Il problema della legittimità costituzionale dell’omesso versamento di IVA di cui all’art. 10 ter d. Lgs. n. 74/2000 in riferimento al periodo di imposta 2005

1. Genesi e ratio dell’art. 10 ter D. Lgs n. 74/2000

E’ trascorso molto tempo da quando in Inghilterra, nel 1297, lo Statuto De tallagio non concedendo stabilì per la prima volta il principio di rappresentatività popolare in materia tributaria, affermando che il potere di imposizione fiscale spettasse ad organi rappresentativi delle classi sociali, e non al monarca. Non sembra però che da allora i problemi di tecnica legislativa in materia tributaria, massime penale, siano diminuiti, almeno a giudicare dal dibattito in corso circa la legittimità costituzionale dell’art. 10 Ter D. Lgs. n. 74 del 10 Marzo 2000.

L’art. 10 Ter, introdotto dall’art. 35 comma 7 D. L. 04 Luglio 2006 n. 223 (cosiddetto D. L. Bersani), stabilisce che "la disposizione di cui all’art. 10 bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine di versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo" coincidente con il 27 Dicembre.

La norma assoggetta quindi l’omesso versamento dell’IVA alla stessa sanzione penale (reclusione da sei mesi a due anni) contemplata dall’art. 10 bis in relazione all’omesso versamento di ritenute certificate.

La fattispecie, originariamente assente dal D. Lgs. n. 74 del 10 Marzo 2000 e frutto di una revisione del sistema sanzionatorio tributario penale, è nata principalmente al fine di contrastare il fenomeno delle cosiddette frodi carosello, nelle quali l’omesso versamento dell’Iva costituisce uno dei passaggi cruciali nei quali si snoda la condotta fraudolenta. Ancora una volta la legislazione d’emergenza è divenuta pertanto strumento di lotta all’evasione fiscale, nello sforzo di prevenire inadempienze da parte dei contribuenti in fase di riscossione.

 

2. La struttura del reato

Presupposto della condotta è che il contribuente abbia redatto una dichiarazione IVA fedele e tempestiva, in quanto altrimenti il fatto andrebbe inquadrato negli art. 2, 3 e 5 del D. Lgs n. 74/2000.

Analogamente all’omesso versamento delle ritenute d’acconto, previsto dall’art. 10 bis, viene prevista una soglia di punibilità,  consistente in un ammontare IVA superiore ad € 50.000, oltre la quale scatta l’illiceità penale dell’omesso versamento, che pertanto deve implicare un’offesa di una certa rilevanza.

Posto che secondo la normativa fiscale nell’arco del periodo di imposta il contribuente è tenuto a versamenti IVA mensili o trimestrali, nonché al versamento dell’acconto e del saldo, il delitto si perfeziona con l’omesso pagamento dell’IVA nel medesimo termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, e coincide pertanto con il 27 Dicembre dell’anno successivo rispetto a quello per il quale è dovuta l’IVA, come prevede l’art. 6 L. 29.12.1990 n. 405.

Circa l’elemento psicologico, il delitto richiede semplicemente il dolo generico.

L’importo dell’IVA da versare risulta dalla dichiarazione IVA del periodo di imposta precedente, commisurata al volume d’affari del debitore di tale periodo.

Infine non va trascurata l’assenza nel D. L. Bersani di norme transitorie, che regolino la questione intertemporale dell’applicabilità o meno dell’art. 10 ter al periodo di imposta 2005, già chiuso al momento dell’entrata in vigore del D. L. il 05 Luglio 2006. Di talché l’art. 10 ter risulta applicabile senza distinzioni non solo ai periodi di imposta successivi, ma anche al periodo 2005, stante la scadenza dell’obbligo di versamento al 27 Dicembre 2006.

 

3. I dubbi sulla legittimità costituzionale della norma

Probabilmente proprio l’assenza di norme transitorie ha reso ineludibile l’approdo del problema della legittimità costituzionale dell’art. 10 ter D. Lgs n. 74/2006 alla Corte costituzionale, come confermano due ordinanze nelle quali la questione è stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata nella parte in cui viene penalmente sanzionato anche l’omesso versamento IVA risultante dalla dichiarazione annuale 2005.

E questo nonostante l’apoditticità della circolare dell’Agenzia dell’entrate n. 28E del 4.08.2006, che ha ritenuto la norma applicabile anche alla dichiarazione 2005 senza alcuna motivazione sul punto.

Il primo a rompere gli indugi è stato il Tribunale di Orvieto con ordinanza del il 16 Maggio 2008, ma la questione è stata liquidata come manifestamente inammissibile dalla Consulta con ordinanza n. 319 del 03 Novembre 2010, secondo la quale l’ordinanza di rimessione avrebbe omesso di descrivere la fattispecie concreta oggetto del giudizio principale e di motivare sulla rilevanza della questione, così come insufficiente e oscura sarebbe apparsa la motivazione del giudice a quo sulla non manifesta infondatezza.

La Corte costituzionale è stata tuttavia di recente nuovamente investita della questione dalla prima sezione penale del Tribunale di Torino (Giudice Dott. Meroni), il quale con ordinanza del 22 Settembre 2010 ha dubitato del rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costituzione, escludendo tuttavia che si profilasse (anche) una violazione del principio di irretroattività della legge penale previsto dall’art. 25 Costituzione e dall’art. 2 Codice penale.

Sul primo profilo il Giudice Torinese parte dalla considerazione condivisibile che, essendo la consumazione del reato fissata alla fine del periodo di imposta successivo all’anno rispetto al quale l’imposta è dovuta,  il soggetto che in base alla dichiarazione dei redditi del periodo di imposta precedente risulti debitore ha di regola a disposizione un periodo di almeno dodici mesi decorrenti dalla chiusura di tale periodo per pagare evitando la responsabilità penale.

Invece, con riferimento all’imposta dovuta per l’anno 2005, essendo il D. L. 04 Luglio 2006 n. 223, introduttivo dell’art. 10 ter, entrato in vigore il 05 Luglio 2006, per il debitore tenuto in base alla dichiarazione IVA 2005 il termine per il pagamento risulta inferiore a quello di dodici mesi, coprendo soltanto il periodo dal 05 Luglio 2006 al 27 Dicembre 2006.

Poiché in tal modo l’art. 10 ter avrebbe "un contenuto precettivo differente a seconda dell’anno per il quale è dovuta l’imposta, avendo fatto obbligo a chi era debitore IVA per l’anno 2005  di effettuare il versamento in un termine inferiore rispetto a chi lo è stato per gli anni successivi e chi lo sarà debitore in futuro", la discriminazione, attinente al periodo a disposizione per provvedere al pagamento dell’imposta, violerebbe il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Costituzione.

Il giudice a quo ha escluso invece la non manifesta infondatezza della presunta violazione del divieto di retroattività penale previsto dall’art. 25 comma 2 Costituzione.

A questo proposito l’ordinanza afferma che è ininfluente che al momento della chiusura del periodo di imposta la fattispecie non fosse ancora prevista come reato, in quanto "la condotta penalmente rilevante introdotta non è l’omesso versamento IVA nel termine previsto

dalla normativa fiscale, ma l’omesso versamento nel maggior termine del versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Di talché il soggetto che aveva omesso alla scadenza del termine previsto dalla normativa fiscale il versamento IVA per l’anno 2005, era in termini, fino al dicembre del 2006, per assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di tale versamento; e se ciò non ha fatto, rendendosi responsabile del reato in esame, la sua scelta in ordine alla condotta da tenere è maturata nel momento in cui la fattispecie penale in oggetto era prevista come reato dall’ordinamento". 

Tale considerazione tuttavia non appare risolutiva, in quanto trascura che, stante il sopraggiungere della norma il 05 Luglio 2006, quando il periodo di imposta 2005 era ormai chiuso, l’omesso versamento dell’IVA 2005 è stato penalmente sanzionato senza che il debitore sia stato posto in condizione, anteriormente all’entrata in vigore del D. L. n. 223/2006, di (scegliere se e come) regolare il proprio volume d’affari in modo da evitare il superamento della soglia di punibilità di € 50.000 di IVA da versare.

La soglia di punibilità di € 50.000, ancorata all’ammontare dell’imposta non pagata, è stata infatti introdotta quanto, in relazione all’anno 2005, l’eventuale superamento del limite di € 50.000 era ormai sottratto al controllo dei soggetti tenuti al pagamento.

Per le dichiarazioni IVA successive al 2005 invece il soggetto agente, essendo a conoscenza della rilevanza penale dell’omesso versamento, potrà sempre decidere come regolare il proprio volume d’affari in modo da restare al di sotto della soglia di punibilità.

In altre parole, a differenza dei contribuenti tenuti per i periodi di imposta successivi al 05 Luglio 2006, i contribuenti obbligati per l’anno 2005, non conoscendo (né potendo prevedere) le conseguenze penali derivanti dall’omesso versamento dell’Iva, non sono stati posti in grado di programmare anticipatamente la condotta da tenere durante il periodo di imposta in guisa da prevenirne le possibili conseguenze penali.

Ad una visione che si spinga oltre il dato parziale dell’anteriorità dell’entrata in vigore della norma rispetto al termine di scadenza penale del pagamento dell’IVA, appare chiaro come il sopraggiungere dell’art. 10 ter quando il periodo di imposta 2005 era chiuso assume rilevanza, pur se da un’angolazione diversa da quella del contrasto con il divieto di retroattività in materia penale.

Pur escludendo una violazione dell’art. 25 comma 2 Costituzione, dagli argomenti sopra esposti traspare infatti come l’applicazione dell’art. 10 ter al periodo di imposta 2005 impinga ancora una volta,  sia pure per un diverso ordine di ragioni, contro il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costituzione: a) in quanto i contribuenti tenuti al versamento dell’Iva 2005, ignorando le conseguenze penali derivanti dal superamento della soglia di euro 50.000 di Iva, sono stati lesi nella loro libertà di autodeterminazione della propria conduzione professionale o di impresa, e b) perché conseguentemente viene pregiudicata anche l’esigenza di certezza del diritto, che è strumentale ed inscindibile dalla parità di trattamento dei cittadini, quale manifestazione del principio di uguaglianza.   

E’ alquanto riduttivo, a fronte di tale anomalia strutturale, affermare che al termine del periodo di imposta 2005 il soggetto avrebbe già versato in una situazione antigiuridica, non avendo ottemperato al versamento dell’IVA nei termini previsti dalla normativa fiscale, in quanto ciò significherebbe obliterare principi costituzionali che, segnatamente nell’ambito della legislazione penale, devono essere valorizzati, a cominciare proprio dal principio di uguaglianza.

1. Genesi e ratio dell’art. 10 ter D. Lgs n. 74/2000

E’ trascorso molto tempo da quando in Inghilterra, nel 1297, lo Statuto De tallagio non concedendo stabilì per la prima volta il principio di rappresentatività popolare in materia tributaria, affermando che il potere di imposizione fiscale spettasse ad organi rappresentativi delle classi sociali, e non al monarca. Non sembra però che da allora i problemi di tecnica legislativa in materia tributaria, massime penale, siano diminuiti, almeno a giudicare dal dibattito in corso circa la legittimità costituzionale dell’art. 10 Ter D. Lgs. n. 74 del 10 Marzo 2000.

L’art. 10 Ter, introdotto dall’art. 35 comma 7 D. L. 04 Luglio 2006 n. 223 (cosiddetto D. L. Bersani), stabilisce che "la disposizione di cui all’art. 10 bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine di versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo" coincidente con il 27 Dicembre.

La norma assoggetta quindi l’omesso versamento dell’IVA alla stessa sanzione penale (reclusione da sei mesi a due anni) contemplata dall’art. 10 bis in relazione all’omesso versamento di ritenute certificate.

La fattispecie, originariamente assente dal D. Lgs. n. 74 del 10 Marzo 2000 e frutto di una revisione del sistema sanzionatorio tributario penale, è nata principalmente al fine di contrastare il fenomeno delle cosiddette frodi carosello, nelle quali l’omesso versamento dell’Iva costituisce uno dei passaggi cruciali nei quali si snoda la condotta fraudolenta. Ancora una volta la legislazione d’emergenza è divenuta pertanto strumento di lotta all’evasione fiscale, nello sforzo di prevenire inadempienze da parte dei contribuenti in fase di riscossione.

 

2. La struttura del reato

Presupposto della condotta è che il contribuente abbia redatto una dichiarazione IVA fedele e tempestiva, in quanto altrimenti il fatto andrebbe inquadrato negli art. 2, 3 e 5 del D. Lgs n. 74/2000.

Analogamente all’omesso versamento delle ritenute d’acconto, previsto dall’art. 10 bis, viene prevista una soglia di punibilità,  consistente in un ammontare IVA superiore ad € 50.000, oltre la quale scatta l’illiceità penale dell’omesso versamento, che pertanto deve implicare un’offesa di una certa rilevanza.

Posto che secondo la normativa fiscale nell’arco del periodo di imposta il contribuente è tenuto a versamenti IVA mensili o trimestrali, nonché al versamento dell’acconto e del saldo, il delitto si perfeziona con l’omesso pagamento dell’IVA nel medesimo termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, e coincide pertanto con il 27 Dicembre dell’anno successivo rispetto a quello per il quale è dovuta l’IVA, come prevede l’art. 6 L. 29.12.1990 n. 405.

Circa l’elemento psicologico, il delitto richiede semplicemente il dolo generico.

L’importo dell’IVA da versare risulta dalla dichiarazione IVA del periodo di imposta precedente, commisurata al volume d’affari del debitore di tale periodo.

Infine non va trascurata l’assenza nel D. L. Bersani di norme transitorie, che regolino la questione intertemporale dell’applicabilità o meno dell’art. 10 ter al periodo di imposta 2005, già chiuso al momento dell’entrata in vigore del D. L. il 05 Luglio 2006. Di talché l’art. 10 ter risulta applicabile senza distinzioni non solo ai periodi di imposta successivi, ma anche al periodo 2005, stante la scadenza dell’obbligo di versamento al 27 Dicembre 2006.

 

3. I dubbi sulla legittimità costituzionale della norma

Probabilmente proprio l’assenza di norme transitorie ha reso ineludibile l’approdo del problema della legittimità costituzionale dell’art. 10 ter D. Lgs n. 74/2006 alla Corte costituzionale, come confermano due ordinanze nelle quali la questione è stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata nella parte in cui viene penalmente sanzionato anche l’omesso versamento IVA risultante dalla dichiarazione annuale 2005.

E questo nonostante l’apoditticità della circolare dell’Agenzia dell’entrate n. 28E del 4.08.2006, che ha ritenuto la norma applicabile anche alla dichiarazione 2005 senza alcuna motivazione sul punto.

Il primo a rompere gli indugi è stato il Tribunale di Orvieto con ordinanza del il 16 Maggio 2008, ma la questione è stata liquidata come manifestamente inammissibile dalla Consulta con ordinanza n. 319 del 03 Novembre 2010, secondo la quale l’ordinanza di rimessione avrebbe omesso di descrivere la fattispecie concreta oggetto del giudizio principale e di motivare sulla rilevanza della questione, così come insufficiente e oscura sarebbe apparsa la motivazione del giudice a quo sulla non manifesta infondatezza.

La Corte costituzionale è stata tuttavia di recente nuovamente investita della questione dalla prima sezione penale del Tribunale di Torino (Giudice Dott. Meroni), il quale con ordinanza del 22 Settembre 2010 ha dubitato del rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costituzione, escludendo tuttavia che si profilasse (anche) una violazione del principio di irretroattività della legge penale previsto dall’art. 25 Costituzione e dall’art. 2 Codice penale.

Sul primo profilo il Giudice Torinese parte dalla considerazione condivisibile che, essendo la consumazione del reato fissata alla fine del periodo di imposta successivo all’anno rispetto al quale l’imposta è dovuta,  il soggetto che in base alla dichiarazione dei redditi del periodo di imposta precedente risulti debitore ha di regola a disposizione un periodo di almeno dodici mesi decorrenti dalla chiusura di tale periodo per pagare evitando la responsabilità penale.

Invece, con riferimento all’imposta dovuta per l’anno 2005, essendo il D. L. 04 Luglio 2006 n. 223, introduttivo dell’art. 10 ter, entrato in vigore il 05 Luglio 2006, per il debitore tenuto in base alla dichiarazione IVA 2005 il termine per il pagamento risulta inferiore a quello di dodici mesi, coprendo soltanto il periodo dal 05 Luglio 2006 al 27 Dicembre 2006.

Poiché in tal modo l’art. 10 ter avrebbe "un contenuto precettivo differente a seconda dell’anno per il quale è dovuta l’imposta, avendo fatto obbligo a chi era debitore IVA per l’anno 2005  di effettuare il versamento in un termine inferiore rispetto a chi lo è stato per gli anni successivi e chi lo sarà debitore in futuro", la discriminazione, attinente al periodo a disposizione per provvedere al pagamento dell’imposta, violerebbe il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Costituzione.

Il giudice a quo ha escluso invece la non manifesta infondatezza della presunta violazione del divieto di retroattività penale previsto dall’art. 25 comma 2 Costituzione.

A questo proposito l’ordinanza afferma che è ininfluente che al momento della chiusura del periodo di imposta la fattispecie non fosse ancora prevista come reato, in quanto "la condotta penalmente rilevante introdotta non è l’omesso versamento IVA nel termine previsto

dalla normativa fiscale, ma l’omesso versamento nel maggior termine del versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Di talché il soggetto che aveva omesso alla scadenza del termine previsto dalla normativa fiscale il versamento IVA per l’anno 2005, era in termini, fino al dicembre del 2006, per assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di tale versamento; e se ciò non ha fatto, rendendosi responsabile del reato in esame, la sua scelta in ordine alla condotta da tenere è maturata nel momento in cui la fattispecie penale in oggetto era prevista come reato dall’ordinamento". 

Tale considerazione tuttavia non appare risolutiva, in quanto trascura che, stante il sopraggiungere della norma il 05 Luglio 2006, quando il periodo di imposta 2005 era ormai chiuso, l’omesso versamento dell’IVA 2005 è stato penalmente sanzionato senza che il debitore sia stato posto in condizione, anteriormente all’entrata in vigore del D. L. n. 223/2006, di (scegliere se e come) regolare il proprio volume d’affari in modo da evitare il superamento della soglia di punibilità di € 50.000 di IVA da versare.

La soglia di punibilità di € 50.000, ancorata all’ammontare dell’imposta non pagata, è stata infatti introdotta quanto, in relazione all’anno 2005, l’eventuale superamento del limite di € 50.000 era ormai sottratto al controllo dei soggetti tenuti al pagamento.

Per le dichiarazioni IVA successive al 2005 invece il soggetto agente, essendo a conoscenza della rilevanza penale dell’omesso versamento, potrà sempre decidere come regolare il proprio volume d’affari in modo da restare al di sotto della soglia di punibilità.

In altre parole, a differenza dei contribuenti tenuti per i periodi di imposta successivi al 05 Luglio 2006, i contribuenti obbligati per l’anno 2005, non conoscendo (né potendo prevedere) le conseguenze penali derivanti dall’omesso versamento dell’Iva, non sono stati posti in grado di programmare anticipatamente la condotta da tenere durante il periodo di imposta in guisa da prevenirne le possibili conseguenze penali.

Ad una visione che si spinga oltre il dato parziale dell’anteriorità dell’entrata in vigore della norma rispetto al termine di scadenza penale del pagamento dell’IVA, appare chiaro come il sopraggiungere dell’art. 10 ter quando il periodo di imposta 2005 era chiuso assume rilevanza, pur se da un’angolazione diversa da quella del contrasto con il divieto di retroattività in materia penale.

Pur escludendo una violazione dell’art. 25 comma 2 Costituzione, dagli argomenti sopra esposti traspare infatti come l’applicazione dell’art. 10 ter al periodo di imposta 2005 impinga ancora una volta,  sia pure per un diverso ordine di ragioni, contro il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costituzione: a) in quanto i contribuenti tenuti al versamento dell’Iva 2005, ignorando le conseguenze penali derivanti dal superamento della soglia di euro 50.000 di Iva, sono stati lesi nella loro libertà di autodeterminazione della propria conduzione professionale o di impresa, e b) perché conseguentemente viene pregiudicata anche l’esigenza di certezza del diritto, che è strumentale ed inscindibile dalla parità di trattamento dei cittadini, quale manifestazione del principio di uguaglianza.   

E’ alquanto riduttivo, a fronte di tale anomalia strutturale, affermare che al termine del periodo di imposta 2005 il soggetto avrebbe già versato in una situazione antigiuridica, non avendo ottemperato al versamento dell’IVA nei termini previsti dalla normativa fiscale, in quanto ciò significherebbe obliterare principi costituzionali che, segnatamente nell’ambito della legislazione penale, devono essere valorizzati, a cominciare proprio dal principio di uguaglianza.