La bellezza del corpo (digitale)
Forma esteriore degli oggetti corporei in quanto viene percepita attraverso il senso della vista; rappresentazione con mezzi tecnici o artistici della forma esteriore di cosa reale o fittizia.
Treccani
In Virtual Art: From Illusion to Immersion, lo storico dell'arte e dei media Oliver Grau descrive l'esperienza dei media immersivi come "mentalmente assorbente e un processo, un cambiamento, un passaggio da uno stato mentale all'altro". Come per l'immersione linguistica - che spesso significa essere incorporati in un luogo e in una cultura diversi dalla propria - tali esperienze hanno il potenziale per trasportare una persona dal proprio quotidiano a un luogo mentale completamente nuovo.
L'immersività che intendiamo affrontare non è però quella mentale o dei sensi. L'immersività nella Virtualità è l’immersività da un corpo reale a un corpo virtuale. Questo rende molto più complesso l'approccio, obbligando la persona a uscire - letteralmente - del corpo fisico.
Dunque, viene richiesta una capacità proiettiva, un transfert emotivo, simbiotico verso la rappresentazione del sé virtuale. C'è la necessità per chi vive questa esperienza di intendere il corpo come uno dei dispositivi del sé, corpo che diventa materia narrativa, editabile, rappresentativa di una identità prima che simulacro di un corpo.
Personomia e identità, corpo/simbionte sono il primo e necessario passo per l'immersività. Non è un caso che la prima attività per l'accesso ad ogni realtà virtuale è la creazione dell'avatar, che spesso è ridotta al momento attuale, a semplice costruzione di un fantoccio dalle fattezze più o meno siili all'originale che poco o nulla condivide con il suo demiurgo/autore; avetar che in questo modo è del tutto insufficiente per instaurare un rapporto credibile con il suo corpo virtuale.
Ma come potremo mai immedesimarci, essere quello che siamo, digitali o fisici, mantenere una idea di noi, senza vedere nel riflesso dell’avatar, l’immagine di noi stessi?
E non è solo questione di riconoscersi, ma è anche questione di sentirsi, e dunque di essere.
Essere lì, con noi stessi, con il corpo, con le sensazioni e, soprattutto, con le nostre emozioni.
Nella nostra immagine riflessa noi vogliamo, noi desideriamo ardentemente sentirci attraenti, agli occhi dei nostri simili e prima di tutto, ai nostri.
Cosa sia la Bellezza, è un mistero insoluto, e spero lo sia per sempre. Vi sono cose, e la fisica ce lo insegna, non la morale non l'estetica, che non possono essere descritte all'interno di un linguaggio formale (e cosa vi può essere più formale della bellezza?), e neppure prevedibili, determinabili dalla loro riduzione in termini primi (la bellezza non è scomponibile in elementi, è una sostanza che vive nelle sue sfumature).
Dunque, che cosa sia quell'alchimia nessuno lo sa, ma tutti la desiderano. E la immaginano.
E no, non parlo della bellezza di un fiore, di un tramonto o dell'arte. Parlo della bellezza di genere, parlo di uomini e donne. Dei loro corpi. Dei loro sguardi. Della loro desiderabilità. Di una chimica ancestrale e irriducibile, che colpisce la corteccia cerebrale e lo stomaco. Anche in assenza del corpo, soprattutto in assenza del corpo.
Si dice che la bellezza è nello sguardo di chi guarda. Certamente, dagli occhi passa la bellezza, quella che potremmo definire della forma. La sua superficie, la sua pelle; bellezza che in primo desideriamo avere noi stessi, più che ricevere. Narciso che parla di noi nel corpo virtuale dei nostri avatar.
Essere belli, non solo goderne. Belli nella bellezza. Tutto o gran parte del nostro immaginario moderno è impregnato di un messaggio di bellezza e di giovinezza, che è il suo stato temporale, imprescindibile dallo stato di salute e perfezione e integrità fisica che nell'immaginario mediatico moderno è un dogma assoluto, imprescindibile per l’autostima identitaria di una cultura che ha fatto dell'assioma bellezza = felicità = salute = giusto, il suo perno. Belli fuori, è belli dentro.
C'è qualcosa di amorale in questo pensiero, qualcosa di medioevale, quasi che la bruttezza, ecco, sia una punizione, un marchio che la divinità (Natura, Dio, decidete voi) pone sugli individui che ne meritano moralmente il fardello per una qualsivoglia colpa, che si imprime sul corpo.
La bruttezza nel mondo moderno è ridotta a evento straordinario, a fenomeno freak di cui avere un interesse fra il morboso e il pietoso da consegnare nelle amorevoli mani della Dottoressa Schiacciabrufoli Dr Pimple Popper che rappezza quel che può in corpi che già son devastati di loro da povertà, ignoranza e vecchiezza (prese singolarmente o in un mix di tutti i gusti), ma che esagerano con escrescenze e bozzi, croste e corni cutanei assolutamente impresentabili, assolutamente affascinanti.
Ma stiamo andando oltre lo scopo di questo primo post. Non volevo fare un elogio della bellezza, senza però accennare e incontrare la sua nemesi (che andremo ad affrontare in un secondo momento) perché mi trovo a voler scoprire cosa sia bellezza di genere in un mondo virtuale dove la bellezza è uno stato naturale, o per rendere il tutto con una parola, semplicemente arte.
Partiamo in questo viaggio tra gli avatar più belli del Metaverso. Gli avatar di Secon Life.
Tra i mondi virtuali è quello con una cultura tecnica ed estetica dell'avatar matura e sviluppatissima, ha fatto della bellezza degli avatar il suo focus e ragione d’essere.
Tecnicamente belli lo sono sempre stati a dir la verità, dal loro esordio come piattaforma sociale pubblica di successo nel 2006, ma è stato il lavoro dei creativi a migliorare e perseverare nella ricerca della bellezza, nel raffinare i suoi artifici per creare corpi e immagini sempre più attraenti, canonizzati con i migliori stilemi possibili su quella che è la nostra idea di bellezza. Nostra intendo di quella parte di umanità ricca e occidentalizzata di cui facciamo parte.
La bellezza è ciò che il frequentatore di Second Life vuole, ed è quello che la tecnica gli dà. Gli artifici di bellezza, i modi con cui si può rappresentare, le tecnologie e gli skill per realizzare quel complesso sistema di linguaggi non verbali che chiamiamo bellezza è qui espressa al massimo livello, parte costituente del suo stesso esistere (e del suo pluriennale successo), arte raffinata il cui patrimonio di sapere può riempire (credo che nessuno lo abbia fatto) i volumi di una enciclopedia.
Qui l'arte delle Mesh è arte del corpo. Personalizzabile a piacere a partire da centinaia di modelli estetici per ogni gusto e ogni desiderio. E ogni tasca, che qui a differenza del mondo i cui viviamo è perfettamente accessibile a tutti, o quasi.
La bellezza fisica, sorgente di (quasi) ogni desiderio è merce tanto quanto nella realtà, anzi di più. Molto di più. Qui si è belli a prescindere da ciò che il tuo pool genetico ti ha dato, e nel transfert con l'Avatar gioca un ruolo fondamentale nella costruzione dell'identità, in quel processo che chiamo Avakindness, l'attitudine ad essere avatar.
E l'attitudine passa attraverso l'essere avatar, frequentarlo quotidianamente, confrontarsi con la sua fisicità, essere il suo ghost, principio animico del corpo-guscio nel quale ci si immerge.
Dunque, possiamo calzare la bellezza su di noi come un guanto, potendo tra l'altro, cambiare guanti quanti ne vogliamo. Per la bellezza si paga volentieri, sia per la propria che ovviamente per l'altrui.
Ma i sentimenti? Si pagano anche questi? Che parte in commedia svolgono? Una parte fondamentale ovviamente, tanto più fondamentale della bellezza, e mai come in questo caso corpo e anima (corpo dell'Avatar e anima della Persona) duettano sulla scena virtuale in un particolare contrappunto.
Quale sia il sentimento che si cela nella bellezza dell'avatar e nel cuore della persona, è argomento ancora più articolato e sensibile da affrontare.