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La riforma (Cartabia) del processo penale

L’improcedibilità nel nuovo assetto
Castelluccio di Norcia, Perugia
Ph. Simona Loprete / Castelluccio di Norcia, Perugia

Il 23 settembre 2021, è stata approvata la legge n°134/2021, denominata “delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

Tale Legge detta le linee guida per attuare la riforma del processo penale – fortemente richiesta dagli operatori del diritto ed anche dall’Unione Europea, che ha subordinato l’erogazione degli aiuti finanziari all’attuazione della riforma - che dovrebbe trovare attuazione nel termine di un anno, a mezzo di successivi provvedimenti normativi emanati secondo quanto previsto dalla legge delega.

Nella stessa legge, v’è anche una parte che opera immediatamente, e che ha per oggetto la riforma della disciplina della prescrizione del reato, che modifica la c.d. “Riforma Bonafede”, bersaglio di critiche bipartisan; la stessa legge, poi, opera immediatamente alcune modifiche del codice penale e di procedura penale, tese a snellire i tempi del processo.

La c.d. “Riforma Bonafede” della prescrizione prevedeva l'arresto del decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, qualunque ne fosse l'esito.

Tale sistema è stato unanimemente criticato sia dalla magistratura che dall’avvocatura, tenuto conto che tale sistema avrebbe creato situazioni aberranti, col rischio di giudizi ultradecennali, che avrebbero avuto più il sapore della vendetta che della giustizia, tenuto conto che la nostra Costituzione - oltre che le direttive europee - prevede che la pena debba essere rieducativa e il giudizio di durata ragionevole, così come sopra già illustrato.

L’aspro confronto politico in materia ha generato il nuovo art. 344 bis, che prevede che i termini di durata massima dei giudizi di impugnazione siano fissati in 2 anni per l’appello e un anno per il giudizio di cassazione, salvo ipotesi tassativamente indicate.

Al superamento di questi parametri temporali, il processo viene dichiarato improcedibile (e non prescritto il reato), e l’eventuale costituzione di parte civile potrà proseguire il giudizio innanzi il competente Giudice civile.

Questa scelta, frutto di evidente compromesso di natura squisitamente politica, non appare particolarmente efficace in concreto, tenuto conto che non si comprende nella pratica quale sarebbe la differenza tra il dichiarare la prescrizione del reato e dichiararne l’improcedibilità, ma soprattutto non si tiene conto che i giudizi civili in Italia sono ancor più lenti di quelli penali; pertanto non si vede quale vantaggio ci si possa aspettare da tale mutazione di competenza.   L’applicazione pratica fornirà le risposte alle perplessità.

Una previsione innovativa è quella che prevede che ogni qualvolta si giunga all’archiviazione o all’emanazione di una sentenza di non luogo a procedere, dovrà essere garantito sia all’imputato che all’indagato il cd. “diritto all’oblio”, ovverosia il diritto a non essere ricondotti per nessun motivo a quel dato procedimento penale ormai concluso.

Segno dei tempi è che il Legislatore si sia preoccupato di quanto possa essere pubblicato sui vari siti internet, dimenticando di operare una analoga previsione per le banche dati delle forze di polizia, che sovente annotano solo le denunce, non aggiornando il dato con le assoluzioni o, addirittura, il non esercizio dell’azione penale; notizie che tante volte creano imbarazzo in sede di controlli di routine da parte delle forze dell’ordine.

La legge n.134/2021, mediante i relativi decreti legislativi attuativi della riforma, si propone, poi, di intervenire riguardo la cd. “giustizia riparativa”, incentivandola. Con questo termine si fa rifermento ad uno strumento stragiudiziale mutuata da altri ordinamenti, prevalentemente di diritto anglosassone, per mezzo del quale si permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale, ovvero il mediatore.

Si auspica che questa riforma trovi terreno culturale fertile, sia tra gli operatori del diritto che tra i cittadini, condizione indispensabile per ottenere una mutazione culturale, oggi sempre legata al desiderio che sia sempre un giudice a decidere chi abbia ragione, e non tesa, invece, a risolvere i contenziosi nella maniera più vantaggiosa per le parti.

Sempre nell’ottica di evitare il più possibile il dibattimento, condotte riparatorie o risocializzanti da parte degli autori di specifiche ipotesi delittuose (indicate nell’art.1 comma 22 della legge, che prevendono una pena detentiva massima di 6 anni), comporteranno l’applicabilità della messa alla prova e la contestuale sospensione del procedimento penale. Parallelamente, verrà ampliato l’ambito di applicazione delle cd. sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, quali la detenzione domiciliare, la semilibertà, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria, irrogabili, adesso, entro il limite di 4 anni di pena inflitta.

Per quanto previsto nella delega di cui all’articolo 1 della legge, sarà necessario attendere le norme attuative per poterne valutare l’effettività.

Si auspica che prevalga l’interesse generale del buon funzionamento del sistema giudiziario rispetto alle battaglie di posizione ideologica, che già hanno reso travagliata la formulazione della legge delega.