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Il cosiddetto distacco: impianti comuni ed erogazione dei servizi in favore di alcune unità immobiliari

Il cosiddetto distacco: impianti comuni ed erogazione dei servizi in favore di alcune unità immobiliari
Il cosiddetto distacco: impianti comuni ed erogazione dei servizi in favore di alcune unità immobiliari

Sommario: 1. La disciplina degli impianti nel condominio. 2. La legittima rinuncia all’uso dell’ impianto centralizzato. 3. La ripartizione delle spese e la recente pronuncia della corte di cassazione n. 9526/2014: il condomino continua a pagare il gasolio.

 

1. La disciplina degli impianti nel condominio

Le parti comuni, come è noto, appartengono ai singoli condomini in proporzione al valore delle parti dell’immobile di cui essi sono proprietari esclusivi, salvo che il contrario non risulti dal titolo[1].

L’elemento unificante che accomuna i diversi beni e servizi elencati dall’articolo 1117 del codice civile risiede nel rapporto di strumentalità e accessorietà che li lega al godimento e all’utilizzazione delle proprietà individuali. Non a caso l’elencazione contenuta in questa disposizione ha carattere esemplificativo e presenta espressioni onnicomprensive, quali “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune”, “opere, installazioni manufatti di qualunque genere che servono all’uso, in cui si attribuisce importanza alla funzione svolta.

Per ciò che concerne gli impianti di riscaldamento è il n. 3 dell’articolo 1117 del codice civile che li considera parti comuni[2].

È noto che l’impianto di riscaldamento centralizzato debba tendere a garantire a tutte le unità immobiliari facenti parte dell’edificio condominiale una temperatura uniforme. Affinché ciò possa realizzarsi è necessario che l’apporto calorico dell’impianto sia adeguato alle caratteristiche della singola unità immobiliare, alle sue dimensioni, alla sua posizione all’interno dell’edificio (piani alti, mediani o bassi), nonché alla sua esposizione (nord/sud, o soleggiata/ombrosa)[3]. Sebbene l’impianto centralizzato presenti il vantaggio di assicurare una gestione omogenea ed unitaria del servizio di riscaldamento consentendo, così, un equilibrio termico complessivo dell’intero edificio, l’aumento del costo dell’energia e le esigenze dei singoli condomini inducono, spesso, alla rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni del centralizzato.

2. La legittima rinuncia all’uso dell’ impianto centralizzato

Il distacco si verifica qualora il singolo condomino, in precedenza allacciato all’impianto centralizzato comune di riscaldamento, procede in via del tutto autonoma, a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare. Ciò non comporta, da parte del condomino distaccatosi, l’abbandono della propria quota di proprietà sullo stesso, ma la semplice rinuncia al servizio reso alla comunità condominiale.

Occorre preliminarmente evidenziare che la riforma del condominio (Legge 11 dicembre 2012, n. 220 in vigore dal 17 giugno 2013) ha introdotto un ulteriore nuovo comma, il quarto, all’articolo 1118 del codice civile, in virtù del quale il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento a condizione che dal suo distacco non derivino squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. È previsto, in tal caso, che il rinunciante concorra al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e della sua conservazione e messa a norma.

Va soggiunto che nel periodo antecedente alla riforma nessuna previsione di legge disciplinava il distacco.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il condomino può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione o approvazione degli altri condomini. La delibera assembleare che pur in presenza delle condizioni necessarie, respinge la richiesta di autorizzazione al distacco è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune.[4]

È opportuno evidenziare che in passato non era consentita la rinuncia ed il conseguente distacco, sull’assunto che l’impianto centrale fosse normalmente progettato dimensionato e costruito in funzione dei complessivi volumi dell’edificio, cui doveva assicurare un equilibrio termico di base. Si riteneva che il distacco dall’impianto centrale delle diramazioni relative ad uno o più appartamenti doveva ritenersi vietato giacché incideva negativamente sulla obiettiva destinazione dell’impianto, determinando uno squilibrio termico che poteva essere eliminato solo con un aggravio di spese, di esercizio e di conservazione per i condomini i quali continuavano a fruire dell’impianto medesimo[5].

Superato tale orientamento, deve ritenersi che il condomino può legittimamente rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato qualora provi che dalla sua rinunzia non derivi né un aggravio di spesa per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né un notevole squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio[6].

Al fine di dare maggiore chiarezza al dettato normativo è doveroso specificare cosa si intenda con l’espressione, adoperata dall’ 1118 del codice civile, “notevoli squilibri di funzionamento e aggravi di spesa per gli altri condomini”. Per ciò che concerne lo squilibrio termico è pacifico che la ratio dell’impianto di riscaldamento è quella di raggiungere una temperatura di esercizio sufficientemente omogenea e idonea a garantire condizioni di comfort. La determinazione in concreto, dello squilibrio tollerabile non dovrebbe, inoltre prescindere dal riferimento all’articolo 4, comma 1, lett.b, del Decreto del presidente della Repubblica del 26.8.1993, n. 412 (Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’articolo 4, comma 4 della Legge 9 gennaio 1991 n. 10), ai sensi del quale l’obiettivo dell’impianto di riscaldamento è quello di raggiungere una temperatura di esercizio sufficientemente omogenea e tale da garantire condizioni di comfort, indicata in 20 gradi, con una tolleranza in eccesso di due gradi[7]. La situazione di equilibrio va non solo raggiunta ma soprattutto mantenuta nel corso di ogni stagione termica con le varie differenze di temperature esterne e diversi assorbimenti delle singole unità abitative. È indubbio, però, che il distacco ad opera di uno o più condomini va ad alterare questo delicato equilibrio raggiunto e non essendo per nulla scontato che possa essere ricostituito. Lo squilibrio termico non deve essere inteso come la possibile differente temperatura nell’appartamento distaccato poiché, anche senza distaccarsi, il proprietario potrebbe sempre chiudere i propri radiatori. Se così non fosse, quel distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato ammesso in linea di principio sarebbe sempre da escludere in concreto, in quanto nell’ambito di un condominio ogni unità immobiliare confina con almeno un’altra unità immobiliare, per cui il distacco dall’impianto centralizzato da parte di uno dei condomini provocherebbe sempre quel tipo di squilibrio termico che, invece, deve essere considerato irrilevante”[8]. L’aggettivo “notevole” utilizzato nel dettato normativo evidenzia l’intento del legislatore di lasciare indeterminato il limite di detta condizione affidando alla giurisprudenza il compito di tratteggiarne i confini.

Il condomino che dichiari di rinunciare all’erogazione del riscaldamento dell’impianto centralizzato, ha l’onere di accertare tramite un perito di sua fiducia che il suo distacco non comporti un maggior onere, in termini di spesa, da parte degli altri fruitori del servizio centralizzato e che non provochi degli inconvenienti tecnici alterando, ovviamente in senso peggiorativo, la funzionalità dell’intero impianto. Tale onere probatorio,quindi, si considera assolto qualora venga presentata un’apposita perizia redatta da un tecnico abilitato che sia un professionista iscritto in albi professionali, competente in materia di trattamento degli impianti di riscaldamento. Nella perizia devono essere indicati, oltre allo stato dei consumi effettivi dell’impianto, anche i consumi ipotizzati dopo il distacco. Quest’ultima, inoltre, deve essere corredata da documenti provanti l’assenza di alterazioni all’impianto centrale.

In altri termini se il condomino interessato provi, tramite perizia tecnica, che dal distacco derivi un’effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e l’assenza di squilibri in pregiudizio al regolare funzionamento dell’impianto centrale, l’assemblea condominiale non può negare l’autorizzazione al distacco (a meno che con analoga perizia tecnica non sia contestata l’esistenza dei suddetti presupposti), pena la nullità della delibera[9]. L’assemblea, inoltre, possiede il solo compito di verificare che sussistano i presupposti di legge[10] non dovendo concedere alcuna autorizzazione. La giurisprudenza ritiene che la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato, qualora ricorrano i presupposti previsti, è legittima[11]. Pertanto ove l’interessato dimostri che dalla rinuncia e dal susseguente distacco non derivi né un aggravio di spese per i condomini che continuano ad usufruire, né uno squilibrio termico pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio, un regolamento condominiale non può limitare e vietare l’attività di cui si discorre. L’ultimo comma dell’articolo 1138 del codice civile, infatti, nel porre un limite all’efficacia del regolamento condominiale, stabilisce che a quest’ultimo è vietato non solo menomare i diritti di ciascun condomino risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, ma altresì derogare le disposizioni degli articoli 1118 comma 2, 1119, 1120, 1129 1131, 1132, 1136[12]. La clausola contenuta nel regolamento condominiale diretta a vietare il distacco delle singole unità immobiliari dalla rete centralizzata dovrebbe essere considerata nulla e priva di qualsiasi presupposto applicativo[13].

Essendo l’impianto centralizzato progettato e costruito in funzione dei complessivi volumi interni dell’edificio, l’effettuazione del distacco unilaterale comporta, spesso, conseguenze negative sulla cosa comune. In particolare, determina uno squilibrio termico, per compensare il quale è necessario che i condomini che continuano ad usufruire del servizio sostengano un aumento delle spese di esercizio e di conservazione dell’impianto[14]. Ciò posto, qualora alcuni condomini decidono unilateralmente di staccare le proprie unità immobiliari dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, i medesimi non possono sottrarsi al pagamento del contributo inerente le spese di conservazione del predetto impianto. Non essendo configurabile una rinuncia alla proprietà dello stesso, ove però, i loro appartamenti non siano più riscaldati, non sono tenuti a sostenere le spese relative all’uso, in quanto il contributo per queste ultime è adeguato al godimento che i condomini possono ricavare dalla cosa comune[15].Il condomino distaccatosi è esonerato dall’obbligo di corrispondere le spese occorrenti per la sua gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini[16]. È evidente che la riforma del condominio ha fatto propri i principi elaborati in sede giurisprudenziali. Tuttavia, il principio generale del neminem laedere resta sovrano, ed impone ai condomini che abbandonino il riscaldamento centralizzato non solo di non creare, con la loro condotta, uno squilibrio nell’ impianto comune, ma altresì di non costringere gli altri partecipanti al condominio a dover sostenere spese più gravose[17].

Nella pratica però il distacco comporta sempre un calo di efficienza dell’impianto di riscaldamento: il consumo destinato a produrre il calore che si disperde nella rete a seguito del distacco si divide tra un numero inferiore di condomini[18]. In conclusione l’ultimo periodo della norma in commento dispone espressamente che il condomino distaccato resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese di manutenzione straordinaria dell’impianto e di conservazione e messa a norma. Sembra escluso, dunque, che il condomino rinunziante possa compensare la minore efficienza dell’impianto continuando a pagare una parte delle spese di consumo. 

3. La ripartizione delle spese e la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 9526/2014: il condomino continua a pagare il gasolio

Assodato che il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento se dal suo distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, è fuori dubbio che il rinunziante resti obbligato a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la conservazione e messa a norma. L’articolo 1 lettera i) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 412/1993 e l’allegato A n. 21 del Decreto Legislativo n. 192/2005 dispongono che per “manutenzione straordinaria dell’impianto termico, si intendono gli interventi atti a ricondurre il funzionamento dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalla normativa vigente mediante il ricorso, in tutto o in parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione di apparecchi o componenti dell’impianto termico. Per ciò che concerne la “conservazione” non vi è alcuna definizione legislativa. Dal canto suo, la giurisprudenza richiamando l’articolo 1104 del codice civile, precisa che le spese di conservazione ineriscono all’integrità del bene e riguardano le erogazioni per la conservazione in senso stretto, per la manutenzione ordinaria e straordinaria e per le riparazioni, ed afferiscono all’utilità oggettiva del bene[19]. Diversamente con l’espressione “messa a norma” si intendono tutti gli interventi determinati da obblighi di legge.

Tuttavia restano escluse tutte le spese aventi ad oggetto il godimento del bene le quali, attenendo all’uso delle cose comuni, scaturiscono da un fatto soggettivo, personale e mutevole. La  giurisprudenza richiamando l’articolo 1104 ha stabilito che tra le spese in esso indicate soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono un’obbligazione propter rem.

Da ultimo i giudici di legittimità con Sentenza n. 9526/2014 hanno affermato che se è vero che ogni condomino ha diritto di distaccarsi dall’impianto se da ciò non derivino squilibri nel funzionamento o aggravi di costi è altrettanto vero che i distaccati continuano ad essere obbligati a partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico di altri condomini, perché se il costo di esercizio dell’impianto dopo il distacco non è diminuito e se la quota non è posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato[20].

 

[1] Chiné, Frattini, Zoppini, Manuale di diritto civile, Roma, 2013.

[2] Celeste, Nicoletti, Impianti e servizi negli immobili in condominio, Milano, 2007;

[3] Lazzaro, dal riscaldamento centralizzato agli impianti unifamiliari a gas profili problematici della legge 9 gennaio 1991 n.19, Milano,1991; Tagliolini, La trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato, in Immob. e propr., 2002, 19 e ss.

[4] Cass., 3.4.2012, n. 5331 in Dir. e Giust. on line, 2012, 3 aprile.

[5] Cass., 30.11.1984, n. 6269 in Giust. Civ. Mass., 1984, fasc. 11.

[6] Parombella, Legittimo il passaggio dall’impianto di riscaldamento centralizzato a quello autonomo, in Dir. e Giust., 2011,0, 439.

[7] Cass., 27.5. 2011, n. 11857 in Arch. Locazioni, 2011,6, 802.

[8]SCRIPELLITTI, in Arch. Locazioni, fasc. 6, 2011, 803

[9] Cass., 3.4.2012, n. 5331 in Dir. e Giust. on line, 2012, 3 aprile.

[10] Parodi, in Il contenimento del consumo energetico nel condominio, a cura del Centro Studi nazionale ANACI, www.centrostudianaci.it, 56 e ss.

[11] Cass., 25.03.2004 n. 5974 in Giust. civ. 2005, 9, I, 2165

[12] Izzo, Distacco unilaterale dall´impianto centralizzato di riscaldamento e risparmio energetico in Giust. civ. 2012, 2, 361.

[13] Cass., 29.9.2011, n. 19893 in Giust. civ. mass. 2011, 9, 1364; in Giust. civ. 2012, 2, I, 359; in Riv. giur. edilizia 2011, 6, I, 1617.

[14] Celeste-Nicoletti, Impianti e servizi negli immobili in condominio, Milano, 2007.

[15] Cass., 20.11.1996 n. 10214 in Giust. civ. Mass. 1996, 1556; in Foro it.1996, I, 3665; in giust. Civ. 1997, I 371; in Riv. giur. edilizia 1997,I, 263.

[16] Cass., 3.4.2012, n. 5331 in Dir. e Giust. on line, 2012, 3 aprile.

[17]Cass. 25.3.2004, n. 5974 in Giust. civ. 2005, 9, I, 2165.

[18]Branca, op. cit., 482 ss.

[19]Cass. 25.3.2004, n. 5974 in Giust. civ. 2005, 9, I, 2165.

[20] Gallucci, Se il distacco dal riscaldamento centralizzato non fa diminuire le spese il condomino continua a pagare il gasolio in Dir. & Giust., fasc.1, 2014, pag.5.

Sommario: 1. La disciplina degli impianti nel condominio. 2. La legittima rinuncia all’uso dell’ impianto centralizzato. 3. La ripartizione delle spese e la recente pronuncia della corte di cassazione n. 9526/2014: il condomino continua a pagare il gasolio.

 

1. La disciplina degli impianti nel condominio

Le parti comuni, come è noto, appartengono ai singoli condomini in proporzione al valore delle parti dell’immobile di cui essi sono proprietari esclusivi, salvo che il contrario non risulti dal titolo[1].

L’elemento unificante che accomuna i diversi beni e servizi elencati dall’articolo 1117 del codice civile risiede nel rapporto di strumentalità e accessorietà che li lega al godimento e all’utilizzazione delle proprietà individuali. Non a caso l’elencazione contenuta in questa disposizione ha carattere esemplificativo e presenta espressioni onnicomprensive, quali “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune”, “opere, installazioni manufatti di qualunque genere che servono all’uso, in cui si attribuisce importanza alla funzione svolta.

Per ciò che concerne gli impianti di riscaldamento è il n. 3 dell’articolo 1117 del codice civile che li considera parti comuni[2].

È noto che l’impianto di riscaldamento centralizzato debba tendere a garantire a tutte le unità immobiliari facenti parte dell’edificio condominiale una temperatura uniforme. Affinché ciò possa realizzarsi è necessario che l’apporto calorico dell’impianto sia adeguato alle caratteristiche della singola unità immobiliare, alle sue dimensioni, alla sua posizione all’interno dell’edificio (piani alti, mediani o bassi), nonché alla sua esposizione (nord/sud, o soleggiata/ombrosa)[3]. Sebbene l’impianto centralizzato presenti il vantaggio di assicurare una gestione omogenea ed unitaria del servizio di riscaldamento consentendo, così, un equilibrio termico complessivo dell’intero edificio, l’aumento del costo dell’energia e le esigenze dei singoli condomini inducono, spesso, alla rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni del centralizzato.

2. La legittima rinuncia all’uso dell’ impianto centralizzato

Il distacco si verifica qualora il singolo condomino, in precedenza allacciato all’impianto centralizzato comune di riscaldamento, procede in via del tutto autonoma, a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare. Ciò non comporta, da parte del condomino distaccatosi, l’abbandono della propria quota di proprietà sullo stesso, ma la semplice rinuncia al servizio reso alla comunità condominiale.

Occorre preliminarmente evidenziare che la riforma del condominio (Legge 11 dicembre 2012, n. 220 in vigore dal 17 giugno 2013) ha introdotto un ulteriore nuovo comma, il quarto, all’articolo 1118 del codice civile, in virtù del quale il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento a condizione che dal suo distacco non derivino squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. È previsto, in tal caso, che il rinunciante concorra al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e della sua conservazione e messa a norma.

Va soggiunto che nel periodo antecedente alla riforma nessuna previsione di legge disciplinava il distacco.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il condomino può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione o approvazione degli altri condomini. La delibera assembleare che pur in presenza delle condizioni necessarie, respinge la richiesta di autorizzazione al distacco è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune.[4]

È opportuno evidenziare che in passato non era consentita la rinuncia ed il conseguente distacco, sull’assunto che l’impianto centrale fosse normalmente progettato dimensionato e costruito in funzione dei complessivi volumi dell’edificio, cui doveva assicurare un equilibrio termico di base. Si riteneva che il distacco dall’impianto centrale delle diramazioni relative ad uno o più appartamenti doveva ritenersi vietato giacché incideva negativamente sulla obiettiva destinazione dell’impianto, determinando uno squilibrio termico che poteva essere eliminato solo con un aggravio di spese, di esercizio e di conservazione per i condomini i quali continuavano a fruire dell’impianto medesimo[5].

Superato tale orientamento, deve ritenersi che il condomino può legittimamente rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato qualora provi che dalla sua rinunzia non derivi né un aggravio di spesa per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né un notevole squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio[6].

Al fine di dare maggiore chiarezza al dettato normativo è doveroso specificare cosa si intenda con l’espressione, adoperata dall’ 1118 del codice civile, “notevoli squilibri di funzionamento e aggravi di spesa per gli altri condomini”. Per ciò che concerne lo squilibrio termico è pacifico che la ratio dell’impianto di riscaldamento è quella di raggiungere una temperatura di esercizio sufficientemente omogenea e idonea a garantire condizioni di comfort. La determinazione in concreto, dello squilibrio tollerabile non dovrebbe, inoltre prescindere dal riferimento all’articolo 4, comma 1, lett.b, del Decreto del presidente della Repubblica del 26.8.1993, n. 412 (Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’articolo 4, comma 4 della Legge 9 gennaio 1991 n. 10), ai sensi del quale l’obiettivo dell’impianto di riscaldamento è quello di raggiungere una temperatura di esercizio sufficientemente omogenea e tale da garantire condizioni di comfort, indicata in 20 gradi, con una tolleranza in eccesso di due gradi[7]. La situazione di equilibrio va non solo raggiunta ma soprattutto mantenuta nel corso di ogni stagione termica con le varie differenze di temperature esterne e diversi assorbimenti delle singole unità abitative. È indubbio, però, che il distacco ad opera di uno o più condomini va ad alterare questo delicato equilibrio raggiunto e non essendo per nulla scontato che possa essere ricostituito. Lo squilibrio termico non deve essere inteso come la possibile differente temperatura nell’appartamento distaccato poiché, anche senza distaccarsi, il proprietario potrebbe sempre chiudere i propri radiatori. Se così non fosse, quel distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato ammesso in linea di principio sarebbe sempre da escludere in concreto, in quanto nell’ambito di un condominio ogni unità immobiliare confina con almeno un’altra unità immobiliare, per cui il distacco dall’impianto centralizzato da parte di uno dei condomini provocherebbe sempre quel tipo di squilibrio termico che, invece, deve essere considerato irrilevante”[8]. L’aggettivo “notevole” utilizzato nel dettato normativo evidenzia l’intento del legislatore di lasciare indeterminato il limite di detta condizione affidando alla giurisprudenza il compito di tratteggiarne i confini.

Il condomino che dichiari di rinunciare all’erogazione del riscaldamento dell’impianto centralizzato, ha l’onere di accertare tramite un perito di sua fiducia che il suo distacco non comporti un maggior onere, in termini di spesa, da parte degli altri fruitori del servizio centralizzato e che non provochi degli inconvenienti tecnici alterando, ovviamente in senso peggiorativo, la funzionalità dell’intero impianto. Tale onere probatorio,quindi, si considera assolto qualora venga presentata un’apposita perizia redatta da un tecnico abilitato che sia un professionista iscritto in albi professionali, competente in materia di trattamento degli impianti di riscaldamento. Nella perizia devono essere indicati, oltre allo stato dei consumi effettivi dell’impianto, anche i consumi ipotizzati dopo il distacco. Quest’ultima, inoltre, deve essere corredata da documenti provanti l’assenza di alterazioni all’impianto centrale.

In altri termini se il condomino interessato provi, tramite perizia tecnica, che dal distacco derivi un’effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e l’assenza di squilibri in pregiudizio al regolare funzionamento dell’impianto centrale, l’assemblea condominiale non può negare l’autorizzazione al distacco (a meno che con analoga perizia tecnica non sia contestata l’esistenza dei suddetti presupposti), pena la nullità della delibera[9]. L’assemblea, inoltre, possiede il solo compito di verificare che sussistano i presupposti di legge[10] non dovendo concedere alcuna autorizzazione. La giurisprudenza ritiene che la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato, qualora ricorrano i presupposti previsti, è legittima[11]. Pertanto ove l’interessato dimostri che dalla rinuncia e dal susseguente distacco non derivi né un aggravio di spese per i condomini che continuano ad usufruire, né uno squilibrio termico pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio, un regolamento condominiale non può limitare e vietare l’attività di cui si discorre. L’ultimo comma dell’articolo 1138 del codice civile, infatti, nel porre un limite all’efficacia del regolamento condominiale, stabilisce che a quest’ultimo è vietato non solo menomare i diritti di ciascun condomino risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, ma altresì derogare le disposizioni degli articoli 1118 comma 2, 1119, 1120, 1129 1131, 1132, 1136[12]. La clausola contenuta nel regolamento condominiale diretta a vietare il distacco delle singole unità immobiliari dalla rete centralizzata dovrebbe essere considerata nulla e priva di qualsiasi presupposto applicativo[13].

Essendo l’impianto centralizzato progettato e costruito in funzione dei complessivi volumi interni dell’edificio, l’effettuazione del distacco unilaterale comporta, spesso, conseguenze negative sulla cosa comune. In particolare, determina uno squilibrio termico, per compensare il quale è necessario che i condomini che continuano ad usufruire del servizio sostengano un aumento delle spese di esercizio e di conservazione dell’impianto[14]. Ciò posto, qualora alcuni condomini decidono unilateralmente di staccare le proprie unità immobiliari dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, i medesimi non possono sottrarsi al pagamento del contributo inerente le spese di conservazione del predetto impianto. Non essendo configurabile una rinuncia alla proprietà dello stesso, ove però, i loro appartamenti non siano più riscaldati, non sono tenuti a sostenere le spese relative all’uso, in quanto il contributo per queste ultime è adeguato al godimento che i condomini possono ricavare dalla cosa comune[15].Il condomino distaccatosi è esonerato dall’obbligo di corrispondere le spese occorrenti per la sua gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini[16]. È evidente che la riforma del condominio ha fatto propri i principi elaborati in sede giurisprudenziali. Tuttavia, il principio generale del neminem laedere resta sovrano, ed impone ai condomini che abbandonino il riscaldamento centralizzato non solo di non creare, con la loro condotta, uno squilibrio nell’ impianto comune, ma altresì di non costringere gli altri partecipanti al condominio a dover sostenere spese più gravose[17].

Nella pratica però il distacco comporta sempre un calo di efficienza dell’impianto di riscaldamento: il consumo destinato a produrre il calore che si disperde nella rete a seguito del distacco si divide tra un numero inferiore di condomini[18]. In conclusione l’ultimo periodo della norma in commento dispone espressamente che il condomino distaccato resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese di manutenzione straordinaria dell’impianto e di conservazione e messa a norma. Sembra escluso, dunque, che il condomino rinunziante possa compensare la minore efficienza dell’impianto continuando a pagare una parte delle spese di consumo. 

3. La ripartizione delle spese e la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 9526/2014: il condomino continua a pagare il gasolio

Assodato che il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento se dal suo distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, è fuori dubbio che il rinunziante resti obbligato a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la conservazione e messa a norma. L’articolo 1 lettera i) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 412/1993 e l’allegato A n. 21 del Decreto Legislativo n. 192/2005 dispongono che per “manutenzione straordinaria dell’impianto termico, si intendono gli interventi atti a ricondurre il funzionamento dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalla normativa vigente mediante il ricorso, in tutto o in parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione di apparecchi o componenti dell’impianto termico. Per ciò che concerne la “conservazione” non vi è alcuna definizione legislativa. Dal canto suo, la giurisprudenza richiamando l’articolo 1104 del codice civile, precisa che le spese di conservazione ineriscono all’integrità del bene e riguardano le erogazioni per la conservazione in senso stretto, per la manutenzione ordinaria e straordinaria e per le riparazioni, ed afferiscono all’utilità oggettiva del bene[19]. Diversamente con l’espressione “messa a norma” si intendono tutti gli interventi determinati da obblighi di legge.

Tuttavia restano escluse tutte le spese aventi ad oggetto il godimento del bene le quali, attenendo all’uso delle cose comuni, scaturiscono da un fatto soggettivo, personale e mutevole. La  giurisprudenza richiamando l’articolo 1104 ha stabilito che tra le spese in esso indicate soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono un’obbligazione propter rem.

Da ultimo i giudici di legittimità con Sentenza n. 9526/2014 hanno affermato che se è vero che ogni condomino ha diritto di distaccarsi dall’impianto se da ciò non derivino squilibri nel funzionamento o aggravi di costi è altrettanto vero che i distaccati continuano ad essere obbligati a partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico di altri condomini, perché se il costo di esercizio dell’impianto dopo il distacco non è diminuito e se la quota non è posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato[20].

 

[1] Chiné, Frattini, Zoppini, Manuale di diritto civile, Roma, 2013.

[2] Celeste, Nicoletti, Impianti e servizi negli immobili in condominio, Milano, 2007;

[3] Lazzaro, dal riscaldamento centralizzato agli impianti unifamiliari a gas profili problematici della legge 9 gennaio 1991 n.19, Milano,1991; Tagliolini, La trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato, in Immob. e propr., 2002, 19 e ss.

[4] Cass., 3.4.2012, n. 5331 in Dir. e Giust. on line, 2012, 3 aprile.

[5] Cass., 30.11.1984, n. 6269 in Giust. Civ. Mass., 1984, fasc. 11.

[6] Parombella, Legittimo il passaggio dall’impianto di riscaldamento centralizzato a quello autonomo, in Dir. e Giust., 2011,0, 439.

[7] Cass., 27.5. 2011, n. 11857 in Arch. Locazioni, 2011,6, 802.

[8]SCRIPELLITTI, in Arch. Locazioni, fasc. 6, 2011, 803

[9] Cass., 3.4.2012, n. 5331 in Dir. e Giust. on line, 2012, 3 aprile.

[10] Parodi, in Il contenimento del consumo energetico nel condominio, a cura del Centro Studi nazionale ANACI, www.centrostudianaci.it, 56 e ss.

[11] Cass., 25.03.2004 n. 5974 in Giust. civ. 2005, 9, I, 2165

[12] Izzo, Distacco unilaterale dall´impianto centralizzato di riscaldamento e risparmio energetico in Giust. civ. 2012, 2, 361.

[13] Cass., 29.9.2011, n. 19893 in Giust. civ. mass. 2011, 9, 1364; in Giust. civ. 2012, 2, I, 359; in Riv. giur. edilizia 2011, 6, I, 1617.

[14] Celeste-Nicoletti, Impianti e servizi negli immobili in condominio, Milano, 2007.

[15] Cass., 20.11.1996 n. 10214 in Giust. civ. Mass. 1996, 1556; in Foro it.1996, I, 3665; in giust. Civ. 1997, I 371; in Riv. giur. edilizia 1997,I, 263.

[16] Cass., 3.4.2012, n. 5331 in Dir. e Giust. on line, 2012, 3 aprile.

[17]Cass. 25.3.2004, n. 5974 in Giust. civ. 2005, 9, I, 2165.

[18]Branca, op. cit., 482 ss.

[19]Cass. 25.3.2004, n. 5974 in Giust. civ. 2005, 9, I, 2165.

[20] Gallucci, Se il distacco dal riscaldamento centralizzato non fa diminuire le spese il condomino continua a pagare il gasolio in Dir. & Giust., fasc.1, 2014, pag.5.