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Decisioni algoritmiche e ermeneutica giudiziale

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Decisioni algoritmiche e ermeneutica giudiziale
 

Il mondo digitale sta attraversando un mutamento di paradigma molto significativo, passando dalla vecchia affermazione “Code is law” a un nuovo mantra, “Algorithm is law”. In termini semplici, questo significa che l’automazione sta diventando sempre più importante nel mondo digitale, non solo nei processi tecnici, ma anche nell’assunzione decisionale.

Finora, il concetto di “code is law” ha dominato il mondo digitale. Questo principio afferma che il codice informatico è una legge, e che gli utenti devono rispettarla in modo automatico. In altre parole, il codice informatico contiene le regole necessarie per garantire la corretta esecuzione di un processo, e l’utente deve seguire questi canoni automaticamente per evitare che si verifichino errori.

Il concetto di “code is law” è stato elaborato dal professore di diritto Lawrence Lessig. Secondo Lessig, il codice informatico è diventato la “legge” che regola il comportamento online, poiché il modo in cui un sistema è programmato determina il comportamento degli utenti e le azioni che possono compiere.

In altre parole, ciò che le persone possono fare su una piattaforma digitale è deciso dal codice scritto, anziché dalle leggi o dalle regole del comportamento convenzionale. Ad esempio, se una piattaforma di social networking non consente alle persone di pubblicare contenuti che violano le direttive relative alla comunità, il codice scritto impedirà loro di farlo.

Il concetto di “code is law” è l’espressione di un pensiero verticale, deduttivo. Ciò significa che la regola o la legge viene stabilita dal vertice, ossia dal programmatore del codice, e viene seguita automaticamente dagli utenti. Il codice informatico è visto come una risorsa che garantisce la certezza giuridica e l’imparzialità nel mondo digitale.

Tuttavia, il rise of Big Data e dell’Intelligenza Artificiale ha portato a un nuovo mutamento di paradigma. Oggi, le regole non sono codificate direttamente nel codice, ma vengono generate da algoritmi che analizzano grandi quantità di dati per trovare le soluzioni migliori. Questa nuova affermazione, “l’algoritmo è la legge”, significa che l’automazione raggiunge nuovi livelli di complessità.

Per esempio, un algoritmo può analizzare i dati sulle prestazioni di un dipendente per aiutare a decidere se promuoverlo o meno. Questo significa che gli umani non sono più gli unici in grado di prendere decisioni, ma che gli algoritmi possono farlo meglio. Questo tipo di approccio è usato in molte aree, dalla raccomandazione di prodotti di Amazon al monitoraggio della frode con i dati degli utenti di PayPal.

Ma questo nuovo paradigma solleva anche alcune preoccupazioni. 

Innanzitutto, la trasparenza dell’algoritmo può essere un problema. I produttori dell’algoritmo possono decidere se rendere noti i dettagli del loro funzionamento o se mantenere segrete le informazioni

In secondo luogo, l’ossessione dell’algoritmo per la massimizzazione dei profitti può essere in conflitto con gli interessi degli utenti e della società

Inoltre, gli algoritmi spesso hanno lo stesso tipo di pregiudizi che hanno le persone. Gli algoritmi che analizzano i dati possono avere il loro tipo di pregiudizio, e questo può influenzare le decisioni che prendono. Ciò significa che gli algoritmi possono essere solo tanto giusti quanto gli umani che li creano e li programmano.

Eppure, il passaggio a “algorithm is law” rappresenta sicuramente un cambiamento significativo nel modo in cui pensiamo all’automazione e alla decisione. Questo mutamento rispecchia anche un pensiero laterale, abduttivo e sorprendente.

Il pensiero laterale (o “out of the box”) è un tipo di pensiero creativo che cerca di trovare soluzioni non convenzionali o “fuori dagli schemi”. Questo tipo di pensiero è sempre stato cruciale nello sviluppo tecnologico, poiché molte innovazioni sono state create da individui che hanno abbracciato un pensiero laterale e hanno ideato soluzioni sorprendenti e abduttive.

L’Intelligenza Artificiale, o AI, è stata nell’ultimo decennio una delle più grandi innovazioni tecnologiche e rappresenta un grande esempio nel discorso della capacità di pensiero laterale. L’AI ha l’abilità di utilizzare dati e algoritmi per trovare soluzioni di problemi che in passato erano impensabili, e il suo modo di elaborare queste soluzioni è spesso sorprendente e apparentemente “fuori dagli schemi”.

Tuttavia, molti studiosi si ostinano ancora a negare questa capacità all’intelligenza artificiale, sostenendo che il “pensiero” dell’IA non è altro che un calcolo matematico. Alcuni addirittura si preoccupano che l’IA possa prendere decisioni lontane dalla razionalità umana, e che possa influenzare il comportamento delle persone in modo imprevedibile e poco trasparente.

In realtà, gli algoritmi usati dall’IA spesso implicano un’elaborazione di dati complessa e sorprendente, che può portare a risultati creativi e imprevisti, esattamente come nei casi giudiziari decisi attraverso il ragionamento abduttivo

L’intelligenza artificiale decisionale procede attraverso due tipi di ragionamento: 

il ragionamento induttivo: probabilistico-statistico-bayesiano, e 

il ragionamento abduttivo: ampliativo, indiziario e presuntivo

Esattamente come un giudice umano, il quale non sillogizza quasi mai, se non nei casi facili, ma argomenta la sua decisione giustificandola con ragioni inconclusive, cioè opinative, probabilistiche e abduttive, allo stesso modo procede l’intelligenza artificiale basata su algoritmi decisionali (ADM, algorithm decision making).

I giuristi di diritto positivo cercano di rassicurare la loro comunità affermando solitamente che l’intelligenza artificiale (d’ora in poi IA) non sarà in grado di sostituire il giudice umano, al più lo potrà supportare nel suo lavoro esecutivo/istruttorio.

Oppure affermano la tesi secondo la quale dopo tutto anche la tecnica più sofisticata è una creazione dell’uomo e che sarà sempre l’uomo che avrà l’ultima parola. Si tratta di una distinzione alquanto sempliciotta e banale, che non rende conto di tutte le sfaccettature della questione.

Tali tesi si basano sull’assunto che il linguaggio dell’IA sia formale e binario, mentre il linguaggio giudiziale è fuzzy, equitativo, contestualista, defettibile, circolare

Al limite, una IA giudiziale è pensabile solo limitatamente come bocca della legge: come mera esecutrice di un sistema deduttivo input - output. Insomma, se proprio esisterà un giudice IA questo sarà solo un giudice naive sillogista, cioè l’esito di un pensiero verticale e lineare che poco si accorda con la natura del ragionamento giudiziale. 

In accordo con il paradigma Algorithm is law, io sostengo una tesi diversa, in forza della quale 

(1) l’IA non è un mero sistema esperto input/output e 

(2) il suo linguaggio è generativo e predittivo sorprendente (cioè genuinamente abduttivo).

Ne consegue che a mio avviso l’IA è paradossalmente il miglior giudice ermeneutico e mediatore che si possa immaginare. Io affermo tale analogia sul fatto che sia nell’ermeneutica giuridica sia nell’intelligenza artificiale il valore più immediato in base a cui giudicare una interpretazione è quello della pertinenza, cioè un criterio che presuppone la preesistenza di quel che conta.

È noto a tutti che nel ragionamento giuridico di segno ermeneutico uno dei canoni interpretativi per eccellenza è considerata l’analogia cioè un criterio che si sviluppa, come ben sappiamo, non per deduzione ma per una sorta di progressiva assimilazione. Esattamente come nell’intelligenza artificiale dove una volta individuato un frame, cioè uno stereotipo, il movimento di pensiero che gli ruota attorno rappresenta un tentativo di assimilare ogni input computazionale presente al preesistente centro strutturale del frame

Sia nell’ermeneutica giuridica, tanto cara alla classe giudiziaria contemporanea, sia nell’intelligenza artificiale, la varietà e l’imprevedibilità interpretative sono applicazioni di testi, o di parametri o di messaggi preesistenti nei frames di riferimento.

A ben vedere dunque l’ermeneutica giuridica che tanto va per la maggiore nella comunità giuridica degli interpreti appare più riduttiva dell’intelligenza artificiale: mentre quest’ultima davvero genera decisioni attraverso criteri assimilativi per somiglianza, l’ermeneutica giuridica invita ad interpretare l’istanza presente con il passato, cioè con la tradizione e con l’esperienza

Inoltre, gli algoritmi dell’IA hanno l’abilità di apprendere e migliorare dalle loro esperienze, il che li rende ancora più creativi e capaci di elaborare soluzioni sorprendenti e abduttive.

Il passaggio a “algorithm is law” non rappresenta solo un mutamento tecnologico, ma anche un cambiamento di pensiero verso un approccio laterale e sorprendente alla soluzione di problemi. Questa capacità è dimostrata dall’Intelligenza Artificiale, che mostra un grande potenziale creativo e abduttivo nell’elaborazione di soluzioni innovative.

In conclusione, “Algorithm is law” è il segno del rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale e dell’automazione. Sebbene ci sia una preoccupazione comune sulla trasparenza e l’imparzialità degli algoritmi, il lavoro diligente di esperti in machine learning, scienze della computazione e diritto digitale potrebbero aiutare a garantire un futuro tecnologico del diritto finalmente più equilibrato e più giusto per tutti