinario.

Esso si fonda sul fatto che le società di capitali a partecipazione pubblica non cessano solo per questo di essere società di diritto privato, cioè soggetti aventi personalità giuridica distinta da quella dei loro organi e dei loro soci, nonché titolari di un proprio patrimonio.

Da ciò consegue, anzitutto, che la responsabilità degli organi sociali nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi è regolata secondo quanto previsto dall'articoli 2392 del codice civile.

Altra fondamentale conseguenza è che il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale non è idoneo a configurare un’azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, ma del giudice ordinario. In tali casi, infatti, non si ha alcun danno erariale, ma un danno che è sofferto da un soggetto da un soggetto privato ed è riferibile solo al patrimonio della società, e non ai singoli soci, i quali sono titolari solo di quote di partecipazione.

Viceversa, la giurisdizione contabile sussiste quando si faccia valere la responsabilità di organi di gestione di società partecipata da ente pubblico danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, ma direttamente. Questo accade, per esempio, in caso di danno all’immagine della pubblica amministrazione, come previsto dall’articolo 17, comma 30-ter, della Legge n. 102 del 2009.

Altro caso di giurisdizione della Corte dei conti, citato sempre dalla sentenza delle Sezioni Unite in esame, è quello del rappresentante dell’ente pubblico che abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così provocando una perdita di valore della partecipazione, cioè un danno che è subito direttamente dall’ente pubblico titolare della partecipazione.

Questa giurisprudenza mostra un approccio che tiene conto del principio della neutralità della forma giuridica, affermato in diverse occasioni della dottrina e dalla giurisprudenza più recenti.

Esso può essere declinato in due diverse accezioni. Da un alto, viene affermata l’indifferenza, della proprietà, pubblica o privata, di un ente, ai fini dell’individuazione della disciplina che gli si applica.

Dall’altro lato, comporta l’irrilevanza della forma giuridica, pubblicistica o privatistica di un ente, in quanto ciò che conta è il regime giuridico che all’ente steso si applica, nei diversi campi in cui può operare.

Si tratta di un principio recepito anche dalle leggi più recenti, che dimostrano l’evoluzione dell’ordinamento da una nozione di pubblica amministrazione in senso soggettivo ad una nozione di pubblica amministrazione in senso oggettivo.

Oggi, infatti, può dirsi pubblico non tanto l’ente appartenente allo Stato o agli enti territoriali, o da questi vigilato e diretto, quanto piuttosto l’ente al quale sono attribuiti dall’ordinamento poteri speciali, o che è sottoposto dall’ordinamento ad un particolare regime giuridico derogatorio rispetto a quello ordinario.

Si vedano in tal senso, l’articolo 1, comma 1-ter, della Legge 241/1990, che assoggetta ai principi del procedimento amministrativo anche soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative; l’art. 3, comma 25, del d.lgs. 163/2006, che comprende fra le altre amministrazioni aggiudicatici anche gli organismi di diritto pubblico (che sono soggetti di diritto privato); infine, l’articolo 22 della Legge 241/1990, che considera il diritto di accesso esercitatile nei confronti di tutti i soggetti, anche privati, che svolgono attività di interesse pubblico.

Ebbene, anche la giurisprudenza citata sopra applica il principio della neutralità della forma giuridica. Da un lato, infatti, considera irrilevante la proprietà pubblica delle società, affermando comunque la giurisdizione del giudice ordinario, sulla base del rilievo che la società non diviene un ente pubblico per il solo fatto di essere partecipata da un ente pubblico.

Dall’altro lato, in alcune occasioni ritiene indifferente la forma privatistica della società a partecipazione pubblica, affermando la giurisdizione del giudice contabile, quando ci sia un danno subito dall’ente pubblico titolare della partecipazione.

In tal senso è illuminante la recente sentenza delle Sezioni Unite secondo la quale si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando si perseguono finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante una attività disciplinata in tutto o in parte dal privato.

 Nell’attuale assetto normativo, di conseguenza, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento, pubblico o privato, nel quale si colloca la condotta produttiva del danno.

Il principio della neutralità della forma giuridica è correttamente applicato anche dalla sentenza delle Sezioni Unite inizialmente esaminata (n. 26283), vista la soluzione alla quale approda per il caso in cui la società a partecipazione pubblica presenti i caratteri di società in house.

Il Collegio ricorda, anzitutto, i tre requisiti che una società deve presentare per poter essere definita come società in house.

Si tratta, in primo luogo, della natura esclusivamente pubblica dei soci, con previsione statutaria che inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari.

Vi è poi la prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti. Come ricordato dalle Sezioni Unite, non si tratta di una valutazione solamente di tipo quantitativo, dovendosi tener conto anche dei profili qualitativi e della prospettiva di sviluppo in cui l’attività accessoria eventualmente si ponga.

Ultimo requisito è quello della sottoposizione della società ad un controllo analogo a quello esercitato dall’ente sui propri uffici. È essenziale, a tal fine, che l’ente pubblico disponga di un potere di comando che eccede per modalità ed intensità i diritti e le facoltà normalmente spettanti al socio, anche unico, della società secondo il codice civile, in modo tale che agli organi della società non resti affidata alcuna rilevante autonomia gestionale.

Queste caratteristiche, soprattutto la terza, rendono evidente l’anomalia della società in house nel panorama del diritto societario. Questa, infatti, non è destinata allo svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro. Ma soprattutto, manca un potere decisionale delle società, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico titolare della partecipazione, per cui la società non è altro che una longa manus della PA.

Per quanto attiene, poi, alla tutela del patrimonio societario di tali organismi partecipati si presenta più di qualche zona d’ombra, dando margine a non poche ambiguità interpretative.

Gli orientamenti giurisprudenziali in materia hanno tracciato una netta linea di confine tra le società in house e le altre società partecipate dalla P.A.

Nel 2013, come sopra scritto, la Suprema Corte ha focalizzato l’attenzione sul rapporto di delegazione interorganica intercorrente tra l’Ente locale e la società in house, la quale, per poter essere ritenuta una mera articolazione organizzativa del socio pubblico, deve necessariamente registrare la contemporanea presenza dei tre requisiti di derivazione comunitaria.

Questi requisiti sono: il capitale sociale integralmente detenuto da uno o più Enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, con divieto statutario di cedere la partecipazioni a privati, lo svolgimento dell’attività prevalente in favore degli Enti soci, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e riveste carattere meramente strumentale; l’assoggettamento a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli Enti pubblici sui loro uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile.

Nel contesto di tali rilievi, la Corte sottopone al vaglio lo statuto della società pubblica in causa, e rileva una sostanziale discordanza del relativo statuto rispetto ai principi dell’in house providing.

Ciò che conta, ai fini del giudizio, non è tanto il ruolo operativo e l’attività in concreto svolta dalla società partecipata, quanto invece le norme “interna corporis” che, in base allo statuto, ne regolano il funzionamento.

L’ampio oggetto sociale e il requisito dell’indefettibile partecipazione maggioritaria pubblica del capitale, che non esclude però, anche soltanto in ipotesi, l’ingresso di privati nella compagine societaria, sono ritenuti elementi incompatibili con i connotati di una società in house, per cui il ricorso è stato accolto e la Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile.

La sentenza del 2014, pur non discostandosi dai precedenti giurisprudenziali in materia, ma aggiunge un eloquente tassello alla tematica in questione, mettendo in chiaro i confini tra la giurisdizione della magistratura ordinaria e quella contabile, con riguardo alla tipologia e all’ambito operativo delle società in mano pubblica. Risulta, dunque, confermato l’impianto giuridico secondo cui, allorché emerga l’alterità giuridica e patrimoniale tra la società di capitali a totale partecipazione pubblica e il socio pubblico, deve escludersi la natura erariale del danno cagionato dagli amministratori della società di capitali al patrimonio societario, con la conseguente carenza di giurisdizione della Corte dei conti in materia.

La questione è differente,invece, per le società in house, le quali, configurandosi alla stregua di articolazioni organizzative della pubblica amministrazione, ne seguono la sorte giuridica anche per quanto riguarda l’assoggettamento alla giurisdizione della magistratura contabile, là dove sia stato cagionato un danno al patrimonio sociale per effetto di una condotta illecita posta in essere dai relativi amministratori o dipendenti.

Alla luce di quanto detto le Sezioni Unite risolvono la questione, discostandosi dal tradizionale orientamento che afferma spesso la giurisdizione del giudice ordinario nelle cause relative alla responsabilità degli organi di società a partecipazione pubblica.

Sussiste, dunque, nei casi in esame innanzi al Supremo Collegio, la giurisdizione del giudice contabile, dato che la società in questione ha natura di società in house, di mera articolazione della PA, e non di soggetto esterno ed autonomo.

Infatti gli organi di tale società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici neppure possono essere considerati investiti di un mero “munus” privato, essendo preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione e quindi legati da un vero e proprio rapporto di servizio.

A ciò si aggiunge che la distinzione tra patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità, con la conseguenza che il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori è arrecato ad un patrimonio separato, ma riconducibile all’ente pubblico.

Si tratta, dunque, di un danno erariale, il che giustifica la giurisdizione della Corte dei conti.

Correttamente le sentenze in esame hanno fatto applicazione del principio di neutralità della forma giuridica, affermando l’irrilevanza della natura privatistica della società a partecipazione pubblica e la rilevanza, al contrario del regime giuridico al quale essa è in concreto assoggettata.

È proprio dal regime giuridico concreto delle società in house, infatti, che le Sezioni Unite desumono l’esistenza di una mera separazione tra il patrimonio della società e quello dell’ente pubblico partecipante, così rinvenendo l’esistenza di un danno erariale.

Ben può ritenersi, dunque, che anche in questo caso le Sezioni Unite abbiano esattamente guardato non al quadro di riferimento nel quale si colloca la condotta produttiva del danno, quanto alla sussistenza di un evento dannoso effettivamente verificatosi a carico della P.A.