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L'enigma del corpo che vede

Metaverso
Ph. Stefano Lazzari / Metaverso

...«Cosa?»

«Sì, sai i lavori con Kline sulla televisione»

«Cioè, pensi che potrebbe essere utile quel vecchio lavoro sulla visione attraverso il corpo?». «Sì, come lo chiamavi?» continuò Diego.

«Precisamente non ricordo, comunque era già un remapping sensoriale» distante Derrick.

«Sì, vedere con il corpo, ecco questo era il progetto, così lo chiamavate» sforzandosi Diego.

«Sì, sì» sempre più lontano Derrick con la mente mentre si allontanava anche con il corpo e Diego saltando giù dal lettino iniziò a smanettare sul device communicator.

«Grande, grande guardate come corre lungo le dinamiche territoriali del presunto aggressore» con gli occhi Diego sbarrati sul video.

«Sì, vedo» girandosi Frank sulla poltrona girevole, porta di servizio davanti al device parete.

«Vedi, lo spazio è anticipato dal mio biochip in simulazione, prima di arrivarci virtualmente».

«Sì, vedo, vedo, questa volta è chiaro»

La stanza Mnemonica di Oscar Marchisio

 

Chemical Haptics: Rendering Haptic Sensations via Topical Stimulants è un video pubblicato dall'Human Computer Integration, un laboratorio dell'università di Chicago che esplora l’utilizzo di segnali chimici usati come interfacce per segnalare uno status corporeo: un pizzicore indica attenzione, il caldo bruciante un pericolo, la frescura benessere e cessato allarme.

Il corpo isolato dalla realtà virtuale restituisce attraverso i sensi una mappa sensoriale che è, di fatto, un’interfaccia col mondo che ci circonda.

Possiamo immaginarne l'uso: il video ce ne dà una evidente prova. Si simula un ambiente assolutamente ostile all'uomo, per esempio una centrale atomica in avaria (stile Chernobyl), dove chiunque vi operi morirebbe anche se difeso da qualunque protezione. Nella simulazione si percepisce ciò che i sensori remoti del proprio corpo virtuale riportano come uno stimolo sensoriale. È dunque il corpo che vede, sente percepisce. La vista, dunque, non è l'unico senso che ci collega con la realtà del nostro ambiente.

Prima di proseguire nel nostro ragionamento risulta necessario comprendere due aspetti della percezione che vengono coinvolti in questa ricerca: la percezione Aptica e la propriocezione.

La percezione Aptica, che la robotica e la cibernetica hanno tradotto in interfacce, è il processo di riconoscimento degli oggetti attraverso il tatto. Deriva dalla combinazione tra la percezione tattile data dagli oggetti sulla superficie della pelle e la propriocezione che deriva dalla posizione del corpo rispetto all'oggetto.

James Jerome Gibson, uno dei più grandi psicologi del '900 nel campo della percezione visiva, definisce il sistema aptico come la "sensibilità dell'individuo verso il mondo adiacente al suo corpo", ed enfatizza, assieme ad altri ricercatori, lo stretto nesso tra la percezione aptica e i movimenti del corpo: dunque la propriocezione, che ci fa "sentire" se camminiamo, stiamo seduti, corriamo o saltiamo.

La propriocezione (nota anche come cinestesia) è la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, senza il supporto della vista. Descritta da Charles Scott Sherrington, è considerata un sesto senso in quanto è regolata da una parte specifica del cervello.

Bene. Potete già immaginare che queste tecnologie sofisticatissime che usufruiscono della convergenza fra internet, robotica, cibernetica e realtà virtuale, sono già in laboratorio da tempo e che la loro applicazione in dispositivi come Headset (per esempio occhiali o visori) e data glove e suit (guanti e indumenti dotati di sensori) in ambito medicale, militare, industriale non sono fantascienza.

Certo, è qualcosa di lontano dalla realizzazione di prodotti consumer di massa, ma non c'è dubbio che la convergenza e le accelerazioni che le tecnologie stanno avendo implicheranno nei prossimi vent'anni "cambiamenti così profondi da rendere quasi irrilevante tutto ciò che è venuto prima" (Paolo Benanti).

Se il Metaverso è quello che immaginiamo, ovvero un sistema globale che integrerà spazialità tridimensionale, big data, internet delle cose e quant'altro, allora questi dispositivi e questo modo di percepire, manipolare e gestire la realtà attraverso interfacce sensoriali, non saranno più fantascienza.

Due parole espresse da Gibson e Scott Sherrington devono attirare la nostra attenzione: sesto senso e sensibilità dell'individuo. Sono affermazioni che presuppongono la profonda relazione fra ciò che i sensi producono e quello che la nostra emozione ci fa percepire.

Non si tratta di "sensoristica" recezione di stimoli. Si tratta del fatto che quegli stimoli producono in noi non solo una risposta pavloviana di causa ed effetto, ma riverberano nelle nostre emozioni e di conseguenza nel nostro agire umano, che è tutto, fuorché controllato dalla razionalità.

E quali prospettive aprirà la gestione della mappatura sensoriale (chiamiamola così per convenzione) derivata dalle interfacce aptiche e propriocettive (e dunque sensoriali e dunque emotive), quando convergeranno (se ancora non lo hanno fatto) con le ricerche che si occupano di sviluppare interfacce neurali impiantabili?

La Neuralink Corporation, la celeberrima azienda statunitense di neurotecnologie, fondata da un gruppo di imprenditori, tra cui Elon Musk, si occupa già di sviluppare interfacce neurali impiantabili: non è fantascienza (1) dunque: Neuralink si trova al 3180 18th St Ste 100, San Francisco, CA 94110.

Porsi la domanda sembra prematuro? Forse no. Benanti ha già ragione. Pensiamo al fatto che TUTTO quello con cui oggi lavoriamo – tutto: internet, applicativi, dispositivi, infrastrutture, modalità - trent'anni fa semplicemente NON ESISTEVA; pensiamo che fra la prima strombazzante automobile e l'uomo sulla luna sono passati settant'anni, allora tutto questo risulta più che plausibile, ma inevitabile.

Ma non abbiamo la sfera di cristallo.

Quello che abbiamo sono le parole e la visione di uno scrittore più unico che raro nel panorama letterario italiano, Oscar Marchisio.

Marchisio era una delle menti più ecclettiche della cultura non solo bolognese, ma nazionale, scomparso nel 2009. La sua vivacità intellettuale – che spaziava dalla letteratura all’ambientalismo, dall’analisi sociologica dei cambiamenti economici alla lettura dei fenomeni industriali dell’estremo Oriente – stupisce per l’incredibile luminosa visione di un futuro che noi solo ora, e con gli strumenti che abbiamo oggi, intravediamo a malapena all'orizzonte.

 

Avvolto in un panno bianco nella luce violenta, sabbiosa di Ipanema guardava il mare, lungo e continuo. Ferma al semaforo la sorella lo teneva in braccio. Si alzò per avvicinarsi all'auto: chiese i soldi.

Avvolto in un panno bianco, il piccolo tossì.

Quel tossire aveva più forza e voce di tutte le enciclopedie di Borges, era vita.

Tossì per insegnarci a vivere. Diego era con lui. Rideva il bambino e sentiva Diego tutta la forza e la violenta stupidità della nostra diseguaglianza arretrata, preistorica. Bloccare la creatività, la stupida violenza, la paura dei ricchi. Ha tossito e sentiva Diego la sua dolce forza tranquilla di esistere e dire e fare.

Diego girò la vecchia Punto e riprese ad attraversare immagini e semafori, dopo un lungo giro fra sabbia e luce stava arrivando nella sede del Coppe al Politecnico, quando prima di entrare da Zamberlan, capì.

Distillare socialità. Imprimere un nuovo mapping sensoriale capace di autoidentificazione. Trovare il percorso per captare cooperazione senza spegnere il custom-eye. Si potevano attivare attraverso gli interfaccia in linguaggio naturale i gruppi di giovani, i ninos de rua che da sempre avevano ritrovato identità solo attraverso la pura socialità.

Irriducibile e pura. Socialità allo stato solido, densa come la vita. Socialità libera e violenta, capace di produrre suono e patria. Socialità intera e forte risultato di un bisogno estremo. Non fu facile convincere gli accademici, anche del Coppe, anche se ingegneri. L'inizio fu lento, l'anchilosata memoria degli ingegneri faticava a dialogare con la spumeggiante carica emotiva del primo gruppo del quartiere di Botafogo.

Avvolto nel panno bianco, fermo al semaforo, Diego non lo rivide più. Sentiva ogni tanto tossire dentro la sua testa, ricordava il segnale. Partito il primo gruppo, che lavorò con l'interfaccia sviluppato a Bologna da Matteuzzi, si aprirono due, tre cantieri di strada di bio-software engineering. La velocità di sviluppo e la fase di prototipazione non erano mai state così immediate. Le comunità dei ninos di Rio diventarono le migliori bio-software engeneering della rete Hologram.

Lenta scendeva la sabbia nella notte di Ipanema, non si fermava l'intensa interazione nel gruppo dei ninos. Continuava forte ed impalpabile la raccolta dei segnali e dei codici, atti, adatti a raccogliere l'intersoggettività ed a produrre tools per la battaglia. Tradotta in biochip correva la socialità nelle vene di Hologram.

La stanza Mnemonica di Oscar Marchisio

 

(1) È invece fantascienza, ma non sappiamo ancora per quanto, né tantomeno sappiamo se qualcosa sia già stato sperimentato nella ciberizzazione della mente umana.
“La cyberizzazione è il processo per cui un cervello normale viene fisicamente integrato con componenti elettronici per produrre un organo potenziato chiamato cybercervello. I termini sono stati coniati per la prima volta nella serie anime e manga Ghost in the Shell. Gli impianti di cybercervello, insieme alle micromacchine, permettono al cervello di avviare e mantenere una connessione con reti di computer o altri individui che possiedono anche un cybercervello. Attraverso l'uso di un cybercervello è possibile avere una connessione diretta e costante tra il cervello umano e Internet senza la necessità di dispositivi esterni. Questa capacità si traduce in una serie di fenomeni psicosociali imprevisti (tra cui lo Stand Alone Complex) il cui emergere è un elemento importante della trama delle varie storie di Ghost in the Shell.”