La costituzione dell’opponente nell’opposizione a decreto ingiuntivo. Overruling ed involuzione del principio del giusto processo
La sentenza di Cassazione S.U. n. 19246 del 09.09.2010 ha rapidamente spazzato via uno dei principi monolitici, sebbene dibattuti, su cui la giurisprudenza e la Corte costituzionale hanno da tempo fondato la disciplina della costituzione in giudizio dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Come è noto nel giudizio ordinario gli art. 163 bis e 165 cpc stabiliscono che la dimidiazione dei termini di costituzione consegua all’abbreviazione dei termini di comparizione contenuta in un provvedimento giurisdizionale emesso su istanza dell’attore.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’art. 645 comma 2 cpc dispone invece esclusivamente la riduzione a metà dei termini di comparizione, senza nulla statuire in ordine alla dimidiazione dei termini di costituzione, sulla quale rimangono silenti anche i lavori preparatori al DPR 857/1950.
In caso di omessa o tardiva costituzione dell’opponente, l’art. 647 cpc stabilisce l’esecutività del decreto ingiuntivo e l’improcedibilità dell’opposizione, che, secondo l’interpretazione prevalente non può essere neppure riassunta, essendo l’art. 647 cpc norma speciale propria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, e quindi prevalente sulle norme di cui agli artt. 171 e 307 cpc relativi alla tardiva costituzione nel giudizio ordinario.
Tuttavia, richiamando gli artt. 163 bis e 165 cpc, la giurisprudenza aveva mitigato tale rigore normativo ritenendo che la riduzione a metà dei termini di costituzione ex art. 645 c. 2 cpc fosse rimessa alla facoltà dell’opponente di concedere all’opposto termini a comparire ridotti della metà.
L’opponente poteva pertanto, anziché valersi dell’art. 645 comma 2 cpc, assegnare al convenuto il termine ordinario di comparizione o anche uno maggiore, costituendosi entro i dieci giorni successivi alla notifica dell’opposizione, e soltanto in presenza di una dimidiazione dei termini di comparizione anche i termini di costituzione dovevano ritenersi automaticamente ridotti alla metà. (ex multis Cass. Civ. Sez. III 03.07.2008 n. 18203; Cass. civ., Sez. III, 20/11/2002, n.16332; Cass. 15.03.2001 n. 3752; Cass. 30.03.1998 n. 3316; Cass. 07.04.1987 n. 3355; nella giurisprudenza di merito si vedano Trib. Novara 12.05.2010 n. 491; Trib. Roma sez. V 26.06.2009 n. 14271; Trib. Genova 12.02.2008, Trib. Genova 28.03.2008; Trib. Bari Sez. I 09.06.2006; Trib. Modena 16.04.2003).
§ 2. Il principio espresso dalle Sezioni Unite.
Nel caso specifico la Corte di cassazione a S. U. era chiamata a decidere sulla legittimità della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Lecce, la quale, confermando la decisione di primo grado e richiamando l’orientamento tradizionale, aveva affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’abbreviazione dei termini di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario (sessanta o novanta giorni). In tal senso la Corte ha rigettato il ricorso, confermando così la sentenza della Corte territoriale.
Fin qui nulla di nuovo, si direbbe. La sentenza si è spinta invece ben oltre l’esame del petitum specificatamente sotteso al ricorso.
Recependo infatti le perplessità manifestate dalla Prima sezione, secondo la quale non risponderebbe alla sistematica processuale che la disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti, le Sezioni unite hanno affermato (pag. 10 sentenza) che "non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 cpc prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà". Pertanto la riduzione a metà dei termini di costituzione discende sic et simpliciter dalla proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
§ 3. Le conseguenze sui giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso.
Sulla scorta di tale principio di diritto, quali che siano i termini a comparire, l’opponente dovrebbe sempre costituirsi entro i cinque giorni successivi alla notifica dell’atto di citazione, pena l’improcedibilità dell’opposizione. E’ quindi di tutta evidenza come tale disciplina, negando valore, ai fini della costituzione in giudizio dell’opponente, all’attribuzione all’opposto di un termine corrispondente ovvero inferiore a quello ordinario, sia improntata ad un rigorismo ben più accentuato rispetto al precedente orientamento, che pure non andava esente da censure.
Esiziali rischiano di essere inoltre gli effetti della decisione in esame sui giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso, nei quali l’opponente, non avvalsosi della facoltà di ridurre i termini a comparire (60 o 90 giorni), si sia costituito purtuttavia entro i dieci giorni successivi alla notifica dell’atto di opposizione.
E’ inutile dire che nonostante l’assenza di vincolatività dei precedenti, molti di questi procedimenti avranno le ore contate, in quanto la conseguenza dell’overruling a partita iniziata rischia di essere l’improcedibilità dell’opposizione, peraltro rilevabile d’ufficio.
In attesa di un intervento del legislatore i rimedi tesi ad arginare gli effetti rovinosi sul diritto alla tutela giurisdizionale sono di duplice ordine, e vanno essenzialmente ricondotti, sia pure in chiave problematica, all’istituto della rimessione in termini e ad un nuovo intervento della Corte costituzionale in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 645 comma 2 cpc, segnatamente nell’accezione interpretativa formulata nella sentenza in esame.
§ 4. La rimessione in termini.
La rimessione in termini, dopo l’abrogazione dell’art. 184 bis cpc da parte dell’art. 46 comma 3 Legge n. 69/2009, è attualmente disciplinata dall’art. 153 cpc, ed opera in favore della parte incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile.
L’applicabilità della rimessione alla costituzione dell’opponente nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso appare percorribile tenuto conto sia della non imputabilità dell’errore di chi, attenendosi al diritto vivente dell’epoca, si sia costituito nei dieci giorni successivi alla notifica dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo senza ridurre i termini a comparire, sia delle recentissime aperture della giurisprudenza di legittimità sull’ambito applicativo dell’istituto.
In tal senso degna di attenzione è la recente Cass. civ. Sez. II 17.06.2010 n. 14627, secondo cui "alla luce del principio giurisprudenziale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell’art. 184 bis cpc, ratione temporis applicabile, anche in assenza di un’istanza di parte, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d’inammissibilità od improcedibilità dell’impugnazione dovuto alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell’orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso.
Quanto all’ambito applicativo, anteriormente alla novella del 2009, che con l’art. 153 bis ha esteso l’ambito applicativo della rimessione anche al di fuori della fase di trattazione della causa, l’applicabilità della stessa alle situazioni esterne al giudizio è oggetto di ampio dibattito.
Sul punto una nutrita giurisprudenza riteneva, ed ancora oggi ritiene, che per la sua collocazione sotto la rubrica della trattazione della causa e per il riferimento al giudice istruttore, l’art. 184 bis non sarebbe invocabile per le situazioni esterne allo svolgimento del giudizio, quali sono le attività necessarie all’introduzione del giudizio, nelle quali dovrebbe farsi rientrare anche la costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dell’opponente.
Tale indirizzo risulta tuttavia superato da alcune recenti pronunce della Corte regolatrice (Cfr. la stessa Cass. civ. Sez. II 17.06.2010 n. 14627, nonché Cass. Civ. Sez. II 02 Luglio 2010 n. 15811; Cass. S. U. 14.01.2008 n. 627; 04.02.2008 n. 2520), nelle quali si è osservato come la lettura restrittiva dell’art. 184 bis cpc, nel regime anteriore alla riforma del 2009, oltre a non tenere conto delle innovazioni apportate all’art. 184 bis dalla novella del 1995 a seguito della soppressione del riferimento alle sole decadenze previste negli artt. 183 e 184 cpc, oblitera le esigenze di certezza ed effettività delle garanzie difensive nel processo civile, e quindi non possa ostacolare il ripristino del contraddittorio in presenza di una decadenza derivante da una causa non imputabile.
§ 5. Il problema della legittimità costituzionale dell’art. 645 comma 2 cpc.
Fertile terreno di scontro sarà anche quello della legittimità costituzionale, nel quale è assodato come gli artt. 645 comma 2 cpc e 647 cpc siano stati investiti a più riprese da eccezioni di incostituzionalità relative a violazioni di principi del diritto di difesa, del contraddittorio, di uguaglianza e del giusto processo previsti dagli artt. 3, 24 e 111 Costituzione, correlate alla dimidiazione del termine di costituzione ed alla improcedibilità in caso di omessa o tardiva costituzione, senza possibilità di riassunzione.
Anteriormente alla pronuncia in commento la Corte costituzionale aveva escluso una violazione di tali parametri costituzionali, proprio sul rilievo che la riduzione del termine di costituzione dell’opponente a cinque giorni dalla notificazione dell’opposizione a decreto ingiuntivo non costituiva un elemento immutabile, essendo circoscritta ai soli casi in cui l’opponente si fosse avvalso della facoltà di ridurre i termini di comparizione.
Paradigmatica al riguardo è l’ordinanza di Corte costituzionale 08/02/2008, n.18, che in linea con la precedente giurisprudenza aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 165, 645 e 647 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 comma 2 Cost., "nella parte in cui fanno gravare sull’opponente a decreto ingiuntivo l’onere di costituirsi in un termine eccessivamente breve. Posto che è lo stesso opponente a porre le premesse per la sua costituzione nel termine ridotto, avvalendosi della facoltà di dimidiare il termine di comparizione del debitore ingiunto, e che, pertanto, egli deve ritenersi certamente consapevole del particolare onere di diligenza connesso a tale scelta e delle conseguenze che le norme processuali collegano alla tardiva costituzione in giudizio, non è configurabile la prospettata violazione del diritto di difesa (…)".
Se anche nella giurisprudenza costituzionale la ratio giustificatrice dell’assenza di violazioni dei parametri costituzionali risiedeva a chiare lettere proprio nella libertà dell’opponente di atteggiare la propria strategia difensiva, in adesione al diritto vivente, è inevitabile rilevare che l’elisione di tale margine di scelta da parte delle Sezioni unite non potrà che accentuare ulteriormente la disparità di trattamento degli artt. 645 e 647 cpc rispetto agli art. 163 bis e 165 cpc, nel quale la riduzione dei termini a comparire è pur sempre rimessa ad una facoltà dell’attore di richiedere l’autorizzazione al giudice, con conseguente ulteriore divaricazione di tali norme dai principi costituzionali.
A tale proposito gli argomenti impiegati da Cass. S. U. 19246/2010 per superare i dubbi di costituzionalità sono tutt’altro che dirimenti.
La sentenza afferma che l’opponente, proponendo l’opposizione, non potrebbe non conoscere quali sono le conseguenze processuali della sua iniziativa, e quindi la dimidiazione dei termini di costituzione dipenderebbe comunque da una scelta consapevole. Il ragionamento è fuorviante, in quanto l’illegittimità costituzionale di una norma non può certo ritenersi esclusa o attenuata dalla conoscenza di essa, tanto più considerato che l’art. 645 c. 2 cpc dispone la riduzione a metà dei soli termini di comparizione senza nulla statuire su quelli di costituzione.
Non convince neppure il secondo argomento, secondo cui la diversità di ampiezza dei termini di costituzione dell’opponente rispetto all’opposto non apparirebbe irragionevole, posto che la costituzione in giudizio dell’opponente sarebbe una mera attività materiale, mentre l’opposto nel costituirsi dovrebbe valutare le allegazioni e le prove dell’opposizione per preparare la propria risposta. Chiarito che la preparazione della strategia difensiva da parte del convenuto non presenta tratti differenziali sia nel giudizio ordinario che in quello di opposizione a decreto ingiuntivo, e che in entrambi i tipi di giudizio la costituzione è un’attività materiale, è abbastanza evidente la scontatezza e la superficialità di tale congettura.
Tirando le fila delle considerazioni che precedono, si deve concludere come il processo inferenziale attraverso cui, dalla riduzione dei termini di comparizione espressamente prevista dall’art. 645 comma 2 cpc, si sostiene l’esistenza di una riduzione dei termini di costituzione, oltre che illogico, crea uno sbilanciamento degli interessi dei contendenti nel processo. Parafrasando un noto teologo, è il caso di dire che l’oscurantismo giuridico non ha nulla da invidiare a quello religioso.
La sentenza di Cassazione S.U. n. 19246 del 09.09.2010 ha rapidamente spazzato via uno dei principi monolitici, sebbene dibattuti, su cui la giurisprudenza e la Corte costituzionale hanno da tempo fondato la disciplina della costituzione in giudizio dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Come è noto nel giudizio ordinario gli art. 163 bis e 165 cpc stabiliscono che la dimidiazione dei termini di costituzione consegua all’abbreviazione dei termini di comparizione contenuta in un provvedimento giurisdizionale emesso su istanza dell’attore.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’art. 645 comma 2 cpc dispone invece esclusivamente la riduzione a metà dei termini di comparizione, senza nulla statuire in ordine alla dimidiazione dei termini di costituzione, sulla quale rimangono silenti anche i lavori preparatori al DPR 857/1950.
In caso di omessa o tardiva costituzione dell’opponente, l’art. 647 cpc stabilisce l’esecutività del decreto ingiuntivo e l’improcedibilità dell’opposizione, che, secondo l’interpretazione prevalente non può essere neppure riassunta, essendo l’art. 647 cpc norma speciale propria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, e quindi prevalente sulle norme di cui agli artt. 171 e 307 cpc relativi alla tardiva costituzione nel giudizio ordinario.
Tuttavia, richiamando gli artt. 163 bis e 165 cpc, la giurisprudenza aveva mitigato tale rigore normativo ritenendo che la riduzione a metà dei termini di costituzione ex art. 645 c. 2 cpc fosse rimessa alla facoltà dell’opponente di concedere all’opposto termini a comparire ridotti della metà.
L’opponente poteva pertanto, anziché valersi dell’art. 645 comma 2 cpc, assegnare al convenuto il termine ordinario di comparizione o anche uno maggiore, costituendosi entro i dieci giorni successivi alla notifica dell’opposizione, e soltanto in presenza di una dimidiazione dei termini di comparizione anche i termini di costituzione dovevano ritenersi automaticamente ridotti alla metà. (ex multis Cass. Civ. Sez. III 03.07.2008 n. 18203; Cass. civ., Sez. III, 20/11/2002, n.16332; Cass. 15.03.2001 n. 3752; Cass. 30.03.1998 n. 3316; Cass. 07.04.1987 n. 3355; nella giurisprudenza di merito si vedano Trib. Novara 12.05.2010 n. 491; Trib. Roma sez. V 26.06.2009 n. 14271; Trib. Genova 12.02.2008, Trib. Genova 28.03.2008; Trib. Bari Sez. I 09.06.2006; Trib. Modena 16.04.2003).
§ 2. Il principio espresso dalle Sezioni Unite.
Nel caso specifico la Corte di cassazione a S. U. era chiamata a decidere sulla legittimità della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Lecce, la quale, confermando la decisione di primo grado e richiamando l’orientamento tradizionale, aveva affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’abbreviazione dei termini di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario (sessanta o novanta giorni). In tal senso la Corte ha rigettato il ricorso, confermando così la sentenza della Corte territoriale.
Fin qui nulla di nuovo, si direbbe. La sentenza si è spinta invece ben oltre l’esame del petitum specificatamente sotteso al ricorso.
Recependo infatti le perplessità manifestate dalla Prima sezione, secondo la quale non risponderebbe alla sistematica processuale che la disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti, le Sezioni unite hanno affermato (pag. 10 sentenza) che "non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 cpc prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà". Pertanto la riduzione a metà dei termini di costituzione discende sic et simpliciter dalla proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
§ 3. Le conseguenze sui giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso.
Sulla scorta di tale principio di diritto, quali che siano i termini a comparire, l’opponente dovrebbe sempre costituirsi entro i cinque giorni successivi alla notifica dell’atto di citazione, pena l’improcedibilità dell’opposizione. E’ quindi di tutta evidenza come tale disciplina, negando valore, ai fini della costituzione in giudizio dell’opponente, all’attribuzione all’opposto di un termine corrispondente ovvero inferiore a quello ordinario, sia improntata ad un rigorismo ben più accentuato rispetto al precedente orientamento, che pure non andava esente da censure.
Esiziali rischiano di essere inoltre gli effetti della decisione in esame sui giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso, nei quali l’opponente, non avvalsosi della facoltà di ridurre i termini a comparire (60 o 90 giorni), si sia costituito purtuttavia entro i dieci giorni successivi alla notifica dell’atto di opposizione.
E’ inutile dire che nonostante l’assenza di vincolatività dei precedenti, molti di questi procedimenti avranno le ore contate, in quanto la conseguenza dell’overruling a partita iniziata rischia di essere l’improcedibilità dell’opposizione, peraltro rilevabile d’ufficio.
In attesa di un intervento del legislatore i rimedi tesi ad arginare gli effetti rovinosi sul diritto alla tutela giurisdizionale sono di duplice ordine, e vanno essenzialmente ricondotti, sia pure in chiave problematica, all’istituto della rimessione in termini e ad un nuovo intervento della Corte costituzionale in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 645 comma 2 cpc, segnatamente nell’accezione interpretativa formulata nella sentenza in esame.
§ 4. La rimessione in termini.
La rimessione in termini, dopo l’abrogazione dell’art. 184 bis cpc da parte dell’art. 46 comma 3 Legge n. 69/2009, è attualmente disciplinata dall’art. 153 cpc, ed opera in favore della parte incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile.
L’applicabilità della rimessione alla costituzione dell’opponente nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso appare percorribile tenuto conto sia della non imputabilità dell’errore di chi, attenendosi al diritto vivente dell’epoca, si sia costituito nei dieci giorni successivi alla notifica dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo senza ridurre i termini a comparire, sia delle recentissime aperture della giurisprudenza di legittimità sull’ambito applicativo dell’istituto.
In tal senso degna di attenzione è la recente Cass. civ. Sez. II 17.06.2010 n. 14627, secondo cui "alla luce del principio giurisprudenziale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell’art. 184 bis cpc, ratione temporis applicabile, anche in assenza di un’istanza di parte, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d’inammissibilità od improcedibilità dell’impugnazione dovuto alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell’orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso.
Quanto all’ambito applicativo, anteriormente alla novella del 2009, che con l’art. 153 bis ha esteso l’ambito applicativo della rimessione anche al di fuori della fase di trattazione della causa, l’applicabilità della stessa alle situazioni esterne al giudizio è oggetto di ampio dibattito.
Sul punto una nutrita giurisprudenza riteneva, ed ancora oggi ritiene, che per la sua collocazione sotto la rubrica della trattazione della causa e per il riferimento al giudice istruttore, l’art. 184 bis non sarebbe invocabile per le situazioni esterne allo svolgimento del giudizio, quali sono le attività necessarie all’introduzione del giudizio, nelle quali dovrebbe farsi rientrare anche la costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dell’opponente.
Tale indirizzo risulta tuttavia superato da alcune recenti pronunce della Corte regolatrice (Cfr. la stessa Cass. civ. Sez. II 17.06.2010 n. 14627, nonché Cass. Civ. Sez. II 02 Luglio 2010 n. 15811; Cass. S. U. 14.01.2008 n. 627; 04.02.2008 n. 2520), nelle quali si è osservato come la lettura restrittiva dell’art. 184 bis cpc, nel regime anteriore alla riforma del 2009, oltre a non tenere conto delle innovazioni apportate all’art. 184 bis dalla novella del 1995 a seguito della soppressione del riferimento alle sole decadenze previste negli artt. 183 e 184 cpc, oblitera le esigenze di certezza ed effettività delle garanzie difensive nel processo civile, e quindi non possa ostacolare il ripristino del contraddittorio in presenza di una decadenza derivante da una causa non imputabile.
§ 5. Il problema della legittimità costituzionale dell’art. 645 comma 2 cpc.
Fertile terreno di scontro sarà anche quello della legittimità costituzionale, nel quale è assodato come gli artt. 645 comma 2 cpc e 647 cpc siano stati investiti a più riprese da eccezioni di incostituzionalità relative a violazioni di principi del diritto di difesa, del contraddittorio, di uguaglianza e del giusto processo previsti dagli artt. 3, 24 e 111 Costituzione, correlate alla dimidiazione del termine di costituzione ed alla improcedibilità in caso di omessa o tardiva costituzione, senza possibilità di riassunzione.
Anteriormente alla pronuncia in commento la Corte costituzionale aveva escluso una violazione di tali parametri costituzionali, proprio sul rilievo che la riduzione del termine di costituzione dell’opponente a cinque giorni dalla notificazione dell’opposizione a decreto ingiuntivo non costituiva un elemento immutabile, essendo circoscritta ai soli casi in cui l’opponente si fosse avvalso della facoltà di ridurre i termini di comparizione.
Paradigmatica al riguardo è l’ordinanza di Corte costituzionale 08/02/2008, n.18, che in linea con la precedente giurisprudenza aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 165, 645 e 647 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 comma 2 Cost., "nella parte in cui fanno gravare sull’opponente a decreto ingiuntivo l’onere di costituirsi in un termine eccessivamente breve. Posto che è lo stesso opponente a porre le premesse per la sua costituzione nel termine ridotto, avvalendosi della facoltà di dimidiare il termine di comparizione del debitore ingiunto, e che, pertanto, egli deve ritenersi certamente consapevole del particolare onere di diligenza connesso a tale scelta e delle conseguenze che le norme processuali collegano alla tardiva costituzione in giudizio, non è configurabile la prospettata violazione del diritto di difesa (…)".
Se anche nella giurisprudenza costituzionale la ratio giustificatrice dell’assenza di violazioni dei parametri costituzionali risiedeva a chiare lettere proprio nella libertà dell’opponente di atteggiare la propria strategia difensiva, in adesione al diritto vivente, è inevitabile rilevare che l’elisione di tale margine di scelta da parte delle Sezioni unite non potrà che accentuare ulteriormente la disparità di trattamento degli artt. 645 e 647 cpc rispetto agli art. 163 bis e 165 cpc, nel quale la riduzione dei termini a comparire è pur sempre rimessa ad una facoltà dell’attore di richiedere l’autorizzazione al giudice, con conseguente ulteriore divaricazione di tali norme dai principi costituzionali.
A tale proposito gli argomenti impiegati da Cass. S. U. 19246/2010 per superare i dubbi di costituzionalità sono tutt’altro che dirimenti.
La sentenza afferma che l’opponente, proponendo l’opposizione, non potrebbe non conoscere quali sono le conseguenze processuali della sua iniziativa, e quindi la dimidiazione dei termini di costituzione dipenderebbe comunque da una scelta consapevole. Il ragionamento è fuorviante, in quanto l’illegittimità costituzionale di una norma non può certo ritenersi esclusa o attenuata dalla conoscenza di essa, tanto più considerato che l’art. 645 c. 2 cpc dispone la riduzione a metà dei soli termini di comparizione senza nulla statuire su quelli di costituzione.
Non convince neppure il secondo argomento, secondo cui la diversità di ampiezza dei termini di costituzione dell’opponente rispetto all’opposto non apparirebbe irragionevole, posto che la costituzione in giudizio dell’opponente sarebbe una mera attività materiale, mentre l’opposto nel costituirsi dovrebbe valutare le allegazioni e le prove dell’opposizione per preparare la propria risposta. Chiarito che la preparazione della strategia difensiva da parte del convenuto non presenta tratti differenziali sia nel giudizio ordinario che in quello di opposizione a decreto ingiuntivo, e che in entrambi i tipi di giudizio la costituzione è un’attività materiale, è abbastanza evidente la scontatezza e la superficialità di tale congettura.
Tirando le fila delle considerazioni che precedono, si deve concludere come il processo inferenziale attraverso cui, dalla riduzione dei termini di comparizione espressamente prevista dall’art. 645 comma 2 cpc, si sostiene l’esistenza di una riduzione dei termini di costituzione, oltre che illogico, crea uno sbilanciamento degli interessi dei contendenti nel processo. Parafrasando un noto teologo, è il caso di dire che l’oscurantismo giuridico non ha nulla da invidiare a quello religioso.