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Infortunio sul lavoro: accertamento del rischio lavorativo

Vista sui colori
Ph. Cinzia Falcinelli / Vista sui colori

Abstract:

Il contributo si propone di mettere in evidenza il rapporto di reciprocità tra la colpa generica con violazione di una regola cautelare non codificata e la colpa specifica per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Premessa una disamina sull’accertamento della causalità della colpa, si mette in luce l’impossibilità di addivenire ad un addebito colposo in capo al datore di lavoro che, avendo ottemperando agli obblighi informativi e formativi del lavoratore, non sarà chiamato a rispondere in presenza di un rischio eccentrico originato dalla autoesposizione negligente del lavoratore.

 

Il principio di personalità della responsabilità penale enucleato all’articolo 27 della Carta Costituzionale subordina la rimproverabilità soggettiva dell’agente all’accertamento di un coefficiente psicologico che sorregga gli elementi più significativi della fattispecie tipica. Fin dalle storiche pronunce della Corte Costituzionale n. 364 e n. 1085 del 1988, il coefficiente soggettivo minimo di imputazione della condotta criminosa è stato individuato nella colpa. Sul piano criminologico la responsabilità colposa configura il modello più diffuso, attesa la costante esposizione al rischio che permea l’attuale società tecnologica prescrivendo un onere di diligenza rafforzata in capo a ciascun membro della collettività.

Tale premessa concettuale impone una rilettura in chiave evolutiva del concetto di colpa così come delineato dal legislatore all’articolo 43 del Codice Penale nella sua duplice componente positiva, che presuppone la violazione di una regola cautelare, e negativa, che impone la realizzazione priva di volizione e rappresentazione del fatto tipico, quale elemento differenziale rispetto al coefficiente soggettivo del dolo.

Invero, muovendo dalla componente normativa, la colpa sottende la violazione di una regola cautelare impositiva di una condotta precauzionale esterna al fine di prevenire o mitigare l’insorgenza di un rischio. A seconda della fonte costitutiva di tale regola cautelare si suole distinguere tra la colpa generica, quando il dovere di diligenza è ricavabile da giudizio di normalità sociale cristallizzatosi nel tempo a fronte di una condotta negligente, imprudente o dettata da imperizia, e la colpa specifica qualora il modello comportamentale sia positivizzato in una fonte legale, regolamentare, in ordini o discipline.

Tanto premesso, giova rilevare che le due forme di estrinsecazione normativa della colpa non si pongono in un rapporto conflittuale di reciproca esclusione, ma vanno a completarsi sino a consentire l’attribuzione dell’illecito a titolo di colpa generica pure in presenza di un contegno conforme alle regole cautelari codificate che si caratterizzi per imprudenza, negligenza o imperizia.

Tale rapporto di complementarietà, secondo l’esegesi della giurisprudenza maggioritaria, appare giustificato dal più generale e fondamentale principio del neminem laedere posto a fondamento del divieto di indebita interferenza nella altrui sfera giuridica ai sensi dell’articolo 2043 c.c. operante indipendentemente dalla presenza di regole cautelari espressamente codificate, nonché nella diligenza doverosa concretamente esigibile dall’agente modello eiusdem professionis et condicionis.

Tuttavia, tale ricostruzione è stata censurata dalla dottrina nella parte in cui si presta ad un vulnus potenziale del principio del legittimo affidamento del destinatario della norma cautelare codificata, il quale, confidando nel rigoroso rispetto della regola modale precettiva, è titolare di una aspettativa reale alla esenzione dalla pena. Orbene, quanto premesso in merito all’affidamento è vero nella parte in cui la regola cautelare sia idonea nel caso concreto a spiegare la sua efficacia precauzionale e risulti indefettibile alla luce delle circostanze fattuali.

In altri termini, l’osservanza della regola cautelare esonera l’agente dal porre in essere cautele diverse e generiche solo laddove esaurisca completamente la sua efficacia precauzionale. Ogni qual volta, in fase esecutiva, la regola codificata appare fallace e non esaustiva al contenimento del rischio ed il destinatario avrebbe dovuto avere contezza di tale defettibilità, la rimproverabilità colposa del fatto non può essere esclusa.

Esemplificazione di tale assunto è rinvenibile nel dictum dell’art 590 sexies del cod. pen. laddove prospetta la potenziale fallibilità della regola cautelare nella cornice della responsabilità sanitaria escludendo l’operatività della causa di non punibilità allorquando le raccomandazioni codificate nelle linee guida accreditate risultino inadeguate alle specificità del caso concreto  (si veda  tra l’altro Cass. pen., S.U., sent. n. 2437/2009 in tema di colpa medica, secondo cui, in caso di esito infausto, in capo al medico può residuare un rimprovero colposo laddove, nonostante l’osservanza delle regole cautelari nell’esecuzione dell’atto medico, egli abbia violato le regole sul consenso informato).

In particolare, in materia antinfortunistica, il modello normativo di tutela individua nel datore di lavoro il principale debitore di sicurezza riconoscendo formalmente in capo allo stesso una posizione di garanzia in virtu’ del potere di controllo della fonte di pericolo che consente una neutralizzazione del rischio insito nella stessa.

Occorre specificare come, alla luce del più recente orientamento della Suprema Corte, l’assunzione della veste di garante può derivare dalla formale investitura, dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche della figura o dal trasferimento di poteri e funzioni da parte del soggetto che ne è titolare. Pertanto anche la delega di funzioni, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Ciò che identifica il datore di lavoro è, dunque, la titolarità del potere decisionale sull’impresa e del potere di spesa, cui corrisponde l’obbligo prevenzionistico derivante dallo stesso esercizio dell’impresa ed è proprio l’articolo 2, comma 1, lett. b) del Decreto Legislativo 81/2008 a stabilire il legame fra l’obbligo prevenzionistico ed il soggetto titolare della responsabilità decisionale, organizzativa e di spesa dell’impresa (cfr Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 02/03/2021) 01/06/2021, n. 21522).

Tanto premesso, gravano in capo al garante puntuali doveri cautelari inerenti alla valutazione e documentazione dei rischi nonché alla formazione e all’informazione dei lavoratori dipendenti in un’ottica cautelare finalisticamente orientata alla prevenzione degli eventi lesivi dell’integrità fisica, della salute e della vita del lavoratore.

Il contenuto di tali regole cautelari è positivizzato a livello codicistico all’articolo 2087 del Codice Civile e nella normativa di settore, specificamente nel T.U. n. 81/2008, nonché ha fonte, in via residuale e generica, nei più ampi concetti di prudenza, perizia, accuratezza e coscienziosità nello svolgimento della mansione datoriale. Pertanto la condotta omissiva del datore di lavoro che, in violazione di regole cautelari specifiche o generali, non ottempera ai doveri di diligenza, può essere fonte di responsabilità colposa aggravata per le fattispecie delittuose previste nel codice penale ai sensi dell’articolo 590 comma 3 Codice Penale.

Nello specifico, nei delitti colposi contro l’integrità fisica derivanti da infortunio sul lavoro, realizzati in forma omissiva impropria, la attribuibilità del fatto in capo al datore di lavoro passa per un duplice accertamento causale, che coinvolge un preventivo accertamento della causalità della condotta ed una successiva indagine intrusiva sulla causalità della colpa al fine di pervenire ad un addebito soggettivo individualizzato del fatto illecito.

Per quanto concerne la verificazione del legame eziologico tra la condotta omissiva dell’agente e l’evento lesivo concretizzatosi, questo si fonda sulla clausola di equivalenza di cui all’articolo 40 comma 2 del codice penale per cui non impedire un evento che si aveva l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo. Si tratta, pertanto, di una causalità fittizia e soggettivamente parametrata alla specifica posizione di garanzia ricoperta dall’agente che sottende un giudizio doppiamente ipotetico volto a valutare se l’omissione sia causa dell’evento e, dall’altro, se l’azione doverosa prescritta dalla regola cautelare, specifica o generale, ne avrebbe impedito la verificazione in concreto.

Da un lato si accerta la causalità ipotetica alla luce di un giudizio ipotetico controfattuale di sostituzione della condotta omissiva con l’azione doverosa al fine di valutare, con il supporto di leggi scientifiche di spiegazione causale che, ove realizzata, questa avrebbe impedito l’’evento con una certa probablità statistica. Dall’altro, accogliendo l’esegesi delle Sezioni Unite Thyssen-Krupp (Cassazione penale, SS.UU., sentenza 18/09/2014 n° 38343) si impone altresì la verificazione della causalità reale, intesa come l’idoneità effettiva della condotta doverosa ad evitare l’evento in concreto, sulla base di un giudizio induttivo di alta probabilità logica parametrato alla particolarità del fatto concreto ed alla caratterizzazione del fatto storico.

Si coglie pertanto l’esito incerto che contraddistingue l’accertamento della causalità della condotta in termini di imputazione oggettiva dell’evento nei reati commissivi impropri, che si sovrappone per certi aspetti a quello della causalità della colpa attinente al diverso profilo della imputazione soggettiva.

Invero, al fine di muovere un rimprovero personale all’agente in termini di colpevolezza, è necessario accertare, accanto alla inosservanza della regola cautelare speciale o generale, la prevedibilità ed evitabilità dell’evento in concreto secondo un giudizio prognostico compiuto ex ante con il parametro oggettivo dell’agente modello calato nel contesto sociale di appartenenza e calibrato al tipo di attività svolta. Si scongiura pertanto un vulnus al principio di personalità della responsabilità penale impedendo l’ingresso nel nostro ordinamento ad ipotesi di responsabilità oggettiva o da mera posizione.

L’elemento soggettivo della colpa si è integrato quando si esclude la rilevanza del comportamento lecito alternativo nel caso concreto secondo le conoscenze medie dell’agente modello di riferimento o quelle causalmente influenti dell’agente superiore. Orbene, al fine di evitare inutili duplicazioni concettuali tra l’accertamento causale della causalità della condotta e della colpa, una parte della dottrina ha prospettato la necessità di limitare l’accertamento della causalità omissiva alla verificazione dell’evento tipico ed alla sussistenza di una legittima posizione di garanzia, riservando poi la valutazione della idoneità della condotta doverosa ad evitare l’evento in concreto alla fase successiva dell’accertamento della imputazione soggettiva.

Tanto premesso, per quanto di interesse nel caso di specie, giova rilevare che l’accertamento della causalità della colpa si informa ad un’ulteriore valutazione di corrispondenza tra l’evento che la norma cautelare mirava ad evitare e l’evento realizzatosi in concreto da compiersi in una fase successiva alla condotta.

In altri termini, al fine di addivenire ad una attribuzione colposa di responsabilità occorre che l’agente abbia violato la regola cautelare realizzando un evento prevedibile ed evitabile in concreto con un contegno lecito alternativo e che l’evento sia la concretizzazione del rischio specifico che la regola cautelare mirava ad evitare. Trasponendo i principi suesposti in materia antinfortunistica, l’evento deve essere concretizzazione del rischio lavorativo in quanto si è verificato in pendenza dell’attività lavorativa e ha visto come soggetto passivo un dipendente legato da un rapporto di subordinazione al datore di lavoro.

Se ne deduce che il datore di lavoro non sarà chiamato a rispondere in presenza di un rischio eccentrico originato dalla autoesposizione negligente del lavoratore alla fonte di pericolo non causata da un difetto di vigilanza e formazione del lavoratore imputabile al datore di lavoro. Diversamente, laddove il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi di formazione e informazione risponderà a titolo di colpa specifica dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore dipendente, ove le condotte imprudenti di quest’ultimo siano conseguenza diretta e prevedibile della condotta lesiva (Cass., Sez. IV, sent. 16 settembre 2020 (dep. 1 ottobre 2020), n. 27242, Pres. Piccialli, Est. Pezzella, Cass. 27242/2020).

Tale verifica della concretizzazione del rischio si pone anche nei confronti dei soggetti che non rivestono la qualifica di lavoratore dipendente ma sono comunque a questo assimilabili ratione materiae, ovvero in virtù dell’espletamento di specifiche mansioni secondo l’organigramma aziendale di una organizzazione complessa, e, pertanto, sono qualificabili come potenziali beneficiari della regola cautelare antinfortunistica.

Al medesimo approdo ermeneutico non può tuttavia addivenirsi nelle ipotesi in cui il terzo sia assimilabile al lavoratore solo ratione loci, ovvero per la mera presenza dequalificata e del tutto casuale sul luogo di lavoro, che genera la concretizzazione di un rischio esorbitante il normale rischio lavorativo tutelato in via precauzionale dalla norma antinfortunistica.

In applicazione di tale principio, la Corte di Cassazione nella recente sentenza Cass. pen., Sez. IV, Sent., 06/09/2021, n. 32899 ha escluso la configurabilità della circostanza aggravante del "fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" ex articolo 589, comma 2, Codice Penale, in relazione ai reati di omicidio colposo ascritti, quali datori di lavoro, ad esponenti di Trenitalia s.p.a. e di Ferrovie dello Stato s.p.a., per le morti di soggetti terzi estranei all’organizzazione di impresa, causate dall’incendio derivato dal deragliamento e successivo ribaltamento di un treno merci trasportante GPL, durante l’attraversamento della stazione di Viareggio, determinato dal cedimento di un assile dovuto al suo stato di corrosione, ritenendo le vittime non esposte al rischio “lavorativo” bensì a quello attinente alla sicurezza della circolazione ferroviaria.

In conclusione, se ne deduce che  la valenza causale della violazione delle regole per la prevenzione degli infortuni sul lavoro incide sull’addebito soggettivo di responsabilità  in capo al datore di lavoro a titolo di colpa specifica o, in via residuale, a titolo di colpa generica in virtù della inefficacia precauzionale della regola cautelare codificata, per l’evento lesivo che sia concretizzazione del rischio lavorativo e coinvolga un lavoratore o un soggetto ad esso equiparabile in chiave funzionale, ove le condotte imprudenti di questi ultimi siano conseguenza diretta e prevedibile in concreto dell’inadempienza degli obblighi datoriali.