x

x

Il decreto Brunetta sulla "esenzione" dalle visite fiscali: una nuova manna per l’assenteismo?

Come noto il 4 febbraio 2010 è entrato in vigore il decreto c.d. Brunetta (n. 206 del 18 dicembre 2009) relativo alla “Determinazione delle fasce orarie di reperibilità per i pubblici dipendenti in caso di assenza per malattia”; normativa che ha “inasprito” - rispetto alle pregresse previsioni normative - l’ampiezza delle fasce orarie in cui vige l’obbligo di reperibilità per il dipendente assente per malattia (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 anche nei giorni non lavorativi e festivi).

Ai fini di interesse è l’art. 2 di tale decreto, rubricato “Esclusioni dall’obbligo di reperibilità”. ai sensi del quale “Sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza e’ etimologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita [previsione, questa sulle terapie salvavita, forse superflua poiché la contrattazione collettiva sovente contempla, opportunamente, “speciali” aspettative con diritto alla conservazione del posto di lavoro, n.d.a.]; b) infortuni sul lavoro; c) malattie per le quali e’ stata riconosciuta la causa di servizio; d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta”.

A quanto consta, talune amministrazioni patrocinano una esegesi estensiva della disposizione in parola - in particolare riguardo all’ipotesi di esenzione di cui alla trascritta lettera d), dell’art. 2 - secondo cui dovrebbero intendersi per “stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta”, non quelli riconducibili all’attività lavorativa (e riconosciuti come causa di servizio ed infortunio sul lavoro peraltro previsti dalle lettere b e c dell’art. 2), bensì quelle patologie alla stessa “scollegate”, ciò in quanto l’espressione “invalidità riconosciuta”, appunto, sarebbe riferibile all’invalidità civile ex L. n. 118/1971 e s.m..

Il passaggio non è di poco momento in quanto la patologia sottesa ad una invalidità civile non richiede un collegamento con l’attività di servizio - e rispettivo accertamento medico legale - a differenza delle cosiddette tecnopatie (causa di servizio, malattia professionale, infortunio sul lavoro ecc.).

Vero è che anche quei lavoratori invalidi civili e dunque aventi patologie non riconosciute come collegate al servizio meritano la massima considerazione, è vero anche, tuttavia, che l’interpretazione in parola potrebbe prestarsi a strumentalizzazioni ai fini dell’assenteismo per malattia (in disparte ogni riferimento ai cosiddetti falsi invalidi).

In effetti, qualora il certificato medico giustifichi la malattia del dipendente con riferimento ad una patologia già oggetto di riconoscimento ai fini dell’invalidità civile - dunque del tutto svincolata da fatti di servizio -, opererebbe la disciplinata esenzione all’obbligo di reperibilità. Del resto, si potrebbe affermare, essendo prevista la causa di servizio e l’infortunio lavorativo nelle lettere “b” e “c” dell’art. 2, la lettera “d” del medesimo articolo non potrebbe che far riferimento a stati patologici riconosciuti diversi dai precedenti.

Ci si chiede: ma era proprio questo lo spirito dell’intervento normativo de quo? Appare coerente l’impostazione accennata alla luce dell’inasprimento dell’arco temporale di vigenza dell’obbligo di reperibilità (il cui effetto “deterrente” per l’assenteismo verrebbe in pratica “compensato” con una estensione rilevante dell’esenzione)?

O forse la lettera d), art. 2, quando parla di “invalidità riconosciuta” dovrebbe essere intesa come invalidità riferita (dice la norma, “sottesa o connessa”) a quegli stati invalidanti costituenti “sviluppo” di già certificate patologie riferite a cause di servizio o infortuni sul lavoro?

Se d’altronde si fosse voluta estendere l’esenzione in argomento a tutti i dipendenti colpiti da stati patologici purchè oggetto di una “invalidità riconosciuta” ovvero certificata da strutture a ciò deputate (ASL, Commissioni Medico Ospedaliere, INAIL, ecc.) - secondo l’interpretazione rappresentata - non si comprenderebbe la ragione della distinzione operata dalla norma quanto a patologie connesse al servizio (infortunio sul lavoro, causa servizio) e patologie ad esso scollegato.

Sarebbe stata sufficiente, unicamente, infatti, la previsione di cui alla lettera d) dell’art. 2 del Decreto proprio perché omnicomprensiva di ogni “invalidità riconosciuta”, ciò secondo l’indicata opzione esegetica.

Di qui, allora, la conclusione circa la non condivisibilità della impostazione estensiva in argomento, dovendosi più correttamente ritenere che l’ipotesi di cui all’art. 2, lett. d), contempla unicamente quegli stati patologici sottesi o connessi a tecnopatie oggetto di apposito riconoscimento (ovvero esclusivamente quelle legate al servizio come l’infortunio lavorativo e la causa di servizio) e, in definitiva, aggravamenti e “sviluppi” di queste debitamente certificati.

Come noto il 4 febbraio 2010 è entrato in vigore il decreto c.d. Brunetta (n. 206 del 18 dicembre 2009) relativo alla “Determinazione delle fasce orarie di reperibilità per i pubblici dipendenti in caso di assenza per malattia”; normativa che ha “inasprito” - rispetto alle pregresse previsioni normative - l’ampiezza delle fasce orarie in cui vige l’obbligo di reperibilità per il dipendente assente per malattia (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 anche nei giorni non lavorativi e festivi).

Ai fini di interesse è l’art. 2 di tale decreto, rubricato “Esclusioni dall’obbligo di reperibilità”. ai sensi del quale “Sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza e’ etimologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita [previsione, questa sulle terapie salvavita, forse superflua poiché la contrattazione collettiva sovente contempla, opportunamente, “speciali” aspettative con diritto alla conservazione del posto di lavoro, n.d.a.]; b) infortuni sul lavoro; c) malattie per le quali e’ stata riconosciuta la causa di servizio; d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta”.

A quanto consta, talune amministrazioni patrocinano una esegesi estensiva della disposizione in parola - in particolare riguardo all’ipotesi di esenzione di cui alla trascritta lettera d), dell’art. 2 - secondo cui dovrebbero intendersi per “stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta”, non quelli riconducibili all’attività lavorativa (e riconosciuti come causa di servizio ed infortunio sul lavoro peraltro previsti dalle lettere b e c dell’art. 2), bensì quelle patologie alla stessa “scollegate”, ciò in quanto l’espressione “invalidità riconosciuta”, appunto, sarebbe riferibile all’invalidità civile ex L. n. 118/1971 e s.m..

Il passaggio non è di poco momento in quanto la patologia sottesa ad una invalidità civile non richiede un collegamento con l’attività di servizio - e rispettivo accertamento medico legale - a differenza delle cosiddette tecnopatie (causa di servizio, malattia professionale, infortunio sul lavoro ecc.).

Vero è che anche quei lavoratori invalidi civili e dunque aventi patologie non riconosciute come collegate al servizio meritano la massima considerazione, è vero anche, tuttavia, che l’interpretazione in parola potrebbe prestarsi a strumentalizzazioni ai fini dell’assenteismo per malattia (in disparte ogni riferimento ai cosiddetti falsi invalidi).

In effetti, qualora il certificato medico giustifichi la malattia del dipendente con riferimento ad una patologia già oggetto di riconoscimento ai fini dell’invalidità civile - dunque del tutto svincolata da fatti di servizio -, opererebbe la disciplinata esenzione all’obbligo di reperibilità. Del resto, si potrebbe affermare, essendo prevista la causa di servizio e l’infortunio lavorativo nelle lettere “b” e “c” dell’art. 2, la lettera “d” del medesimo articolo non potrebbe che far riferimento a stati patologici riconosciuti diversi dai precedenti.

Ci si chiede: ma era proprio questo lo spirito dell’intervento normativo de quo? Appare coerente l’impostazione accennata alla luce dell’inasprimento dell’arco temporale di vigenza dell’obbligo di reperibilità (il cui effetto “deterrente” per l’assenteismo verrebbe in pratica “compensato” con una estensione rilevante dell’esenzione)?

O forse la lettera d), art. 2, quando parla di “invalidità riconosciuta” dovrebbe essere intesa come invalidità riferita (dice la norma, “sottesa o connessa”) a quegli stati invalidanti costituenti “sviluppo” di già certificate patologie riferite a cause di servizio o infortuni sul lavoro?

Se d’altronde si fosse voluta estendere l’esenzione in argomento a tutti i dipendenti colpiti da stati patologici purchè oggetto di una “invalidità riconosciuta” ovvero certificata da strutture a ciò deputate (ASL, Commissioni Medico Ospedaliere, INAIL, ecc.) - secondo l’interpretazione rappresentata - non si comprenderebbe la ragione della distinzione operata dalla norma quanto a patologie connesse al servizio (infortunio sul lavoro, causa servizio) e patologie ad esso scollegato.

Sarebbe stata sufficiente, unicamente, infatti, la previsione di cui alla lettera d) dell’art. 2 del Decreto proprio perché omnicomprensiva di ogni “invalidità riconosciuta”, ciò secondo l’indicata opzione esegetica.

Di qui, allora, la conclusione circa la non condivisibilità della impostazione estensiva in argomento, dovendosi più correttamente ritenere che l’ipotesi di cui all’art. 2, lett. d), contempla unicamente quegli stati patologici sottesi o connessi a tecnopatie oggetto di apposito riconoscimento (ovvero esclusivamente quelle legate al servizio come l’infortunio lavorativo e la causa di servizio) e, in definitiva, aggravamenti e “sviluppi” di queste debitamente certificati.