x

x

Il problema del riparto di giurisdizione in ordine a controversie risarcitorie relative a danni da lesione delle norme procedimentali di cui alla Legge 241/1990

La disciplina contenuta nella L. n. 241/1990 regolamenta il procedimento amministrativo, accompagnandolo in tutte le sue fasi con la contestuale attribuzione al privato di facoltà da esercitare per condizionare l’attività amministrativa.

In tal modo, si garantisce una partecipazione collaborativa all’esercizio del potere pubblico attraverso la produzione di memorie e documenti, l’accesso agli atti o l’ottenimento della comunicazione di avvio del procedimento.

Ci si interroga sulla natura di tali facoltà endo-procedimentali.

Per quella parte della dottrina e della giurisprudenza che estende l’ambito della responsabilità della pubblica amministrazione a tal punto da definirla come contrattuale, si tratterebbe di veri e propri diritti soggettivi, cui si contrappongono obblighi comportamentali di correttezza e di buona fede, incombenti sulla parte pubblica del rapporto.

Secondo quest’impostazione fra il privato e la pubblica amministrazione si instaurerebbe un contatto amministrativo qualificato, lasciando in disparte il giudizio sulla spettanza del bene finale leso.

L’individuo sarebbe, quindi, titolare di due posizioni soggettive distinte: da un lato, l’interesse legittimo al corretto esercizio del potere; dall’altro, il diritto soggettivo a che l’amministrazione quale soggetto su cui grava un obbligo di correttezza, assicuri il dispiegarsi delle garanzie partecipative.

Le norme sul procedimento avrebbero un carattere relazionale, la cui violazione integrerebbe di per sé, almeno sul piano oggettivo, responsabilità della pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 1218 c.c.

L’obbligo risarcitorio, in quest’ottica, trova la sua fonte non già nella relazione tra amministrazione e privato, avente ad oggetto l’utilità finale cui il secondo aspira, ma nella lesione dell’affidamento, ingenerato in una parte dal comportamento dell’altra.

Ciò porta al mutamento dei presupposti necessari affinché sia concessa la tutela risarcitoria: il danno non consiste più, come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 500/1999, nella lesione ad un bene della vita meritevole di tutela, al quale l’interesse legittimo si correla, ma nell’inadempimento degli obblighi sorti da un contatto amministrativo qualificato e nella conseguente compromissione dell’affidamento ingenerato.

Seguendo tale indirizzo, però, sussiste il rischio che siano risarciti in ugual misura colui che ha subito la lesione di un interesse meramente procedimentale, pur in presenza di un provvedimento finale sostanzialmente giusto, e colui che ha subito un’ingiusta lesione di un bene della vita.

Questa teoria sembra recuperare una nozione da tempo ripudiata dell’interesse legittimo quale “pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa”, che prescinde dalla concreta sussistenza di un danno.

Inoltre, considerata l’intangibilità dell’interesse meramente procedimentale che si assume leso, vi sarebbero difficoltà applicative, riguardo alla quantificazione del danno.

Secondo la tesi pubblicistica, invece, si sostiene che la L. n. 241/1990 preveda situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali, risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale, volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante.

In sostanza, a differente dell’orientamento privatistico precedentemente illustrato, le norme sul procedimento amministrativo hanno come obiettivo principale l’interesse pubblico.

Il potere si spende non solo con il provvedimento, ma anche con il procedimento, in quanto preesiste all’atto.

Tale valutazione dimostra come, ai fini del riparto di giurisdizione, gli interessi procedimentali in sé considerati non abbiano alcuna rilevanza.

Nella categoria degli interessi procedimentali si inserisce l’interesse del privato alla definizione del procedimento nel rispetto dei termini prescritti.

La responsabilità risarcitoria della pubblica amministrazione presuppone il previo riscontro dell’effettiva lesione dell’interesse finale e sostanziale attraverso la formulazione del c.d. giudizio di spettanza.

Secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2005, la soddisfazione di un interesse pretensivo, leso dal ritardo nell’adozione da parte dell’amministrazione di un richiesto provvedimento, può consistere in una riparazione per equivalente solo allorché la mancata o ritardata adozione dell’atto abbia comportato un pregiudizio al bene della vita che sottende l’interesse pretensivo medesimo.

Ciò accade solo quando il provvedimento richiesto e non adottato, ovvero adottato in ritardo, si configuri come favorevole per il privato istante, e non anche laddove compendi un rigetto dell’istanza presentata.

Egualmente nel caso di perdurante silenzio, si ritiene che sia possibile riconoscere un risarcimento nell’unico caso in cui il giudice possa stabilire con un buon grado di probabilità la spettanza del bene oggetto dell’istanza.

Tale orientamento giurisprudenziale deve, però, confrontarsi con la normativa prevista dalla L. n. 69/2009, che introduce l’articolo 2-bis nella L. n. 241/1990.

La fattispecie risarcitoria, contenuta in questa disposizione, concerne il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e attribuisce tale controversia al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

Risulta in tutta evidenza l’autonomia di tale fattispecie risarcitoria rispetto al contenuto dell’atto amministrativo.

Il bene protetto dalla norma è il rispetto dei termini certi del procedimento al fine di salvaguardare la progettualità del privato che si realizza in un determinato contesto temporale, anche se è negativo il contenuto dell’atto.

L’istante non è tenuto, quindi, all’impugnazione del provvedimento al fine di vedersi riconosciuto il danno da ritardo, essendo l’azione sottoposta al termine prescrizionale di cinque anni.

Questa ipotesi ricostruttiva non sposa, però, la tesi della responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione.

Enucleando dagli interessi procedimentali il tempo come bene della vita, il danno risentito dal privato è ingiusto ex articolo 2043 c.c. perché la pubblica amministrazione non ha rispettato i tempi stabiliti dall’ordinamento per la legalità del suo agire amministrativo.

Il danno risarcibile non potrà, ovviamente, essere quello che discende dalla mancata adozione del provvedimento, ma solo quello che sia derivato al privato dalla situazione di incertezza protratta oltre il termine e, quindi, nei limiti del c.d. interesse negativo.

L’attribuzione alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo della domanda risarcitoria ci chiarisce come, in tali casi, non si è di fronte a comportamenti della pubblica amministrazione lesivi di diritti soggettivi, ma in presenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative.

In definitiva l’articolo 2-bis della L. n. 241/1990 tutela l’interesse legittimo pretensivo, di natura procedimentale, ascrivibile al generale dovere di correttezza posto a carico dell’amministrazione nell’esercizio di pubbliche potestà.

Nel rapporto con la pubblica amministrazione i beni della vita da tutelare diventano due: quello oggetto dell’istanza e quello all’evasione tempestiva della risposta da parte dell’amministrazione.

Ulteriore problematica riguardante gli interessi procedimentali attiene al diritto di accesso, disciplinato dagli articoli 22-ss. della L. n. 241/1990.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti si tratterebbe di un interesse legittimo, data l’espressa previsione di un termine decadenziale di cui all’articolo 25, che è incompatibile con le situazioni giuridiche soggettive aventi lo spessore del diritto soggettivo.

Tale tesi è, però, ormai recessiva in quanto la ratio della decadenza è data dalla necessità di conferire certezza all’azione amministrativa e stabilità all’assetto da questa sancito in ordine alla spettanza dell’accesso, senza influire sulla determinazione della natura di tale situazione soggettiva.

Inoltre la nuova normativa definisce il diritto di accesso come inerente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e qualifica come esclusiva la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi.

Quest’ultima previsione rappresenta un serio e determinante argomento per decidere sulla natura sostanziale della pretesa all’accesso, qualificata come diritto soggettivo e presuppone il carattere accessorio della domanda risarcitoria, la quale, per connessione, accompagna il ricorso principale.

Siffatta correlazione garantisce il principio di certezza e di effettività della tutela, superando il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale la necessaria accelerazione del processo ex articolo 25 della L. n. 241/1990 non giustificherebbe l’appesantimento, anche istruttorio, legato alla cognizione della domanda risarcitoria.

La disciplina contenuta nella L. n. 241/1990 regolamenta il procedimento amministrativo, accompagnandolo in tutte le sue fasi con la contestuale attribuzione al privato di facoltà da esercitare per condizionare l’attività amministrativa.

In tal modo, si garantisce una partecipazione collaborativa all’esercizio del potere pubblico attraverso la produzione di memorie e documenti, l’accesso agli atti o l’ottenimento della comunicazione di avvio del procedimento.

Ci si interroga sulla natura di tali facoltà endo-procedimentali.

Per quella parte della dottrina e della giurisprudenza che estende l’ambito della responsabilità della pubblica amministrazione a tal punto da definirla come contrattuale, si tratterebbe di veri e propri diritti soggettivi, cui si contrappongono obblighi comportamentali di correttezza e di buona fede, incombenti sulla parte pubblica del rapporto.

Secondo quest’impostazione fra il privato e la pubblica amministrazione si instaurerebbe un contatto amministrativo qualificato, lasciando in disparte il giudizio sulla spettanza del bene finale leso.

L’individuo sarebbe, quindi, titolare di due posizioni soggettive distinte: da un lato, l’interesse legittimo al corretto esercizio del potere; dall’altro, il diritto soggettivo a che l’amministrazione quale soggetto su cui grava un obbligo di correttezza, assicuri il dispiegarsi delle garanzie partecipative.

Le norme sul procedimento avrebbero un carattere relazionale, la cui violazione integrerebbe di per sé, almeno sul piano oggettivo, responsabilità della pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 1218 c.c.

L’obbligo risarcitorio, in quest’ottica, trova la sua fonte non già nella relazione tra amministrazione e privato, avente ad oggetto l’utilità finale cui il secondo aspira, ma nella lesione dell’affidamento, ingenerato in una parte dal comportamento dell’altra.

Ciò porta al mutamento dei presupposti necessari affinché sia concessa la tutela risarcitoria: il danno non consiste più, come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 500/1999, nella lesione ad un bene della vita meritevole di tutela, al quale l’interesse legittimo si correla, ma nell’inadempimento degli obblighi sorti da un contatto amministrativo qualificato e nella conseguente compromissione dell’affidamento ingenerato.

Seguendo tale indirizzo, però, sussiste il rischio che siano risarciti in ugual misura colui che ha subito la lesione di un interesse meramente procedimentale, pur in presenza di un provvedimento finale sostanzialmente giusto, e colui che ha subito un’ingiusta lesione di un bene della vita.

Questa teoria sembra recuperare una nozione da tempo ripudiata dell’interesse legittimo quale “pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa”, che prescinde dalla concreta sussistenza di un danno.

Inoltre, considerata l’intangibilità dell’interesse meramente procedimentale che si assume leso, vi sarebbero difficoltà applicative, riguardo alla quantificazione del danno.

Secondo la tesi pubblicistica, invece, si sostiene che la L. n. 241/1990 preveda situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali, risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale, volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante.

In sostanza, a differente dell’orientamento privatistico precedentemente illustrato, le norme sul procedimento amministrativo hanno come obiettivo principale l’interesse pubblico.

Il potere si spende non solo con il provvedimento, ma anche con il procedimento, in quanto preesiste all’atto.

Tale valutazione dimostra come, ai fini del riparto di giurisdizione, gli interessi procedimentali in sé considerati non abbiano alcuna rilevanza.

Nella categoria degli interessi procedimentali si inserisce l’interesse del privato alla definizione del procedimento nel rispetto dei termini prescritti.

La responsabilità risarcitoria della pubblica amministrazione presuppone il previo riscontro dell’effettiva lesione dell’interesse finale e sostanziale attraverso la formulazione del c.d. giudizio di spettanza.

Secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2005, la soddisfazione di un interesse pretensivo, leso dal ritardo nell’adozione da parte dell’amministrazione di un richiesto provvedimento, può consistere in una riparazione per equivalente solo allorché la mancata o ritardata adozione dell’atto abbia comportato un pregiudizio al bene della vita che sottende l’interesse pretensivo medesimo.

Ciò accade solo quando il provvedimento richiesto e non adottato, ovvero adottato in ritardo, si configuri come favorevole per il privato istante, e non anche laddove compendi un rigetto dell’istanza presentata.

Egualmente nel caso di perdurante silenzio, si ritiene che sia possibile riconoscere un risarcimento nell’unico caso in cui il giudice possa stabilire con un buon grado di probabilità la spettanza del bene oggetto dell’istanza.

Tale orientamento giurisprudenziale deve, però, confrontarsi con la normativa prevista dalla L. n. 69/2009, che introduce l’articolo 2-bis nella L. n. 241/1990.

La fattispecie risarcitoria, contenuta in questa disposizione, concerne il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e attribuisce tale controversia al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

Risulta in tutta evidenza l’autonomia di tale fattispecie risarcitoria rispetto al contenuto dell’atto amministrativo.

Il bene protetto dalla norma è il rispetto dei termini certi del procedimento al fine di salvaguardare la progettualità del privato che si realizza in un determinato contesto temporale, anche se è negativo il contenuto dell’atto.

L’istante non è tenuto, quindi, all’impugnazione del provvedimento al fine di vedersi riconosciuto il danno da ritardo, essendo l’azione sottoposta al termine prescrizionale di cinque anni.

Questa ipotesi ricostruttiva non sposa, però, la tesi della responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione.

Enucleando dagli interessi procedimentali il tempo come bene della vita, il danno risentito dal privato è ingiusto ex articolo 2043 c.c. perché la pubblica amministrazione non ha rispettato i tempi stabiliti dall’ordinamento per la legalità del suo agire amministrativo.

Il danno risarcibile non potrà, ovviamente, essere quello che discende dalla mancata adozione del provvedimento, ma solo quello che sia derivato al privato dalla situazione di incertezza protratta oltre il termine e, quindi, nei limiti del c.d. interesse negativo.

L’attribuzione alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo della domanda risarcitoria ci chiarisce come, in tali casi, non si è di fronte a comportamenti della pubblica amministrazione lesivi di diritti soggettivi, ma in presenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative.

In definitiva l’articolo 2-bis della L. n. 241/1990 tutela l’interesse legittimo pretensivo, di natura procedimentale, ascrivibile al generale dovere di correttezza posto a carico dell’amministrazione nell’esercizio di pubbliche potestà.

Nel rapporto con la pubblica amministrazione i beni della vita da tutelare diventano due: quello oggetto dell’istanza e quello all’evasione tempestiva della risposta da parte dell’amministrazione.

Ulteriore problematica riguardante gli interessi procedimentali attiene al diritto di accesso, disciplinato dagli articoli 22-ss. della L. n. 241/1990.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti si tratterebbe di un interesse legittimo, data l’espressa previsione di un termine decadenziale di cui all’articolo 25, che è incompatibile con le situazioni giuridiche soggettive aventi lo spessore del diritto soggettivo.

Tale tesi è, però, ormai recessiva in quanto la ratio della decadenza è data dalla necessità di conferire certezza all’azione amministrativa e stabilità all’assetto da questa sancito in ordine alla spettanza dell’accesso, senza influire sulla determinazione della natura di tale situazione soggettiva.

Inoltre la nuova normativa definisce il diritto di accesso come inerente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e qualifica come esclusiva la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi.

Quest’ultima previsione rappresenta un serio e determinante argomento per decidere sulla natura sostanziale della pretesa all’accesso, qualificata come diritto soggettivo e presuppone il carattere accessorio della domanda risarcitoria, la quale, per connessione, accompagna il ricorso principale.

Siffatta correlazione garantisce il principio di certezza e di effettività della tutela, superando il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale la necessaria accelerazione del processo ex articolo 25 della L. n. 241/1990 non giustificherebbe l’appesantimento, anche istruttorio, legato alla cognizione della domanda risarcitoria.