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Il Recovery Fund e la resilienza con la mascherina obbligatoria

Autumn leaves
Ph. Luca Martini / Autumn leaves

Con “Dispositivo di ripresa e resilienza” (Recovery and Resilience Facility) si indica più precisamente il termine che oggigiorno tutti indicano con “Recovery Fund”, ossia quel plafond economico predisposto dall’Unione Europea per bilanciare le conseguenze del Covid-19 sull’economia nell’ambito della più ad ampio respiro operazione denominata “NextGenerationEU”, come approvato dai leaders europei lo scorso 21 luglio.

Essa si fonda su “tre pilastri”: 1) aiutare gli Stati membri a riprendersi mediante, appunto, il Recovery Fund, nonché l’assistenza alla ripresa per la coesione e i territori (React-EU), programmi di sviluppo rurale rafforzato e un meccanismo rafforzato per una transizione giusta; 2) Rilanciare l’economia e sostenere gli investimenti privati mediante strumenti di sostegno alla solvibilità, la previsione e attuazione di un dispositivo per gli investimenti strategici e un programma rafforzato c.d. “InvetEU”; 3) tratte insegnamenti dalla crisi, mediante la predisposizione di un nuovo programma per la salute, un rafforzamento del RescEU e il rafforzamento di programmi per la ricerca, l’innovazione e l’azione esterna.

Dunque il Recovery Fund è solo un “serbatoio” di risorse che attiene ad una strategia molto più estesa che l’Unione Europea ha delineato per sopperire alle conseguenze della pandemia da Covid-19. Mediante il Recovery, dunque, l’Unione Europea ha previsto di distribuire 672,5miliardi di euro entro il 2026 ai 27 Paesi appartenenti ripartendo tale plafond in sussidi e contributi a fondo perduto per circa 312,5miliardi e in prestiti a tasso agevolato per circa 360miliardi (fonte Commissione Europea). Sommando ai Fondi del Recovery anche quelli di cui al NextGenerationEU quali il ReactEU (47,5miliardi, di cui 15,2 per l’Italia), il Horizon Europe (5miliardi, di cui 0,5 per l’Italia), l’InvetEU (5,6miliardi, nulla per l’Italia), lo Sviluppo Rurale (7,5miliardi, di cui 0,8 per l’Italia), il Fondo per la Transizione Giusta (10miliardi, di cui 0,5 per l’Italia) e il RescEU (1,9miliardi, di cui 0,2 per l’Italia), il plafond complessivo arriverà a 750miliardi, di cui l’Italia se ne aspetta circa 208,6. Per quanto attiene il solo Recovery Fund all’Italia dovrebbero complessivamente pervenire 63,8miliardi da sussidi e contributi a fondo perduto e circa 127,6miliardi da finanziamenti a tasso agevolato.

Bisogna però stare molto attenti, in quanto non si parla ancora di ripartizione di tanta economia (per quanto essa in linea teorica è prevista possibile sin dal 1° gennaio 2021) ma di “stanziamento”, anche perché l’erogazione è comunque vincolata – rectius, subordinata – all’esame da parte della Commissione dei Piani che i singoli Stati richiedenti dovranno predisporre dettagliatamente.

E la previsione dello stanziamento è in misura al 70% nei primi due anni, dunque lo stanziamento avverrà in tal percentuale sino alla fine del 2022. Invero, secondo le prime stime elaborate a Bruxelles in via del tutto astratta (in assenza ovviamente dei Piani e del loro esame) l’effettiva erogazione tra tutti i Paesi membri (27) dei fondi avverrà in bassa misura nel biennio 2021-2022 (complessivamente si stima che saranno erogati meno di 40miliardi nel 2021 e circa 80miliardi nel 2022), dovendo attendere il 2023 per vedere un valore di circa 100miliardi e il 2024 per ulteriori 125miliardi circa. Si ipotizza che all’Italia arriveranno maggiori fondi solo nel 2023 (circa 43miliardi complessivi, tra contributi e finanziamenti) nonostante sia prevista l’allocazione di essi nel biennio 2021-2022. Nel complesso tra tutti i Fondi, si stima che all’Italia perverranno nell’arco temporale completo circa 81,4miliardi di sussidi e contributi a fondo perduto e circa 127,6miliardi a titolo di prestiti a tasso agevolato.

Il 7 ottobre 2020 a Bruxelles è stata approvata a maggioranza qualificata la bozza di compromesso secondo cui ciascun Paese possa ottenere intanto un’anticipazione del 10% sul finanziamento totale una volta che Commissione e Consiglio abbiano approvato i singoli Piani di ripresa da parte del Paese stesso e fermo restando una prospettazione dei conti pubblici in ordine. Inoltre, di non poco conto, la specificazione che comunque i contributi a fondo perduto e i finanziamenti saranno erogati in due “rate” annuali ma a condizione del raggiungimento degli obiettivi intermedi che saranno compresi nel Piano e nelle successive comunicazioni alla Commissione da parte del Paese che ne attinge.

Ogni Stato dunque deve inviare entro il 30 aprile 2021 i “Piani Nazionali di ripresa e resilienza” in cui dovrà articolare con precisione l’utilizzo dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti a tasso agevolato di cui chiede l’assegnazione. Tali Piani saranno oggetto poi di valutazione da parte della Commissione e dovranno essere approvati dal Consiglio UE con voto a maggioranza qualificata.

La Commissione ha invitato però i singoli Stati alla presentazione delle bozze dei rispettivi piani di spesa entro il 15 ottobre 2020. Lo scorso 9 settembre il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE) ha presentato una bozza di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In essa si individuano sei macro aree su cui voler operare: digitalizzazione, transizione green, infrastrutture, istruzione e formazione, inclusione sociale e salute.

A ben vedere in tale documento si includono prospettazioni relative alla più ampia disponibilità del NextGeneratioEU e non solo al Recovery. Nell’ambito di queste macroaree si rinviene tratteggiato il piano di riforme che l’attuale Governo deve sottoporre alla valutazione della Commissione e del Consiglio UE, cui dovrebbe dare seguito il dettaglio della distribuzione dei fondi nei diversi settori all’interno della Nota di Aggiornamento al DEF, approvata dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 5 ottobre 2020 (in ritardo rispetto alla dead line di presentazione alle Camere del 27 settembre di ogni anno).

L’ottimismo di tale documento, però, ha subito un freno da parte dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, il quale da un lato ha “validato” la Nota di Aggiornamento unicamente con riguardo al primo anno di previsione e non per il triennio a venire.

L’esito positivo è stato argomentato in base alle mere “informazioni molto generali” ricevute dal Governo, permanendo però molto ampio il rischio di un doveroso ribasso delle stime. Anche Il CNEL ha rilevato con una memoria del 12 ottobre scorso una forte preoccupazione sulla “futura sostenibilità” del programma di finanza pubblica rilevando che esso dovrà presupporre un “netto cambio di passo nella capacità di spesa.  A braccetto il citato giudizio dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che proprio in relazione alla consolidata e peraltro preannunciata dinamica economica interna, dunque al netto delle risorse europee di cui si confida l’erogazione, le stime di crescita di cui alla Nota di Aggiornamento al DEF vedranno una misura presumibilmente inferiore tanto nel 2022 (2% risetto al 2,8% della NaDEF) quanto nel 2023 (sotto l’1% rispetto al prospettato 1,8% della NaDEF). Afferma l’Ufficio che stante tali presupposti e tali argomentate stime, né tramite la annunciata politica fiscale né tramite la connessa liquidità del Recovery, si riuscirà a mantenere una riduzione del debito pubblico, anzi.

Totalmente inutili saranno sia il programma europeo di sostegno sia l’intervento della BCE se non si perseguirà effettivamente e realmente un abbassamento del debito, obiettivo che le stime della Nota di Accompagnamento al DEF non rendono ad oggi per niente perseguibile nel triennio a venire. In sostanza, il giudizio rassegnato è stato di un “eccesso di ottimismo” nei calcoli rappresentati nella Nota di Aggiornamento sulla crescita del triennio. Una valutazione che a mio sommesso giudizio non può non rapportarsi all’esito dell’”Analisi della pressione fiscale in Italia, in Europa e nel mondo. Struttura ed evoluzione dei principali indicatori di politica sociale” predisposto dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti, secondo cui la pressione fiscale reale in Italia è al 48,2%, al netto del sommerso e dell’economia illegale, stimata in circa 215miliardi (12% del PIL).

Ora, la calendarizzazione prevede che entro il 15 ottobre il Parlamento dovrà approvare la Nota propedeutica alla legge di bilancio, poi entro il 20 ottobre in Parlamento si dovrà presentare il testo di disegno di legge di bilancio la quale dovrà essere approvata entro il 31 dicembre e in pari data pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Ad oggi, risulta che il 12 ottobre la Commissione Bilancio della Camera abbia dato il via libera alle linee guida del Governo per l’uso del Recovery Fund per 209miliardi. Nel mentre il 15 settembre sono state presentate le “Linee Guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (consultabili su www.politicheeuropee.gov.it), nelle quali viene esplicitato che i vari Piani Nazionali definitivi, alla luce della dead line di presentazione dell’aprile 2021, determineranno – se approvati – una operatività solo dalla seconda metà del 2021, salvo l’anticipo del 10% sulla base dei programmi approvati.

Orbene, nonostante l’approvazione della bozza di compromesso sia pervenuta solo il 7 ottobre scorso, nella Nota di Aggiornamento del DEF approvata il 5 ottobre si era già indicata la previsione di poter ottenere già nel 2021 l’erogazione di circa 25miliardi (10 di contributi, 11 di prestiti e altri 3 per la coesione al programma “ReactEU”. L’Italia poi si attende di poter richiedere (non si parla di ricevere, salvo l’anticipo) 37,5miliardi nel 2022 e altri 41miliardi nel 2023.

A ben vedere dunque, non solo le stime effettuate da Bruxelles sono differenti dalle attese nostrane, ma è bene fare chiarezza che un conto è la richiesta di ottenimento (anche dell’anticipo del 10%) un conto è l’erogazione del Recovery Fund che è comunque sottoposta all’esame della Commissione e del Consiglio UE. E non solo, anche il famoso 10% di anticipo che viene prospettato come di possibile disponibilità sin dai primi mesi del 2021 in realtà, essendo subordinato comunque alla approvazione del piano che il Paese richiedente dovrà presentare entro il 30 aprile 2021, non potrà che nel caso pervenire se non successivamente a tale dead line laddove di fatto le bozze che si dovranno inviare entro il 15 ottobre tali sono e servono unicamente alla Commissione per iniziare a studiare, Stato per Stato, le politiche economiche e i piani che dovranno poi confluire nel documento ufficiale risultante dall’effettivo e formale Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Nelle Linee Guida per ora dimesse lo scorso 15 settembre dal Governo, tra le varie riforme di cui si prefigge l’elaborazione, nell’ambito del cap. IV.6 rubricato “Riforma della Giustizia” si dichiara che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza “persegue l’obiettivo di realizzare un ordinamento giuridico più moderno e attraente attraverso tre azioni principali: i) la riduzione della durata del processo civile e del processo penale; ii) la revisione del codice civile; iii) la riforma del diritto societario, anche per uniformare la governance societaria agli standard UE, e la riforma della disciplina della crisi d’impresa”.

La riforma della giustizia viene declinata quale evento che possa contribuire “alla creazione di un ambiente imprenditoriale favorevole all’attività economica e agli investimenti” nell’ambito della quale si incardina anche la tempestiva implementazione della riforma del Codice delle crisi di impresa e dell’insolvenza” quale di fondamentale importanza.

Omessa ogni valutazione sull’espressione “ordinamento giuridico più moderno e attraente” (come se si parlasse di un nuovo modello di automobile!), che declina la distanza siderale dei redattori del documento rispetto alla cultura giuridica costituzionale elementare (e non solo), è peculiare il richiamo alla tempestività, laddove lo Schema di Decreto Legislativo correttivo del Codice della Crisi d’Impresa approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 13 febbraio 2020 ha già visto lo scorso 23.06.2020 la formulazione di un parere favorevole da parte della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati e il successivo 9.07.2020 un parere favorevole con osservazioni da parte della Commissione Giustizia, nonché, ancora, ulteriore parere favorevole con osservazioni da parte delle Commissioni del Senato, ma ad oggi non risulta ancora posto ad alcun ordine del giorno del Consiglio dei Ministri, nonostante tanti annunci. Come anche il mero fatto che i decreti legge emanati nei mesi di lockdown, pur anche convertiti, risultano ancor oggi privi di un numero esorbitante di decreti attuativi che rendano efficaci le misure previste che dunque risultano meramente propagandistiche (e in quanto tali, ormai nemmeno tanto “attraenti”).

E si comprende ancor più – nonostante l’inciso delle Linee Guida - il motivo per cui si preannunci nuovamente un ulteriore rinvio dell’entrata in vigore di quella tanto decantata riforma del diritto concorsuale. Già con l’immobilismo di tutto quest’anno difatti si prevedono, con l’attuale legge (di certo migliore del CCII) una miriade di fallimenti e di crisi irreversibili, che di certo saranno implementate con il CCII che a mera lettura restituisce l’evidenza di una maggior stretta determinante financo con un automatismo di fatto la apertura della liquidazione giudiziale (il “vecchio” fallimento).

Invero pervengono da più parti segnalazioni non solo circa l’opportunità di rinviare intanto le norme relative agli Organi di Controllo societari dal 14 febbraio 2021 quantomeno al 30 settembre 2021 allorquando dovrebbe entrare in vigore il CCII, ma addirittura di rinviare ancora la data di entrata in vigore del CCII stesso; addirittura il capo dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, intervenendo lo scorso 21 settembre ad un importante e interessante convegno organizzato a Bergamo dell’Ordine dei Commercialisti e dei Revisori contabili, ha riferito quanto aleggi la possibilità di un rinvio sine die dell’entrata in vigore del CCII.

Orbene, pur anche ipotizzando che i tam-tam entusiastici provenienti da Roma restituiscano una effettiva, consapevole, valutazione ad oggi di come nei prossimi mesi articolare, argomentare, documentare e prevedere un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che sia in linea peraltro con le coperture possibili, gli scostamenti già indicati dal pareggio di bilancio e  la inattuazione preannunciata del patto di stabilità, si preannuncia comunque un 2021 non tanto di ripresa quanto piuttosto di mera resilienza. Saranno i prossimi mesi a svelare se l’evento traumatico cui apprestare simil resilienza sia davvero solo il Covid-19 o la capacità dei nostri rappresentanti e governanti.

Intanto mettiamoci la mascherina, che quanto meno aiuta a nascondere il labiale.