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Il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

Legge "spazzacorrotti"
Legge "spazzacorrotti"

Indice:

1. Premesse sull’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

2. La struttura del reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

3. La riforma del 2019 sull’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

4. Conclusioni sull’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

 

1. Premesse sull’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

Il tema della percezione fraudolenta di erogazioni pubbliche da parte di imprese ed aziende è presente ormai da qualche tempo in un gran numero di processi legati a reati societari e di corruzione, soprattutto nell’ambito del sistema Pubblico. L’esigenza, soprattutto in seno all’opinione di arginare queste condotte era diventata, dunque, stringente e proprio sulla scorta di tali considerazioni, l’articolo 316 ter Codice Penale, che punisce questi fenomeni, è stato di recente riformato in un’ottica più repressiva.

In questa sede viene brevemente analizzata questa complessa ed interessante fattispecie criminosa, sempre più attuale e che – insieme ai casi di malversazione ai danni dello stato – trova ormai periodicamente spazio nelle prime pagine dei quotidiani di settore.

Prima di entrare nel merito dell’analisi della norma, con particolare riguardo alle modifiche operate dalla Legge n. 3 del 2019, occorre brevemente evidenziare come la disposizione punisca l’indebito ottenimento di somministrazioni finanziarie statali o europee mediante l’utilizzo di informazioni false.

La ratio della norma risiede – in ottica repressiva – nella tutela della corretta e leale competizione al fine di ottenere danari pubblici, affinché tale procedura non venga viziata da soggetti che attestano il falso. Il bene giuridico tutelato dalla norma è, dunque, la Pubblica Amministrazione nella propria libertà – non viziata né compromessa o condizionata – nel procedimento formativo della volontà di distribuire le proprie risorse finanziarie. In ultimo, la norma mira tutelare, conseguentemente, il patrimonio pubblico.

 

2. La struttura del reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

La disposizione in esame sancisce che “chiunque” commetta il descritto illecito viene punito: il reato di indebita percezione di erogazioni a danno della Stato è, dunque, un reato comune. Tuttavia, sul punto, parte della dottrina in maniera isolata e contravvenendo il dato testuale ha sostenuto trattarsi di reato proprio, configurabile solo da chi consegua indebitamente l’erogazione.

Dunque, chiunque può commettere tale reato, questo il dato testuale. La Giurisprudenza negli anni ha arricchito tale enunciazione, specificando nei casi concreti quali soggetti configurino il reato di cui all’articolo 316 ter Codice Penale.

In materia la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito come “non integri reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni l’omessa comunicazione all’INPS dell’intervenuta morte del contitolare del conto corrente nonché beneficiario del contributo” (Cass. Pen., Sez. VI, 30/01/2018, n.14940). In tal caso la Suprema Corte ha ritenuto non configurabile nei confronti del soggetto l’omissione di informazioni dovute in quanto né convivente, né congiunto, né informato sui fatti. Nel caso di specie, mancava, dunque, la prova della coscienza e della volontà di percepire indebitamente le somme.

A questo punto, occorre analizzare brevemente gli elementi tipici del reato di cui all’articolo 316 ter Codice Penale, ricordando come la tipicità consista nella perfetta coincidenza tra quanto prescrive la norma ed il comportamento posto in essere dal soggetto. In mancanza di tale coincidenza, il reato non sarà configurato, in quanto non tipico.

Gli elementi tipici del reato in esame sono:

- l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere;

- l’omissione di informazioni dovute;

- l’indebito conseguimento per sé o per altri delle somme.

Innanzitutto, occorre rilevare come il fatto di reato possa essere configurato tanto mediante una condotta di tipo commissivo, quanto attraverso una condotta semplicemente omissiva, quale la reticenza in ordine ad informazioni dovute.

La prima condotta, commissiva, riguarda l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere. L’oggetto materiale del reato sono, dunque, le dichiarazioni e i documenti presentati; sul punto il Vinciguerra ha rilevato come i documenti e le dichiarazioni devono essere falsi o attestanti cose non vere, secondo una dizione volutamente ampia, che abbraccia ogni tipo di falsità, sia essa ideologica o materiale.

La seconda condotta, come detto, è di tipo omissivo ed attiene alle informazioni dovute e non presentate. Sul punto è stato precisato come le “informazioni la cui omissione può integrare la fattispecie dell’articolo 316 ter Codice Penale devono essere dovute, devono cioè trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore nel corso dell’istruttoria finalizzata alla concessione del finanziamento o risultare imposte dal principio di buona fede pre-contrattuale ex articolo 1337 c.c.” (ALPA-GAROFOLI, Manuale di diritto penale, 187).

Sul punto la Giurisprudenza di Legittimità ha chiarito come “la mancata comunicazione all’Inps di situazioni implicanti la perdita del diritto alla corresponsione dell’assegno sociale integrano il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, atteso che il reato de quo si configura qualora l’ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere un’autonoma attività di accertamento (Cass. Pen., sez. II, 21/09/2017, n. 47064).

Seguendo il principio del nesso di causa, i documenti e le dichiarazioni – affinché possa dirsi integrato il reato – devono avere avuto un contributo eziologico nella scelta finale in ordine all’erogazione dei contributi.

Infine, il terzo elemento tipizzante il reato è – ovviamente – l’indebito utilizzo di tali fondi.

Per quanto riguarda l’elemento psicologico, la norma richiede il dolo generico: il soggetto deve avere la coscienza e la volontà di aver conseguito un indebito contributo mediante una delle condotte appena descritte. Il dolo investe tutta la condotta: deve riguardare anche la conoscenza della rilevanza dei dati inseriti od omessi ai fini della procedura di erogazione dei contributi.

In relazione al momento consumativo del reato, la disposizione induce a ritenere che la fattispecie penale si realizzi quando il soggetto percepisce effettivamente le somme indebite.

 

3. La riforma del 2019 sull’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

L’articolo 316 ter Codice Penale, come detto, è stato oggetto di alcune modifiche apportate con la legge cd. Spazzacorrotti, Legge 9 gennaio 2019, n. 3, in G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019 ed in vigore dal 31 gennaio 2019, rubricata "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici".

La modifica è stata introdotta dall’articolo 1, comma 1, lett. l) della Legge, che così recita “all’articolo 316-ter, primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri».

Dunque, per quanto attiene al reato in esame la nuova normativa ha introdotto una forma aggravata e “propria” del reato in commento. È doveroso annotare come tutta la Legge Spazzacorrotti abbia come obbiettivo la repressione delle ipotesi legate ai crimini contro la Pubblica amministrazione: la Legge ha, in questo senso, provveduto ad innalzare i limiti edittali di tali fattispecie penalmente rilevanti.

Nel caso in esame è stato previsto che – allorquando del fatto si renda protagonista un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso di qualità e poteri – la pena edittale sia la reclusione da uno a quattro anni, mentre la pena base va dai sei mesi ai tre anni.

Gli elementi rilevanti della modifica risultano essere l’innalzamento di pena e la circostanza per la quale l’aggravamento riguardi l’evenienza per la quale il reato sia commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Entrambe le novità sono da accogliere con favore, seppur, come vedremo, in linea generale la riforma nasconde al suo interno alcuni punti di debolezza.

Comunque, l’introduzione del reato “proprio” del pubblico ufficiale ha il pregio di ristabilire coerenza rispetto alla collocazione del reato di cui all’articolo 316 ter Codice Penale: tale fattispecie penale è inserita all’interno del Libro II, Titolo II, capo I del codice penale, tra i “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”, pur essendo, come visto, un reato comune. Prima dell’intervento del Legislatore la collocazione era – per l’appunto – poco coerente sotto il profilo sistematico. Attualmente il reato di cui all’articolo 316 ter Codice Penale può trovare idonea e coerente collocazione nel Capo I in questione, in quanto disciplinato quale sorta di figura ibrida, contenendo al suo interno anche elementi del reato proprio.

Alcune reazioni della Dottrina alla modifica sono state dure ed in senso critico; Pelissero, pur apprezzando lo spirito della riforma sul punto, ha condivisibilmente eccepito come la strumentalizzazione della pena per fini processuali e per rivitalizzare una norma asfittica sul piano applicativo è da censurabile. Ancora. In relazione alla scelta di alzare le pene è stato osservato come la manomissione delle cornici edittali potrebbe portare profonde disarmonie e diseconomie, espresse soprattutto in termini di privazione della libertà personale.

Parte autorevole della Dottrina è arrivata, poi, a dire che “l’impressione è che si voglia rispondere in maniera prepotente, sproporzionata e inadeguata ad un assordante allarme sociale (A. MANNA, Il fumo nella pipa (il cosiddetto populismo politico e la reazione dell’Accademia e dell’Avvocatura), in Archivio Penale, 3/2018).

Le critiche all’onda punitiva alla base delle modifiche all’articolo in esame paiono essere in parte condivisibili se si considera che alla matrice prettamente repressiva, la normativa non ha affiancato alcuna misura preventiva.

Lo scrivente in occasione della promulgazione della Legge aveva, peraltro, già avuto modo di evidenziare come la corruzione vada fermata in una fase antecedente alla sua realizzazione e non con l’arma impropria del processo (A. PARROTTA, La corruzione? Va fermata prima, non con l’arma impropria del processo, IL DUBBIO, 19 gennaio 2019, 14).

 

4. Conclusioni sull’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato

Certamente, un innalzamento delle pene non può che giovare al contrasto a reati come la corruzione o l’indebita percezione di erogazioni pubbliche, nell’immediato.

Tuttavia, se spostiamo l’orizzonte temporale di riferimento più avanti, è doveroso annotare come un sistema conforme a standard di modernità teso alla lotta dei reati contro la Pubblica amministrazione debba necessariamente essere incentrato su un’adeguata opera di educazione istituzionale e sulla predisposizione di un sistema preventivo al fine di gestire e ridurre il rischio di commissione di un illecito (il c.d. Risikoverringerung di matrice tedesca).

Sul punto, una corretta gestione del rischio legata ad un efficace Modello Organizzativo Gestionale di stampo ex Decreto Legislativo 231/01 ben potrebbe fungere da monitor di legalità…se reso per certi versi obbligatorio (ma sul punto si avrà occasione di tornare, presto!).