Lavoro giusto
Lavoro giusto
Valorizzare il senso di appartenenza è sicuramente imprescindibile quando si parla di Umanesimo Manageriale; se questo principio fosse sempre sostenuto dall’autenticità e dalla coerenza (come dovrebbe essere quando parliamo di valori aziendali) si trasformerebbe in una leva perfetta per creare coinvolgimento lavorativo e aumentare la motivazione.
Se avete mai partecipato a una di quelle convention in cui si radunano tutti i dipendenti, avrete notato che, magari alternando momenti conviviali a noiosissime presentazioni, si continua a ripetere quasi ossessivamente la formula: “Siamo una grande famiglia”.
Ci si ritrova a sorridere continuamente e annuire, ben sapendo, spesso, quanta ipocrisia si nasconda dietro questa affermazione.
Io credo che, quando ci si trovi invece a firmare un contratto in qualità di socio-lavoratore di una cooperativa, spesso, da sorridere ci sia ben poco; quasi sempre si è costretti ad accettare condizioni retributive al limite del dignitoso, ben coscienti del fatto che, proprio in qualità di soci, si è intrinsecamente legati alle sorti della società. Società che, secondo quanto stabilito dell’art. 2511 c.c. dovrebbero perseguire primariamente uno scopo mutualistico, ma che magari fin dalla costituzione sono destinate ad avere breve vita, una volta sfruttate opportunamente alcune condizioni vantaggiose, che verranno poi meno.
Di fatto, molto spesso, non possiamo fare a meno di parlare di “contratti-farsa”.
In questo contesto, quindi, non dovrebbe stupire la notizia diffusa dai media qualche giorno fa relativa alla sentenza della Cassazione sul “giusto salario” (https://www.lastampa.it/torino/2023/10/03/news/cassazione_salario_minimo_sentenza_storica-13610990/).
La vicenda si riferisce, appunto, ad una cooperativa del settore della vigilanza non armata che, sulla base del contratto collettivo di categoria applica delle retribuzioni, al lordo, di poco superiori alla soglia di povertà individuata dall'Istat; al netto, perfino al di sotto di essa. Uno dei lavoratori ha chiesto giustizia per la non conformità del suo contratto collettivo nazionale di lavoro all'articolo 36 della Costituzione, ottenendo la vittoria in primo grado. La Corte d'Appello aveva invece attribuito primato alla contrattazione collettiva. La Corte di Cassazione, da ultimo, è intervenuta ribaltando quest’ultima sentenza.
I media hanno parlato di sentenza storica.
Come ha giustamente osservato il prof. Marco Ferraresi dell’Università degli Studi di Pavia, esaminando con attenzione la sentenza, la Corte non si esprime in merito al concetto di “salario minimo”, inteso in senso giuridico. Attenendosi, infatti, ai propri compiti istituzionali, la Cassazione rileva che nel precedente grado di giudizio non sono stati adeguatamente presi in considerazione tutti i parametri necessari a valutare l’adeguamento delle retribuzioni previste dal contratto nazionale del lavoro (ad esempio, rilevazioni Istat e dati statistici sui salari); per questo motivo cassa la sentenza impugnata, rinviando al giudice d’appello.
L’attenta valutazione di tali parametri avrebbe dovuto garantire la piena applicazione dell'art. 36 della nostra Costituzione, secondo il quale la retribuzione deve essere «sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
Immagino che, dopo il clamore dei primi giorni, la notizia, presto, non sarà più attrattiva per i media e, tenendo conto dei tempi dell’iter giudiziario, dell’esito finale di questa storia si perderà ogni traccia.
In questi giorni si è ritornati a parlare anche del Cnel che, dopo l’incarico ricevuto dal Governo lo scorso agosto in tema di salario minimo, ha espresso il suo parere: sì alla contrattazione collettiva, no al salario minimo legale (si vedano gli articoli qui e qui)
Per capire quali saranno le strategie messe in campo per arginare il lavoro povero, si dovrà quindi aspettare cosa verrà stabilito nel “Piano di azione pluriennale”, in cui dovranno essere definite una serie di misure e interventi organici.
Tutte queste notizie dovrebbero far riflettere tanto, soprattutto le nuove generazioni che stanno per affacciarsi sul mondo del lavoro.
Senza prospettare scenari apocalittici, non bisogna poi sottovalutare che tra qualche anno, nei lavori di tipo ordinario, ripetitivi e che richiedono basse competenze, le persone potrebbero essere del tutto soppiattante dalle macchine; non bisogna nemmeno guardare troppo al futuro, perché le casse automatiche che troviamo nei supermercati, nei caselli autostradali o nei parcheggi, le catene di montaggio totalmente automatizzate nelle industrie, sono già esempi significativi della trasformazione in atto.
Non c’è tanto da spaventarsi di questa realtà, ma certamente bisogna farsi trovare ben preparati e acquisire consapevolezza, non tanto delle prospettive future, ma dello stato attuale delle cose.
D’altro canto, non ci si può approfittare della condizione delle persone chiamate a svolgere lavori più umili (che in qualche modo continueranno a esserci) per tendere sempre più al ribasso le retribuzioni. Non si può applicare alle persone la logica utilitaristica che si applica alle macchine, ossia ottenere il massimo rendimento al minimo costo.
Le persone hanno prima di tutto una dignità, che deve essere garantita, assicurata, protetta.
Personalmente, una delle cose che mi irrita di più è quando, magari per futili motivi, si manca di rispetto ad una cassiera o ad un vigilante mentre svolge il proprio lavoro.
Tenendo conto dell’incertezza degli scenari lavorativi a cui va incontro la nostra società, dovremmo forse sforzarci di restituire, quando possibile, un senso di familiarità e magari un sorriso alla giovane cassiera che non perde mai la pazienza quando i clienti la trattano male perché si è formato un minimo di coda; o a quella un po’ più anziana che dopo una vita di lavoro, causa cambio di contratto, viene sballottolata ogni settimana da una parte all’altra della città, con turni impossibili.
Un giorno forse, in un mondo ideale, quando si discuterà di condizioni contrattuali, adeguamenti salariali, salario minimo, oltre agli studi normativi, o analisi di tipo economico-finanziario, si prenderà davvero in considerazione anche la vita delle persone, che hanno un nome e un volto: quello della giovane cassiera Miriam, che merita un progetto per il proprio futuro, quello di Tiziana, cui piacerebbe trascorrere la domenica con la propria famiglia, e invece come ogni mattina, è di turno al supermercato.