x

x

Brevi note in tema di articolo 10 bis legge 241/90

Premessa: art.10 bis e l’esercizio del potere della p.a.

La prima stesura della L.241/90 è lontana quasi un ventennio. In questi anni costantemente si è parlato di partecipazione al procedimento amministrativo e dei vari contenuti che assume la partecipazione.

Tra le varie forme della partecipazione al procedimento amministrativo merita sicuramente una menzione particolare quella prevista dall’art.10 bis, introdotto dalla legge 15/2005 nel capo III della L.241/90, proprio perché la partecipazione assume in tale previsione normativa connotati peculiari. Utile ai fini espositivi, citare testualmente l’articolo: Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.

La ratio dell’articolo consiste nel consentire sicuramente un dialogo effettivo tra il cittadino e la pubblica amministrazione in un momento centrale del procedimento, qual è quello che precede in modo ravvicinato l’adozione del provvedimento finale. In termini più precisi, ci troviamo al punto in cui la pubblica amministrazione ha svolto l’ istruttoria (una prima istruttoria), e si accinge ad adottare un provvedimento negativo. Indubbia è la funzione deflattiva del contenzioso: il privato, una volta ricevuta la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ha diritto di presentare osservazioni e la pubblica amministrazione, re melius perpensa, può rivedere il suo originario intendimento, e venire incontro alle aspettative del privato, evitando cosi il successivo ricorso del privato al giudice. Ma, se la funzione deflattiva non necessita di ulteriore approfondimento, occorre, invece, precisare i rapporti tra la previsione in esame e l’esercizio del potere della pubblica amministrazione. Innanzitutto, l’art.10 bis condiziona l’an del potere: “La pubblica amministrazione prima della formale adozione di un provvedimento negativo comunica (presente deontologico)tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza”. Quindi, l’adozione di un provvedimento negativo è subordinata alla comunicazione dei motivi che non consentono l’accoglimento dell’istanza.

In secondo luogo, condiziona il quomodo dell’esercizio del potere stesso da più punti di vista. E’ evidente, da un primo angolo di visuale, che viene condizionato il come dell’esercizio del potere, dal momento che le osservazioni del privato mirano a suscitare un revirement da parte della pubblica amministrazione dell’originario intento di adottare un provvedimento di diniego. Da un altro punto vista, anche il requisito della motivazione del provvedimento è attinto dalla disposizione in esame, considerato che “del mancato accoglimento delle osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale”.

Inoltre, le osservazioni dell’istante possono quanto meno contribuire all’esatta delimitazione dell’azione della pubblica amministrazione, conformemente al principio di proporzionalità, richiamato implicitamente dall’art.1 L. 241/90, e il cui rispetto implica che la pubblica amministrazione non può imporre ai privati un sacrificio superiore a quello strettamente necessario alla salvaguardia del pubblico interesse.

La costruzione delineata dal legislatore regge in termini di tutela del privato istante, se, e nella misura in cui, la comunicazione dei motivi ostativi non si risolva nella mera comunicazione dell’intento di adottare un provvedimento negativo, o nel mero richiamo a clausole di stile (quali il richiamo generico all’istruttoria o alle norme di legge), ma si sostanzi nella precisa e puntuale spiegazione delle ragioni de iure e de facto che impediscono l’accoglimento dell’istanza, in modo non dissimile dai requisiti della motivazione di cui all’art.3 L.241/90 : quindi la comunicazione, forse potrà essere schematica, ma non certo lacunosa, e dovrà contenere le ragioni di fatto e di diritto e la giustificazione della valutazione ponderativa degli interessi presi in considerazione. Solo cosi, il privato è messo nelle condizioni di conoscere adeguatamente l’intendimento della pubblica amministrazione, e presentare, a sua volta altrettanto adeguatamente, le proprie osservazioni e i documenti a corredo. La giurisprudenza, tuttavia, non ritiene autonomamente impugnabile la mancata o lacunosa comunicazione, ritenendo la comunicazione de qua atto di natura endoprocedimentale, il cui vizio può solo ridondare in un vizio del provvedimento finale (in questo senso Tar Campania- Napoli, sez. VI, sent. N. 1614/2006). E’ opportuno però trovare soluzioni compatibili con l’effettività di tutela del privato istante, se si ritiene, come è giusto ritenere, che le garanzie di tutela dell’interesse legittimo, e segnatamente dell’interesse pretensivo, non si esauriscano nel momento processuale, (annullamento dell’atto viziato), ma sono intessute di facoltà di natura procedimentale, tra cui rientra la facoltà del privato di instaurare una relazione dialogica con la p.a. sulla base della comunicazione di cui all’art.10 bis (Bacosi- Lemetre: la legge 15/2005: ecco il nuovo volto della 241 in www.giustizia-amministrativa.it). In questa prospettiva, l’istante può presentare all’amministrazione le proprie deduzioni con esposti o reclami, eventualmente diffidandola a rinnovare la comunicazione ex art. 10bis con contenuti più chiari e dettagliati; in aggiunta potrà sempre promuovere ricorso al difensore civico, oramai rinsaldato nelle sue vesti garante del buon andamento e della trasparenza dell’amministrazione (art. 25, comma 4, della legge 241).

Analogie e differenze con l’art. 7 L.241/90; questione dell’applicabilità dell’art.21 octies, ultima parte, al vizio di preavviso di rigetto.

Veniamo a considerare altri profili interpretativi. Indubbiamente l’art 10 bis presenta analogie con l’istituto della comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art.7 L.241/90, nel senso che entrambi gli istituti svolgono una funzione informativa e lato sensu partecipativa nei confronti del privato, pur con importanti distinzioni. E’ conosciuto l’orientamento giurisprudenziale volto a costellare di eccezioni l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, anche oltre l’eccezione letterale, concernente le particolari esigenze di celerità del procedimento, esigenze comunque messe in evidenza dal Consiglio di Stato in alcune circostanze (CdS sez. II 12/2/1993 n.392/92 CdS sez. V n.111/1996). Cosi, preme rilevare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha escluso che si debba dare la comunicazione di avvio del procedimento quando a)non vi siano soggetti tenuti a partecipare al procedimento o comunque destinatari del provvedimento finale, o b)si tratti di atti normativi o di carattere generale (CdS sez. VI n.214/1995 ); c)nel caso di atti vincolati,salvo che sia da approfondire il presupposto fattuale dell’atto, perché contestato (CdS sez.V, n.1562/95; CdS sez-V n.1223/1996) d) e in tutti gli altri casi in cui la comunicazione risulti superflua per avere comunque l’interesse protetto ricevuto tutela (CdS sez.V n.283/1996). Ma è stato lo stesso legislatore con l’art.21 octies comma 2 , ultima parte, a restringere notevolmente la portata dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, disponendo che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Non è questa la sede per un’articolata disamina delle pronunce giurisprudenziali in merito all’art.21 octies comma 2, ultima parte. Basti rilevare, ma sul punto torneremo, che per la mancata comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il legislatore non prevede un meccanismo analogo a quello previsto dalla disposizione ora richiamata.

Sul versante giurisprudenziale, ci si può porre il quesito se i giudici con riferimento all’art.10 bis si sono mostrati e si mostreranno in futuro propensi a restringere la portata dell’obbligo di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, in modo piuttosto analogo rispetto alla vicenda concernente l’obbligo di cui all’art.7 L.241/90. Il punto di maggiore criticità riguarda la vexata quaestio del rapporto tra le esigenze di trasparenza e di partecipazione al procedimento e le esigenze di non aggravare il procedimento e quindi di ritardare inutilmente l’adozione del provvedimento finale.

Procediamo con ordine. A livello testuale, nella disposizione dell’ art 10 bis è assente il riferimento “a particolari esigenze di celerità del procedimento”, la sussistenza delle quali esclude l’operatività dell’art. 7. Pur tuttavia vi sono eccezioni espresse all’operatività del preavviso di rigetto. L’art 10 bis esclude dal suo ambito di applicazione “le procedure concorsuali e i procedimenti in materia previdenziale e assistenziali sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”. Si tratta di eccezioni motivate da esigenze di semplificazione, celerità ed efficienza, collegate alle procedure selettive pubbliche e agli adempimenti burocratici degli enti di assistenza e previdenza. Ma la giurisprudenza ha riconosciuto altre eccezioni nell’applicazione dell’art.10 bis. E’ nota la pronuncia del Tar Veneto (Sent. N. 3430/2005), che, sulla base di un’equiparazione tra l’art.7 e l’art.10 bis, ha sentenziato che il provvedimento non è annullabile, per omissione del preavviso di rigetto, quando il privato abbia conosciuto aliunde i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza. Inoltre, ed è questo il nodo in cui si registra la maggiore controversia in dottrina e in giurisprudenza, si tratta di verificare se l’art.21 octies comma 2, ultima parte, si applichi o meno anche all’art.10 bis. Un orientamento giurisprudenziale ritiene non tassativo il disposto dell’art.21 octies comma 2, ultima parte, e sostiene che anche con riguardo all’art.10 bis, per utilizzare le parole dei giudici, “va ammessa la prova – liberamente valutabile dal giudice, che la trae dall’insieme degli atti di causa posti a sua disposizione per impulso della stessa Amministrazione convenuta – dell’irrilevanza del contributo dell’interessato rispetto ad un esito del procedimento medesimo che, comunque, non avrebbe potuto essere diverso”, sul presupposto di un’identità di ratio tra art.10 bis e art. 7 e più precisamente, sulla base della considerazione che come nell’art.7, “anche nell’evenienza dell’art.10 bis l’amministrazione procedente è tenuta ad iniziare un contraddittorio con il destinatario dell’emanando provvedimento al fine di raccoglierne il contributo istruttorio indispensabile per addivenire ad una compiuta disamina di quelli elementi di fatto e di diritto che risulteranno decisivi per la determinazione da assumere” (Tar Veneto sez. II sent. N.3421/2005)

Si può obiettare, però, a tale ricostruzione, che un chiaro indizio della volontà del legislatore di rendere vincolante il disposto dell’art.10 bis si ricava dalla circostanza secondo la quale l’art 21 octies ultima parte prevede (solo) per la mancata comunicazione d’avvio del procedimento la non annullabilità del provvedimento, qualora “l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Quindi, l’argomento a contrario suggerisce che la pubblica amministrazione, in caso di mancato preavviso di rigetto, non può evitare l’annullabilità ricorrendo all’integrazione in giudizio della motivazione ex art.21 octies comma 2, ultima parte (in questo senso ex pluribus Tar Piemonte -Torino sez. I sent.N.3296/2005).

Questa soluzione non appare frutto di un lapsus calami, ma si giustifica in ragione della differenza tra la funzione a cui assolve l’obbligo di cui all’art.7 e l’obbligo di cui all’art.10 bis. Entrambe le norme si collocano nel solco della salvaguardia di istanze di partecipazione e trasparenza informativa. Tuttavia è indubitabile che la previsione dell’art.10 bis non si limita a garantire il privato, ma vuole esplicitare profili di comunicazione, e quindi di collaborazione ancor più che meri profili difensivi del privato. Con l’articolo in questione il legislatore intende rendere quanto mai pervasivo il dialogo tra pubblica amministrazione e privato, e non è un caso che la relazione della Commissione Affari Costituizonali del Senato in sede deliberante, si riferisce esplicitamente ad “un ulteriore canale di comunicazione tra le parti precedente alla decisione finale” . Per usare le parole del Tarullo: “Il congegno disciplinato dall’art. 10 bis conferma insomma l’impressione che l’iter procedimentale sia destinato ad assumere in modo sempre più marcato le vesti di strumento istituzionalizzato di comunicazione tra il detentore della funzione e (quantomeno) il destinatario di essa” (S. Tarullo: “L’art.-10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria)”. Il momento in cui tale comunicazione avviene è la fase che precede la vera e propria decisione, e questo consente di cogliere tutta l’importanza del preavviso di rigetto, e fa assumere nuovo slancio al dovere di informazione nei confronti del privato, tanto da suggerire al Ledda che l’essenza stessa del procedimento oramai coincide con una relazione di tipo comunicativo. Alla luce di tale valenza “comunicativa” ulteriore- o quanto meno diversa- dell’art.10 bis rispetto alla comunicazione d’avvio del procedimento, si può quanto meno comprendere come il legislatore abbia previsto solo per il vizio di mancata comunicazione d’avvio del procedimento, e non per il vizio di mancato preavviso di rigetto, la possibilità di “sanatoria” attraverso la dimostrazione in giudizio (da parte della P.A.) che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il Tar Puglia si esprime in termini inequivoci: l’applicabilità del meccanismo sanante di cui alla norma dell’art.21 octies comma 2, ultima parte, alle funzioni discrezionali “opera limitatamente al vizio di mancata comunicazione di avvio del procedimento, cui non è equiparabile quello di mancata adozione del preavviso di rigetto” (Tar Puglia- Bari, sez II, sent. N. 2125/2006).

Il preavviso di rigetto nei procedimenti vincolati.

Come accennato in precedenza, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione impone che le istanze di partecipazione siano necessariamente contemperate con le istanze di celerità ed efficienza, della pubblica amministrazione. Un contemperamento di tali esigenze consente di considerare opportune due soluzioni in caso di mancato preavviso rigetto.

In primis appare ragionevole che, anche in caso di mancato preavviso di rigetto, laddove il privato abbia aliunde conosciuto i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il provvedimento non è suscettibile di annullamento (in questo senso, Tar Veneto, sez II sent. N.3530/2005). Qualora il privato sia venuto comunque a conoscenza delle ragioni ostative ad un provvedimento favorevole, è stato comunque in grado di presentare le sue osservazioni e quindi è stata rispettata la ratio sottesa alla previsione dell’art.10 bis, anche in mancanza della comunicazione formale del preavviso di rigetto. Il delineato orientamento, che va a saldarsi con gli indirizzi antiformalistici in tema di adempimenti procedimentali, previene annullamenti non immediatamente satisfattivi per le ragioni del privato, salvaguardando l’efficienza delle amministrazioni

In secondo luogo, risulta applicabile alla fattispecie delineata dall’art.10 bis, l’art. 21 octies comma 2, prima parte, laddove prevede che il provvedimento, adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non è annullabile, quando per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” . A tal riguardo occorre osservare che è evidente che il campo elettivo di applicazione dell’istituto di cui all’art.10 bis riguarda i provvedimenti discrezionali. E’ proprio nei provvedimenti discrezionali che la pubblica amministrazione, chiamata a svolgere l’opera di ponderazione di interessi, prende in considerazione le osservazioni del privato capaci di rappresentare interessi e situazioni che rientrano nel bilanciamento della P.A. Mentre, con riferimento ai provvedimenti vincolati, solo un indirizzo acriticamente formalista potrebbe ritenere che il mancato preavviso di rigetto sia sempre invalidante, anche laddove risulti palese che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso. In questo caso, appare quanto meno poco opportuno imporre comunque la comunicazione dei motivi ostativi dell’istanza, proprio ai fini della salvaguardia del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, sub specie della salvaguardia dei principi di non aggravio e di celerità del procedimento. Non si può tuttavia sottacere una considerazione: anche l’attività vincolata presuppone l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto in base ai quali l’esercizio del potere diviene doveroso. Quindi il privato può anche in questo caso dare il suo contributo ai fini dell’esatta definizione dei presupposti dell’esercizio del potere (in questo senso La Cava – “la comunicazione preventiva dei motivi che ostano all’accoglimento di un’istanza di parte”- che non ritiene opportuna l’esclusione dei procedimenti degli enti previdenziali e assistenziali dall’ambito di applicazione dell’art.10 bis, se motivata sulla base della natura vincolata dei procedimenti de quibus). Pertanto, l’obbligo di preavviso di rigetto si applica anche ai provvedimenti vincolati, anche se, per cosi dire, depotenziato dal meccanismo di cui all’art.10 bis dall’art.21 octies comma 2, prima parte.

Conclusione: la partecipazione collaborativa del privato.

Dall’art.10 bis emerge che la pubblica amministrazione, lo si può dire con espressione icastica, non è un treno che si permette di correre ad una velocità costante, senza tener conto di fermate intermedie, ma deve necessariamente interloquire con la varie stazioni, pena incontrare difficoltà crescenti, e porsi di conseguenza su binari morti. In ultima analisi, il Tarullo (op. cit) ha messo in evidenza come nell’art.10 bis i due aspetti- garantistico e collaborativo- della partecipazione del privato al procedimento appaiono intimamente connessi. Infatti, nel preavviso di rigetto viene salvaguardata la garanzia del privato a conoscere il perché dell’operato della pubblica amministrazione, ma soprattutto la partecipazione appare funzionale a che il privato collabori all’esercizio del potere, nella forma della presentazione di osservazioni e nella rappresentazione di fatti ed interessi. E’ chiaro che dal punto di vista dei principi, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione vengono valorizzati dalla possibilità di un fattivo contraddittorio, dalla partecipazione collaborativa, da uno scambio doveroso di informazione, quanto più possibile completo e continuo tra pubblica amministrazione e cittadino istante.

Premessa: art.10 bis e l’esercizio del potere della p.a.

La prima stesura della L.241/90 è lontana quasi un ventennio. In questi anni costantemente si è parlato di partecipazione al procedimento amministrativo e dei vari contenuti che assume la partecipazione.

Tra le varie forme della partecipazione al procedimento amministrativo merita sicuramente una menzione particolare quella prevista dall’art.10 bis, introdotto dalla legge 15/2005 nel capo III della L.241/90, proprio perché la partecipazione assume in tale previsione normativa connotati peculiari. Utile ai fini espositivi, citare testualmente l’articolo: Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.

La ratio dell’articolo consiste nel consentire sicuramente un dialogo effettivo tra il cittadino e la pubblica amministrazione in un momento centrale del procedimento, qual è quello che precede in modo ravvicinato l’adozione del provvedimento finale. In termini più precisi, ci troviamo al punto in cui la pubblica amministrazione ha svolto l’ istruttoria (una prima istruttoria), e si accinge ad adottare un provvedimento negativo. Indubbia è la funzione deflattiva del contenzioso: il privato, una volta ricevuta la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ha diritto di presentare osservazioni e la pubblica amministrazione, re melius perpensa, può rivedere il suo originario intendimento, e venire incontro alle aspettative del privato, evitando cosi il successivo ricorso del privato al giudice. Ma, se la funzione deflattiva non necessita di ulteriore approfondimento, occorre, invece, precisare i rapporti tra la previsione in esame e l’esercizio del potere della pubblica amministrazione. Innanzitutto, l’art.10 bis condiziona l’an del potere: “La pubblica amministrazione prima della formale adozione di un provvedimento negativo comunica (presente deontologico)tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza”. Quindi, l’adozione di un provvedimento negativo è subordinata alla comunicazione dei motivi che non consentono l’accoglimento dell’istanza.

In secondo luogo, condiziona il quomodo dell’esercizio del potere stesso da più punti di vista. E’ evidente, da un primo angolo di visuale, che viene condizionato il come dell’esercizio del potere, dal momento che le osservazioni del privato mirano a suscitare un revirement da parte della pubblica amministrazione dell’originario intento di adottare un provvedimento di diniego. Da un altro punto vista, anche il requisito della motivazione del provvedimento è attinto dalla disposizione in esame, considerato che “del mancato accoglimento delle osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale”.

Inoltre, le osservazioni dell’istante possono quanto meno contribuire all’esatta delimitazione dell’azione della pubblica amministrazione, conformemente al principio di proporzionalità, richiamato implicitamente dall’art.1 L. 241/90, e il cui rispetto implica che la pubblica amministrazione non può imporre ai privati un sacrificio superiore a quello strettamente necessario alla salvaguardia del pubblico interesse.

La costruzione delineata dal legislatore regge in termini di tutela del privato istante, se, e nella misura in cui, la comunicazione dei motivi ostativi non si risolva nella mera comunicazione dell’intento di adottare un provvedimento negativo, o nel mero richiamo a clausole di stile (quali il richiamo generico all’istruttoria o alle norme di legge), ma si sostanzi nella precisa e puntuale spiegazione delle ragioni de iure e de facto che impediscono l’accoglimento dell’istanza, in modo non dissimile dai requisiti della motivazione di cui all’art.3 L.241/90 : quindi la comunicazione, forse potrà essere schematica, ma non certo lacunosa, e dovrà contenere le ragioni di fatto e di diritto e la giustificazione della valutazione ponderativa degli interessi presi in considerazione. Solo cosi, il privato è messo nelle condizioni di conoscere adeguatamente l’intendimento della pubblica amministrazione, e presentare, a sua volta altrettanto adeguatamente, le proprie osservazioni e i documenti a corredo. La giurisprudenza, tuttavia, non ritiene autonomamente impugnabile la mancata o lacunosa comunicazione, ritenendo la comunicazione de qua atto di natura endoprocedimentale, il cui vizio può solo ridondare in un vizio del provvedimento finale (in questo senso Tar Campania- Napoli, sez. VI, sent. N. 1614/2006). E’ opportuno però trovare soluzioni compatibili con l’effettività di tutela del privato istante, se si ritiene, come è giusto ritenere, che le garanzie di tutela dell’interesse legittimo, e segnatamente dell’interesse pretensivo, non si esauriscano nel momento processuale, (annullamento dell’atto viziato), ma sono intessute di facoltà di natura procedimentale, tra cui rientra la facoltà del privato di instaurare una relazione dialogica con la p.a. sulla base della comunicazione di cui all’art.10 bis (Bacosi- Lemetre: la legge 15/2005: ecco il nuovo volto della 241 in www.giustizia-amministrativa.it). In questa prospettiva, l’istante può presentare all’amministrazione le proprie deduzioni con esposti o reclami, eventualmente diffidandola a rinnovare la comunicazione ex art. 10bis con contenuti più chiari e dettagliati; in aggiunta potrà sempre promuovere ricorso al difensore civico, oramai rinsaldato nelle sue vesti garante del buon andamento e della trasparenza dell’amministrazione (art. 25, comma 4, della legge 241).

Analogie e differenze con l’art. 7 L.241/90; questione dell’applicabilità dell’art.21 octies, ultima parte, al vizio di preavviso di rigetto.

Veniamo a considerare altri profili interpretativi. Indubbiamente l’art 10 bis presenta analogie con l’istituto della comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art.7 L.241/90, nel senso che entrambi gli istituti svolgono una funzione informativa e lato sensu partecipativa nei confronti del privato, pur con importanti distinzioni. E’ conosciuto l’orientamento giurisprudenziale volto a costellare di eccezioni l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, anche oltre l’eccezione letterale, concernente le particolari esigenze di celerità del procedimento, esigenze comunque messe in evidenza dal Consiglio di Stato in alcune circostanze (CdS sez. II 12/2/1993 n.392/92 CdS sez. V n.111/1996). Cosi, preme rilevare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha escluso che si debba dare la comunicazione di avvio del procedimento quando a)non vi siano soggetti tenuti a partecipare al procedimento o comunque destinatari del provvedimento finale, o b)si tratti di atti normativi o di carattere generale (CdS sez. VI n.214/1995 ); c)nel caso di atti vincolati,salvo che sia da approfondire il presupposto fattuale dell’atto, perché contestato (CdS sez.V, n.1562/95; CdS sez-V n.1223/1996) d) e in tutti gli altri casi in cui la comunicazione risulti superflua per avere comunque l’interesse protetto ricevuto tutela (CdS sez.V n.283/1996). Ma è stato lo stesso legislatore con l’art.21 octies comma 2 , ultima parte, a restringere notevolmente la portata dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, disponendo che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Non è questa la sede per un’articolata disamina delle pronunce giurisprudenziali in merito all’art.21 octies comma 2, ultima parte. Basti rilevare, ma sul punto torneremo, che per la mancata comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il legislatore non prevede un meccanismo analogo a quello previsto dalla disposizione ora richiamata.

Sul versante giurisprudenziale, ci si può porre il quesito se i giudici con riferimento all’art.10 bis si sono mostrati e si mostreranno in futuro propensi a restringere la portata dell’obbligo di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, in modo piuttosto analogo rispetto alla vicenda concernente l’obbligo di cui all’art.7 L.241/90. Il punto di maggiore criticità riguarda la vexata quaestio del rapporto tra le esigenze di trasparenza e di partecipazione al procedimento e le esigenze di non aggravare il procedimento e quindi di ritardare inutilmente l’adozione del provvedimento finale.

Procediamo con ordine. A livello testuale, nella disposizione dell’ art 10 bis è assente il riferimento “a particolari esigenze di celerità del procedimento”, la sussistenza delle quali esclude l’operatività dell’art. 7. Pur tuttavia vi sono eccezioni espresse all’operatività del preavviso di rigetto. L’art 10 bis esclude dal suo ambito di applicazione “le procedure concorsuali e i procedimenti in materia previdenziale e assistenziali sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”. Si tratta di eccezioni motivate da esigenze di semplificazione, celerità ed efficienza, collegate alle procedure selettive pubbliche e agli adempimenti burocratici degli enti di assistenza e previdenza. Ma la giurisprudenza ha riconosciuto altre eccezioni nell’applicazione dell’art.10 bis. E’ nota la pronuncia del Tar Veneto (Sent. N. 3430/2005), che, sulla base di un’equiparazione tra l’art.7 e l’art.10 bis, ha sentenziato che il provvedimento non è annullabile, per omissione del preavviso di rigetto, quando il privato abbia conosciuto aliunde i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza. Inoltre, ed è questo il nodo in cui si registra la maggiore controversia in dottrina e in giurisprudenza, si tratta di verificare se l’art.21 octies comma 2, ultima parte, si applichi o meno anche all’art.10 bis. Un orientamento giurisprudenziale ritiene non tassativo il disposto dell’art.21 octies comma 2, ultima parte, e sostiene che anche con riguardo all’art.10 bis, per utilizzare le parole dei giudici, “va ammessa la prova – liberamente valutabile dal giudice, che la trae dall’insieme degli atti di causa posti a sua disposizione per impulso della stessa Amministrazione convenuta – dell’irrilevanza del contributo dell’interessato rispetto ad un esito del procedimento medesimo che, comunque, non avrebbe potuto essere diverso”, sul presupposto di un’identità di ratio tra art.10 bis e art. 7 e più precisamente, sulla base della considerazione che come nell’art.7, “anche nell’evenienza dell’art.10 bis l’amministrazione procedente è tenuta ad iniziare un contraddittorio con il destinatario dell’emanando provvedimento al fine di raccoglierne il contributo istruttorio indispensabile per addivenire ad una compiuta disamina di quelli elementi di fatto e di diritto che risulteranno decisivi per la determinazione da assumere” (Tar Veneto sez. II sent. N.3421/2005)

Si può obiettare, però, a tale ricostruzione, che un chiaro indizio della volontà del legislatore di rendere vincolante il disposto dell’art.10 bis si ricava dalla circostanza secondo la quale l’art 21 octies ultima parte prevede (solo) per la mancata comunicazione d’avvio del procedimento la non annullabilità del provvedimento, qualora “l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Quindi, l’argomento a contrario suggerisce che la pubblica amministrazione, in caso di mancato preavviso di rigetto, non può evitare l’annullabilità ricorrendo all’integrazione in giudizio della motivazione ex art.21 octies comma 2, ultima parte (in questo senso ex pluribus Tar Piemonte -Torino sez. I sent.N.3296/2005).

Questa soluzione non appare frutto di un lapsus calami, ma si giustifica in ragione della differenza tra la funzione a cui assolve l’obbligo di cui all’art.7 e l’obbligo di cui all’art.10 bis. Entrambe le norme si collocano nel solco della salvaguardia di istanze di partecipazione e trasparenza informativa. Tuttavia è indubitabile che la previsione dell’art.10 bis non si limita a garantire il privato, ma vuole esplicitare profili di comunicazione, e quindi di collaborazione ancor più che meri profili difensivi del privato. Con l’articolo in questione il legislatore intende rendere quanto mai pervasivo il dialogo tra pubblica amministrazione e privato, e non è un caso che la relazione della Commissione Affari Costituizonali del Senato in sede deliberante, si riferisce esplicitamente ad “un ulteriore canale di comunicazione tra le parti precedente alla decisione finale” . Per usare le parole del Tarullo: “Il congegno disciplinato dall’art. 10 bis conferma insomma l’impressione che l’iter procedimentale sia destinato ad assumere in modo sempre più marcato le vesti di strumento istituzionalizzato di comunicazione tra il detentore della funzione e (quantomeno) il destinatario di essa” (S. Tarullo: “L’art.-10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria)”. Il momento in cui tale comunicazione avviene è la fase che precede la vera e propria decisione, e questo consente di cogliere tutta l’importanza del preavviso di rigetto, e fa assumere nuovo slancio al dovere di informazione nei confronti del privato, tanto da suggerire al Ledda che l’essenza stessa del procedimento oramai coincide con una relazione di tipo comunicativo. Alla luce di tale valenza “comunicativa” ulteriore- o quanto meno diversa- dell’art.10 bis rispetto alla comunicazione d’avvio del procedimento, si può quanto meno comprendere come il legislatore abbia previsto solo per il vizio di mancata comunicazione d’avvio del procedimento, e non per il vizio di mancato preavviso di rigetto, la possibilità di “sanatoria” attraverso la dimostrazione in giudizio (da parte della P.A.) che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il Tar Puglia si esprime in termini inequivoci: l’applicabilità del meccanismo sanante di cui alla norma dell’art.21 octies comma 2, ultima parte, alle funzioni discrezionali “opera limitatamente al vizio di mancata comunicazione di avvio del procedimento, cui non è equiparabile quello di mancata adozione del preavviso di rigetto” (Tar Puglia- Bari, sez II, sent. N. 2125/2006).

Il preavviso di rigetto nei procedimenti vincolati.

Come accennato in precedenza, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione impone che le istanze di partecipazione siano necessariamente contemperate con le istanze di celerità ed efficienza, della pubblica amministrazione. Un contemperamento di tali esigenze consente di considerare opportune due soluzioni in caso di mancato preavviso rigetto.

In primis appare ragionevole che, anche in caso di mancato preavviso di rigetto, laddove il privato abbia aliunde conosciuto i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il provvedimento non è suscettibile di annullamento (in questo senso, Tar Veneto, sez II sent. N.3530/2005). Qualora il privato sia venuto comunque a conoscenza delle ragioni ostative ad un provvedimento favorevole, è stato comunque in grado di presentare le sue osservazioni e quindi è stata rispettata la ratio sottesa alla previsione dell’art.10 bis, anche in mancanza della comunicazione formale del preavviso di rigetto. Il delineato orientamento, che va a saldarsi con gli indirizzi antiformalistici in tema di adempimenti procedimentali, previene annullamenti non immediatamente satisfattivi per le ragioni del privato, salvaguardando l’efficienza delle amministrazioni

In secondo luogo, risulta applicabile alla fattispecie delineata dall’art.10 bis, l’art. 21 octies comma 2, prima parte, laddove prevede che il provvedimento, adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non è annullabile, quando per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” . A tal riguardo occorre osservare che è evidente che il campo elettivo di applicazione dell’istituto di cui all’art.10 bis riguarda i provvedimenti discrezionali. E’ proprio nei provvedimenti discrezionali che la pubblica amministrazione, chiamata a svolgere l’opera di ponderazione di interessi, prende in considerazione le osservazioni del privato capaci di rappresentare interessi e situazioni che rientrano nel bilanciamento della P.A. Mentre, con riferimento ai provvedimenti vincolati, solo un indirizzo acriticamente formalista potrebbe ritenere che il mancato preavviso di rigetto sia sempre invalidante, anche laddove risulti palese che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso. In questo caso, appare quanto meno poco opportuno imporre comunque la comunicazione dei motivi ostativi dell’istanza, proprio ai fini della salvaguardia del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, sub specie della salvaguardia dei principi di non aggravio e di celerità del procedimento. Non si può tuttavia sottacere una considerazione: anche l’attività vincolata presuppone l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto in base ai quali l’esercizio del potere diviene doveroso. Quindi il privato può anche in questo caso dare il suo contributo ai fini dell’esatta definizione dei presupposti dell’esercizio del potere (in questo senso La Cava – “la comunicazione preventiva dei motivi che ostano all’accoglimento di un’istanza di parte”- che non ritiene opportuna l’esclusione dei procedimenti degli enti previdenziali e assistenziali dall’ambito di applicazione dell’art.10 bis, se motivata sulla base della natura vincolata dei procedimenti de quibus). Pertanto, l’obbligo di preavviso di rigetto si applica anche ai provvedimenti vincolati, anche se, per cosi dire, depotenziato dal meccanismo di cui all’art.10 bis dall’art.21 octies comma 2, prima parte.

Conclusione: la partecipazione collaborativa del privato.

Dall’art.10 bis emerge che la pubblica amministrazione, lo si può dire con espressione icastica, non è un treno che si permette di correre ad una velocità costante, senza tener conto di fermate intermedie, ma deve necessariamente interloquire con la varie stazioni, pena incontrare difficoltà crescenti, e porsi di conseguenza su binari morti. In ultima analisi, il Tarullo (op. cit) ha messo in evidenza come nell’art.10 bis i due aspetti- garantistico e collaborativo- della partecipazione del privato al procedimento appaiono intimamente connessi. Infatti, nel preavviso di rigetto viene salvaguardata la garanzia del privato a conoscere il perché dell’operato della pubblica amministrazione, ma soprattutto la partecipazione appare funzionale a che il privato collabori all’esercizio del potere, nella forma della presentazione di osservazioni e nella rappresentazione di fatti ed interessi. E’ chiaro che dal punto di vista dei principi, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione vengono valorizzati dalla possibilità di un fattivo contraddittorio, dalla partecipazione collaborativa, da uno scambio doveroso di informazione, quanto più possibile completo e continuo tra pubblica amministrazione e cittadino istante.