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Il dovere di consultare i popoli indigeni artici: aspetti comparati di diritto norvegese, finlandese e svedese

Popoli indigeni artici
Popoli indigeni artici

Una delle questioni fondamentali concernenti la protezione e promozione dei popoli indigeni artici è quella della loro preventiva consultazione rispetto all’assunzione di decisioni che li riguardano. Può dunque essere interessante un confronto tra le discipline rilevanti nei Paesi nordici, i quali presentano molti elementi comuni sul piano ordinamentale, tanto è vero che si parla correntemente di una famiglia o tradizione giuridica scandinava[1], ma che, nello stesso tempo, mantengono non trascurabili aspetti di differenziazione.

Ciò vale, in particolare, per i profili di diritto costituzionale comparato; e infatti, è stato efficacemente osservato che «In Nordic comparison, difference may look remarkable, however, in a European or even in global perspective the situation is different. It seems proper to conclude that the Nordic systems appear to form a distinct Family of Nordic Constitutional Law»[2]. Anche in questo caso, all’interno perciò della Nordic Legal Family, la comparazione serve a misurare le analogie e le divergenze tra gli ordinamenti, e verrà qui utilizzata per analizzare nel raffronto comparativo le normative di tre Paesi nordici, vale a dire Norvegia, Finlandia e Svezia.

Nelle società multiculturali, o quantomeno biculturali come avviene per i Paesi nordici sotto il profilo dei rapporti tra gli indigeni Saami e il resto della popolazione[3], è chiaro che il meccanismo della consultazione preventiva è volto a garantire la partecipazione delle comunità aborigene e il dialogo tra indigeni e non-indigeni. È altrettanto evidente, d’altro canto, che allo stato presente dell’evoluzione normativa nei Paesi anzidetti la consultazione dei popoli indigeni non si converte in una posizione di veto players, ossia non consente agli indigeni di avere the last say sulle decisioni che pure li riguardano direttamente[4].

Sul piano del diritto internazionale[5], i diritti di consultazione e partecipazione dei popoli indigeni, quali attuazione dei principi della democrazia partecipativa e deliberativa, sono affermati soprattutto dagli articoli 6 e 7 della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 del 1989 sui diritti dei popoli indigeni e tribali[6], come anche dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni del 2007[7].

Una espansione della tutela apprestata dalle fonti internazionali alle comunità aborigene, sotto il profilo del dovere di consultare i popoli indigeni, è poi rappresentata dal diritto a esprimere il consenso previo, libero e informato (Free, Prior and Informed Consent, FPIC) dei popoli medesimi. La relativa previsione è contenuta nell’articolo 19 della (sopra menzionata) Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni, dove si afferma che «States shall consult and cooperate in good faith with the indigenous peoples concerned through their own representative institutions in order to obtain their free, prior and informed consent before adopting and implementing legislative or administrative measures that may affect them». La nozione del FPIC è, però, alquanto controversa, e comunque di difficile attuazione[8].

Con specifico riguardo al diritto dei popoli indigeni di essere preventivamente consultati, un ruolo importante è stato svolto dalla innanzi citata Convenzione OIL n. 169/89, la quale peraltro è stata ratificata, tra i tre Stati nordici oggetto della presente analisi, unicamente dalla Norvegia (nel 1990). La Convenzione, comunque, ha avuto una (implicita) funzione propulsiva nell’ottica del perfezionamento della tutela dei popoli indigeni anche in Finlandia e Svezia. Ciò risulta dal fatto che non soltanto in Norvegia, ma anche in Finlandia, una apposita legislazione in subiecta materia è stata adottata, rispettivamente, nel 2005 e nel 1995, mentre in Svezia è ancora in corso di discussione l’approvazione di un provvedimento legislativo ad hoc.

Quanto alla Norvegia, sono stati adottati due Accordi di consultazione con il popolo Saami. Si tratta dell’Accordo di consultazione c.d. di base, la cui denominazione per esteso è «Procedure per la Consultazione tra le autorità statali e il Parlamento Saami», approvato nel maggio 2005[9]. L’Accordo in questione è stato sottoscritto dal Ministero per il governo locale e la modernizzazione con il Parlamento Saami. L’Accordo medesimo è stato, quindi, recepito nel giugno 2005 dal Parlamento Saami. Con decreto reale l’Accordo in esame è stato, quindi, esteso ai governi regionali e alle imprese pubbliche.

Successivamente, nel gennaio 2007, un Accordo di contenuto più specifico è stato sottoscritto dal Ministero per l’ambiente e il Parlamento Saami. Esso riguarda la consultazione delle comunità indigene nelle aree di tradizionale insediamento dei Saami (c.d. Consultation Agreement on Conservation). Una importante applicazione del meccanismo istituzionale di consultazione previa delle comunità indigene si è avuta in occasione dell’approvazione del Finnmark Act (norv. Finnmarksloven) del 2005, che riconosce ampi diritti fondiari ai Saami nella Contea nord-norvegese di Finnmark[10].

Con riferimento alla Finlandia, il dovere di consultare le comunità Saami ha una fonte legislativa. Tale dovere sussiste soltanto in una parte della Finlandia, ovvero la c.d. Saami homeland nell’estremo nord del Paese. La Costituzione finlandese del 1999 attribuisce ai Saami diritti linguistici, culturali e di autogoverno, limitatamente però alla menzionata area, secondo le previsioni di cui al comma 3 dell’articolo 17 e al comma 3 dell’articolo 121 della Legge fondamentale[11]. Le disposizioni di rango superprimario finlandesi sono riprese e sviluppate nella legge sul Parlamento Saami n. 974 del 1995, la quale all’art. 9 contempla il dovere di consultare i popoli indigeni, ossia appunto i Saami.

Circa infine la Svezia, la situazione è differente sia rispetto a quella norvegese che a quella finlandese.

Questo perché nell’ordinamento svedese non troviamo accordi o atti legislativi che prevedono il dovere di consultazione dei popoli indigeni (Saami).

Vi sono stati, però, tentativi di legiferare in materia. Una prima iniziativa risale al 2009, ma non ha avuto successo, venendo criticata sia dal Parlamento Saami (che giudicò il progetto troppo limitato) che da esponenti del mondo politico non-indigeno (per i quali il progetto, al contrario, era eccessivamente “generoso” nei confronti del Saami). Una seconda iniziativa legislativa è stata avviata nel 2017, ma non è pervenuta (finora) a conclusione, cosicché in Svezia manca tuttora una espressa previsione normativa sul dovere di consultazione dei popoli indigeni, dal momento che non si è neppure concluso il percorso per l’approvazione definitiva della Nordic Saami Convention[12] che invece contempla il suddetto dovere[13].

Il modello svedese, quale sub-modello nordico, si caratterizza, inoltre, per le peculiari modalità di consultazione delle popolazioni indigene dei Saami da parte delle società commerciali. Queste ultime, infatti, per realizzare determinati progetti industriali, nelle aree di tradizionale insediamento dei Saami, devono in alcuni casi consultare i rappresentanti delle comunità aborigene. Il codice ambientale svedese del 1998, in particolare, include anche i Saami tra i soggetti (individuali e collettivi) interessati da consultare prima di attuare programmi industriali che hanno impatto sull’ambiente. In questo caso, d’altro canto, la tutela degli indigeni attraverso la consultazione (in svedese, samråd) è soltanto indiretta, cioè mediata dalla protezione diretta dei beni ambientali. La legge mineraria (minerallag) della Svezia, adottata nel 1991[14], prevede a sua volta la possibile, e non obbligatoria, consultazione delle comunità indigene interessate dalla realizzazione di progetti estrattivi. Si tratta, quindi, di un livello di protezione delle comunità aborigene minore rispetto a quello contemplato dal codice ambientale.

Tuttavia, il grado di protezione offerto dalla legge mineraria si è in parte elevato a seguito degli emendamenti introdotti nella legge medesima nel 2014, in forza dei quali è ora richiesto alle società commerciali di sottoporre il piano di lavoro (arbetsplan)[15] ai rappresentati delle comunità indigene Saami, che possono quindi presentare le loro osservazioni scritte[16]. Le comunità indigene possono, altresì, chiedere la traduzione del piano di lavoro nella lingua Saami[17]. Se, però, non si raggiunge l’accordo tra la società commerciale e la comunità indigena circa la realizzazione delle attività estrattive nelle terre abitate dai Saami, l’Ispettore capo delle miniere può comunque autorizzare la realizzazione del piano di lavoro aziendale[18].

A un esame comparativo delle esperienze sopra esaminate, emerge che il livello più elevato di tutela delle popolazioni indigene artiche sotto il profilo dell’affermazione del dovere di consultazione delle popolazioni medesime è da attribuire alla Norvegia. Questo perché, da un lato, il dovere di consultazione si estende all’intero territorio nazionale, e, dall’altro lato, in quanto il Parlamento Saami della Norvegia presenta il grado maggiore di autonomia e influenza rispetto agli organi corrispondenti creati in Finlandia e Svezia. Specularmente ai punti di forza dell’ordinamento norvegese, sotto il profilo in esame, vi sono i punti di debolezza del sistema normativo finlandese.

E, infatti, il dovere di consultazione delle comunità Saami si applica soltanto a una porzione del territorio, quella più settentrionale e meno abitata del Paese. Inoltre, il Parlamento Saami della Finlandia si trova in condizioni di ristrettezza, soprattutto per la scarsità dei finanziamenti ricevuti, che sono i più bassi tra i tre Parlamenti Saami (di Norvegia, Finlandia e Svezia). In definitiva, se è vero che la Finlandia ha iniziato a disciplinare l’aspetto analizzato nel presente contributo prima di Norvegia e Svezia, certamente la normativa attualmente vigente in Norvegia sopravanza per livello di protezione, sia come law in the books che come law in action, quella della Finlandia.

Quanto alla Svezia, la consultazione delle comunità indigene è soltanto devoluta alla sfera di attività delle aziende private, limitatamente alle tematiche ambientali e, in particolare, per i progetti minerari. Si tratta, all’evidenza, di una situazione deteriore, ovviamente dal punto di vista della protezione dei popoli indigeni artici, sia rispetto al diritto norvegese che a quello finlandese. Nell’ordinamento svedese, inoltre, non vi è, sotto il profilo del dovere di consultazione, una distinzione tra la condizione dei popoli indigeni e quella degli altri stakeholder, cosicché si è recentemente parlato di una sorta di “ipocrisia istituzionale”, esercitata da parte delle autorità pubbliche, nei confronti della popolazione indigena Saami[19].

Inoltre, il dovere di consultare i popoli indigeni artici riceve maggiore protezione in Norvegia, piuttosto che in Finlandia e Svezia, nella misura in cui la Convenzione OIL n. 169/89 è stata incorporata nel diritto norvegese[20], a differenza che nei sistemi giuridici finlandese e svedese. Poiché l’approccio dei Paesi scandinavi nei confronti del diritto internazionale è di tipo dualistico, ne deriva che – diversamente che in Norvegia – in Finlandia e Svezia le disposizioni della Convenzione OIL n. 169/89 non pongono vincolo alcuno.

Infine, si evidenzia che le differenze tra le discipline nazionali nella materia de qua sono di particolare rilevanza, e possono determinare effetti negativi sulle comunità indigene artiche, dal momento che si tratta di popolazioni che vivono “a cavallo” dei confini statali, e quindi vi è il rischio di soluzioni diverse per problematiche analoghe. Si pensi, per esempio, all’allevamento tradizionale delle renne, oppure alla pesca nelle acque sia interne che marine, attività che si svolgono sia in Norvegia che Finlandia e Svezia da parte dei Saami, ma con regolamentazioni non omogenee. Da qui, l’esigenza di prevedere, in aggiunta alle FPIC “domestiche”, forme di consultazione indigena transfrontaliera, sul modello nordamericano (canadese e statunitense)[21].

 

[1] V., in Italia, P. Bianchi, Gli ordinamenti scandinavi, in P. Carrozza, A. Di Giovine, G.F. Ferrari (cur.), Diritto costituzionale comparato, t. I, Roma-Bari, Laterza, 2019, 2ª ed. (4ª rist.), p. 327 ss.; F. Duranti, Gli ordinamenti costituzionali nordici. Profili di diritto pubblico comparato, Torino, Giappichelli, 2009; A. Simoni, F. Valguarnera, La tradizione giuridica dei Paesi nordici, Torino, Giappichelli, 2008.

[2] Così J. Husa, Nordic reflections on Constitutional Law. A Comparative Nordic Perspective, Frankfurt am Main, Lang, 2012, p. 178.

[3] In realtà, oltre ai Saami, vi sono ulteriori micro-minoranze etnolinguistiche nell’Europa del Nord; v. M. Aikio, The Kven and cultural linguistic pluralism, in Acta Borealia. A Nordic Journal of Circumpolar Societies, 1989, n. 1, p. 86 ss.; S. Pietikaïnen et al., Regulating Multilingualism in the North Calotte: The Case of Kven, Meänkieli and Sámi Languages, ivi, 2010, n. 1, p. 1 ss.; H. Öst, Recent Legal Developments in Sweden: What Effect for Finnish and Meänkieli Speakers?, in European Yearbook of Minority Issues, 2013, p. 563 ss.; M. Keränen, Language maintenance through corpus planning – the case of Kven, in Acta Borealia. A Nordic Journal of Circumpolar Societies, 2018, n. 2, 176 ss.; L. Elenius, The dissolution of ancient Kvenland and the transformation of the Kvens as an ethnic group of people. On changing ethnic categorizations in communicative and collective memories, ibidem, 2019, n. 2, p. 117 ss.; A.-F. Hivert, A la rencontre des Skogfinn, peuple des forêts scandinaves, in Le Monde, 25-1-2018 (sui c.d. Forest Finns). Per un quadro generale, v. P.A. Kraus, P. Kivisto (Eds.), The Challenge of Minority Integration Politics and Policies in the Nordic Nation, Berlin, De Gruyter, 2015. Comparativamente, la resistenza al c.d. monismo linguistico dominante è stata (almeno in parte) migliore da parte dei Saami.

[4] Sulle varie forme – sia istituzionali che informali – di consultazione, coordinamento e collaborazione tra Stati artici – esclusa la Russia – e popoli indigeni del Circumpolar World, v. K.S. Coates, E.G. Broderstad, Indigenous Peoples of the Arctic: Re-taking Control of the Far North, in K.S. Coates, C.Holroyd (Eds.), The Palgrave Handbook of Arctic Policy and Politics, Cham, Palgrave Macmillan, 2020, p. 9 ss.

[5] Ovvero, meglio, del diritto internazionale dei diritti indigeni, su cui v., con specifico riguardo alla regione polare artica, D. Newman, International Indigenous Rights Law and Contextualized Decolonization of the Arctic, in K.S. Coates, C.Holroyd (Eds.), The Palgrave Handbook of Arctic Policy and Politics, cit., 427 ss.

[6] V., con specifico riguardo ai diritti nordeuropei/scandinavi, T. Joona, ILO Convention No. 169 in a Nordic Context with Comparative Analysis: An Interdisciplinary Approach, Rovaniemi, Lapland University Press, 2012.

[7] Sulla quale v., per es., I. Bellier et. al., Les droits des peuples autochtones. Des Nations unies aux sociétés locale, Paris, L’Harmattan, 2017, e ivi sub cap. 1, Un document sui generis: La Déclaration sur les droits des peuples authoctones, p. 25 ss.

[8] V. L. Heinämäki, Global Context – Arctic Importance: Free, Prior and Informed Consent, a New Paradigm in International Law Related to Indigenous Peoples, in T.M. Herrman, T. Martin (Eds.), Indigenous Peoples’ Governance of Land and Protected Territories in the Arctic, Cham, Springer, 2016, p. 209 ss.

[9] Nei tre Paesi nordici, oggetto del presente contributo, sono stati istituiti, con funzioni di tutela dell’autonomia culturale, i Parlamenti Saami; v. A. Stępień, S. Petrétei, T. Koivurova, Sámi Parliaments in Finland, Norway, and Sweden, in T.H. Malloy, A. Osipov, B. Vizi (Eds.), Managing Diversity Through Non-Territorial Autonomy – Assessing Advantages, Deficiences, and Risks, New York, Oxford University Press, 2015, 117 ss.

[10] V., per un esame dettagliato, M. Mazza, The Protection of Saami (Land) Rights in Finnmark: A Comparative Assessment, in G.F. Ferrari (Ed.), Two Centuries of Norwegian Constitution: Between Tradition and Innovation, The Hague, Eleven, 2015, p. 159 ss.

[11] V., si vis, M. Mazza, Aurora Borealis. Diritto polare e comparazione giuridica, Bologna, Filodiritto, 2014, p. 232 ss.; non viene, invece, riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, a parte peraltro il paradosso che si verrebbe a creare con l’autodeterminazione determinata dallo Stato, argomento quest’ultimo sul quale v., per es., A. Cepinskyte, Security of Indigenous peoples in Russia’s Arctic policy: Exposing the oxymoron of state-determined self-determination, in Arctic Yearbook 2019, all'indirizzo Web https://arcticyearbook.com, e-pp. 1-17.

[12] Sulla quale v. N. Bankes, T. Koivurova (Eds.), The Proposed Nordic Saami Convention. National and International Dimensions of Indigenous Peoperty Rights, Oxford-Portland, Hart, 2013.

[13] Il testo finale della Nordic Saami Convention, dopo negoziati durati sei anni, è stato pubblicato nel 2017, ma è ancora all’esame dei Governi nazionali di Norvegia, Finlandia e Svezia¸ v. L.S. Vars, Sápmi, in D.N. Berger (Ed.), The Indigenous World 2019, Copenhagen, International Work Group for Indigenous Affairs-IWGIA, 2019, sub Constitutional recognition and the Sámi Convention, pp. 54-55. Sápmi è la denominazione (nella lingua) indigena della parte settentrionale della Scandinavia, nonché della Penisola di Kola, ossia delle terre di tradizionale insediamento dei Saami; si può, alternativamente, parlare di parti settentrionali della Fennoscandia, id est la Lapponia (quest’ultimo termine, però, riveste un significato dispregiativo, in quanto lapp in svedese significa «toppa», e quindi persone «di pezze»). Si veda, sulla concezione Saami di “patria”, S. Tervaniemi, P. Magga, Belonging to Sápmi – Sápmi conceptions of home and home region, in T. Hylland Eriksen, S. Valkonen, J. Valkonen (Eds.), Knowing from the Indigenous North. Sámi Approaches to History, Politics and Belonging, London-New York, Routledge, 2019, p. 75 ss.

[14] Legge n. 45 del 1991, in vigore dal 1° luglio dello stesso anno; essa è completata dall’ordinanza mineraria (sved. mineralförordning) n. 285 del 1992, vigente dal 1° luglio di quell’anno (per una introduzione alle istituzioni della Svezia, comprensiva delle fonti del diritto, sia consentito rinviare a M. Mazza, Diritto pubblico svedese. Linee prospettiche, Bergamo, Bergamo University Press, 2013, Coll. Cooperazione internazionale, n. 8, e ivi v. spec. cap. III, p. 37 ss., su leggi costituzionali, ordinarie e fonti normative di rango secondario, queste ultime inclusive di ordinanze e decreti).

[15] V. l’art. 5 della legge mineraria; la trad. ingl. è disponibile nel sito Internet www.sgu.se, a cura del Geological Survey of Sweden/sved. Sveriges geologiska undersökning-SGU, agenzia governativa con sede principale a Uppsala.

[16] In conformità al vigente art. 5b della legge menzionata nella nota che precede.

[17] In base all’art. 5b della legge mineraria (dopo le modificazioni del 2014).

[18] Sui poteri del Chief Mining Inspector v. l’art. 5d della legge ora in esame. Il Mining Inspectorate fa parte del SGU (supra, nt. 15), ha sede a Luleå ed è titolare delle competenze in materia di rilascio dei permessi per esplorazione ed estrazione mineraria.

[19] V. U. Mörkenstam, Organised hypocrisy? The implementation of the international indigenous rights regime in Sweden, in International Journal of Human Rights, 2019, p. 1718 ss.

[20] V. ante.

[21] Cfr. D. Newman, M. Giacchetto, Recent Developments on Transboundary Indigenous Consultation Issues, 2019, documento disponibile online nell'Archivio di pubblicazioni elettroniche dell'Università della Lapponia (con sede a Rovaniemi, in Finlandia), all'indirizzo https://lauda.ulapland.fi, dove si trovano aggiornati riferimenti a questioni indigene transfrontaliere tra Alaska (USA) e Canada.