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Ferie forzate: i limiti del datore di lavoro

I limiti al potere del datore di lavoro di collocare i lavoratori in ferie forzate
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Il periodo di ferie deve tenere conto degli interessi del lavoratore e dunque non può risultare vessatorio nei suoi riguardi: le sue legittime esigenze vanno considerate dall’azienda, assicurando una programmazione che consenta “il ristoro effettivo delle energie psicofisiche”. In caso contrario, il monte ore deve essere ripristinato perché decurtato illegittimamente. È quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza 24977 del 19 agosto 2022.

 

Il potere del datore di lavoro di collocare i lavoratori in ferie forzate: il fatto

La società datrice di lavoro aveva proceduto a mettere una serie di lavori in ferie forzate. In particolare, il datore di lavoro aveva provveduto semplicemente a comunicare alla RSU la necessità per i lavoratori di esaurire le ferie residue. Peraltro, il datore di lavoro aveva indicato, nelle buste paga, alcune ore di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, come ore di ferie godute.

Avverso detto provvedimento aziendali i dipendenti avevano proposto ricorso accolto sia dal Tribunale di Pordenone sia dalla Corte d’Appello di Trieste.

In particolare, i giudici d’appello hanno ritenuto che le modalità di collocazione in ferie del lavoratore e la sua comunicazione devono essere tali da consentirgli di organizzarsi per fruirne in concreto nel periodo di riposo determinato unilateralmente dal datore di lavoro. Il potere di determinare il periodo di fruizione delle ferie deve tenere conto degli interessi del lavoratore. Deve risultare utile alle esigenze dell’impresa ma non vessatorio nei riguardi del lavoratore, delle cui legittime esigenze deve tenere conto, comunicando, inoltre, il periodo unilateralmente stabilito per la fruizione così da consentire una loro proficua organizzazione.

Nel caso di specie, anche alla luce della modalità comunicativa e del fatto che i lavoratori avessero scoperto solo con l’emissione delle buste paga che parte delle ore di CIGS erano state indicate come ferie godute, la Suprema Corte ritiene.

Pertanto, la sentenza ha confermato che i lavoratori ricorrenti avevano diritto al risarcimento del danno atteso che le modalità di concessione delle ferie in concreto adottate avevano, presuntivamente, precluso una effettiva programmazione delle ferie e determinato “l’impossibilità di un effettivo ristoro delle energie psicofisiche”.

Avverso detta sentenza, la società datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione eccependo in particolare che sussisteva una prassi aziendale per cui prima di usufruire della CIGS si dovessero esaurire le giornate di ferie residue e che pertanto la comunicazione alle RSU era più che sufficiente ad adempiere agli obblighi informativi.

La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso, confermando la sentenza impugnata.

 

Il potere del datore di lavoro di collocare i lavoratori in ferie forzate: la giurisprudenza

La Suprema Corte prima di esaminare nel dettaglio il caso di specie, ripercorre la propria giurisprudenza in merito al potere del datore di lavoro di determinare il periodo in cui i propri dipendenti possono godere delle ferie.

In particolare la Cassazione ricorda l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “il potere attribuito all’imprenditore, a norma dell’art. 2109 cod. civ., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a unariconsiderazione delle esigenze aziendali, senza che in senso contrario rilevi la prescrizione relativa alla comunicazione preventiva ai lavoratori del periodo stabilito, dalla quale tuttaviia si desume, da un lato, che anche le modifiche debbono essere comunicate cori preavviso e, dall’altro, che gli eventuali rilievi del lavoratore, che ritenga l’indicazione del datore di lavoro in contrasto con i propri interessi, devono intervenire senza dilazione” (cfr. Cass.11/02/2000 n. 1557 e Cass 12/06/2001 n. 7951).

La Corte prosegue il proprio ragionamento osservando come: “l’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all’imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa ed al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale, anche nell’ipotesi in cui un accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca - al solo fine di una corretta distribuzione dei periodi feriali - i tempi e le modalità di godimento delle ferie tra il personale di una determinata azienda. Peraltro, allorché il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro periodo dell’anno non può desumersi alcuna rinuncia - che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 cod. civ.) – e quindi il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva delle ferie non godute (cfr. Cass. n. 7951 del 2001 cit.).

Tale principio, conclude sul punto la Suprema Corte, trova la propria ratio nell’esigenza di garantire un corretto ed equilibrato soddisfacimento delle posizioni soggettive contrapposte: quella del datore di lavoro di organizzare le ferie privilegiando le sue necessità e quella dei lavoratori di essere in grado di conseguire il beneficio cui le ferie sono preordinate (il recupero energie psicofisiche).

Sulla base di tale giurisprudenza, la Suprema Corte ritiene infondati i motivi di ricorso. In particolare, ritiene che la comunicazione alle RSU non possa in alcun modo sostituire la comunicazione ai singoli lavoratori, specialmente nel caso di specie, in cui peraltro le ferie vanno a sostituire la CIGS. Sul punto la Cassazione rileva la peculiarità del collocamento forzoso in ferie dei lavoratori. Infatti, solo con la ricezione della busta paga, i lavoratori sono stati resi edotti della circostanza che alcune ore giornaliere di Cassa Integrazione erano state sostituite con ferie forzose.

In merito alla sussistenza di una prassi aziendale che prevedeva la fruizione della Cassa Integrazione, la Suprema Corte, oltre a rilevare il difetto di prova dell’esistenza di suddetta prassi, sottolinea come il datore di lavoro supporta la propria interpretazione richiamando una normativa entrata in vigore in un periodo successivo ai fatti di causa. E per la Corte un simile ragionamento non è corretto ed accettabile.

 

Il potere del datore di lavoro di collocare i lavoratori in ferie forzate. La decisione: illegittimità della decisione del datore di lavoro di collocare in ferie forzose i propri dipendenti

In conclusione, pertanto la Suprema Corte, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Trieste, rilevando come se da una parte l’azienda ha il potere di determinare il periodo di fruizione delle ferie, dall’altra è tenuta a consentire al personale di organizzarsi per beneficiarne in concreto, sulla base di un equilibrato soddisfacimento delle posizioni contrapposte.

La Cassazione, pertanto, conferma integralmente la sentenza impugnata, ribadendo che il periodo di ferie deve tenere conto degli interessi del lavoratore e dunque non può risultare vessatorio nei suoi riguardi: le sue legittime esigenze vanno considerate dall’azienda, assicurando una programmazione che consenta “il ristoro effettivo delle energie psicofisiche”. In caso contrario, il monte ore deve essere ripristinato perché decurtato illegittimamente.

 

Il potere del datore di lavoro di collocare i lavoratori in ferie forzate. Un breve commento

La sentenza in esame afferma un principio assolutamente condivisibile: il potere del datore di lavoro di determinare il periodo in cui il lavoratore può godere del periodo di riposo feriale non può non tener conto dell’interesse del lavoratore ad organizzarsi per poter arrivare ad un effettivo ristoro delle risorse psicofisiche.

Occorre infatti ricordare che ai sensi dell’art. 2109 c.c. il lavoratore “ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.

In altre parole, la decisione di quando porre in ferie i propri dipendenti è una tipica esplicazione del potere organizzativo del datore di lavoro.

La giurisprudenza e la dottrina hanno anche individuato alcune ipotesi in cui il datore di lavoro può porre il lavoratore in ferie forzate:

  • La chiusura dell’azienda a causa di ristrutturazioni o interventi strutturali improrogabili.
  • La chiusura aziendale annuale
  • La chiusura definitiva della società ordinata dalla pubblica autorità.
  • La chiusura per ferie obbligatorie nelle festività di Natale, Capodanno e nei giorni di ponte.

In tutti e quattro i casi sopra descritti esistono le condizioni necessarie affinché le ferie forzate siano possibili, sempre che non sussistano altre opportunità di lavoro significative per il lavoratore.

Peraltro, al fine di garantire un certo benessere aziendale, preservando un rapporto pacifico e professionale con i dipendenti è opportuno che il datore di lavoro adotti alcune accortezze:

  • individuare delle ragioni oggettive alla base della decisione;
  • confrontarsi con le organizzazioni sindacali di categoria territorialmente competenti o, se esistenti, con le rappresentanze sindacali in azienda RSA / RSU;
  • comunicare ai dipendenti interessati, in forma scritta, la scelta di porli in ferie, le ragioni oggettive che hanno portato alla decisione e il periodo di assenza.

La sentenza in esame, pertanto si pone in perfetta continuità con tale orientamento giurisprudenziale e stabilisce che il diritto del datore di lavoro di stabilire il periodo di ferie in base alle sue esigenze produttive conosce dei limiti. In particolare, tale diritto datoriale non comporta la possibilità di inserire le ore di riposo forzato a ridosso della Cassa integrazione o all’interno di questa, all’insaputa del dipendente. Il piano ferie, anche se imposto, va comunicato al diretto interessato con un anticipo che gli consenta di organizzarsi, in modo da ottenere i benefici psico-fisici tipici dei periodi di vacanza. Effetti che sono invece preclusi, con le ferie imposte e con orario frammentato.

È pertanto evidente che nel caso di specie, la Cassazione, con una pronuncia assolutamente condivisibile, ha voluto sanzionare un abuso nell’utilizzo del potere organizzativo da parte del datore di lavoro: abuso che secondo la Suprema Corte si esplica nella mancata comunicazione individuale ai lavoratori e nella sostituzione di alcune ore di Cassa Integrazione con ore di ferie, ad insaputa del dipendente che peraltro ne viene a conoscenza in un momento successivo alla fruizione e solo con la consegna della busta paga.