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Giustizia riparativa e popoli indigeni artici: l’esempio dell’Alaska (USA)

l’esempio dell’Alaska (USA)
popoli indigeni artici
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1.Il fatto che gli indigeni siano sovrarappresentati nella popolazione carceraria, per esempio negli ordinamenti giuridici di Australia, Canada e Stati Uniti d’America[i], è da porre in stretta relazione con l’ulteriore fatto che i sistemi giudiziari c.d. mainstream non riflettono la conoscenza tradizionale degli aborigeni, essendo focalizzati sull’irrogazione di punizioni senza considerare, invece, gli approcci alla giustizia riparativa[ii] e alla “guarigione”[iii] che sono propri delle comunità autoctone. Se, però, si vuole andare incontro alle necessità delle popolazioni indigene, e individuare nel contempo le forme più appropriate di risoluzione delle controversie, allora occorre ripensare i sistemi giudiziari. Se si ammette, infatti, che il reato causa un danno, questo, oltre ad essere punito, deve essere riparato per “sanare le ferite”. La giustizia può essere, oltreché sanzionatoria, anche riparatrice e, come tale, riconoscere che gli “attori” del conflitto devono partecipare alla sua soluzione[iv].

Nuovi insegnamenti possono provenire dai modelli indigeni di giustizia riparativa (o restaurativa, oppure riconciliativa[v]), che sono finalizzati a una (“cura” e) “guarigione” olistica[vi]. La giustizia indigena funge da orientamento e comprensione dei meccanismi della giustizia riparativa e offre strumenti concettuali per lo studio degli stessi sistemi giuridici punitivi. La riflessione sulla giustizia indigena ci permette di comprendere meglio gli istituti tipici della c.d. giustizia riparativa e, quindi, i sistemi giuridici di tipo vendicatorio[vii]. La giustizia indigena diventa un capitolo, certamente ricco di stimoli intellettuali, dello studio dei sistemi giuridici comparati e delle teorie della giustizia, nonché dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie (recte: dei c.d. metodi comunitari/sti di risoluzione dei conflitti[viii], ispirati al brocardo iudicium vitandum est) ovvero, quantomeno, dei percorsi paralleli e/o integrativi (c.d. blending justice[ix]) rispetto a quello “abituale” della giustizia penale (in cui predomina l’individualismo, caratteristico della tradizione liberale). La concezione della pena simmetrico-retributiva, finalizzata alla punizione del reo, nonché il connesso “raddoppio del male”[x], trovano un’alternativa, o forse meglio un correttivo, nell’idea del “delitto riparato”[xi] e della composizione con la vittima, propria della giustizia riparativa[xii]. Né va disconosciuto l’apporto della restorative justice[xiii] indigena qualora si ipotizzi l’introduzione, magari con taglio comparatistico, della giustizia riparativa come materia di studio autonoma nell’ambito della formazione universitaria di tipo giuridico[xiv].

L’integrità della conoscenza indigena dipende dal mantenimento del legame con la terra, ed è tipicamente dinamica, olistica e intergenerazionale. La risoluzione delle controversie presso le comunità indigene fa ricorso alla giustizia riparativa, la quale a sua volta è correlata alla sostenibilità della conoscenza tradizionale indigena. In particolare, l’armonia è essenziale per la sopravvivenza stessa delle comunità indigene. Preso atto di ciò, le pratiche culturali, la conoscenza tradizionale indigena, nonché, appunto, i sistemi tradizionali di giustizia riparativa sono, per un verso, interconnessi, e, per altro verso, necessari per garantire il controllo sociale e, quindi, in definitiva, per assicurare il mantenimento dell’armonia.

Il c.d. processo di guarigione è al centro del funzionamento delle tradizioni indigene sulla risoluzione delle controversie, ossia della giustizia riparativa aborigena. Un ruolo fondamentale è svolto, altresì, dall’educazione impartita dai genitori ai figli, affinché acquisiscano il senso del dovere e della responsabilità verso la comunità, e dunque per il mantenimento dell’armonia. Questa, infatti, è la premessa dell’impatto positivo dei sistemi di giustizia riparativa fondati sulla conoscenza tradizionale.

La pratica della giustizia riparativa indigena considera il reato non tanto come un atto contro lo Stato e la legge, ma contro l’individuo e la comunità. La giustizia riparativa si basa su una filosofia olistica. Il diritto consuetudinario indigeno comprende regole non scritte, che si apprendono attraverso l’esempio, e specialmente per il tramite degli insegnamenti orali degli anziani. Da essi deriva il convincimento che il reato crea un danno, ma anche che il sistema giudiziario può essere veicolo non di punizione, bensì di “guarigione”. Per tal modo, in definitiva, la giustizia riparativa indigena diventa una metodologia di guarigione, che riguarda non soltanto il reo, ma altresì la vittima e l’intera comunità. Né è estranea, ovviamente, a tale peculiare metodo di risoluzione delle controversie lo scopo di ridurre la recidiva.

 

2. – L’esperienza dell’Alaska è, al riguardo, rilevante[xv]. Attraverso i finanziamenti concessi dall’Alaska Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention, che a sua volta si avvale delle risorse economiche messe a disposizione dall’Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention, sono state realizzate due tipologie di organi di giustizia riparativa indigena, ossia le Tribal Healing to Wellness Courts e il Circle Peacemaking[xvi].

Quanto alle prime[xvii], esse traggono origine dalle c.d. drug courts create negli Stati Uniti durante gli anni ottanta del secolo scorso[xviii]. Con decisione dell’agosto 1997, il Department of Justice degli USA, e più in particolare il Drug Court Program Office del Dipartimento medesimo, avviarono iniziative per costituite (e adattare) le drug courts presso le comunità indigene[xix]. Le popolazioni aborigene, infatti, sono specialmente esposte ai pericoli dell’alcolismo, con conseguenze quali commissione di reati e incarcerazioni. Le drug courts, in tali contesti, devono affrontare i problemi di abuso di sostanze e dei trattamenti di riabilitazione tenendo conto della cultura e delle tradizioni autoctone. Tra di esse, vi è sicuramente l’approccio che favorisce la” guarigione”, sia fisica che spirituale, degli individui e della comunità. Il ricorso alla giustizia riparativa indigena ha ridotto, in certi anni anche del 50 per cento, i casi di recidiva[xx]. Inoltre, vi sono conseguenze pratiche non trascurabili. Il wrongdoer che ha seguito il percorso della giustizia riparativa, una volta concluso il percorso medesimo non va più incontro ad alcuna conseguenza pregiudizievole, per esempio sul versante lavorativo ovvero su quello abitativo[xxi]. Il reo può, così, sperimentare il suo “aha!” moment[xxii].

I rappresentanti degli indigeni, pur consapevoli della derivazione dei meccanismi di risoluzione delle controversie introdotti nell’estate del 1997 dal c.d. Drug Court Movement, preferirono tuttavia adattare la denominazione dei nuovi programmi di giustizia riparativa alle specificità tribali, in modo da tenere conto sia del fatto che spesso si tratta di crimini legati all’abuso di alcol, sia anche del fatto che il concetto di “guarigione” è tipico delle culture autoctone. Si sono così utilizzate varie formulazioni, quali Wellness Court, Healing Court, Treatment Court, Substance Abuse Court, Alternative Court, ovvero altre ancora, espresse nelle varie lingue indigene. Prevale, però, la denominazione Tribal Healing to Wellness Court (THWC), che fa cenno a due concetti chiave della cultura tradizionale indigena, ossia la guarigione e il benessere, come nozioni sempre in divenire (c.d. ongoing journey). In ogni caso, i documenti predisposti nel luglio 1999 dal Tribal Law and Policy Institute (TLPI) in collaborazione e consultazione con il Tribal Advisory Committee for the Tribal Healing to Wellness Courts, sono consistiti in una riedizione con integrazioni e adattamenti del preesistente materiale già elaborato nel 1996-1997 dalla National Association of Drug Court Professionals (NADCP). Il TLPI si è avvalso, altresì, del supporto dell’Office of Justice Programs dello U.S. Department of Justice.

Durante la pandemia da Covid-19, il Tribal Law and Policy Institute, d’intesa con il Center for Court Innovation (CCI) nonché il Bureau of Justice Assistance (BJA) presso l’Office of Justice Programs dello U.S. Department of Justice, ha previsto, dall’aprile del 2020, un (possibile) incremento nell’uso della tecnologia da parte delle Healing to Wellness Courts, incluse le riunioni da remoto, al fine di prevenire la diffusione dei contagi. Tuttavia, la partecipazione effettiva alle attività della giustizia riparativa è stata a volte difficile, per la non ottimale dotazione informatica di alcune delle parti coinvolte. In taluni casi, si è fatto ricorso a emergency long-term closure.

Quanto, poi, alle seconde, vale a dire ai Peacemaking (o Healing) circles, essi hanno una lunga storia nelle comunità indigene dell’Alaska (ma anche del Canada settentrionale)[xxiii]. Si tratta, appunto, di riunirsi in cerchio (c.d. circle approches, approcci circolari)[xxiv] e di ricorrere all’attività dei c.d. peacemakers.

L’obiettivo è quello di raggiungere la “guarigione” dell’autore del reato, della vittima, nonché dell’intera comunità locale. È estranea, invece, alla concezione del Circle Peacemaking l’idea di istituire una punizione. Vi sono, naturalmente, differenze tra le pratiche di Circle Peacemaking presso le varie comunità locali alaskane[xxv], in relazione alle specifiche credenze diffuse tra le comunità stesse. Tuttavia, sono comunque rintracciabili alcune caratteristiche comuni. Per esempio, una preghiera iniziale, l’utilizzazione del meccanismo del consenso, il focus posto non sulla legge violata ma, piuttosto, sulla “guarigione” delle relazioni che sono state incrinate, il lavoro complessivo volto a reintegrare e ricostruire la fiducia, non invece a punire il colpevole. Le conseguenze pratiche vanno dalla espressione delle scuse da parte del reo, allo svolgimento di servizi (gratuiti) in favore della comunità, al sottoporsi a un trattamento di disintossicazione (per l’abuso di sostanze), a non uscire di casa oltre una determinata ora serale o prima di una certa ora al mattino (c.d. coprifuoco).

I Peacemakers circles possono gestire casi sia riguardanti i giovani che gli adulti[xxvi], “lavorando” a risolvere problemi relativi a droghe e alcol, oppure a danni arrecati alla proprietà, a taccheggio, assenze ingiustificate, ovvero anche a mantenimento e/o custodia dei figli o altri problemi domestici/familiari[xxvii].

Con riferimento al numero delle persone che fanno parte dei Peacemaker circles, esso varia da un minimo di sei a un massimo di sessanta componenti. Tra di loro, è sempre compresa la vittima, ma ne fanno parte altresì l’autore del reato, nonché le rispettive famiglie. Inoltre, ne sono membri operatori di pace, gli agenti della polizia locale, consulenti vari e altri soggetti (eventualmente) interessati.

La durata del Peacemaker circle varia all’incirca da due a quattro ore, ma talvolta si protrae oltre. Proprio per evitare una eccessiva lunghezza temporale, si ha in ceri casi una fase preparatoria, c.d. mini-circle, alla quale partecipano soltanto alcuni dei futuri attori del c.d. larger circle, e in ogni caso la persona accusata accompagnata da (pochi) supporters. Le riunioni, specialmente quelle del “larger circle”, si svolgono sotto la “direzione” del Keeper of the Circle, nel ruolo di facilitator[xxviii]. Il Peacemaking circle termina quando è raggiunta la “guarigione” dell’accusato, attraverso il consenso dei partecipanti. Sono, poi, contemplati i c.d. additional support circles, finalizzati a monitorare – per conto della comunità locale – l’adempimento delle obbligazioni riparatorie assunte dall’accusato (v. sopra).

Sul piano generale, è di notevole interesse osservare che, in molti casi, i “pacificatori” indigeni dell’Alaska non hanno una posizione di mediatori neutrali, ma sono parenti delle parti, o comunque anziani della comunità locale. Essi sono scelti per la loro conoscenza tradizionale, per gli insegnamenti che sanno offrire, per la loro capacità di leadership.

In epoca di (non conclusa) pandemia da Covid-19, non diversamente da quanto visto innanzi a proposito dei Tribal Healing to Wellness Court, si è fatto ricorso anche per il Peacemaking circle agli strumenti telematici, cosicché l’uso di Internet ha creato le condizioni per i c.d. Virtual Circles.

All in all, la giustizia riparativa degli indigeni artici non ha certamente molto in comune con i sistemi giudiziari mainstream. Il suo scopo, infatti, è la “guarigione” (o, forse meglio, l’opportunità di una “guarigione”) degli individui e della comunità. Nella misura in cui, come avviene attualmente in Alaska, la giustizia riparativa indigena viene riconosciuta dalle autorità statali e federali, essa finisce per rappresentare un percorso alternativo per gli aborigeni nel sistema giudiziario. In tale ottica, piuttosto che incarcerare e punire, si vuole invece “guarire”. Ma – come si è detto sopra – per comprendere e, soprattutto, praticare la giustizia riparativa aborigena occorre preliminarmente apprendere la conoscenza tradizionale delle popolazioni indigene[xxix].

 

[i] Ciò avviene in Alaska (oggetto delle presenti notazioni); cfr. S.W. Feldstein, K.L. Venner, P.A. May, American Indian/Alaska Native alcohol-related incarceration and treatment, in American Indian and Alaska Native Mental Health Research, 2006, n. 3, p. 1 ss.

[ii] Per un inquadramento generale sulla restorative justice (in Italia e all’estero), v. G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, Giuffrè, 2003; Id., Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto. Annali, vol. X, 2017, p. 465 ss.; Id., Dalla ritorsione alla riparazione: percorsi giuridici e pluralità di giustizie, in Rivista ticinese di diritto, 2020, I, 401 ss.; G. Mannozzi, G.A. Lodigiani (cur.), Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna, Il Mulino, 2015; G.A. Lodigiani, G. Mannozzi, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, prefazione di F. Palazzo, Torino, Giappichelli, 2017; A. Lorenzetti, Giustizia riparativa e dinamiche costituzionali. Alla ricerca di una soluzione costituzionalmente preferibile, Milano, FrancoAngeli, 2018; G. Fornasari, E. Mattevi (cur.), Giustizia riparativa. Responsabilità, partecipazione, riparazione, Trento, Università degli studi di Trento, 2019; P. Lattari, La giustizia riparativa. Una giustizia “umanistica”. Una cultura dell’”incontro” per ogni conflitto, Milano, Key Editore, 2021; G. Mannozzi, Toward a ‘humanism of justice’ through restorative justice: a dialogue with history, in Restorative Justice. An International Journal, 2017, p. 145 ss. Un’ipotesi di classificazione dei metodi di risoluzione delle controversie, inclusiva della giustizia riparativa, è stata recentemente elaborata da E. Silvestri, Risoluzione delle controversie e alternative al processo: un’introduzione teorica, in Id. (cur.), Forme alternative di risoluzione delle controversie e strumenti di giustizia riparativa, Torino, Giappichelli, 2020, p. 1 ss. Sui profili (connessi) di diritto civile, penale e processuale, v. inoltre D. Bianchi, M. Rizzuti (cur.), Funzioni punitive e funzioni ripristinatorie. Combinazioni e contaminazioni tra sistemi (atti del seminario di Firenze, 11 giugno 2019), con una nota introduttiva di A. Simoni e presentazione di R. Bartoli, Torino, Giappichelli, 2020; N. Brutti, R. Carroll, P. Vines (Eds.), Apologies in the Legal Arena. A Comparative Perspective, Bologna, Bonomo, 2021. De iure condendo, v. M. Bouchard, Giustizia riparativa, vittime e riforma penale. Osservazioni alle proposte della Commissione Lattanzi, in Questione giustizia (www.questionegiustizia.it), 23 giugno 2021; Id., Un processo può curare il trauma del crimine?, ivi, 21 settembre 2021 (dove una comparazione con l’esperienza francese) . Sulla giustizia riparativa si è recentemente soffermato anche il Procuratore generale presso la Corte di cassazione: v. G. Salvi, Verso la fine della pena come retribuzione? In occasione dei settecento anni dalla nascita di Dante Alighieri, in Questione giustizia, 11 settembre 2021.

Con particolare riguardo alla community/traditional/restorative justice dei nativi americani, v. J. Metoui, Returning to the Circle: The Reemergence of Traditional Dispute Resolution in Native American Communities, in Journal of Dispute Resolution, 2007, p. 517 ss.; C.A. Hand, J. Hankes, T. House, Restorative justice: the indigenous justice system, in Contemporary Justice Review - Issues in Criminal, Social, and Restorative Justice, 2012, p. 449 ss., i quali osservano che differenti concezioni della giustizia determinano differenti metodi di accesso alla giustizia.

[iii] Sul significato di questa nozione, v. A.P. Melton, Indigenous Justice Systems and Tribal Society, in W.D. McCaslin (Ed.), Justice as Healing: Indigenous Ways. Writings on Community Peacemaking and Restorative Justice from the Native Law Centre, Foreword by E. Cook-Lynn, St. Paul (MN), Living Justice Press, 2005, p. 108 ss.

[iv] V. le (condivisibili) osservazioni di J.A. Sampedro Arrubla, ¿Qué es y para qué sirve la justicia restaurativa?, in Derecho Penal Contemporáneo. Revista Internacional, 2005, n. 12, p. 53 ss.

[v] Le aggettivazioni indicate nel testo sono state proposte da G. Zagrebelski, Che cosa si può fare per abolire il carcere, in La Repubblica, 23 gennaio 2015.

[vi] L’origine storica della giustizia riparativa sarebbe da rintracciare nelle tradizioni culturali e religiose dei popoli autoctoni nordamericani (e neozelandesi); così è orientata la ricostruzione pionieristica di H. Zehr, The Little Book of Restorative Justice, Intercourse (PA), Good Books, 2002 (ed. rivista e aggiornata, New York, Good Books, 2015), disponibile anche nella trad. franc. (condotta sull’ed. ingl. del 2002), La justice restaurative. Pour sortir des impasses de la logique punitive, prefazione di R. Cario, Paris, Éditions Labor et Fides, (coll. Le champ éthique, 57), 2012. In allegato alla citata versione francese si trovano riprodotti i «Princìpi fondamentali della giustizia riparativa» pubblicati nel 1998 da Howard Zehr e Harry Mika. Alla p. 62 del testo francese si legge che «La justice restaurative est un processus destiné à impliquer, autant qu’il est possible, ceux qui sont touchés par une infraction donnée et à identifier collectivement les torts ou dommages subis, les besoins et les obligations, afin de parvenir à une guérison et de redresser la situation autant qu’il est possible de le faire». Zehr viene indicato come «the grandfather of restorative justice», avendo iniziato a interessarsi, quale praticante e teorico, di giustizia riparativa verso la fine degli anni settanta del secolo scorso. Ma vi è chi ricollega le origini storiche della giustizia riparativa ai concetti confuciani di armonia, lealtà e carità, educare la popolazione; v. T. He, Das innere Verhältnis zwischen Restorative Justice und dem chinesischen traditionellen Rechtsdenken, München, Grin, 2016, nonché prima J. Liu, Philosophical Ideas of Confucius and Values of Restorative Justice, Providence (RI), Rhode Island College (RIC) Department of Sociology, 2007 («It is unfortunate that the Western restorative justice movement has not yet borrowed much theoretical insight from studying the valuable heritage of Confucius’s ideas, which are truly a profound source of wisdom for modern Western restorative justice reformers», ivi, p. 1). In Cina, peraltro, la giustizia riparativa ha radici confuciane, e non è quindi una risposta ai problemi del sistema giudiziario, come accade in Occidente. Quest’ultima riflessione è opportunamente sviluppata da J. Liu, G.B. Palermo, Restorative Justice and Chinese Traditional Legal Culture in the Context of Contemporary Chinese Criminal Justice Reform, in Asia Pacific Journal of Police & Criminal Justice, 2019, n. 1, p. 47 ss. («The profound influence of traditional Confucian legal culture will endure, particularly in the minds and habits of large portions of the population, where the concepts of harmony, morality, dispute resolution, and justice will persist. This provides favorable cultural conditions for the growth and development of restorative justice. We anticipate that tradition and modern ideas will co-exist, and that ancient wisdom will take new forms as it continues to play an important role in the future of Chinese criminal justice», ivi, p. 64). È interessante, infine, notare che si hanno intersezioni, come nel caso della giustizia riparativa in uso tra gli aborigeni dell’isola di Taiwan; cfr. R. Berti, La conciliazione penale negli ordinamenti giuridici cinese e taiwanese, Trento, Università degli studi di Trento, 2011; Id., La giustizia riparativa a Taiwan, in China Files – Reports from Asia, 29 settembre 2014; Y. Chang, H-F. Huang, An introduction to restorative justice practices in Taiwan, in British Journal of Community Justice, 2010, n. 3, p. 37 ss..

[vii] Con riferimento agli ordinamenti della c.d. giustizia vendicatoria, e più in generale alle relazioni tra diritto e vendetta (nei profili sia storico-giuridici che filosofici e giusantropologici), vedasi P. Di Lucia, L. Mancini (cur.), La giustizia vendicatoria, Pisa, ETS, 2015; P. Di Lucia, R. Mazzola (cur.), Vindicta. Studi e testi sulla giustizia vendicatoria, Milano, Led, 2019.

[viii] Si v., per siffatta formulazione, il saggio di D.M. Patiño Mariaca, A.M. Ruiz Gutiérrez, La justicia restaurativa: un modelo comunitarista de resolución de conflictos, in Revista Facultad de Derecho y Ciencias Políticas (edita dall'Universidad Pontificia Bolivariana con sede a Medellín, in Colombia), n. 122, 2015, p. 213 ss.

[ix] Per usare l’(efficace) espressione utilizzata da C. Proulx, Blending Justice: Interlegality and the Incorporation of Aboriginal Justice into the Formal Canadian Justice System, in Journal of Legal Pluralism and Unofficial Law, n. 25, 2005, p. 79 ss., dove esame della penetrazione di filosofie e pratiche aborigene nel sistema formale di giustizia canadese. In questo caso l’interlegalità opera per così dire “al contrario”.

[x] Cfr. M. Donini, Per una concezione post-riparatoria della pena. Contro la pena come un raddoppio del male, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2013, p. 1162 ss. La ritorsione del male non è, comunque, idonea a riattivare il bene.

[xi] Una disequazione che trasforma il sistema sanzionatorio.

[xii] V., in relazione alle possibili scale sanzionatorie, M. Donini, Pena agìta e pena subìta. Il modello del delitto riparato, in www.questionegiustizia.it, 29 ottobre 2020. L’autore esamina attentamente le ipotesi riparative a varia incidenza estintiva, attenuante o di non punibilità ed evidenzia, inoltre, la differenza tra il delitto riparato e la restorative justice, che non sono sinonimi, in quanto (per i motivi ivi illustrati) il primo ha un’estensione più ampia e ricomprende solo in parte la seconda.

[xiii] Contrapposta a retributive justice, come paradigmi di giustizia. Invero, la giustizia riparativa può essere sostitutiva della giustizia retributiva, e allora le due forme di giustizia coesistono e sono parallele, oppure la giustizia riparativa può operare all’interno della giustizia retributiva, nel quale caso si pone il problema della compatibilità dei due modelli di giustizia. Una (efficace) critica alle tradizionali giustificazioni del retributivism è ora svolta da G.D. Caruso, Rejecting Retributivism. Free Will, Punishment, and Criminal Justice, Cambridge, Cambridge University Press, 2021

[xiv] Sul tema, v. G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, Formare al diritto e alla giustizia: per una autonomia scientifico-didattica della giustizia riparativa in ambito universitario, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2014, p. 133 ss. Vi sono esempi nelle esperienze di Norvegia e Finlandia (cfr. F. Olivo, La giustizia riparativa, quando vittima e colpevole si incontrano, in www.huffingtonpost.it, 24 aprile 2021). V. anche, in precedenza, il panorama storico-comparatistico tracciato da M. Bouchard, Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa, in Questione giustizia, 2015, n. 2,

[xv] Sugli indigeni dell’Alaska, e in particolare sugli Inuit, v. M. Mazza, Aurora Borealis. Studies on Polar Law and Legal Comparison, Oisterwijk (The Netherlands), Wolf Legal Publishers, 2017, p. 185 ss., nonché (molto) prima, dello stesso autore, La protezione dei popoli indigeni nei Paesi di common law, Padova, Cedam, 2004, p. 133 ss.

[xvi] Cfr.: L. Rieger, Circle Peacemaking, in Alaska Justice Forum, inverno 2001, p. 1 e 6-7; B.E. Barnes, An Overview of Restorative Justice Programs, in Alaska Journal of Dispute Resolution, 2013, p. 101 ss.; P.E. Hyslop, B. Jarrett, Justice for All: An Indigenous Community-Based Approach to Restorative Justice in Alaska, in The Northern Review, 2014, p. 239 ss.; J.D. May, Restorative Justice: Theory, Processes, and Application in Rural Alaska, in Alaska Justice Forum, autunno 2014-inverno 2015, p. 2 ss.

[xvii] C.d. Wellness courts, o “corti terapeutiche”. La c.d. giurisprudenza terapeutica, da tempo oggetto di riflessione nei Paesi anglosassoni, può essere definita come lo studio di come i sistemi di giustizia influenzano il comportamento e il benessere emotivo. In una (molto) abbondante letteratura, v.: D.C. Yamada, Therapeutic Jurisprudence: Foundations, Expansion, and Assessment, in University of Miami Law Review, 2021, online http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3777552; D.B. Wexler, The DNA of Therapeutic Jurisprudence, Arizona Legal Studies Discussion Paper No. 20-43, November 14, 2020; Id., From Theory to Practice and Back Again in Therapeutic Jurisprudence: Now Comes the Hard Part, in Monash University Law Review, 2011, p. 33 ss.; Id., Reflections on the Scope of Therapeutic Jurisprudence, in Psychology, Public Policy and Law, 1995, p. 220 ss.; N. Stobbs, L. Bartels, M. Vols (Eds.), The Methodology and Practice of Therapeutic Jurisprudence, Durham (NC), Carolina Academic Press, 2019; P. Spencer, From Alternative to the New Normal: Therapeutic Jurisprudence in the Mainstream, in Alternative Law Journal, 2014, p. 222 ss.; N. Stobbs, The Nature of Juristic Paradigms: Exploring the Theoretical and Conceptual Relationship Between Adversarialism and Therapeutic Jurisprudence, in Washington University Jurisprudence Review, 2011, p. 97 ss.; J. Braithwaite, Restorative Justice and Therapeutic Jurisprudence, in Criminal Law Bulletin, 2002, p. 244 ss.; A. Freiberg, Therapeutic Jurisprudence in Australia: Paradigm Shift or Pragmatic Incrementalism, in Law in Context, 2002, p. 6 ss.; D. Wexler, B. Winick (Eds.), Law in a Therapeutic Key. Developments in Therapeutic Jurisprudence, Durham (NC), Carolina Academic Press, 1996; Id., D.B. Wexler, B.J. Winick (Eds.), Essays in Therapeutic Jurisprudence, Durham (NC), Carolina Academic Press, 1991; D. Finkelman, T. Grisso, Therapeutic Jurisprudence: From Idea to Application, in New England Journal on Criminal and Civil Confinement, 1994, p. 243 ss. I prof.ri David Wexler (University of Arizona) e Bruce Winick (University of Miami School of Law) hanno fondato (nel lontano 1987) la therapeutic jurisprudence (TJ). L’Arizona Summit Law School di Phoenix, già Phoenix School of Law, pubblicava, fino al 2018, l’International Journal of Therapeutic Jurisprudence. Esistono, invece, tuttora la International Society for Therapeutic Jurisprudence (ISTJ), nonché un TJblog, quest’ultimo collegato alla menzionata STJ e disponibile all’indirizzo https://mainstreamtj.com. Il tema è attuale anche in altre culture giuridiche: v. S. Brendler Colombo, A mediação como ferramenta de aplicação dos princípios da therapeutic jurisprudence, in Boletín Mexicano de Derecho Comparado, n. 158, maggio-agosto 2020, p. 553 ss.

[xviii] Si vedano, sugli aspetti medici, sociali e giudiziari, J.L. Nolan Jr., (Ed.), Drug Courts. In Theory and in Practice, London-New York, Routledge, 2002; J.E. Lessenger, G.F. Roper (Eds.), Drug Courts. A New Approach to Treatment and Rehabilitation, Berlin, Springer, 2007. Per i profili operativi, cfr. pure J.J. Hennessy, Drug Courts in Operation. Current Research, London-New York, Routledge, 2002.

[xix] Sull’adattamento del c.d. Drug Court model ai sistemi di giustizia indigena (o tribale), v. J.T. Flies-Away, Overview of Tribal Healing to Wellness Courts, Washington (DC), U.S. Department of Justice - Office of Justice Programs, 2014, 2ª ed. Cfr. anche le informazioni disponibili online nel sito Internet all’indirizzo http://wellnesscourts.org.

[xx] V. i dati nel website dell’Alaskan Department of Corrections, all’indirizzo https://doc.alaska.gov.

[xxi] Lo rileva giustamente B. Nesheim, The Indigenous Practice That Is Transforming the Adversarial Process, in Judges’ Journal, 2016, n. 4, p. 16 ss., spec. p. 19

[xxii] Ivi.

[xxiii] V. l’analisi di K. Pranis, B. Stuart, M. Wedge, Peacemaking Circles. From Conflict to Community, St. Paul (MN), Living Justice Press, 2003, cui adde L. Rieger, Circle Peacemaking, in Alaska Justice Forum, 2001, n. 4, p. 1 ss., nonché, per il sistema giudiziario penale canadese, L. McNamara, The Locus of Decision-Making Authority in Circle Sentencing: The Significance of Criteria and Guidelines, in Windsor Yearbook of Access to Justice, vol. 18, 2000, p. 60 ss. La prima applicazione pratica del circle sentencing (c.d. talking circle) in Canada si è avuta nello Yukon, nel 1992, con la decisione nel caso R. v. Moses (1992), 71 CCC (3d) 347 (Yukon Territorial Court); v. le ricostruzioni di H.J. Benevides, R. v. Moses and Sentencing Circles, in Dalhousie Journal of Legal Studies, 1994, p. 241 ss.; B. Stuart, Circle Sentencing in Yukon Territory, Canada: A Partnership of the Community and the Criminal Justice System, in International Journal of Comparative and Applied Criminology, 1996, p. 291 ss.; Id., Building Community Justice Partnerships: Community Peacemaking Circles, Ottawa, Canada Department of Justice, 1997. Sulla Rete, v. H. Lilles, Circle Sentencing: Part of the Restorative Justice Continuum, paper presentato alla Third International Conference on Conferencing, Circles and other Restorative Practices, dal titolo Dreaming of a New Reality, svoltasi dall'8 al 10 agosto 2002 a Minneapolis (il testo è consultabile nel sito dell'International Institute for Restorative Practices-IIRP, all'indirizzo https://www.iirp.edu). Il caso riguardava un indigeno, di nome Philip Moses, il quale a ventisei anni di età aveva già collezionato ben ventitré condanne, nonché circa otto anni di carcere. Accusato nuovamente di furto, il giudice ebbe a chiedersi (prima di rivolgersi alla giustizia riparativa indigena): «what could be lost in trying?». Secondo H.J. Benevides, R. v. Moses and Sentencing Circles, cit., p. 243, «The distinctiveness of the circle is summarized by two features that emerge from its use in sentencing: the assumption of greater responsibility by both the offender and the community, and the less adversarial nature of the process».

[xxiv] Cfr., per esempio, R. Coates, M. Umbreit, B. Vos, Restorative justice circles: An exploratory study, in Contemporary Justice Review - Issues in Criminal, Social, and Restorative Justice, 2003, p. 265 ss.  

[xxv] Sui vari tipi di Circles, v. per esempio N.B. Nesheim, The Indigenous Practice That Is Transforming the Adversarial Process, in Judges’ Journal, cit.

[xxvi] In quest’ultimo caso, si parla di Adult Tribal Healing to Wellness Courts, sul modello delle Adult Treatment Drug Courts (ATDC).

[xxvii] Cfr. C. Baskin, Holistic Healing and Accountability: Indigenous Restorative Justice, in Child Care in Practice, 2002, p. 133 ss.

[xxviii] C.d. Circle Facilitation. Il Keeper of the Circle è l’organizzatore del gruppo e ricopre una varietà di ruoli e responsabilità.

[xxix] Lo studio della tradizione è essenziale per conoscere il diritto consuetudinario degli indigeni; lo ha ricordato autorevolmente il prof. Giuseppe de Vergottini, nella sua Introduzione al webinar organizzato il 10 maggio 2021 dall’Associazione di Diritto pubblico comparato ed europeo su Metodi della comparazione e tradizioni giuridiche, a proposito del libro di L. Mezzetti, Tradizioni giuridiche e fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2020.