Il rilievo della trascrizione di un atto di matrimonio. Coppie same-sex
Storicamente, all’interno del codice civile, entrato in vigore nel 1942, la realtà pre-giuridica della “famiglia” è stata intesa quale unione matrimoniale tra due soggetti di sesso diverso.
L’istituto del matrimonio deve essere inteso come “atto” e come “rapporto”.
Nel primo caso, si tratta di un negozio giuridico bilaterale e di natura non patrimoniale.
Il matrimonio quale rapporto si riferisce, invece, all’insieme degli effetti giuridici derivanti dall’atto tra i coniugi.
La distinzione è essenziale per comprendere il meccanismo di funzionamento dei sistemi matrimoniali[1]: matrimonio religioso, civile e concordatario.
Il matrimonio religioso con effetti civili (concordatario) è disciplinato dalla Legge 27 maggio 1929, n. 847 e da alcune norme della Legge 25 marzo 1985, n. 121. Esso consegue effetti civili se previamente osservate alcune formalità, tra cui:
1) pubblicazioni presso la parrocchia degli sposi e il Comune di residenza, con rilascio da parte dell’Ufficiale di stato civile di un certificato attestante la mancanza di opposizioni al rito e/o cause ostative, a fronte del quale documento egli è vincolato a trascrivere il matrimonio celebrato e valido dal punto di vista formale;
2 ) lettura degli articoli del codice civile inerenti a diritti e doveri dei coniugi;
3) redazione, da parte del celebrante, dell’atto di matrimonio, in doppio originale;
4) entro 5 giorni dalla celebrazione, richiesta in forma scritta all’Ufficiale dello stato civile da parte del parroco del luogo in cui il rito si è svolto (e non dal celebrante, che deve soltanto redigere l’atto, come al punto n. 3) di procedere a trascrivere l’atto di matrimonio nei Registri dello stato civile;
5) entro 24 ore, trascrizione dell’Ufficiale, che ne dà quindi notizia al parroco[2].
Con riguardo alla efficacia dell’atto di matrimonio, si sono svolte le medesime considerazioni relative alla alternativa tra funzione esclusivamente probatoria oppure anche costitutiva prospettate per l’atto di nascita sub articolo 28 Ordinamento dello stato civile.
La trascrizione del matrimonio concordatario riveste un ruolo essenziale, in quanto conferisce effetti civili al rito religioso, retroattivamente dal giorno della celebrazione.
Senza trascrizione, quindi, non sarebbe possibile il passaggio che consente ad un matrimonio religioso di acquisire effetti giuridici nell’ordinamento.
L’istituto della trascrizione ha in generale notevole rilievo per la legge italiana, non soltanto, quindi, con riguardo al matrimonio (concordatario).
Si tratta infatti di un meccanismo diretto a rendere pubblici determinati atti relativi a diritti sulle cose, strettamente concernente i temi della pubblicità e della circolazione giuridica, per conferire certezza ed inattaccabilità alle posizioni giuridiche soggettive.
Specificamente, per quanto concerne la trascrizione in Italia del matrimonio canonico celebrato all’estero, la Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 26 febbraio 1986, secondo anche quanto in Corte di Cassazione, Sentenza 25 gennaio 1979, n. 557, ha distinto due ipotesi.
La trascrizione è stata ritenuta ammissibile ex articolo 5, Legge n. 847/29 ove nel Paese straniero il matrimonio canonico non producesse effetti civili.
Inoltre, il matrimonio canonico si sarebbe dovuto riconoscere in Italia, ex articolo 115 del codice civile, come rito celebrato secondo la legge del luogo, quindi quale matrimonio civile, nel caso in cui gli effetti si fossero già prodotti nell’ordinamento straniero in conseguenza della sua legislazione[3].
Quanto appena detto induce alla trattazione del tema sulla non-trascrivibilità in Italia dell’atto di matrimonio civile celebrato all’estero e tra persone dello stesso sesso.
Il tema è di estrema attualità, specie a fronte di una recente Circolare del Ministero dell’Interno, che in data 7 ottobre 2014 ha chiesto ai Prefetti di annullare le trascrizioni, effettuate da alcuni Sindaci italiani nei Registri dello stato civile, di matrimoni gay contratti all’estero.
Ratio di tale Circolare concerne la impossibilità tra persone dello stesso sesso di sposarsi secondo la legge italiana attuale, e la conseguente non trascrivibilità del rito all’interno dei Registri, per violazione di legge.
In proposito, è necessario operare una essenziale distinzione.
Secondo il vigente ordinamento giuridico, non è disciplinata l’unione matrimoniale tra gay. È loro possibile, però, contrarre matrimonio all’estero.
Esemplificativamente, in Danimarca, nel 1989, fu istituita la partnership: pur non trattandosi ancora di “matrimonio”, l’unione registrata presentava conseguenze legali simili a quelle sue tipiche. La relativa abrogazione è avvenuta ufficialmente nel 2012, a fronte dell’approvazione della Legge che ha ivi aperto al matrimonio tra coppie same-sex.
Attualmente, in Europa, siffatta forma matrimoniale è stata riconosciuta anche in Gran Bretagna (esclusa l’Irlanda del Nord), Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia e Islanda.
È inoltre ammessa negli Stati Uniti d’America, in Brasile, Argentina, Uruguay, Sudafrica, Canada e Nuova Zelanda.
La Corte Costituzionale italiana, con Sentenza del 15 aprile 2010, n. 138, si era espressa sulla questione di legittimità costituzionale delle norme poste a fondamento del rifiuto da parte di un Ufficiale dello stato civile di provvedere alle pubblicazioni di un matrimonio tra persone dello stesso sesso e sulla possibilità o meno di celebrare un matrimonio same-sex in Italia.
Pur negando l’esistenza di una norma costituzionale riconoscente il diritto al matrimonio tra costoro, la pronuncia ha sostenuto che anche l’unione omosessuale fosse inclusa nel concetto di “formazioni sociali” ex articolo 2 Costituzione. Tuttavia, il riconoscimento e la garanzia di tale diritto sono da ricondurre ad un’esclusiva scelta del Parlamento.
La Corte di Cassazione italiana, con pronuncia del 15 marzo 2012, n. 4184, ha affrontato per la prima volta la tematica della configurabilità, in capo a due cittadini same-sex, del diritto di ottenere la trascrizione del matrimonio da loro contratto all’estero.
Il Collegio è giunto ad esprimere il principio secondo cui non possa essere trascritto un simile matrimonio, senza però ritenerlo inesistente bensì semplicemente qualificandolo come inidoneo a produrre effetti giuridici in ambito nazionale.
La pronuncia si allinea all’orientamento tradizionale, sostenuto più volte in sede di legittimità, in base al quale il requisito della diversità sessuale[4], pur se non previsto in modo espresso quale causa di invalidità del matrimonio, ne costituisca un postulato implicito, emergente dal medesimo contesto letterale.
Si tratta di un principio intrinseco all’istituto: in tal senso sarebbero gli articoli 107 del codice civile, che parla di “marito” e di “moglie”, 5 della Legge 1 dicembre 1970, n. 898 e 9 della Legge 6 marzo 1987, n. 74.
Il Collegio ha ritenuto che il diritto fondamentale di contrarre matrimonio, pur certamente previsto in Costituzione, si rivolga a persone appartenenti a sesso differente, come sotteso all’articolo 29 del testo.
Tuttavia, la Corte, pur partendo dalle premesse offerte dalla Consulta ed in specie dalle considerazioni in merito all’articolo 117 Costituzione, offre un ulteriore interessante sviluppo.
Le norme internazionali ed europee richiamate da tale norma non impongono agli Stati la predisposizione di alcuna garanzia per i nubendi dello stesso sesso; esse prescrivono ai Giudici nazionali una interpretazione delle norme del proprio ordinamento quanto più possibile conforme alle disposizioni internazionali ed europee, così come interpretate dalle rispettive Corti di riferimento.
L’importanza di tale sentenza concerne il riconoscimento da parte del Supremo Collegio del fatto che anche i componenti di una coppia omosessuale stabilmente convivente debbano essere considerati titolari del “diritto a una vita familiare” e del “diritto di vivere liberamente una condizione di coppia”, in quanto formazioni sociali tutelate ex articolo 2 Costituzione.
Con Sentenza della Cassazione Civile n. 10351 del 1998, la giurisprudenza di legittimità, in tema di trascrivibilità in Italia di matrimonio celebrato all’estero, ne ha affermato la validità in base al principio locus regit actum, dato che le norme di diritto internazionale privato attribuiscono a siffatti matrimoni tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri, immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera e che quindi spieghino effetti civili nell’ordinamento interno dello Stato estero.
Recentemente, il Tribunale di Grosseto, con Sentenza del 9 aprile 2014, ha accolto il ricorso di una coppia omosessuale che, dopo aver celebrato matrimonio due anni prima, a New York, aveva chiesto la trascrizione dell’atto all’interno dei Registri dello stato civile del Comune di residenza.
Il conseguente rifiuto dell’Ufficiale era basato sulla constatazione per cui la legge italiana non prevede il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso poiché ritenuto in contrasto con l’ordine pubblico.
Il Giudice di merito ha sostenuto la propria tesi interpretando, anche innovativamente, differenti disposizioni, tra cui:
- l’articolo 18 del Decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396, secondo cui gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se contrari all’ordine pubblico;
- gli articoli 27 e 28 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, secondo cui, in primo luogo, le condizioni per contrarre matrimonio sono disciplinate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio e, in secondo luogo, il matrimonio è formalmente valido se considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi o dalla legge dello Stato di comune residenza al momento della celebrazione;
- l’articolo 65 della summenzionata Legge n. 218 del 1995, secondo cui “Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell’ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa”;
- l’articolo 115 del codice civile, secondo cui il cittadino italiano è soggetto alle disposizioni in esso contenute, secondo il Titolo VI, Libro primo, anche quando è celebrato matrimonio in un Paese straniero.
I Giudici del Tribunale hanno ritenuto che la summenzionata Sentenza della Cassazione Civile n. 4184 del 2012 affermasse, implicitamente, la non contrarietà del matrimonio omo-sessuale all’ordine pubblico, riconoscendo come valido il principio espresso nella sentenza del 24 giugno 2010, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la quale è stato stabilito che il diritto al matrimonio, ex articolo 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), non debba essere interpretato limitatamente ai casi di matrimonio tra persone di sesso opposto.
La disposizione va correlata al successivo articolo 14: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.
La Corte Costituzionale italiana, con Sentenza n. 138 del 2010, non ha escluso la possibilità che il dubbio normativo consistente nella differenza di sesso tra i nubendi, ricavabile da una interpretazione sistematica del codice civile, possa essere superato legislativamente.
Tale orientamento, peraltro elaborato all’interno di una sentenza di rigetto e quindi vincolante soltanto nel giudizio a quo, deve essere riconsiderato alla luce delle precisazioni nella Sentenza di legittimità n. 4184 del 2012.
In base ad essa, per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sembra doversi operare una eccezione alla interpretazione corrente delle norme in materia di trascrizione: siffatto rito non sarebbe trascrivibile in quanto radicalmente inidoneo a produrre effetti nel nostro Paese. Si è optato quindi per configurare la differenza di sesso tra le cause di invalidità del matrimonio in re ipsa.
La nozione di “matrimonio” andrebbe però costruita seguendo le indicazioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Pertanto, attualmente, pur nulla prospettando a riguardo il codice civile, la differenza di sesso dovrebbe essere irrilevante per l’enucleazione di una definizione del matrimonio.
L’articolo 9 della Carta di Nizza non contempla la distinzione in esame come requisito necessario per esercitare il diritto a sposarsi. Con portata innovativa, da confrontare rispetto al corrispondente articolo 12 Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, il menzionato testo riconosce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.
L’articolo 12 prevede invece il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia per uomini e donne in età adatta. Secondo l’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, il diritto di sposarsi e il diritto di fondare una famiglia sono considerati, l’uno in relazione all’altro (pertanto, la famiglia tradizionale è fondata sul matrimonio).
Inoltre, in C.E.D.U., uomini e donne sono il riferimento per l’atto di matrimonio, in quanto “A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.
La Carta di Nizza, invece, prevede che il diritto a sposarsi sia disgiunto rispetto al diritto a fondare una famiglia. L’articolo 9 semplicemente afferma quanto segue: “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
Permettendo la trascrizione di un matrimonio estero gay, si eviterebbe una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale tutte le volte in cui lo status coniugale è presupposto necessario per l’applicazione in Italia di norme di fonte europea.
Esemplificativamente, nel nostro Paese, a fronte dell’opposizione dell’Ufficiale dello stato civile alla domanda di matrimonio proposta da coppie siffatte, il relativo rifiuto è impugnato, con conseguente questione di legittimità costituzionale sollevata davanti alla Consulta.
Altrimenti, è direttamente celebrato matrimonio in uno Stato estero che lo ammette, con richiesta di riconoscimento nel Comune di residenza dei coniugi.
La prima via è stata spesso percorsa: diverse sono le ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, che, ad esempio si è pronunciata a riguardo nel 2010[5], dichiarando infondata la questione.
Le norme di riferimento sono gli articoli 2 e 29 della Carta fondamentale.
Si registra una profonda differenza tra quanto all’interno dell’una e dell’altra norma giuridica.
L’articolo 29 fu scritto con sicuro riferimento al matrimonio tra persone di sesso diverso, essendo il testo entrato in vigore il 1 gennaio 1948.
Il concetto di “matrimonio” non deve però essere cristallizzato nel significato che la Costituzione (necessariamente) proponeva a metà Anni ‘40 del XX secolo.
Di conseguenza: è necessario tracciare una linea evolutiva? Chi sarebbe legittimato in tal senso?
Certamente, non il Giudice.
La dottrina ha elaborato due possibili letture della Sentenza n. 138 in esame, permanendo ambiguo il quesito sul se il legislatore ordinario possa tracciare la summenzionata linea evolutiva oppure se ciò spetti unicamente al legislatore costituzionale.
Con riferimento all’articolo 2 Costituzione, la Corte ritiene che anche le unioni tra soggetti di pari sesso siano tutelate, con necessità di garantire un riconoscimento da parte del legislatore tanto dei diritti quanto dei doveri connessi.
Tale aspirazione al riconoscimento postula una disciplina di carattere generale.
Dovrebbe quindi concludersi per l’assenza di ostacoli alla trascrizione del matrimonio, anche in quanto è incontestato che l’atto stipulato all’estero sia valido formalmente ove considerato tale dalla legge del luogo di sua celebrazione.
La trascrizione, come accennato precedentemente, ha valenza di pubblicità dichiarativa, non costitutiva degli effetti del matrimonio.
Come tale, pertanto, è funzionale alla opponibilità nei confronti di terzi di un determinato atto o fatto.
I matrimoni tra persone dello stesso sesso si trascrivono all’anagrafe per certificare l’esistenza di un rapporto appunto riconosciuto all’estero. Non si tratta di dichiarare che due persone, poiché sposate all’estero, debbano essere considerate tali anche in Italia.
I coniugi possono così esercitare i rispettivi diritti nei Paesi in cui il matrimonio è tra loro riconosciuto. Conseguenza non è che il diritto europeo obblighi l’Italia ad aprire al riconoscimento dei matrimoni gay.
Una certificazione siffatta è utile, ad esempio, in un eventuale contenzioso, per provare la durata e la stabilità della convivenza.
È utile, soprattutto, per godere dei diritti attribuiti al coniuge dalla legislazione europea, consentendo di ottenere il permesso di soggiorno per ogni cittadino di altro Paese dell’Unione Europea che voglia stabilirsi in Italia e vivere con il proprio coniuge.
Inoltre, la ammissibilità di una trascrizione di matrimonio contratto all’estero tra persone di pari sesso eviterebbe una discriminazione fondata sulla cittadinanza ai danni di coniugi al contempo same-sex e cittadini italiani, in quanto un simile matrimonio, formato tra un cittadino non comunitario e un cittadino comunitario, è trascrivibile poiché ritenuto esistente, valido, non contrario all’ordine pubblico ed efficace nel nostro Paese.
Infatti, il cittadino extra comunitario, in forza del suo status coniugale, può ottenere il ricongiungimento familiare.
Dovrebbe pertanto sostenersi la tendenza volta ad assicurare anche ai cittadini italiani la pienezza del diritto alla libertà di circolazione di cui i cittadini europei sono titolari in conformità a quanto nei Trattati istitutivi dell’Unione Europea, dato che è necessaria la prova del proprio status coniugale con certificazione anagrafica dello stato civile operata in tutti i Paesi europei ove il matrimonio same-sex è permesso.
Sembra pertanto che le trascrizioni in esame debbano considerarsi legittime.
La legge attuale prevede che possano essere negate solo per contrarietà all’ordine pubblico e il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è tale.
Inoltre, la trascrizione di siffatti matrimoni appare possibile in quanto non in contrasto anche con lo stesso ordine pubblico internazionale, alla luce del sistema plurale delle fonti che connota l’ordinamento italiano.
Ulteriore considerazione deve riguardare i Sindaci, i quali sono Ufficiali dello stato civile con il compito di vigilare sul rispetto della legge.
L’annullamento delle trascrizioni di atti da costoro effettuate dovrebbe essere prescritto unicamente dall’Autorità giudiziaria, non quindi dal Prefetto su richiesta di una Circolare ministeriale.
La procedura da seguire dovrebbe eventualmente essere la seguente: richiesta dai Prefetti alla Procura di ricorrere, davanti all’Autorità giudiziaria, al fine di ottenere la cancellazione delle trascrizioni previamente effettuate dai Sindaci nei Registri dello stato civile.
***
In data 3 novembre 2014, con due decreti monocratici, il Presidente della I sezione ter, Tar Lazio ha respinto la richiesta di sospensione dell’atto con cui il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, aveva disposto l’annullamento delle trascrizioni dei matrimoni gay contratti all’estero.
Infatti, due delle sedici coppie le cui unioni erano state previamente trascritte dal Sindaco di Roma, Ignazio Marino, si erano rivolte ai Giudici al fine di ottenere, in via cautelare, provvisoria ed urgente, la sospensione del provvedimento di annullamento.
Inoltre, sempre in data 3 novembre 2014, è stato emesso altro provvedimento di annullamento, quanto a tredici trascrizioni di matrimoni same-sex, da parte del Prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, che ha ordinato al Sindaco, Giuliano Pisapia, di procedere ai conseguenti adempimenti.
[1] V. ROPPO, Diritto privato, Torino, 2013, pp. 873-874.
[2] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013, pp. 355-356.
[3] E. G. VITALI, A. G. CHIZZONITI, Diritto ecclesiastico. Manuale breve. Tutto il programma d’esame con domande e risposte commentate, Milano, 2013, p. 209.
[4] Differente è il caso, invece, della rettificazione del sesso di uno dei coniugi. Essendo la identità di sesso sopravvenuta, e non originaria, inerisce al matrimonio inteso come rapporto e non come atto e pertanto è una causa di divorzio.
[5] La sentenza è stata più volte menzionata nel testo. Si tratta di C. Cost. 15 aprile 2010, n. 138.
Storicamente, all’interno del codice civile, entrato in vigore nel 1942, la realtà pre-giuridica della “famiglia” è stata intesa quale unione matrimoniale tra due soggetti di sesso diverso.
L’istituto del matrimonio deve essere inteso come “atto” e come “rapporto”.
Nel primo caso, si tratta di un negozio giuridico bilaterale e di natura non patrimoniale.
Il matrimonio quale rapporto si riferisce, invece, all’insieme degli effetti giuridici derivanti dall’atto tra i coniugi.
La distinzione è essenziale per comprendere il meccanismo di funzionamento dei sistemi matrimoniali[1]: matrimonio religioso, civile e concordatario.
Il matrimonio religioso con effetti civili (concordatario) è disciplinato dalla Legge 27 maggio 1929, n. 847 e da alcune norme della Legge 25 marzo 1985, n. 121. Esso consegue effetti civili se previamente osservate alcune formalità, tra cui:
1) pubblicazioni presso la parrocchia degli sposi e il Comune di residenza, con rilascio da parte dell’Ufficiale di stato civile di un certificato attestante la mancanza di opposizioni al rito e/o cause ostative, a fronte del quale documento egli è vincolato a trascrivere il matrimonio celebrato e valido dal punto di vista formale;
2 ) lettura degli articoli del codice civile inerenti a diritti e doveri dei coniugi;
3) redazione, da parte del celebrante, dell’atto di matrimonio, in doppio originale;
4) entro 5 giorni dalla celebrazione, richiesta in forma scritta all’Ufficiale dello stato civile da parte del parroco del luogo in cui il rito si è svolto (e non dal celebrante, che deve soltanto redigere l’atto, come al punto n. 3) di procedere a trascrivere l’atto di matrimonio nei Registri dello stato civile;
5) entro 24 ore, trascrizione dell’Ufficiale, che ne dà quindi notizia al parroco[2].
Con riguardo alla efficacia dell’atto di matrimonio, si sono svolte le medesime considerazioni relative alla alternativa tra funzione esclusivamente probatoria oppure anche costitutiva prospettate per l’atto di nascita sub articolo 28 Ordinamento dello stato civile.
La trascrizione del matrimonio concordatario riveste un ruolo essenziale, in quanto conferisce effetti civili al rito religioso, retroattivamente dal giorno della celebrazione.
Senza trascrizione, quindi, non sarebbe possibile il passaggio che consente ad un matrimonio religioso di acquisire effetti giuridici nell’ordinamento.
L’istituto della trascrizione ha in generale notevole rilievo per la legge italiana, non soltanto, quindi, con riguardo al matrimonio (concordatario).
Si tratta infatti di un meccanismo diretto a rendere pubblici determinati atti relativi a diritti sulle cose, strettamente concernente i temi della pubblicità e della circolazione giuridica, per conferire certezza ed inattaccabilità alle posizioni giuridiche soggettive.
Specificamente, per quanto concerne la trascrizione in Italia del matrimonio canonico celebrato all’estero, la Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 26 febbraio 1986, secondo anche quanto in Corte di Cassazione, Sentenza 25 gennaio 1979, n. 557, ha distinto due ipotesi.
La trascrizione è stata ritenuta ammissibile ex articolo 5, Legge n. 847/29 ove nel Paese straniero il matrimonio canonico non producesse effetti civili.
Inoltre, il matrimonio canonico si sarebbe dovuto riconoscere in Italia, ex articolo 115 del codice civile, come rito celebrato secondo la legge del luogo, quindi quale matrimonio civile, nel caso in cui gli effetti si fossero già prodotti nell’ordinamento straniero in conseguenza della sua legislazione[3].
Quanto appena detto induce alla trattazione del tema sulla non-trascrivibilità in Italia dell’atto di matrimonio civile celebrato all’estero e tra persone dello stesso sesso.
Il tema è di estrema attualità, specie a fronte di una recente Circolare del Ministero dell’Interno, che in data 7 ottobre 2014 ha chiesto ai Prefetti di annullare le trascrizioni, effettuate da alcuni Sindaci italiani nei Registri dello stato civile, di matrimoni gay contratti all’estero.
Ratio di tale Circolare concerne la impossibilità tra persone dello stesso sesso di sposarsi secondo la legge italiana attuale, e la conseguente non trascrivibilità del rito all’interno dei Registri, per violazione di legge.
In proposito, è necessario operare una essenziale distinzione.
Secondo il vigente ordinamento giuridico, non è disciplinata l’unione matrimoniale tra gay. È loro possibile, però, contrarre matrimonio all’estero.
Esemplificativamente, in Danimarca, nel 1989, fu istituita la partnership: pur non trattandosi ancora di “matrimonio”, l’unione registrata presentava conseguenze legali simili a quelle sue tipiche. La relativa abrogazione è avvenuta ufficialmente nel 2012, a fronte dell’approvazione della Legge che ha ivi aperto al matrimonio tra coppie same-sex.
Attualmente, in Europa, siffatta forma matrimoniale è stata riconosciuta anche in Gran Bretagna (esclusa l’Irlanda del Nord), Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia e Islanda.
È inoltre ammessa negli Stati Uniti d’America, in Brasile, Argentina, Uruguay, Sudafrica, Canada e Nuova Zelanda.
La Corte Costituzionale italiana, con Sentenza del 15 aprile 2010, n. 138, si era espressa sulla questione di legittimità costituzionale delle norme poste a fondamento del rifiuto da parte di un Ufficiale dello stato civile di provvedere alle pubblicazioni di un matrimonio tra persone dello stesso sesso e sulla possibilità o meno di celebrare un matrimonio same-sex in Italia.
Pur negando l’esistenza di una norma costituzionale riconoscente il diritto al matrimonio tra costoro, la pronuncia ha sostenuto che anche l’unione omosessuale fosse inclusa nel concetto di “formazioni sociali” ex articolo 2 Costituzione. Tuttavia, il riconoscimento e la garanzia di tale diritto sono da ricondurre ad un’esclusiva scelta del Parlamento.
La Corte di Cassazione italiana, con pronuncia del 15 marzo 2012, n. 4184, ha affrontato per la prima volta la tematica della configurabilità, in capo a due cittadini same-sex, del diritto di ottenere la trascrizione del matrimonio da loro contratto all’estero.
Il Collegio è giunto ad esprimere il principio secondo cui non possa essere trascritto un simile matrimonio, senza però ritenerlo inesistente bensì semplicemente qualificandolo come inidoneo a produrre effetti giuridici in ambito nazionale.
La pronuncia si allinea all’orientamento tradizionale, sostenuto più volte in sede di legittimità, in base al quale il requisito della diversità sessuale[4], pur se non previsto in modo espresso quale causa di invalidità del matrimonio, ne costituisca un postulato implicito, emergente dal medesimo contesto letterale.
Si tratta di un principio intrinseco all’istituto: in tal senso sarebbero gli articoli 107 del codice civile, che parla di “marito” e di “moglie”, 5 della Legge 1 dicembre 1970, n. 898 e 9 della Legge 6 marzo 1987, n. 74.
Il Collegio ha ritenuto che il diritto fondamentale di contrarre matrimonio, pur certamente previsto in Costituzione, si rivolga a persone appartenenti a sesso differente, come sotteso all’articolo 29 del testo.
Tuttavia, la Corte, pur partendo dalle premesse offerte dalla Consulta ed in specie dalle considerazioni in merito all’articolo 117 Costituzione, offre un ulteriore interessante sviluppo.
Le norme internazionali ed europee richiamate da tale norma non impongono agli Stati la predisposizione di alcuna garanzia per i nubendi dello stesso sesso; esse prescrivono ai Giudici nazionali una interpretazione delle norme del proprio ordinamento quanto più possibile conforme alle disposizioni internazionali ed europee, così come interpretate dalle rispettive Corti di riferimento.
L’importanza di tale sentenza concerne il riconoscimento da parte del Supremo Collegio del fatto che anche i componenti di una coppia omosessuale stabilmente convivente debbano essere considerati titolari del “diritto a una vita familiare” e del “diritto di vivere liberamente una condizione di coppia”, in quanto formazioni sociali tutelate ex articolo 2 Costituzione.
Con Sentenza della Cassazione Civile n. 10351 del 1998, la giurisprudenza di legittimità, in tema di trascrivibilità in Italia di matrimonio celebrato all’estero, ne ha affermato la validità in base al principio locus regit actum, dato che le norme di diritto internazionale privato attribuiscono a siffatti matrimoni tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri, immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera e che quindi spieghino effetti civili nell’ordinamento interno dello Stato estero.
Recentemente, il Tribunale di Grosseto, con Sentenza del 9 aprile 2014, ha accolto il ricorso di una coppia omosessuale che, dopo aver celebrato matrimonio due anni prima, a New York, aveva chiesto la trascrizione dell’atto all’interno dei Registri dello stato civile del Comune di residenza.
Il conseguente rifiuto dell’Ufficiale era basato sulla constatazione per cui la legge italiana non prevede il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso poiché ritenuto in contrasto con l’ordine pubblico.
Il Giudice di merito ha sostenuto la propria tesi interpretando, anche innovativamente, differenti disposizioni, tra cui:
- l’articolo 18 del Decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396, secondo cui gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se contrari all’ordine pubblico;
- gli articoli 27 e 28 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, secondo cui, in primo luogo, le condizioni per contrarre matrimonio sono disciplinate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio e, in secondo luogo, il matrimonio è formalmente valido se considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi o dalla legge dello Stato di comune residenza al momento della celebrazione;
- l’articolo 65 della summenzionata Legge n. 218 del 1995, secondo cui “Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell’ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa”;
- l’articolo 115 del codice civile, secondo cui il cittadino italiano è soggetto alle disposizioni in esso contenute, secondo il Titolo VI, Libro primo, anche quando è celebrato matrimonio in un Paese straniero.
I Giudici del Tribunale hanno ritenuto che la summenzionata Sentenza della Cassazione Civile n. 4184 del 2012 affermasse, implicitamente, la non contrarietà del matrimonio omo-sessuale all’ordine pubblico, riconoscendo come valido il principio espresso nella sentenza del 24 giugno 2010, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la quale è stato stabilito che il diritto al matrimonio, ex articolo 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), non debba essere interpretato limitatamente ai casi di matrimonio tra persone di sesso opposto.
La disposizione va correlata al successivo articolo 14: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.
La Corte Costituzionale italiana, con Sentenza n. 138 del 2010, non ha escluso la possibilità che il dubbio normativo consistente nella differenza di sesso tra i nubendi, ricavabile da una interpretazione sistematica del codice civile, possa essere superato legislativamente.
Tale orientamento, peraltro elaborato all’interno di una sentenza di rigetto e quindi vincolante soltanto nel giudizio a quo, deve essere riconsiderato alla luce delle precisazioni nella Sentenza di legittimità n. 4184 del 2012.
In base ad essa, per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sembra doversi operare una eccezione alla interpretazione corrente delle norme in materia di trascrizione: siffatto rito non sarebbe trascrivibile in quanto radicalmente inidoneo a produrre effetti nel nostro Paese. Si è optato quindi per configurare la differenza di sesso tra le cause di invalidità del matrimonio in re ipsa.
La nozione di “matrimonio” andrebbe però costruita seguendo le indicazioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Pertanto, attualmente, pur nulla prospettando a riguardo il codice civile, la differenza di sesso dovrebbe essere irrilevante per l’enucleazione di una definizione del matrimonio.
L’articolo 9 della Carta di Nizza non contempla la distinzione in esame come requisito necessario per esercitare il diritto a sposarsi. Con portata innovativa, da confrontare rispetto al corrispondente articolo 12 Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, il menzionato testo riconosce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.
L’articolo 12 prevede invece il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia per uomini e donne in età adatta. Secondo l’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, il diritto di sposarsi e il diritto di fondare una famiglia sono considerati, l’uno in relazione all’altro (pertanto, la famiglia tradizionale è fondata sul matrimonio).
Inoltre, in C.E.D.U., uomini e donne sono il riferimento per l’atto di matrimonio, in quanto “A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.
La Carta di Nizza, invece, prevede che il diritto a sposarsi sia disgiunto rispetto al diritto a fondare una famiglia. L’articolo 9 semplicemente afferma quanto segue: “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
Permettendo la trascrizione di un matrimonio estero gay, si eviterebbe una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale tutte le volte in cui lo status coniugale è presupposto necessario per l’applicazione in Italia di norme di fonte europea.
Esemplificativamente, nel nostro Paese, a fronte dell’opposizione dell’Ufficiale dello stato civile alla domanda di matrimonio proposta da coppie siffatte, il relativo rifiuto è impugnato, con conseguente questione di legittimità costituzionale sollevata davanti alla Consulta.
Altrimenti, è direttamente celebrato matrimonio in uno Stato estero che lo ammette, con richiesta di riconoscimento nel Comune di residenza dei coniugi.
La prima via è stata spesso percorsa: diverse sono le ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, che, ad esempio si è pronunciata a riguardo nel 2010[5], dichiarando infondata la questione.
Le norme di riferimento sono gli articoli 2 e 29 della Carta fondamentale.
Si registra una profonda differenza tra quanto all’interno dell’una e dell’altra norma giuridica.
L’articolo 29 fu scritto con sicuro riferimento al matrimonio tra persone di sesso diverso, essendo il testo entrato in vigore il 1 gennaio 1948.
Il concetto di “matrimonio” non deve però essere cristallizzato nel significato che la Costituzione (necessariamente) proponeva a metà Anni ‘40 del XX secolo.
Di conseguenza: è necessario tracciare una linea evolutiva? Chi sarebbe legittimato in tal senso?
Certamente, non il Giudice.
La dottrina ha elaborato due possibili letture della Sentenza n. 138 in esame, permanendo ambiguo il quesito sul se il legislatore ordinario possa tracciare la summenzionata linea evolutiva oppure se ciò spetti unicamente al legislatore costituzionale.
Con riferimento all’articolo 2 Costituzione, la Corte ritiene che anche le unioni tra soggetti di pari sesso siano tutelate, con necessità di garantire un riconoscimento da parte del legislatore tanto dei diritti quanto dei doveri connessi.
Tale aspirazione al riconoscimento postula una disciplina di carattere generale.
Dovrebbe quindi concludersi per l’assenza di ostacoli alla trascrizione del matrimonio, anche in quanto è incontestato che l’atto stipulato all’estero sia valido formalmente ove considerato tale dalla legge del luogo di sua celebrazione.
La trascrizione, come accennato precedentemente, ha valenza di pubblicità dichiarativa, non costitutiva degli effetti del matrimonio.
Come tale, pertanto, è funzionale alla opponibilità nei confronti di terzi di un determinato atto o fatto.
I matrimoni tra persone dello stesso sesso si trascrivono all’anagrafe per certificare l’esistenza di un rapporto appunto riconosciuto all’estero. Non si tratta di dichiarare che due persone, poiché sposate all’estero, debbano essere considerate tali anche in Italia.
I coniugi possono così esercitare i rispettivi diritti nei Paesi in cui il matrimonio è tra loro riconosciuto. Conseguenza non è che il diritto europeo obblighi l’Italia ad aprire al riconoscimento dei matrimoni gay.
Una certificazione siffatta è utile, ad esempio, in un eventuale contenzioso, per provare la durata e la stabilità della convivenza.
È utile, soprattutto, per godere dei diritti attribuiti al coniuge dalla legislazione europea, consentendo di ottenere il permesso di soggiorno per ogni cittadino di altro Paese dell’Unione Europea che voglia stabilirsi in Italia e vivere con il proprio coniuge.
Inoltre, la ammissibilità di una trascrizione di matrimonio contratto all’estero tra persone di pari sesso eviterebbe una discriminazione fondata sulla cittadinanza ai danni di coniugi al contempo same-sex e cittadini italiani, in quanto un simile matrimonio, formato tra un cittadino non comunitario e un cittadino comunitario, è trascrivibile poiché ritenuto esistente, valido, non contrario all’ordine pubblico ed efficace nel nostro Paese.
Infatti, il cittadino extra comunitario, in forza del suo status coniugale, può ottenere il ricongiungimento familiare.
Dovrebbe pertanto sostenersi la tendenza volta ad assicurare anche ai cittadini italiani la pienezza del diritto alla libertà di circolazione di cui i cittadini europei sono titolari in conformità a quanto nei Trattati istitutivi dell’Unione Europea, dato che è necessaria la prova del proprio status coniugale con certificazione anagrafica dello stato civile operata in tutti i Paesi europei ove il matrimonio same-sex è permesso.
Sembra pertanto che le trascrizioni in esame debbano considerarsi legittime.
La legge attuale prevede che possano essere negate solo per contrarietà all’ordine pubblico e il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è tale.
Inoltre, la trascrizione di siffatti matrimoni appare possibile in quanto non in contrasto anche con lo stesso ordine pubblico internazionale, alla luce del sistema plurale delle fonti che connota l’ordinamento italiano.
Ulteriore considerazione deve riguardare i Sindaci, i quali sono Ufficiali dello stato civile con il compito di vigilare sul rispetto della legge.
L’annullamento delle trascrizioni di atti da costoro effettuate dovrebbe essere prescritto unicamente dall’Autorità giudiziaria, non quindi dal Prefetto su richiesta di una Circolare ministeriale.
La procedura da seguire dovrebbe eventualmente essere la seguente: richiesta dai Prefetti alla Procura di ricorrere, davanti all’Autorità giudiziaria, al fine di ottenere la cancellazione delle trascrizioni previamente effettuate dai Sindaci nei Registri dello stato civile.
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In data 3 novembre 2014, con due decreti monocratici, il Presidente della I sezione ter, Tar Lazio ha respinto la richiesta di sospensione dell’atto con cui il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, aveva disposto l’annullamento delle trascrizioni dei matrimoni gay contratti all’estero.
Infatti, due delle sedici coppie le cui unioni erano state previamente trascritte dal Sindaco di Roma, Ignazio Marino, si erano rivolte ai Giudici al fine di ottenere, in via cautelare, provvisoria ed urgente, la sospensione del provvedimento di annullamento.
Inoltre, sempre in data 3 novembre 2014, è stato emesso altro provvedimento di annullamento, quanto a tredici trascrizioni di matrimoni same-sex, da parte del Prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, che ha ordinato al Sindaco, Giuliano Pisapia, di procedere ai conseguenti adempimenti.
[1] V. ROPPO, Diritto privato, Torino, 2013, pp. 873-874.
[2] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013, pp. 355-356.
[3] E. G. VITALI, A. G. CHIZZONITI, Diritto ecclesiastico. Manuale breve. Tutto il programma d’esame con domande e risposte commentate, Milano, 2013, p. 209.
[4] Differente è il caso, invece, della rettificazione del sesso di uno dei coniugi. Essendo la identità di sesso sopravvenuta, e non originaria, inerisce al matrimonio inteso come rapporto e non come atto e pertanto è una causa di divorzio.
[5] La sentenza è stata più volte menzionata nel testo. Si tratta di C. Cost. 15 aprile 2010, n. 138.