Referendum eutanasia: la Consulta lo ritiene inammissibile

referendum eutanasia inammissibile
referendum eutanasia inammissibile

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull'eutanasia legale. La depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, dichiara la Consulta, è stata bocciata poiché "a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili".

Filodiritto propone un articolo di Enrico Maestri del settembre scorso che spiega le due ragioni che avrebbero ostacolato il processo di legalizzazione.

 

Sulla laicità insaziabile

La laicità contemporanea, che nel titolo ho chiamato laicità insaziabile intendendo con questa espressione la tesi che la laicità per mezzo dei diritti è diventata uno strumento insaziabile, divoratore dello spazio pubblico e della stessa autonomia morale, nella fase della sua istituzionalizzazione non riesce a garantire le premesse e le promesse su cui si regge.

La mia tesi consiste nell’affermare che il concetto normativo (etico e giuridico) di laicità ha subito un ampliamento (anziché un affinamento) dello spettro semantico e normativo rispetto al suo significato originario, con la conseguenza che la parola «laicità» si è arricchita di nuovi e più estesi contenuti normativi diventando una nozione vaga sotto il profilo semantico ed insaziabile sotto il profilo normativo. Io mi limiterò ad approfondire questa seconda criticità

Alla secolarizzazione del sacro nella sfera politica si è aggiunta, grazie al processo di razionalizzazione della modernità e di costituzionalizzazione degli Stati odierni, la secolarizzazione sia della morale, sia della cultura e sia del diritto (si parla oggi spesso in modo apodittico di morale laica, di diritto laico, di cultura laica, di bioetica laica), connotando in tal modo quasi inconsapevole la laicità come un concetto normativamente insaziabile.

Paradossalmente, alla massima espansione semantica del concetto di laicità (cioè alla sua voracità sottrattiva di contenuti dallo spazio pubblico, non necessariamente coincidente con lo spazio statuale) corrisponde un angusto spazio di operatività normativa:

la laicità contemporanea si connota come una laicità contenutisticamente sottile (thin) perché dal linguaggio normativo esercitabile nella sfera pubblica espelle le concezioni sostantive del bene (oltre che gli argomenti di Dio) e conserva solo la grammatica dei diritti individuali (priorità del giusto sul bene, libertà individuale, autodeterminazione, eguaglianza delle opportunità nell’esercizio dei diritti fondamentali costituzionali) e la grammatica della neutralità (fondata su autonomia, libertà individuale, deliberazione razionale).

Ci dobbiamo chiedere quindi in base a quali modalità e procedure giuridiche, la laicità insaziabile è in grado di applicare in maniera davvero inclusiva i diritti e le libertà fondamentali, cioè gli unici dispositivi normativi supportabili/sopportabili da una società liberale e capitalistica che ama esibire la propria secolarizzazione?

Intendo affrontare questo interrogativo, avvalendomi di due argomenti.

Il primo argomento affronta e critica la tesi della sottrazione dei valori e dei beni dalla sfera pubblica.

Se il nucleo originario di significato di laicità distingue tra credenze religiose e altri tipi di credenze morali, in questi ultimi anni si è assistito ad un ampliamento sottrattivo dei significati normativi della laicità: non solo le visioni comprensive assolute fondate sull’argomento di Dio (per esempio, il fondamento della dignità umana è l’idea teista che l’uomo è fatta a immagine e somiglianza di Dio, oppure il diritto alla vita è sacro perché la vita è un dono di Dio, ecc.) vengono sottratte dalla sfera pubblica ma da quest’ultima vengono sottratte anche le visioni spesse, comprensive e sostantive, dei beni morali: sebbene in queste teorie e dottrine normative non ci sia alcun riferimento a Dio lo slittamento semantico dell’idea della laicità implica l’espulsione dallo spazio pubblico di tutte le visioni spesse del bene: in questo modo perdono di rilevanza nella sfera pubblica tutte le teorie etiche spesse, come il naturalismo etico, l’etica delle virtù, la concezione del bene morale, l’etica dei beni fondamentali, l’etica della responsabilità, l’etica comunitaria, ecc.

Perché tutte queste teorie etiche sono state espulse dallo spazio pubblico? Perché esse dissimulerebbero l’argomento di Dio: in ciascuna di queste teorie, Dio rappresenterebbe il convitato di pietra.

Ora però questo slittamento semantico rappresenta un passaggio indebito perché confonde credenze morali che stanno su piani normativi diversi (diritti, virtù, beni, valori) e produce un allargamento del nesso tra stato e laicità dove quest’ultima è interpretata in chiave culturale o sociale.

Questo slittamento è causato dal fatto del pluralismo e prima di ogni altra cosa è legato all’influenza del dibattito scientifico-tecnologico, in particolare agli sviluppi in campo medico, alle innovazioni dell’ingegneria genetica, alle problematiche biomediche più recenti.

Si è così diffusa la convinzione che in questi anni si sia realizzata una rivoluzione biotecnologica tale da mettere in discussione la stessa idea di natura umana, con la tendenza a identificare la laicità come la libertà tout court nel senso che è laica l’opzione che permette il libero uso individuale delle possibilità di intervento tecnico-scientifico sulla propria base umana in vista dell’autorealizzazione personale.

Lo slittamento continua a lavorare in modo sottrattivo liberando il diritto degli individui ad autodeterminarsi (salvo il principio del danno) e a garantire la neutralità e l’equidistanza dello Stato.

Questo slittamento, però, risulta insaziabile, laddove si aggiunge alla classica distinzione laicità e religiosità, una ulteriore separazione: quella tra culture o etiche comprensive (ultimative, non politiche) e libertà individuale.

La questione della laicità va molto oltre il nesso religione-politica e la definizione degli ambiti dell’autorità religiosa e civile, per investire le questioni bioetiche, le teorie etiche che non si basano sui diritti, i problemi dell’evoluzione, dell’antropologia, della natura umana, del possibile schiudersi di una società post-secolare.

La laicità si trasforma allora in un atteggiamento intellettuale ritenuto intrinsecamente superiore e quindi meritevole di prevalere, ma si trasforma anche in una teoria normativa a sua volta comprensiva e spessa (thick) perché ritiene che l’autodeterminazione e la libertà individuale siano i valori ultimi non negoziabili, fatto salvo il principio del danno (non accorgendosi peraltro che il principio del danno è ormai principio obsoleto per garantire l’individuo dalle applicazioni delle nuove tecnologie).

 

Sulla doppia simmetria inclusiva dei diritti

Il secondo argomento affronta e critica la tesi della doppia simmetria inclusiva dei diritti.

Il processo implementativo di questo tipo di laicità avviene attraverso l’argomento fallace della doppia simmetria dei diritti e delle libertà individuali (negativi o positivi), ovvero che in forza del fatto del pluralismo si deve implementare nel maggior numero possibile una pluralità di opzioni incomparabili o incommensurabili attivando nella misura più ampia possibile le libertà fondamentali.

Il terreno previlegiato per sostenere questa doppia simmetria (o equivalenza morale e giuridica) è, oggi, per la laicità insaziabile, il terreno della bioetica e del biodiritto, in particolar modo della biogiuridica del fine vita.

La mia tesi è che questa doppia simmetria dei diritti e delle libertà individuali sarebbe possibile, equivalente e davvero inclusiva solo in un mondo perfetto, ideale, iperuranico, ma non nelle nostre società dove questa doppia simmetria (che ripeto implementerebbe la laicità contemporanea) si rivela invece illusoria, fallace, perché non tiene conto della presenza di asimmetrie sociali (prenormative) che pregiudicano il piano di vita di ogni persona, come se non esistesse una determinazione dell’uomo indipendente dalla forza e dal potere che ciascuno detiene.

Questa conclusione dimostra inoltre che:

- i sostenitori della laicità insaziabile rifiutano la tesi che vi sia un qualche bene che abbia un valore intrinseco; in pratica non c’è nulla di sacro (di inviolabile e di indisponibile) in senso laico o secolare; non esistono cioè valori intrinseci indipendenti dagli interessi e dalle preferenze delle persone;

- la tesi della doppia simmetria delle libertà fondamentali e dei diritti individuali fallisce in quanto conduce ad una forma di socializzazione fortemente sbilanciata a favore di una autarchia individuale più che di una rete di vincoli sociali (società asimmetrica);

- la tesi della doppia simmetria dissimula una visione antropologica sostantiva poiché riconosce talune proprietà della nostra natura umana anziché altre;

- la tesi della doppia simmetria si basa su un falso dogma e cioè che i diritti e le libertà fondamentali siano per loro natura inclusivi di tutti, in specie dei più svantaggiati.

In realtà la tesi laicista della doppia simmetria delle libertà individuali fondamentali non garantisce equidistanza e neutralità perché erra nel considerare i diritti sociali individuali come forme autentiche di autonomia e autodeterminazione: tutti i diritti richiedono, in una qualche misura, l’intervento delle istituzioni per garantirne le condizioni di possibilità, ma nel caso dei diritti sociali è assolutamente necessario (non ESSENDO diritti indipendenti) che sussistano ragioni sociali condivise, soggetti terzi che ne condividano lo scopo ed istituzioni che implementino il contenuto del diritto sociale in questione.

A mio avviso l’errore risiede nel pensare che i diritti hanno un eguale statuto normativo perché hanno dei costi; in realtà:

i diritti civili negativi (es. le “libertà da”) sono relativamente indipendenti dai costi sociali,

i diritti sociali positivi (es. la salute) sono assolutamente dipendenti dai costi sociali.

Fallisce con ciò la pretesa di simmetria nella scelta tra le due opzioni disponibili: la logica binaria tipica dei diritti, che si esprime nella dialettica tra lecito ed illecito, viene completamente riarticolata in questi termini:

puoi abortire o non abortire,

puoi pretendere l’eutanasia o non pretenderla,

puoi chiedere il suicidio assistito o non chiederlo,

puoi ricorrere alla fecondazione assistita oppure no,

puoi rifiutare le cure mediche di qualsiasi tipo oppure no,

puoi adottare oppure no indipendentemente dal tipo di nucleo familiare a cui appartieni,

puoi consumare pornografia o droga leggera oppure no, ecc. (gli esempi potrebbero essere infiniti, fatto salvo il principio del danno).

Semplicemente, non ci rendiamo conto che l’implementazione della doppia simmetria dei diritti istituzionalizza e generalizza socialmente un giudizio di (dis)valore in forza del quale a certe condizioni si può ricorrere a servizi sociali o a istituzioni che rendono effettivo quel giudizio.

Il giudizio che diamo di noi stessi diventa effettivo se e solo se la comunità sociale o lo stato hanno già legittimato quel giudizio; non siamo più di fronte ad un atto di coscienza personale, ad un autentico atto di autonomia, ma ad un atto di coscienza sociale o collettiva, ovvero siamo di fronte ad una pressione sociale dissuasiva delegittimante la scelta tra una delle due opzioni.

Non c’è alcuna simmetria bilaterale tra le due opzioni comprese nella scelta: rinunciare ad accedere alla pratica eutanasica è un atto di coscienza, pretendere l’eutanasia è la conferma di una prassi istituzionale che l’ha resa effettiva. La bilancia normativa non è per nulla in asse, ma pende a favore di quest’ultima opzione.

Né vale l’obiezione che questo giudizio non è coartato, cioè non è imposto da uno stato di polizia sui singoli cittadini ma è un giudizio che ognuno di noi esprime su stesso perché questa tesi non tiene conto del fatto che il giudizio personale per essere effettivo ha necessità di essere implementato e quindi istituzionalizzato: istituzionalizzare significa rendere legittima una pratica sociale; un giudizio sociale implica convalidare e forgiare una determinata forma di vita che la legge liberale ha considerato essere valutabile in termini di qualità e di proprietà personali possedute.

Né vale affermare che è razionale che tutti desiderino più libertà fondamentali nella misura più ampia possibile – l’unico limite alle libertà fondamentali è una massima eguale libertà – perché essi non sono obbligati ad accettarne di più se ne desiderano, né una persona soffre a causa di una maggiore libertà.

Ebbene, per quanto possa apparire controintuitivo, ciò è fuorviante, poiché non sembra cogliere il punto essenziale e cioè che qualunque vantaggio possa derivare a un individuo dall’esercizio di una libertà considerata in se stessa, questo vantaggio può essere superato dagli svantaggi che comporta per lui la distribuzione generale di quella libertà nella società di cui egli fa parte.

Il diritto non produce regole allo stesso modo con cui le potrebbe produrre un club dei suicidi: il diritto non può implementare una scelta se non ponderandone il peso in relazione a tutta la comunità. In tal senso l’assolutizzazione del controllo su stessi e sul proprio corpo potrebbe produrre una proporzionale svalutazione delle forme di vita implicanti una qualche misura di dipendenza nei confronti degli altri.

Federico Stella, uno dei più importanti penalisti italiani ha scritto: «Qualunque altra cosa si possa perciò dire a favore o contro ogni forma di eutanasia attiva, resta come punto fermo per ogni futura legislazione – un punto veramente “nevralgico” – l’impossibilità di trasformare il “diritto alla propria morte” in un “diritto all’omicidio”».